Guerra – Industria bellica e banche: cresce l’export di armi dall’Italia

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Negli stessi giorni in cui a seguito di una rivolta al Brennero contro il ripristino della frontiera tra Italia e Austria vengono fermati e imprigionati sei rivoltosi, viene resa pubblica una relazione annuale sull’export italiano 2015. I dati contenuti sono significativi: aumentate del 200% le autorizzazioni all’esportazione di armamenti il cui boom si registra verso i paesi in guerra.
I settori più rappresentativi dell’attività di esportazione sono aeronautica, elettronica per la difesa, armi leggere e munizioni, cantieristica navale e sistemi d’arma. Tra le industrie coinvolte compaiono Alenia Aermacchi, GE AVIO, Beretta, Piaggio Aero Industries, MBDA Italia e industrie Bitossi, quasi tutte di proprietà o partecipate dal gruppo Finmeccanica.

Un altro dato interessante è rappresentato dalla crescita esponenziale del ruolo di intermediazione finanziaria delle banche, tra le quali spiccano per volume d’affari Intesa San Paolo e Unicredit, seguite da un lungo elenco di banche minori e ‘popolari’.
Tutti dati senza precedenti che, come osserva senza vergogna ma anzi con soddisfatto compiacimento il governo, testimoniano la “consolidata ripresa del settore della Difesa a livello internazionale”.
Il business delle forniture belliche cresce di pari passo con gli interessi degli Stati e dei loro apparati. Niente di tutto questo può tradursi in benessere e sicurezza per tutti, come vorrebbero farci credere.
Le guerre generano morte, sofferenza, devastazione, povertà, migrazione.
Anche il controllo e lo sfruttamento dei flussi migratori permettono all’industria della guerra di mantenersi in vita.
Armi, frontiere, leggi antiterrorismo, vigilanza, sono i mattoni che costruiscono la nuova fortezza Europa. Il cemento che li lega è il consenso della gente manipolato dagli Stati attraverso il controllo dei media che inducono paura, odio, alienazione.
Questa fortezza deve crollare e con essa ogni muro innalzato per opprimere la libertà e la dignità dei popoli.
Coloro che hanno scelto di smettere di accettare passivamente tutto questo sabato 7 maggio al Brennero hanno rischiato la propria libertà per dimostrare ancora una volta che nonostante il mostro sia sempre più forte è destinato a incontrare ancora sul suo cammino chi lo combatte a testa alta.
Per questo non possiamo che sentirci solidali e complici con le compagne e i compagni colpiti dalla repressione.
CRI-LUCA-MIRIAM-STEFANO-SABRINA-NEMO LIBER*
NESSUNA FRONTIERA NESSUNO STATO

(A)

Spazio Anarchico Underground Bergamo


da indymedia piemonte

2015: l’Italia triplica l’export di armi

Nel 2015 è triplicata la vendita di armi italiane all’estero e sono aumentate le forniture verso Paesi in guerra: in particolare quelle verso l’Arabia Saudita, condannata dall’Onu per crimini di guerra nel conflitto in Yemen e per la quale il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulla vendita di armamenti. Cresce anche l’intermediazione finanziaria delle principale banche italiane, Intesa e Unicredit, e tra i piccoli istituti coinvolti compare ancora Banca Etruria e una banca libica.
La relazione annuale del governo sull’export militare italiano 2015 mostra un aumento del 200% per le autorizzazioni all’esportazione definitiva di armamenti il cui valore complessivo è salito a 7,9 miliardi dai 2,6 miliardi del 2014. Un dato senza precedenti che, come osserva con soddisfazione il governo, testimonia la “consolidata ripresa del settore della Difesa a livello internazionale”.
Come si legge nella relazione, “i settori più rappresentativi dell’attività d’esportazione sono stati l’aeronautica, l’elicotteristica, l’elettronica per la difesa (avionica, radar, comunicazioni, apparati di guerra elettronica), la cantieristica navale ed i sistemi d’arma (missili, artiglierie), che hanno visto, nell’ordine: Alenia Aermacchi, Agusta Westland, GE AVIO, Selex ES, Elettronica, Oto Melara, Intermarine, Piaggio Aero Industries, MBDA Italia e Industrie Bitossi ai primi dieci posti per valore contrattuale delle operazioni autorizzate. La maggior parte di queste aziende sono di proprietà o in varia misura partecipate dal Gruppo Finmeccanica”.
Ma il dato politicamente più importante è il boom di vendite verso Paesi in guerra, in violazione, attraverso escamotage, della legge 185/1990 che vieta l’esportazione e il transito di armamenti verso Paesi in stato di conflitto e responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Un sotterfugio che un ex ministro della Difesa di nome Sergio Mattarella denunciò anni fa come “un grave svuotamento delle disposizioni contenute nella legge 185”: il governo può aggirare il divieto di forniture militari a un paese in guerra se con esso ha stipulato un accordo intergovernativo nel campo della difesa e dell’import-export dei sistemi d’arma. Il caso più grave riguarda le forniture belliche alle forze aeree del regime Saudita, che da oltre un anno conducono bombardamenti indiscriminati su città, scuole e ospedali in Yemen che finora hanno provocato almeno 2mila morti civili, per un quarto bambini. Crimini di guerra ripetutamente condannati dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che a febbraio hanno spinto il Parlamento europeo ha chiedere un embargo sulla vendita di armi a Riyad.
Il valore dell’export di armi ‘made in Italy’ verso l’Arabia Saudita autorizzato nel 2015 è salito a 257 milioni dai 163 milioni del 2014. Un aumento del 58% attribuibile anche alle tonnellate di bombe aeree prodotte nello stabilimento sardo di Domusnovas della Rwm Italia S.p.a. e spedite via aerea e navale da Cagliari tra le proteste e le denunce – anche alla magistratura – di parlamentari e pacifisti. Consegne confermate dalla relazione: 600 bombe Paveway da 500 libbre (per 8,1 milioni di euro), 564 bombe Mk82 da 500 e 2000 libre (3,6 milioni), 50 bombe Blu109 da 2000 libre (3,6 milioni) e cento chili di esplosivo da carica Pbxn-109 (50mila euro).
A questo si aggiunge il forte incremento del valore delle esportazioni italiane verso l’Arabia Saudita che rientrano tra i programmi intergovernativi di cooperazione militare, saliti nel 2015 a 212 milioni dai 172 milioni del 2014. Il principale programma riguarda i cacciabombardieri Eurofighter usati ogni giorno dalla Royal Saudi Air Force nei suoi raid in Yemen. La fornitura, iniziata anni fa, riguarda l’Italia non solo per la sua partnership industriale nel consorzio europeo (con Finmeccanica), ma anche perché questi aerei, assemblati negli stabilimenti inglesi della Bae System, vengono consegnati facendo scalo all’aeroporto di Bologna. Nonostante la legge 185/90 vieti anche il transito di armi destinate a Paesi in guerra.
Anche le forniture belliche italiane verso gli altri paesi che partecipano alla guerra in Yemen a fianco dei sauditi sono proseguite o aumentate: gli Emirati si confermano il principale cliente mediorientale (con 304 milioni come l’anno prima), mentre c’è stato un forte incremento di vendite al Bahrein (da 24 a 54 milioni) e soprattutto al Qatar (da 1,6 a 35 milioni). Il Kuwait, nel 2015 ancora tra i clienti minori, è destinato a scalare la classifica dopo la firma, poche settimane fa, di un contratto multimiliardario per la fornitura di 28 cacciabombardieri prodotti da Finmeccanica.
Ma è boom di export verso tutti i Paesi in guerra, a cominciare da un clamorosa new-entry: l’Iraq, finora mai comparso tra i clienti italiani, esordisce nel 2015 con vendite per 14 milioni (armi leggere e munizioni, quindi Beretta). Impennata di vendite verso la Turchia (da 53 a 129 milioni) che bombarda i curdi fuori e dentro i suoi confini con gli elicotteri T129 costruiti su licenza Finmeccanica; verso la Russia (da 4 a 25 milioni) che continua a ricevere blindati Lince della Fiat-Iveco nonostante l’embargo post-Ucraina, verso il Pakistan e con l’India (anch’essa con forniture belliche italiane in aumento da 57 a 85 milioni nonostante la “crisi” dei marò. Nota a margine: nel 2015 sono incrementate le vendite all’Egitto pre-caso Regeni (da 32 a 37 milioni), compresi i lacrimogeni e le armi leggere usate dalla polizia del Cairo nelle repressioni di piazza.
Ultimo dato importante che emerge dalla relazione è l’aumento del ruolo d’intermediazione finanziaria delle banche italiane nel business delle forniture belliche. Se la parte del leone rimane alle banche straniere (Deutsche Bank e Crédit Agricole sopra tutte) si fanno strada sia Unicredit (passata dal 9 al 12% delle operazioni) che Intesa Sanpaolo (dal 2 al 7,4%). Seguono con percentuali minori Bnl, Ubi (Banco di Brescia, Popolare Commercio e Industria, Regionale Europea) e una sfilza di “popolari” in ordine discendente (Emilia Romagna, Carispezia, Banco Popolare, Valsabbina, Sondrio, Carige, Etruria, Parma e Piacenza, Credito Cooperativo Cernusco S.N. e Versilia e Lunigiana, Spoleto, Friuladria, Bpm) e perfino Poste Italiane.
Nonostante pochi milioni di euro di operazioni, comunque in aumento rispetto all’anno precedente, merita una menzione particolare Banca Ubae: istituto controllato dalla Libyan Foreign Bank (banca offshore specializzata in esportazioni di petrolio dalla Libia) e nel cui azionariato figurano Unicredit, Intesa Sanpaolo, Montepaschi ed Eni.