Una vita ribelle Marco Camenisch ed. Alpi Occidentali giugno 2012

unavitaribelle

Edizioni Alpi Occidentali giugno 2012, pag.56, 2,50euro

Chi vuole pensare ha il cervello, chi vuole capire comprende il linguaggio dell’umanità e della vita. I cadaveri viventi capiscono solamente la lingua del denaro, della ricchezza, del potere, della legge. A costoro posso soltanto dire: considerando che date ascolto ai cannoni, e che non capite altre lingue, abbiamo deciso che conviene volgere i cannoni contro di voi.”

L’opuscolo ripercorre attraverso i suoi comunicati  la vicenda carceraria di Marco Camenisch dal 1981 arrivando fino al notizia della non scarcerazione anticipata che doveva essere per maggio 2012.

Presente anche la cronologia delle azioni di solidarietà avvenute in questi anni nei confronti di Marco in tutto il mondo.

Ancora a fianco di Marco Camenisch, come in tanti lo siamo stati in questi anni di prigionia, lotte, solidarietà. Perché scegliere da che parte stare vuole anche dire, necessariamente, non abbandonare i propri compagni e, nel contesto delle lotte, quest’impegno si traduce nel  non dimenticare chi lottando finisce in catene.

In quest’ottica, il presente opuscolo, e la mostra che accompagna, vogliono essere un contributo al rilancio della mobilitazione che dia continuità alle tante altre che hanno accompagnato Marco nella sua odissea carceraria tra Italia e Svizzera, e che è resa oggi decisamente necessaria a causa del trattamento che le autorità stanno riservando a Marco, negandogli la scarcerazione anticipata per aver scontato i 2/3 della pena e paventando l’ipotesi di un “internamento” da applicare a fine pena. Difatti il sistema giuridico elvetico, in linea con diversi altri in Europa, prevede la concreta possibilità che una volta scontata interamente la pena il prigioniero, condannato per certi reati, non possa uscire di galera fino a che una commissione apposita non dia parere favorevole.

A ciò si aggiunga, dall’Italia, un ordina di carcerazione emesso recentemente nei confronti di Marco nell’ambito dell’ennesima rappresaglia contro i movimenti rivoluzionari, in questo caso quello anarchico, e ancora più urgenti possono risultare le ragioni per rilanciare la mobilitazione in sua solidarietà,

Se le autorità elvetiche hanno scelto di infierire nei confronti di Marco, è bene far loro sentire che il legame tra lui e noi, compagni e compagne fuori, è sempre più forte. Perché continuare a lottare al fianco di tutte le compagne e di tutti i compagni che oggi sono prigionieri è un passo immancabile verso un mondo in cui valga la pena vivere, e siamo altrettanto convinti che una mobilitazione che muova dalla specifica situazione di un rivoluzionario recluso ben possa svilupparsi senza per forza cadere nella ricerca di “personalismi”, e contribuisca invece ad estender l’orizzonte dei percorsi di liberazione e del conflitto necessario a difendere e realizzare tali percorsi.

Nella stessa direzione percepiamo il contributo dato da Marco con le scelte e le vicende di cui è stato ed è protagonista. In un percorso contrassegnato dalla costante coerenza tra idee e vita vissuta, Marco è stato tra i primi a riconoscere il nemico non solo nello Stato e nelle sue emanazioni ma anche nei progetti del progresso, sbandierando come liberazione ma in realtà portatore di nuove schiavitù, del produttivismo che consuma esseri viventi e territori, delle tecnologia, tentacolo mortifero che attanaglia le coscienze e il pianeta intero. E ha saputo inquadrare e combattere tutto questo nell’ottica di una trasformazione concreta e radicale dell’esistente. Lo ha fatto in libertà, scegliendo una vita sbrigliata dalle regole imposte e mettendo in pratica l’urgenza delle ostilità nei confronti di un ordine sociale ed economico che opprime e avvelena.

Lo ha fatto dal carcere, con le iniziative a denuncia delle condizioni di reclusione per lui e per gli altri prigionieri, con gli innumerevoli scioperi della fame, con il suo continuo apporto alla crescita e alla circolazione delle idee e delle pratiche che chiamano a non rassegnarsi al disastro che ci circonda, ma a fronteggiarlo.

Il suo non piegarsi a sopravvivere passivamente al carcere, il suo essere presente nelle lotte, i tanti suoi suggerimenti che il movimento rivoluzionario internazionale ha fatto propri, sono la vita di Marco. E sono anche parte della nostra e di quella di quanti sentono il richiamo della ribellione e della libertà.

L’auspicio di riabbracciare fisicamente Marco nelle lotte che verranno può divenire realtà, forse oggi più che mai, solo grazie alla capacità di una mobilitazione in cui concorrano sensibilità e modi di intervento distinti ma complementari. In fin dei conti, la reciprocità tra le forme di lotta ci pare una prospettiva avvincente, e non solo per quanto si metterà in campo per strappare un compagno dalle grinfie del carcere.