Contro il Primo Maggio

1904_-_Séparation_Eglise_Etat

 

Domenico Zavattero

Scrivete pure, compagni giornalisti, pronunciate pure, compagni oratori, articoli apologetici e conferenze smaglianti sul primo Maggio.
Astenetevi pure, compagni operai; astenetevi pure dal lavoro; io parlo, io scrivo contro il primo Maggio.
E vorrei essere lavoratore del braccio, per non abbandonare l’officina in codesto giorno.
Questa mia dichiarazione vi suonerà orribile. Voi, abituati a considerare questa data da un punto di vista tutt’affatto sentimentale — e falso — sarete tentati a considerarmi un nemico della classe operaia.
Come se per esserle amico si dovesse consacrare con la nostra annuenza una festa di sbornie!


Ed i miei nemici si varranno della cosa per mettermi in cattiva luce ai vostri occhi.
Ma io non mi sento davvero di seguire l’andazzo comune.
Un tempo, la data del primo Maggio segnava l’epoca di un’affermazione rivoluzionaria per parte del popolo lavoratore; all’apprestarsi di questo giorno la borghesia mondiale, l’affarismo internazionale, i capitalisti, i bottegai, gli sfruttatori di tutte le razze illividivano; scorgevano all’orizzonte i bagliori sanguigni dell’incendio rivoluzionario; intuivano il pericolo… E si barricavano in casa.
Dovunque esisteva un proletariato risoluto, le città si trasformavano in campi di battaglia; contro la polizia, contro l’esercito s’affermavano le falangi rivoluzionarie; si disselciavano le strade, si rovesciavano i tram, s’incendiavano i casotti del dazio, s’affrontavano le forze brute dei poteri costituiti, si lanciavano sassate, si sparavano le rivoltellate…
Il primo Maggio era il giorno delle grandi manovre della rivoluzione.
I borghesi tremavano, e si rinchiudevano in casa; il governo s’allarmava e mobilitava le sue forze; i politicanti allibivano e s’apprestavano a fiaccare la coscienza rivoluzionaria del popolo.
Ed ora?…

Sono trascorsi quattordici anni.
Ora si parla tuttavia d’affermazione proletaria, di festa operaia, di pasqua dei lavoratori.
Ora il primo Maggio è diventato una schifezza.
I capitalisti rimangono indifferenti; i borghesi ridono; i padroni d’officina sono essi i primi a proporre la chiusura dello stabilimento; gli operai vanno in campagna a pigliare solenni sbornie!
Ancora un paio d’anni — non di più — ed il primo Maggio sarà nel calendario aggiunto al santo Natale, all’Epifania, al Carnevale, a Pasqua, all’Ascensione, alla Nascita ed all’Assunzione di Maria Vergine.
E noi dovremmo accettare una festa avente un significato simile?
Se siamo rivoluzionari, se siamo anarchici, se ci sentiamo decisi ad agire contrariamente all’opinione dei nemici… mai!

Lasciamo che i socialisti seguano la storta falsariga; per essi il primo Maggio è magnifico pretesto per sfoggiare le loro forze; per smascherare le loro riformistiche batterie… e mascherare nello stesso tempo il marcio politicume che informa le loro losche azioni.
Col primo Maggio gli sfruttatori di popolarità si erigono il piedistallo sul quale eleveranno le loro nullità boriose, gonfie di vento come le vesciche; col primo Maggio i borghesi oramai speculano sulla dabbenaggine dei loro dipendenti e sfrondano una data rivoluzionaria per sporcarla con la politicheria d’una festa concessa.
E noi — gli anarchici — e noi — i malfattori — e noi — i terribili — e noi — i feroci — e noi — i furbi — e noi — gli antesignani di ogni progresso ci lasciamo bellamente turlipinare!
Ed i nostri poeti inneggiano alla pasqua dei lavoratori; ed i nostri conferenzieri predicano la bellezza dei nuovi orizzonti; ed i nostri scrittori sciolgono l’inchiostro per affermare che il primo Maggio è la rassegna delle forze proletarie; ed i nostri giornali escono in numero doppio… e talvolta in carta rossa.
Sì!… Ed intanto le forze proletarie sono impazienti che i comizi abbiano fine per andare al pranzo sociale ed alla sbornia comune; i nostri giornali hanno rossa la carta per la vergogna o doppio il numero per spillar con meno rossore due soldi al compratore; i nostri scrittori si compiacciono della loro prosa ed i poeti nostri cercano la popolarità al loro inno adattato alla musica rancida di patriottiche canzoni.
Povero primo Maggio!

Noi anarchici, noi rivoluzionari non ci avvediamo d’essere menati a rimorchio dai politicanti.
I socialisti curano in questo giorno lo spiegamento fittizio di forze che gabelleranno per forze proprie; i socialisti s’affannano in questa circostanza ad aumentare l’introito delle loro speculazioni.
E giù garofani rossi; e giù medaglie di Carlo Marx; e giù cartoline commemorative.
Il guadagno è certo perché tutti comprano.
Una volta, quando il Primo Maggio era nelle mani dei rivoluzionari veri, il guadagno consisteva in qualche colpo di baionetta nella pancia od in parecchi mesi di reclusione; ma lo spirito rivoluzionario s’affermava; ma la massa si preparava ad una solenne, solida ed efficace riscossa.
Questo compresero i socialisti; e ci vinsero la mano.
Ora hanno acquistato il sopravvento; ora del primo Maggio hanno fatto quello che fecero pel resto: un soporifero.
E noi — anarchici, rivoluzionari, incendiari, tutto quello che volete — per paura di metterci contro corrente seguiamo l’andazzo comune; noi, per avere le briciole di popolarità, ci mettiamo d’accordo coi popolari… e partecipiamo alla prostituzione del primo Maggio.
Ebbene: avessi da sorgere ed insorgere solo contro tutti, io proclamo la caduta di questa data.
Rilevarla, ricondurla al suo significato rivoluzionario non possiamo più. Dobbiamo farla naufragare.
Quando verso la sera di questo giorno che avrebbe dovuto essere un giorno di fiera, cosciente rassegna dei ribelli, scorgo gruppi d’operai tornare ubriachi dalla campagna; quando vedo gremite le bettole di lavoratori festeggianti il primo Maggio; quando con la schiuma degli ebbri alla bocca li vedo e li sento gridare evviva la rivoluzione ed intonare a cadenza strascicata ed avvinazzata lo schiavo secolar o l’inno dei lavoratori, un invincibile senso di nausea m’assale e dal mio petto prorompe intrattenibile l’invettiva: Basta, basta d’una festa che invece d’elevare abbrutisce, che invece di scuotere inebbria!

[L’Allarme, anno I, n. 11 del 1 maggio 1904]