La politica uccide la rivoluzione

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Volin
Nell’aprile 1917 mi incontrai con Trotsky a New York, in una tipografia che lavorava soprattutto per i diversi giornali russi di sinistra. Allora egli era a capo di un quotidiano marxista di sinistra: Novy Mir. Quanto a me, la Federazione delle Unioni operaie russe mi affidò la redazione degli ultimi numeri, prima della partenza per la Russia, del suo settimanale: Golos Truda, di tendenza anarco-sindacalista.

Passavo alla tipografia una notte alla settimana, la vigilia dell’uscita del giornale. Fu così che incontrai Trotsky la prima notte del mio servizio. Naturalmente parlammo della Rivoluzione. Tutti e due ci apprestavamo a lasciare presto l’America per recarci «laggiù».
Una volta dissi a Trotsky:
«Tutto considerato, sono assolutamente sicuro che voi, i marxisti di sinistra, finirete per impadronirvi del potere in Russia. È fatale, poiché i soviet, resuscitati, entreranno infallibilmente in conflitto con il governo borghese. Questo non riuscirà a distruggerli, perché tutti i lavoratori del paese, operai, contadini, ecc., ed anche quasi tutto l’esercito, finiranno naturalmente col mettersi dalla parte dei soviet contro la borghesia e il suo governo. Ora, dal momento che il popolo e l’esercito sosterranno i soviet, questi vinceranno nella lotta. E dal momento che essi vinceranno, voi, i marxisti di sinistra, sarete inevitabilmente portati al potere. Perché i lavoratori proseguiranno la Rivoluzione, certamente, fino alla sua espressione più avanzata. Poiché in Russia i sindacalisti e gli anarchici sono troppo deboli per attirare rapidamente l’attenzione dei lavoratori sulle loro idee, le masse vi daranno fiducia e voi diventerete «i padroni del paese». E allora, guai per noi altri anarchici! Il conflitto tra voi e noi è inevitabile. Comincerete a perseguitarci non appena il vostro potere sarà consolidato. E finirete per fucilarci come pernici…».
«Andiamo, andiamo, compagno — replicò Trotsky — siete dei fantasiosi testardi e incorreggibili. Vediamo, che cosa ci separa attualmente? Una piccola questione di metodo, del tutto secondaria. Voi siete rivoluzionari, come noi. Come voi, noi, in fin dei conti, siamo anarchici. Soltanto, voi volete instaurare il vostro anarchismo subito, senza transizione né preparazione. Mentre noi, i marxisti, non crediamo possibile “saltare” con un balzo nel reame libertario. Noi prevediamo un periodo transitorio nel corso del quale il terreno per la società anarchica sarà dissodato e sgomberato con l’aiuto di un potere politico antiborghese: la dittatura del proletariato esercitata dal partito proletario al potere. Insomma, si tratta solo di una differenza “di sfumature”, niente di più. In fondo, noi siamo molto vicini gli uni agli altri. Siamo fratelli d’armi. Pensate dunque: avremo un nemico comune da combattere. Potremmo pensare di batterci fra noi?… E, d’altra parte, io non dubito cher voi vi convincerete presto della necessità di una dittatura proletaria socialista provvisoria. Io, veramente, non vedo proprio le ragioni per una guerra tra voi e noi. Certamente andremo avanti mano nella mano… E poi, anche se non siamo d’accordo, voi correte troppo supponendo che noi, i socialisti, impiegheremmo la forza brutale contro gli anarchici! La vita stessa e il parere delle masse saranno sufficienti a risolvere il problema e a metterci d’accordo. No! Potete ammettere per un solo istante una simile assurdità: i socialisti di sinistra al potere fucilare gli anarchici?
Andiamo, andiamo, per chi ci prendete? In tutti i modi, noi siamo socialisti, compagno Volin! Non siamo quindi vostri nemici…».
Nel dicembre 1919, gravemente malato, fui arrestato dalle autorità militari bolsceviche nella regione machnovista. Considerandomi un militante «di riguardo», le autorità avvisarono Trotsky del mio arresto con uno speciale telegramma, chiedendogli le sue disposizioni nei miei confronti. La risposta, anch’essa telegrafica, arrivò rapida, laconica, chiara: «Fucilare immediatamente. — Trotsky».
Non fui fucilato unicamente per via di un concorso di circostanze particolarmente felici e del tutto fortuite.
Più tardi, nel luglio 1921, durante il primo Congresso dei Sindacati rossi (del «Profintern»), uno dei delegati francesi, Sirol, parlò personalmente con Trotsky della sorte dei tredici anarchici, detenuti senza motivo plausibile e che in quel momento stavano facendo uno sciopero della fame nella prigione di Taganka. Con la sua abituale disinvoltura, Trotsky protestò vivamente contro questo intervento «insolito» e dichiarò che i tredici detenuti in questione non erano anarchici, ma banditi che si nascondevano sotto il nome di «anarchici».
Sirol non accettò la spiegazione: «Mi sembra — disse a Trotsky — che voi non facciate tante cerimonie con i banditi: li fucilate velocemente… ».
E gli parlò, fra gli altri, di me, affermando di essere certo che io non fossi un bandito.
«Volin?! — urlò Trotsky indignato — ma è il vero ispiratore del banditismo ucraino!».
«Allora, perché non lo avete fucilato?» domandò Sirol.
«Per quel che mi riguarda — rispose Trotsky — io diedi esattamente l’ordine di fucilarlo. Se non lo fu, è a causa del sentimentalismo fuori luogo delle autorità locali».
Così Trotsky confermò il suo telegramma.
Questo episodio non merita commenti. L’ho qui citato perché desidero iniziare le mie Conclusioni con un esempio flagrante della contraddizione formale e classica che tante persone si ostinano, tuttavia, a non vedere: la Rivoluzione e la Politica.
Nella Russia rivoluzionaria, volli diffondere idee rivoluzionarie: idee condivise da una parte più o meno importante della grande famiglia socialista. Ogni membro di questa famiglia ha incontestabilmente lo stesso diritto di un altro di far conoscere ciò che ritiene essere vero e giusto. Nel corso di una Rivoluzione sociale si tratta anche più di un diritto, è un dovere di ogni rivoluzionario di fronte alla rivoluzione.
Io non ho mai fatto altro. Ma se la Rivoluzione prende una via politica, governativa e autoritaria, ciò basta per fucilare un uomo.
Questo è il fatto brutale, uno dei più tipici della rivoluzione bolscevica. In sé ne costituisce una specie di conclusione.
La Politica uccide la Rivoluzione.
Che i rivoluzionari, che i lavoratori ci riflettano sopra!

A New York dissi a Trotsky (e lo ridissi più di una volta ai miei amici e a chi mi stava ad ascoltare):
«Mi accingo a partire per la Russia. Ho idee molto precise su quanto sta là accadendo e su quanto accadrà. Sono assolutamente sicuro che alla fine ci saranno due idee di fronte e in lotta fra loro: l’idea autoritaria e l’idea antiautoritaria. Da questo punto di vista considero la Rivoluzione russa come un saggio, come una esperienza decisiva. E, lo dico in tutta franchezza, se l’idea autoritaria che senza dubbio verrà messa in pratica dal partito marxista rivoluzionario al potere riuscisse a realizzare la vera Rivoluzione sociale, cioè ad orientarla effettivamente sulla via del vero socialismo, della liberazione delle masse lavoratrici, insomma — se l’esperienza autoritaria sarà giustificata dai suoi risultati, allora constaterò con lealtà il fatto, farò tanto di cappello ai marxisti rivoluzionari e gli dirò «Mi inchino. Siete voi ad avere ragione. Siamo noi ad avere torto. La prova è fatta».
Viceversa se l’esperienza autoritaria portasse le masse — come prevedo — non sulla grande strada del socialismo, ma sul nuovo calvario del dominio e dello sfruttamento sotto altra forma e ad opera di una nuova casta di arrivisti, allora per me la prova dell’idea antiautoritaria sarà fatta nella stessa assoluta e definitiva maniera.
L’esperienza vissuta, che il lettore può seguire con me per così dire giorno per giorno, lungo questo studio, conferma per me in maniera definitiva la concezione libertaria della Rivoluzione: e questo non solo nell’insieme, ma fin nei minimi dettagli.
Del resto ho avuto la fortuna di partecipare a due rivoluzioni nel mio paese natale. Ho avuto inoltre il vantaggio di poter seguire da vicino — e per un lungo periodo di tempo — i movimenti sociali, i sommovimenti rivoluzionari, gli avvenimenti successivi ed estremamente suggestivi avvenuti in altri paesi. Ho osservato ed esaminato le lotte di idee e di dottrine, le battaglie di partiti e i diversi elementi in azione, il valore delle forze avverse e le peripezie della loro collisione.
La mia conclusione è fatta:
Tutto ciò che ho potuto osservare, analizzare, comparare, provare, conferma in modo irrevocabile che il principio antiautoritario — libertario — è il vero principio della Rivoluzione sociale; che il principio autoritario — comunista-statale — è un terribile errore, una idea falsa e sterile che, divenuta «l’asse» e «l’anima» della Rivoluzione, la mette dritta in pericolo.
La Politica uccide la Rivoluzione.
Gli anarchici non hanno quasi nulla da rivedere né da rimaneggiare nel loro edificio ideologico. Sono loro ad aver ragione, senza contestazione possibile per chi conosce i fatti esatti.
Da ora in poi nessuna forza al mondo potrà farmi rinunciare a questa convinzione totale, assoluta. Nessun genere di avvenimento futuro — ivi compresi quelli che sembreranno contraddire momentaneamente la tesi libertaria e giustificare in apparenza l’azione comunista autoritaria — potranno scuotere la mia conclusione.

I bolscevichi hanno la faccia tosta di affermare che l’anarchismo sia scomparso in Russia perché non aveva alcuna presa sulle masse e che il popolo, intuendo la sua «essenza controrivoluzionaria e pericolosa», non ne volle sapere.
Ancora oggi sono numerosi i marxisti di tutte le tendenze che pretendono che l’anarchismo sia stato sconfitto in Russia «teoricamente», «ideologicamente».
L’affermazione bolscevica è una menzogna. I bolscevichi sanno meglio di chiunque altro che furono costretti, dopo sei mesi di misera tolleranza, a combattere l’anarchismo con le armi in pugno, ad annegarlo nel sangue — proprio perché stava guadagnando rapidamente le simpatie delle masse.
La seconda affermazione, quando è sincera, è un errore. L’anarchismo fu soppresso in Russia esattamente come furono soppressi il marxismo e il comunismo in Germania: con la violenza, il terrore, le armi. (Con questa differenza, innanzitutto, che in Russia gli anarchici all’inizio della Rivoluzione erano al massimo tremila su 185 milioni di abitanti di un paese immenso; mentre in Germania i marxisti e i comunisti ammontavano a diversi milioni su 60 milioni di abitanti di un paese relativamente piccolo. Con questa differenza, inoltre, che in Russia le vaste masse, come sa il lettore, non avevano avuto in precedenza nessuna preparazione, nessuna educazione né esperienza sociale o politica; mentre in Germania i partiti marxisti scomparvero dopo lunghi anni di esistenza libera, di propaganda intensa, di preparazione febbrile, di addestramento e di lotte costanti. Con questa differenza, infine, che a dispetto di tutti gli ostacoli e malgrado tutte le circostanze sfavorevoli gli anarchici e soprattutto le masse in Russia opposero resistenza all’impostura autoritaria, mentre in Germania i marxisti e i comunisti capitolarono davanti al nazismo di colpo, senza aver abbozzato il minimo gesto di difesa).
Non ci fu quasi nessuna lotta di idee fra comunisti e anarchici in Russia: né davanti alle masse, né fra gli stessi militanti. Il lettore sa che i comunisti, semplicemente, “mitragliarono” l’anarchismo non appena lo trovarono preoccupante e pericoloso, dopo averlo appena tollerato per sei mesi soltanto. Ci fu a malapena una premessa di controversia… Dopo ciò, si osa affermare che in Russia l’anarchismo fu sconfitto «teoricamente»…

[dalle conclusioni inedite de La Rivoluzione sconosciuta]