Il flagello (lo sport)

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Tito Eschini
Il mondo antico ed il medio hanno avuto i loro flagelli, l’invasione irrompente dei popoli barbari che mettevano a ferro e a fuoco i territori invasi, che distruggevano quanto la scienza e la civiltà di quei tempi avevano dato; la peste bubbonica, il colera ed altri simili che decimavano gli uomini e arrestavano il corso della civiltà colle loro violente epidemie. L’evo moderno ne ha molti di flagelli, uno dei principali, di cui è nostro compito in questo scritto trattare, è lo sport. Lo sport è un flagello di contraria apparenza, ha forme tutte diverse dagli altri, forme allettevoli e divertenti e per gli sportmen di professione molto proficue e remunerative, ma per questo non cessa di esser meno pernicioso, poiché lo sport è il flagello del vero progresso e dell’intelligenza umana.

Oh! facciano pure la smorfia del disgusto gli sportmen e tutta quella gente che da questo ritraggono un beneficio morale e speculativo, la dirò ugualmente la mia verità sulle conseguenze imprescindibili di questa stupida quanto barbarica passione, su questo forzato tentativo di ritorno al passato.
Dico di ritorno al passato, perché è vero, queste passioni e questo fanatismo incomprensibile vengono suscitati ed ispirati, ad arte, da un fatto molto lontano, per tempo e per costumi, a noi, cioè sulle eroiche gesta dell’antica Grecia, scimmiottando i suoi giochi olimpici.
Quanta differenza passi fra le cause che dettero origine allo sport greco e quelle del presente, lo sanno tutti coloro che hanno un po’ di conoscenza e di intuizione storica.
Le Olimpiadi avevano una propria ragione di esistere, erano una semplice necessità storica e sociale; questa ragione di essere viene subito ritrovata e constatata nel grado di sviluppo di quella civiltà, nella condizione di esistenza sociale, nel carattere etnologico ed egemonico di quel periodo storico; cause tutte che generavano il bisogno, per quasi mancanza assoluta di altro, di avere un mezzo di distrazione e di divertimento, ma soprattutto per il bisogno di difesa e di offesa, che per le ragioni su esposte, quei popoli erano in continue guerriglie tanto interne come esterne.
Siccome allora mancavano i mezzi atti o sostituire la forza fisica, l’agilità, la resistenza nella corsa ecc. così erano tenuti in alto pregio coloro che di queste prerogative erano dotati, essendo quasi esclusivamente su di loro che riposava la salute della patria.
Ecco perché dai Greci dell’VIII e del VII secolo a.C. s’incoraggiavano e si fomentavano le gare sportive.
Siamo alla distanza di trenta secoli ed è bene sapere, che allorquando la civiltà ellenica ebbe raggiunto il suo massimo sviluppo, quando la condizione di vita sociale fu diversa, quando insomma altri furono i bisogni degli individui, lo sport fu in decadenza ed abbandonato poi del tutto (IV e V sec. a.C.) e le scienze e le arti, la letteratura, tutto ciò che vi era di bello nella vita, ebbero il loro più grande trionfo e formarono quel luminoso periodo storico, la cui luce inondò le civiltà posteriori e di cui tuttavia risentiamo i benefici effetti.
Il continuo trasformarsi della specie umana, l’avvicendarsi incessante degli eventi storici, il rinnovarsi del vivere sociale ed il progressivo sviluppo delle scienze tutte hanno reso gli uomini d’oggi diversi da quelli di un tempo, e conseguentemente diversi i costumi della nostra civiltà, i bisogni umani e i rapporti fra gli individui.
Lo sport oggi non è di alcuna utilità, non rende alcun servigio che possa trovare una giustificazione, nemmeno nella distrazione estetica, perché abbiamo di meglio e di veramente necessario, il teatro; lo sport non può servire neppure ai borghesi nell’arte della guerra, poiché la forza fisica è di gran lunga superata da ordigni più spicci, persuasivi e di maggior effetto, e la resistenza e la velocità nella corsa dalla radiotelegrafia e telefonia.
Una grande menzogna a mio parere, è il vecchio assioma: «mens sana in corpore sano», menzogna appunto perché serve di scudo principale ai difensori dello sport. Dove volete trovare mai, o lettori, una mente più malata di quella che non pensa e non sa? Gli sportmen, quasi generalmente sono delle menti ammalate dalla propria passione, dei poveri di spirito e degli ignoranti della Vita. Questa asserzione non è un’opinione accampata in aria, bensì una constatazione di un fenomeno fisiologico.
Per l’allenamento che richiedono gli esercizi sportivi, tutta la massa muscolare è messa anormalmente in moto, perché i muscoli si sviluppino e diventino più forti, avviene che le molecole ricostitutive dell’organismo affluiscano laddove è maggiore l’esaurimento e maggior richiesta, dimodoché il cervello essendo l’organo che più d’ogni altro ha bisogno di essere rinnovato, viene ad impoverirsi per mancanza di esercizio e di alimento, ed è per questo che naturalmente si produce quella specie di atrofia cerebrale che si riscontra nelle meschine intelligenze degli sportmen.
La passione per lo sport ha una potenza straordinaria sulle giovani menti perché è proprio una cosa divertente e stupida da non richiedere alcuno sforzo intellettuale per comprenderla, ed i fanciulli ne sono conquistati per il bisogno di vedere e di fare salti, capriole ecc., perciò il corso dell’intelligenza viene in questi deviata, essendo in prima formazione e mancando il necessario ad alimentarla e rinforzarla per la preparazione allo studio degli alti e seri problemi della vita,  che richiedono una comprensibilità molto aperta, per i pregiudizi sociali e per la cattiva educazione che da ogni parte viene loro impartita.
I borghesi, i governanti, i padroni del presente ordinamento sociale hanno molta ragione, sono molto logici nell’incoraggiare, nel dare incremento a questa passione, sovvenzionando le società ginnastiche, perché queste preparino degli uomini forti, dei buoni facchini, delle menti vuote refrattarie a tutte le innovazioni e a tutte le conquiste della vita; degli esseri privi di volontà propria, incosci del proprio valore individuale, proni e soggetti alle discipline, alla morale e alle leggi che sono il baluardo della società borghese.
L’effetto viene raggiunto molto largamente, le sentiamo noi, nei ritrovi, nei caffé, per le vie, le calorose discussioni, il favoreggiare per l’uno o per l’altro campione; la vediamo l’esaltazione che fermenta in seno alla massa amorfa, quando hanno luogo i concorsi ginnastici, le gare podistiche ecc. La vediamo questa grande imbecillità umana farsi strada, ed i governanti ne gioiscono perché è sulla folla degli imbecilli e dei cretini che riposa la loro ragione di dominio.
[La Rivolta, Pistoia, 1910]