Stille e stili…

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Severino Di Giovanni – Stille e stili …Urlìo notturno

Stille e stili…

Urlìo notturno

 

Finita la festa di luce, quel crepuscolo ebbro di rosso se ne andava lontano nelle profonde voragini del suo impero.

Il sole folle.

Se ne andava, lontano, lontano.

E con esso la festa che mi aveva riscaldato di entusiasmi e di promesse.

E nell’ebbrezza del suo rosso, gli mandai il mio ultimo addio con lo sguardo, mentre con trionfi ingressava nell’ampia voragine di fuoco.

* * *

Se n’è andato!

Oh voracità non mai sazia di nostalgia!

Oh disperazione infinita di tanta munificenza sfuggita!

Oh strazio immenso di amore che stringi in attimi e ad attimi lasci!

Lasci bramosi di te, ardenti nel desiderio del tuo soggiorno fugace.

E così insoddisfatto e assetato mi abbandoni nella sera con il solo ricordo dell’aria infuocata che soffoca col profumo opprimente.

Ma anche il tuo profumo lentamente svanisce, mentre profondo e maestoso viene la notte. E sento con la sua venuta al luccichìo d’un infinito stuolo di lucciole fosforee, mille canti che giungono al mio orecchio come mille urli. E si accentuano, sibilano, storniscono, sbattono crepitando in urli maggiori e in musica notturna.

Urlìo notturno e per la mia nostalgia vorace e disperata l’eterna musica notturna.

Musica notturna!

Pianto del creato e riso scrosciante di venti gementi!

Oh quanta febbre arde nel tuo immenso oscuro!

Oh quanta gioia fai godere nel tuo dolore di silenzi!

Oh musica notturna!

Urlìo delle tenebre!

* * *

Al calore soffocante della festa solare della mia gioventù di illusioni, a questa

notte succeduta fra il fresco dell’aria mossa e la rugiada che imperlava di umide goccioline l’erba, mi dava il sollievo ristoratore e con slancio cantai la mia canzone.

Canzone libera, che univasi alla musica degli urli delle tenebre.

Cantai:

Oh notte di misteri, di consolazioni e di silenzio che mi pesi dentro del mio spirito.

Il tuo pesore, come un corpo di bella fanciulla, che si afferma, s’immedesima e lascia un’infinita dimenticanza.

E il mio spirito di te sente il dolore che poi mi trapassa nelle carni.

E pesa.

Come corpo di bella fanciulla.

E mi dai voluttuosamente il possesso di te.

Oh notte di misteri!

Oh notte di silenzi, senza la luna pallida e luci di stelle.

Ma solo.

Oh mia notte, oscura, solo, senza chiari e nel tuo possesso mi dai dolcezze e tormenti.

Con momenti di desideri lievi come un’aureola!

* * *

E con la mia canzone cantavano anch’essi i segreti e misteriosi cantori della notte!

E la loro canzone era l’eco di un coro melodioso che invogliava maggiormente, il mio canto.

Coro di urli, battiti e crepiti di rami schiantati e scrosciati dal vento, artefice del canto eterno, che mestamente nel dolore mi erano compagni.

Cantiamo ancora e mescoliamo le mie lagrime di contento, alle vostre linfe succose di dolore che ormai la vasta notte è nostra, come nostro è il velo nero che adorna le nostre bare aspettanti la lieta resurrezione.

Resurrezione di vita!

Lieti di così immenso possesso il nostro tormentoso dolore si tramutava celere in dolcezze infinite.

* * *

E il possesso grandioso della notte che tramutava il tormento in dolcezza, mi cancellava la nostalgia che ruggiva nel petto e spegneva la sete della disperazione.

Alle forze arcane di cori eterni, rimasi ad essi come alla notte, e mi esultai con essi, amando le tenebrose compagne che mi donavano il vigore di nuove conquiste.

Esultante, scordai tutto e quando il sole volle riprendermi col suo albeggiare d’oro mi dispersi nel grembo interminabile del novello sogno conquistato e non volli più vedere le sue danze di raggi e di luci.

 

NIVANGIO DONISVERE

(Anagramma di Severino Di Giovanni)

 

da Culmine, anno 1, numero 1, 1 agosto 1925