Francia: senza legge né lavoro

French riot police stand next to a fire as they take a position after clashes erupted on March 24, 2016 in Nantes, western France, during a demonstration against the French government's proposed labour reforms. Students protesting labour reforms took to the streets across France on March 24, torching cars in Paris and clashing with riot police who responded with tear gas and made about two dozen arrests. Fifteen protesters were arrested in Paris, where two policemen were injured, and another nine students were detained in the western city of Nantes.  / AFP / LOIC VENANCE        (Photo credit should read LOIC VENANCE/AFP/Getty Images)

L’occasione non fa solo l’uomo ladro, lo fa anche rivoltoso. Date all’essere umano una possibilità di uscire dalla quotidiana normalità fatta di sveglie mattutine, attese in fila, compiti da svolgere, chiacchiere da ufficio o da bar, schermi dove sfinire gli occhi, poltrone in cui accasciarsi la sera… dategli un’occasione per trasgredire, per farla finita con una vita insulsa trascinata nell’obbedienza in attesa della pensione e della morte, e siate pur certi che la coglierà. Basta per l’appunto che se ne presenti l’occasione, ovvero il momento propizio, il caso che consenta o favorisca l’accadimento. E l’occasione è fugace, spesso si verifica in modo del tutto banale, in sé può anche essere sciocca, non ha nulla a che vedere con una ponderata ragionevolezza.

Che sia questo il motivo per cui i mass-media in Italia non hanno detto praticamente nulla di quanto da mesi sta accadendo oltralpe? Meglio non parlarne perché il vittimistico Je suis Charlie con cui ci hanno rintronato al fine di spingerci all’unità nazionale, di stringerci attorno ad uno Stato infame solo perché minacciato da suoi concorrenti diversamente infami, non corra il rischio di trasformarsi nell’arrabbiato Je suis sans loi ni travail in grado di eccitare e spingere alla rivolta? Meglio non parlarne perché qui nel Belpaese ogni malefatta istituzionale deve limitarsi a costituire al massimo un’occasione per nuove e ragionevoli rivendicazioni civiche, civili e cittadiniste? Meglio non parlarne affinché la politica non sia mai travolta dalla ribellione, la legittimità non sia mai sbriciolata dal furore, l’assemblea deliberante non venga disertata dall’individuo arbitrario?
Ecco, contro questa accurata ed interessata censura proveniente dall’alto — ma anche contro certe acrobazie che in basso impegnano i vari e multicolori strateghi dell’attivismo militante, secondo cui il solo «eccesso» buono è quello vagliato, calcolato, dosato sul bilancino della convenienza politica del giorno — abbiamo pensato di ripercorrere un po’ quanto sta accadendo in Francia da diverse settimane.
L’occasione, prima di tutto. È stata fornita dal progetto della nuova legge sul lavoro, che in sostanza prevede una liberalizzazione del mercato — con conseguente aumento dell’orario del lavoro, e diminuzione della paga sugli straordinari —  e una maggiore possibilità di licenziamento. A detta della sua artefice, la ministra del Lavoro Myriam El Khomri, si tratta di un «un vero slancio per la democrazia sociale» che propone «al tempo stesso nuove facilitazioni alle imprese per migliorare la competitività della nostra economia, e nuove protezioni, nuovi diritti per i salariati». Fin dal suo annuncio, prima ancora che venisse presentato e discusso al Consiglio dei ministri, il progetto della «loi travail» ha scatenato una forte opposizione in tutto il paese, un paese da tempo attraversato da forti tensioni esacerbate dalle stragi avvenute a Parigi lo scorso novembre e dalla successiva proclamazione dello stato d’emergenza.
Ma se una riforma particolarmente reazionaria del Codice del lavoro ha dato ad innumerevoli persone un motivo per scendere in piazza, non c’è voluto molto prima che la rabbia tracimasse dal contesto originario per estendersi a tutte le condizioni di vita odierne. Ben presto è diventato chiaro che non era più un progetto di legge ad essere contestato da non pochi manifestanti, ma un’intera società, un’intera esistenza priva di significato e di incanto. E questo allargamento della lotta è stato reso palpabile sia nella pratica che nella teoria. È riscontrabile sia negli obiettivi presi di mira con i fatti che nelle parole messe in circolazione, che incitavano fin da subito a passare dalla rivendicazione alla sovversione.
Per fare un riassunto con nessuna pretesa di esaustività, partiamo dal 9 marzo di quest’anno, quando a Parigi si forma un corteo di protesta che riempie di colori un centro di arruolamento dell’esercito, un McDonald, un hotel Ibis, diversi negozi e banche, danneggiando qualche bancomat. A Bordeaux, la facoltà universitaria di sociologia viene devastata e saccheggiata da cima a fondo da una trentina di individui mascherati; ingenti i danni. «Noi che abbiamo delle rivendicazioni, ci dissociamo totalmente da questi teppisti», affermerà un membro dell’unione degli studenti comunisti. Poche ore prima 300 studenti si erano radunati per discutere il blocco delle lezioni. A Rouen e a Dieppe, sono le sedi del Partito Socialista (cioè del partito in cui milita la ministra del Lavoro) a finire sotto il lancio di uova, vernice, estintori. A Lione, allorquando una manifestazione è sul punto di sciogliersi, diversi partecipanti decidono di proseguire verso una sede del Partito Socialista, scontrandosi con la polizia che non lesina l’uso di proiettili e di lacrimogeni. A Niort alcuni manifestanti scavalcano le inferriate della sede locale dell’associazione degli imprenditori e ne forzano il cancello, facendo entrare nel cortile gli altri manifestanti… l’arrivo precipitoso dei soliti sgherri in divisa interromperà la festa. Ma solo per un giorno, dato che la notte seguente, il 10 marzo, la facciata della federazione del Partito Socialista sarà ricoperta di scritte. Mentre a Nantes, nel corso di una grossa manifestazione, scoppiano scontri con le forze dell’ordine davanti alla stazione, nel corso dei quali restano feriti alcuni poliziotti.
L’11 marzo, all’apertura dei locali della ditta “Carbone Savoie”, a La Léchère (Savoia), si scopre che gli uffici del terzo e quarto piano sono stati devastati durante la notte. Si tratta dell’azienda in cui è in corso uno sciopero illimitato dei dipendenti.
Il 15 marzo, a Perpignan, gli ingressi di alcuni licei vengono bloccati con cassonetti della spazzatura nel corso di una manifestazione selvaggia che attraversa la città. La cancellata di un liceo viene sfondata, e un insegnante rimane ferito.
Il 17 marzo, in tutta la Francia vengono bloccati un numero impreciso di licei (fra i 115 e i 200), e si verificano numerosi scontri con le forze dell’ordine. A Parigi, nel corso di una manifestazione studentesca vengono sfondate le vetrine e le porte di agenzie bancarie, assicurative, immobiliari e commerciali. Un supermercato della catena Franprix viene saccheggiato. Jean-Luc Mélenchon, deputato europeo del Fronte di sinistra, è costretto ad abbandonare precipitosamente il corteo a cui sta partecipando, copiosamente insultato e preso a uova in faccia. A Rennes sono migliaia le persone che invadono la stazione, e centinaia quelle che scendono sui binari interrompendo la circolazione dei treni. Altre nel frattempo ristrutturano il municipio, prima “ridipingono” un’ala, poi cercano di forzarne l’entrata scontrandosi con la polizia. Anche un commissariato e molti sportelli bancomat vengono bersagliati con vernice. Stessa sorte alla facciata del municipio di Nantes, città dove si verifica una vera strage di vetrate: quelle del municipio, di alcune banche, di diverse fermate degli autobus, di una stazione tranviaria, e di una volante della polizia. I locali dell’associazione degli imprenditori vengono riempiti di colore. Una manifestazione di protesta si svolge anche a Lione, terminando con scontri con le forze dell’ordine.
Il 21 marzo, a Parigi, una manifestazione selvaggia partita dalla facoltà di Tolbiac attacca ciò che trova lungo il suo percorso: una sede del Partito Socialista, decine di banche, agenzie di viaggio, cartelloni pubblicitari, assicurazioni, negozi. «Non sono sicuro che il motivo del loro comportamento sia l’obiettivo politico — dice il sindaco socialista del XIII distretto — Abbiamo a che fare con dei casseur e non con studenti, con gruppi autonomi radicalizzati».
Il 22 marzo, mentre durante un corteo a Parigi scoppiano tafferugli fra manifestanti e servizio d’ordine sindacale, gli uffici amministrativi dell’università di Tolbiac vengono devastati.
Il 24 marzo a Parigi sfilano diversi cortei. La tensione è alta, anche fra gli stessi manifestanti. Qua e là si registrano lanci di oggetti, cariche, scontri con le forze dell’ordine. Il portone di un liceo viene dato alle fiamme, così come un’auto vicino alla sede dell’associazione degli imprenditori. Dopo il tramonto «alcuni lavoratori della notte (non sindacalizzati)», vogliosi di ringraziare il sindacato per l’operato sbirresco del suo servizio d’ordine, fanno saltare le vetrine di una sede della CGT. A Nantes è la linea tranviaria ad essere interrotta, con cassonetti della spazzatura piazzati sui binari e poi incendiati. Piccoli gruppi di manifestanti si muovono in lungo e in largo, spaccando le vetrine dei negozi. Anche davanti ad alcuni licei si verificano incidenti. A Rouen il traffico stradale viene rallentato con pneumatici lasciati sulla via e dati alle fiamme, e qualche tafferuglio scoppia davanti alla sede del Partito Socialista. A Marsiglia l’autostrada viene occupata dai manifestanti. A Rennes, oltre ai soliti scontri, alcuni negozi sono assaltati e saccheggiati. A Gisors nel corso di un corteo sono presi di mira un supermercato e alcuni negozi e vengono sfondate le vetrate di un centro per l’impiego. Il traffico si paralizza e davanti alla stazione vengono incendiati cassonetti della spazzatura. A Grenoble una manifestazione indetta dalla sinistra viene disturbata dalla presenza di uno spezzone che si scontra con la polizia e bersaglia con pittura la sede del Partito Socialista e quella dei Repubblicani. Un dirigente di questi ultimi dirà: «Avrebbero potuto agire in maniera responsabile e civica chiedendo di essere ricevuti…».
Il 25 marzo, a Parigi, una manifestazione selvaggia composta da qualche centinaio di persone attacca lungo il percorso due commissariati di polizia, lanciando pietre, fumogeni e tentanto di sfondarne i vetri blindati. Sui muri degli edifici viene espressa la grande ambizione: «Mort aux flics». Due supermercati Franprix vengono saccheggiati. A Villeurbanne, l’ingresso della sede del Partito Socialista viene murato.
L’idea piace, tant’è che il 26 marzo anche quella di Douardenez subisce la stessa sorte. Quello stesso giorno, a Valence, alcuni “zadisti” fanno irruzione nella sede del Partito Socialista e versano letame dappertutto.
Il 29 marzo, a Rennes, alcuni manifestanti bloccano la circonvallazione appiccando il fuoco ad una barricata costruita con cassonetti della spazzatura, altri tirano l’allarme della metropolitana e lanciano sedie sui binari per interromperne il funzionamento. A Lione molti studenti restano a piedi: gli autobus delle linee scolastiche sono stati resi inutilizzabili.
Il 31 marzo è una giornata di mobilitazione nazionale. Circa 150 licei vengono bloccati in tutto il Paese. A Parigi (dove scende in strada un milione di persone), Grenoble, Nantes, Lille, Rouen, nel corso delle manifestazioni sono attaccate banche, agenzie immobiliari, seggi elettorali, esercizi commerciali. È un giorno difficile per i giornalisti, i quali vengono aggrediti sia a Parigi che a Nantes. Qui viene attaccato anche il municipio, vengono date alle fiamme le automobili parcheggiate vicino a un albergo di lusso, e presso alcuni incroci vengono erette delle barricate (alcune delle quali poi incendiate). A Rouen la sede del Partito Socialista viene dipinta per l’ennesima volta. A Gennevilliers, durante il blocco di un liceo, due automobili e dei cassonetti della spazzatura vanno in fumo. A Rennes i manifestanti si scontrano per alcune ore con le forze dell’ordine. Incidenti anche a Lione, Marsiglia, Tolosa, dove il giorno prima è stato sgomberato uno squat. Quello stesso giorno anche l’università di Caen viene invasa dai barbari.
È a partire da questo giorno che a Parigi, in place de la République, cominciano a tenersi assemblee quotidiane. È l’inizio del movimento Nuit Debout, tentativo di dare una ragione politica alla rabbia fino a quel momento esplosa ovunque, di dotare di una speranza la sfiducia verso le istituzioni e i partiti. Nuit Debout cerca di creare una sfera embrionale di democrazia diretta, e place de la République passa da simbolo dell’orrore davanti alla guerra santa a simbolo della rinascita della convivenza civile. Diventa l’agorà in cui il logos evocato dalla discussione dovrebbe trovare una via d’uscita dal vicolo cieco in cui si è ficcata la società. L’iniziativa ha talmente successo fra gli orfani della politica che ad oggi quella piazza è infestata da una ottantina di commissioni…
Il 5 aprile è un’altra giornata calda. A Levallois, davanti ad un liceo viene ammassato vario materiale poi dato alle fiamme, causando gravi danni alla facciata dell’edificio. Vanno in frantumi anche i vetri dello stabile. A Nantes l’ingresso della sede del Partito Socialista (saracinesca e vetrate) subisce la critica tagliente di un flessibile. Lungo il percorso della manifestazione, tutte le banche, le assicurazioni e le agenzie immobiliari vengono attaccate, e alcuni negozi saccheggiati. Sempre in questa città, oltre che a Rennes, Tolosa e a Rouen, viene interrotto il traffico ferroviario e stradale. A Marsiglia viene bloccata l’autostrada in entrambi i sensi. A Parigi le manifestazioni diurne si svolgono sotto stretto controllo sia della polizia, che effettua numerosi fermi, sia dei vari cittadinisti galvanizzati dall’assemblea di place de la République. Al calar della sera viene bloccato il boulevard Saint-Germain da manifestanti che erigono barricate ed esigono la liberazione degli arrestati.
Il 7 aprile, ancora licei bloccati in molte province francesi. Si registrano blocchi della circolazione e scontri fra manifestanti e forze dell’ordine un po’ dovunque. A Vaulx-en-Velin vengono fermati sei minorenni, accusati di aver lanciato sassi contro i poliziotti. Nella notte, a Parigi, un’altra sede del sindacato CGT perde le sue vetrate per mano di alcuni «lavoratori demolitori» che ci tengono a precisare: «noi non ci opponiamo alla Legge sul lavoro, ma alla Legge e al Lavoro».
Il 9 aprile si svolgono più di 200 manifestazioni in tutta la Francia. In alcune città, come Parigi e Rennes, scoppiano scontri fra manifestanti e forze dell’ordine. A Nantes viene anche bloccato il traffico, vengono erette barricate, attaccate banche e immobiliari, e aggrediti alcuni giornalisti. Nella notte, a Parigi, alcune manifestazioni selvagge percorrono la città. C’è chi tenta di raggiungere l’abitazione privata del primo ministro Valls, chi smonta le cancellate che impediscono ai rifugiati di accamparsi, chi sfonda le vetrine di qualche banca, chi erige barricate, chi incendia automobili… e chi, come un responsabile di Nuit Debout, invoca la polizia per fermare gli eccessi.
La notte dell’11 aprile, a Tolosa, la facciata della Borsa viene ridipinta e un cassonetto della spazzatura piazzato contro l’ingresso è dato alle fiamme.
Il 14 aprile ancora manifestazioni, ancora scontri fra manifestanti e forze dell’ordine. A Parigi, a Nantes, a Montpellier… non si finisce più di ribadire l’ovvia verità: «tout le monde deteste la police» (tutti odiano la polizia). A Caen una piccola ma bellicosa manifestazione ricorderà che anche i giornalisti sono detestati. A Parigi, dove un paio di funzionari scolastici sono presi di mira dagli studenti e la polizia accerchia e controlla da vicino le manifestazioni diurne, si dovrà attendere il calar delle tenebre per dare il via ai divertimenti. Una manifestazione selvaggia attacca tutti gli obiettivi che destano un certo interesse: hotel Ibis, gallerie d’arte, assicurazioni, automobili in car sharing, centri dell’impiego, una concessionaria Jaguar… Viene saccheggiato un supermercato Franprix. A Rouen, oltre ad una banca, viene attaccata e devastata anche la sede del Fronte Nazionale. Nella notte, due sedi del Partito Socialista a Lille vengono ricolorate con fantasia. A Rennes è la sede dell’associazione degli imprenditori a ricevere la visita di una sessantina di manifestanti, incappucciati e armati di mazze da baseball. Ingenti i danni. Il delegato generale dell’Unione delle imprese dirà: «Molti colleghi sono rimasti traumatizzati da questo scatenamento di violenza che non ha più nulla a che vedere con il ritiro della legge sul lavoro. È inammissibile».
Il 15 aprile sale alla ribalta la CFDT (Confederazione francese democratica del lavoro). In mattinata la facciata e le finestre della sua sede di Marsiglia vengono abbellite dal lancio di pittura e «scritte diffamatorie». In serata invece è una sua sede parigina a finire sotto il lancio di vernice e sassi. Come al solito, il calar della notte favorisce lo svolgimento di manifestazioni selvagge nella capitale, nel corso delle quali si verificano danneggiamenti e tafferugli con le forze dell’ordine. Secondo il ministro dell’Interno, dai primi di marzo sono 151 i poliziotti feriti durante le proteste.
Il 16 aprile, a Marsiglia, un corteo selvaggio serale fa visita alla sede del Partito Socialista. Le spesse vetrate rimangono intonse, i muri no. Poi si dirige verso una sede del Fronte Nazionale, un po’ troppo blindata. Infine i manifestanti trovano una più accogliente sede dell’Azione Francese, dove possono applicarsi con più profitto. A Brest, una cinquantina di individui, vestiti di nero, mascherati e con striscioni anti-capitalisti, lungo una passeggiata notturna rendono omaggio ad alcune banche e relativi bancomat.
Il 20 aprile, a Nantes, l’ennesima manifestazione di protesta contro la legge sul lavoro finisce con scontri con le forze dell’ordine. Molte vetrine ne fanno le spese. Mentre a Rennes la polizia impedisce ai manifestanti l’accesso al centro cittadino, a Tours gli studenti bloccano la facoltà di lettere. A Lione, in serata, durante una manifestazione selvaggia vengono imbrattati alcuni locali della polizia e una volante, mentre le vetrate dell’edificio vanno in frantumi. Stessa sorte a un tribunale. A Lille, sebbene il corteo sia circondato dalla polizia, alcuni negozi e banche vengono colorati a nuovo, mentre la porta a vetri di un grande magazzino va a pezzi.
Il giorno dopo, il 21 aprile, sempre a Lille, la polizia fa irruzione nei locali della CNT dove si sono rifugiati alcuni manifestanti in fuga da una carica. Porta sfondata, locali devastati, alcuni presenti arrestati. Come abbozzo di risposta, la facciata di un commissariato viene condita con olio esausto. A Besançon, i muri e le vetrate della Camera di Commercio e dell’Industria vengono sottoposti a dura critica.
Durante la notte del 22 aprile, a Parigi, un centinaio di persone, forse insoddisfatte dell’assemblea di Nuit Debout, attaccano la polizia, incendiando e distruggendo completamente una auto civetta. Anche due veicoli della RATP, l’ente dei trasporti parigini, vengono danneggiati.
La notte del 26 aprile alcuni impazienti, stanchi di partecipare allo spettacolo della contestazione, stufi di fingere di essere interessati alla legge sul lavoro, desiderosi di essere là dove non sono attesi, attaccano a colpi di molotov un commissariato di polizia a Tolosa.
Per il 28 aprile è prevista un’altra giornata di mobilitazione nazionale. Manifestazioni a Parigi, Nantes, Le Havre, Lione, Marsiglia, Bordeaux, Rennes, Rouen, Tolosa, Grenoble, Tours, Bayonne, Dijon, Strasburgo, Caen, Mans, Orléans… Il bilancio, a detta del ministro dell’Interno, è di 78 poliziotti feriti e 214 manifestanti fermati in seguito agli scontri scoppiati in tutto il Paese. Scontri causati da «casseur estremisti che hanno come unica motivazione l’odio per lo Stato e, quindi, per i valori della Repubblica». A Parigi, la mattina presto, un centinaio di manifestanti cerca di bloccare prima il più importante porto fluviale della regione, incendiando anche degli pneumatici, poi un deposito di autobus. Qui si verificano scontri con la polizia. Durante il grande corteo pomeridiano qualche centinaio di manifestanti attacca le forze dell’ordine, ferendo alcuni poliziotti. La manifestazione prosegue sotto una pioggia di lacrimogeni e sotto l’occhio di droni ed elicotteri, i quali non impediranno né la neutralizzazione della videosorveglianza né l’attacco a banche, immobiliari, agenzie del lavoro. A Lione si verificano violenti scontri con le forze dell’ordine, a dispetto del servizio d’ordine del sindacato. Gli studenti avvisano i giovani di non lasciarsi fotografare dai giornalisti. Una banca viene bersagliata con un po’ di tutto. A Tolosa viene bloccato all’alba l’accesso alla zona dell’Eurocentro, causando pesanti disagi al traffico. Nel corso della manifestazione, sciolta dal sindacato, due poliziotti sono feriti dal lancio di oggetti. A Marsiglia il blocco della stazione darà vita a scontri fra manifestanti e forze dell’ordine. Violenti scontri anche a Rennes, dove il prefetto indignato dichiarerà: «Non era una manifestazione, ma una folla armata». A Nantes la giornata comincia all’alba, con il blocco del deposito dei trasporti pubblici. La manifestazione è costellata da tafferugli fra gruppi di manifestanti e forze dell’ordine. Una Porsche viene incendiata davanti alla prefettura. A Dijon, i manifestanti precisano con scritte il proprio passaggio, finendo col cercare di forzare l’ingresso in una banca.
Il 3 maggio si svolge a Nantes una manifestazione «a rischio», non indetta dai sindacati. Diverse centinaia di persone sfilano per la città. Le vetrine iniziano a perdere i sensi, mentre gruppi di manifestanti si battono contro le forze dell’ordine. Un comandante della Brigata anti-criminalità, trovatosi isolato e circondato da manifestanti furiosi, finisce in ospedale. Feriti leggermente altri sei gendarmi. Durante la notte, a Tolosa, un ufficio di collocamento viene ridipinto con l’aiuto di un estintore caricato con vernice.
La notte del 5 maggio le vetrate di un altro ufficio di collocamento, quello di Mentreuil a Parigi, vengono sfondate a sassate. Sui muri laterali viene lasciata una scritta: «Schiavisti moderni — Né legge né lavoro».
La mattina del 9 maggio, sempre a Parigi, un piccolo gruppo di manifestanti si raduna davanti a un deposito dei tram, costruisce sui binari una barricata con pneumatici e materiale da cantiere e vi appicca il fuoco. Poi, per senso di equità, costruisce una seconda barricata e la infiamma anche all’imbocco della circonvallazione.
Il 10 maggio, la notizia che il governo per far passare la riforma del lavoro ricorrerà all’articolo 49-3 della Costituzione, quello che permette l’approvazione di una legge senza attendere il voto del Parlamento, riscalda ulteriormente gli animi. A Parigi i pompieri di Nuit Debout indicono un presidio «spontaneo» (meglio evitare di usare la parola selvaggio), pacifico e «a volto scoperto» davanti all’Assemblea Nazionale. Lo scopo fin troppo palese è quello di esprimere il proprio sdegno a una classe politica che, pur di raggiungere i propri obiettivi, ricorre ad un mezzo che offende la vera democrazia. Ma, se nella capitale c’è chi si perde in cauti rimproveri, in provincia c’è chi persiste nella critica più ardente. La sera a Grenoble, all’urlo di «Tutti odiano i socialisti», i manifestanti bloccano i tram, rendono un omaggio virulento alla sede del Partito Socialista, fanno saltare i vetri della scuola di commercio, devastano i negozi di una intera via, se la prendono con un annesso di un locale municipale e con la redazione di un giornale, si scontrano con le forze dell’ordine, ferendo sei agenti. A Dijon i locali del Partito Socialista vengono danneggiati dai manifestanti, così come alcuni negozi. A Lille un centinaio di manifestanti invadono il supermercato Match, riempiono i carrelli e pretendono di passare dalle casse senza pagare. L’arrivo della polizia, chiamata dai proprietari, li costringe a lasciar perdere la spesa proletaria e ad allontanarsi in tutta calma. A Caen, i manifestanti fanno irruzione nella sede del Partito Socialista e la devastano. A Nantes, dopo aver attaccato il municipio e le forze dell’ordine, costruiscono una barricata e cercano di forzare l’ingresso di un supermercato prima di scontrarsi violentemente con la polizia. A Lione i manifestanti devastano una sede del Partito Socialista e danneggiano un commissariato. A Montpellier, dopo aver dato fuoco a cassonetti della spazzatura accanto alla stazione, partono in corteo pur circondati dalla polizia. Una volante viene danneggiata e, quando gli agenti fermano un manifestante, partirà contro di loro un fitto lancio di oggetti a cui le forze dell’ordine risponderanno con lacrimogeni e granate assordanti. In seguito viene bloccata anche una linea del tram.
Il 12 maggio, nuova giornata di mobilitazione generale, meno partecipata delle precedenti. A Parigi, per evitare incidenti, la testa della manifestazione viene presa dal servizio d’ordine sindacale. Ciò fa sì che i manifestanti più irruenti, oltre a prendersela con gli sbirri sindacali, sfilino ai lati del corteo, saltando fuori ad ogni occasione propizia. Negozi danneggiati, macchine in fiamme. Attacchi sporadici che a un certo punto fanno posto a scontri più violenti e consistenti. Si registrano numerosi feriti, fra cui qualche giornalista. Mentre gli organizzatori annunciano la fine della manifestazione, un gruppo di instancabili cerca di forzare le porte del retro della Scuola militare. Alcuni di loro, penetrati nel cortile del Museo des Invalides, sono intercettati dai soldati di pattuglia. A Nantes, la giornata inizia con una barricata data alle fiamme nei pressi di un liceo, come buon auspicio per l’imminente manifestazione. Il pomeriggio, il centro cittadino diventa teatro di violenti scontri fra manifestanti e forze dell’ordine. La stazione ferroviaria viene invasa dai manifestanti, i quali bloccano la circolazione dei treni e mandano in frantumi molte vetrine. In piazza, nei pressi della cattedrale, una banca viene devastata. Tre mezzi della celere, bloccati nel traffico, vengono raggiunti da manifestanti inferociti. A Caen, a margine della manifestazione sindacale, vengono occupati i locali della CAF [Cassa Assegni Familiari]. Pronta e muscolosa la reazione della polizia. Nel pomeriggio, nuova occupazione, questa volta della direzione dipartimentale del lavoro. Il mobilio viene messo all’aperto a prendere aria. Nuovo intervento muscoloso delle forze dell’ordine, che gasano, caricano e fermano un po’ chiunque. A Lille i manifestanti attaccano alcune banche, un Apple Store, un McDonald, un’agenzia della Air France. La polizia interviene caricando e sparando lacrimogeni. Alcuni fermati fra i manifestanti, qualche ferito fra i poliziotti. In serata 300 manifestanti si recano davanti alla questura per esigere il rilascio dei fermati. Non riuscendo a resistere alla tentazione, parte un lancio di oggetti contro l’edificio. A Marsiglia è il servizio d’ordine del sindacato a finire nel mirino di alcuni manifestanti. Ad Havre i manifestanti sfondano l’ingresso della sede del Partito Socialista e ne devastano l’interno.
Come abbiamo già premesso, questa non può certo essere una cronologia precisa e completa di quanto accaduto, ma è sufficiente per dare un’idea a grandi linee del clima che si respira in questi giorni in tutta la Francia. A spiccare di primo acchito sono le differenze di combattività fra il contesto francese e quello italiano. Qui il «Jobs Act» è passato senza colpo ferire; qui gli operai licenziati non sequestrano manager né dinamitano fabbriche, al massimo mettono in pericolo loro stessi salendo su qualche gru; qui due ore di scontri in qualche via di una sola città bastano e avanzano per mobilitare l’esercito delle spugnette legalitarie; qui ogni ardire collettivo deve fare i conti prima con due stronze, la casalinga di Voghera e la mamma con il passeggino, e poi con le «cascate» strategiche tirate dagli sbirri di movimento…
Ad ogni modo, è facile percepire quale sia la principale caratteristica qualitativa di questa ondata di protesta che non accenna a placarsi. Non si tratta di un movimento sociale, unito da una medesima ragione e guidato da un ceto politico più o meno affiatato o in competizione, ma del contemporaneo scatenamento di forze autonome e talvolta contrapposte: cittadini delusi, lavoratori indignati, sindacalisti scavalcati, studenti annoiati, perditempo facinorosi, bande di quartiere, sovversivi di ogni sfumatura… tutti scesi in strada, a manifestare a proprio modo, unendosi o separandosi o ignorandosi, ma a scontrarsi comunque e dovunque con l’ordine istituzionale. Nessuno ha atteso che l’assemblea sovrana di un movimento — sociale, politico o popolare — dotato di legittima ragione decretasse che era giunta l’ora dell’azione diretta. Chi aveva a cuore la liquidazione del vecchio mondo si è messo immediatamente all’opera, senza passare per la fase di transizione del gioco di sponda con gli amichetti politici. E chi ha sempre coltivato aspirazioni riformiste è rimasto d’un tratto senza parole, ammutolito dall’imbarazzo davanti alla vergogna del potere.
Questo aspetto è stato talmente evidente da costringere gli aspiranti rappresentanti di movimento a fare buon viso a cattivo gioco. Come recuperare quegli assalti incontrollabili, come addolcire quegli slogan irragionevoli («sciopero fino alla pensione», «la notte è fatta per scopare, non per lavorare», «pensione a 13 anni», «sotto il pavé, gli sbirri»…), come trasformare quella tensione utopica da vivere in programma politico da vendere? C’è voluto tempo, pazienza e una buona dose di equilibrismo e sfacciataggine.
Frederic Lordon, ad esempio — sociologo, collaboratore di Le Monde Diplomatique, nonché esponente di Nuit Debout — a fine marzo pareva aver smarrito i luoghi comuni di sinistra. «Non rivendichiamo nulla», tuonava dalle pagine del settimanale della intellighenzia transalpina. Decenni di batoste e tradimenti lo avevano persuaso ad abbandonare ogni illusione sulla partecipazione elettorale. Ma può un cattedratico, qualcuno nato e cresciuto all’ombra dello Stato, abbandonare il proprio orizzonte istituzionale? Intervistato una settimana dopo, Lordon precisava la sua strategia di prim’ordine: «Tornare al gioco istituzionale è la morte assicurata di tutti i movimenti. Adesso, chiederai, come trasformare queste riunioni in risultati politici affinché non siano successe invano? È una domanda strategica di primo ordine. La mia risposta per uscire da questa terribile tenaglia è che, se tornare al gioco elettorale istituzionale significa la morte, allora non ci rimane altra soluzione che rifare le istituzioni. È per questo che credo che l’obiettivo politico che dobbiamo fissarci… consiste nel riscrivere la Costituzione… Dobbiamo scrivere la Costituzione di una “repubblica sociale”».
Dopo le amenità costituenti degli scroto-negriani appassionati di Spinoza e Foucault, arrivano le cialtronerie destituenti degli scroto-agambeniani appassionati di Foucault e Spinoza. Scoppiato il furore della rivolta mentre erano impegnati chi ad intervenire in consiglio comunale e chi sui mass-media, i neoblanquisti  francesi si sono precipitati a ri-ri-riconvertirsi in focosi barricaderi. A metà marzo hanno preso la parola… anzi, no… conoscendo bene i trucchetti autopromozionali delle avanguardie, hanno parassitato quella che era già nella testa di tutti e nel cuore della «racaille» delle periferie, impazzita un anno fa per il pezzo «Le monde ou rien» (il mondo o niente) di un gruppo rap franco-maghrebino. E, dopo aver cercato di cavalcare la protesta e disseminato i loro spot commerciali, si sono fatti prendere dalla smania di mettere un po’ di sale politico nella zucca vuota di proposte degli insorti. Così, a metà aprile, hanno dispensato un saggio e strategico consiglio diffondendo «l’opinione minoritaria» di Eric Hazan, editore del Comitato Invisibile: è un errore detestare la polizia, bisogna operare una accorta distinzione fra sbirri cattivi da odiare e poliziotti buoni con cui fraternizzare. La sbalorditiva aberrazione è rimasta talmente minoritaria da spingere i neo-blanquisti a fare una rapida marcia indietro e a ripudiare ciò che loro stessi si erano premurati di rendere pubblico, ovvero che non proprio tutti odiano la polizia.
Ora, questi semplici esempi mostrano bene quale sia al tempo stesso il limite e la barriera contro cui si infrange ogni ondata di rivolta, dovunque essa si manifesti. Mettendo da parte la repressione, che in Francia si sta caratterizzando col fermo preventivo dei facinorosi già noti o durante le proteste con la tattica chiamata kettling — circondare, contenere e pressare da vicino i vari spezzoni delle manifestazioni, delimitandone lo spazio e l’agibilità al fine di sedarli —, ciò che ne spezza lo slancio è l’assenza di una prospettiva, di un orizzonte che sappia non solo ignorare, non solo disertare, ma anche contrapporsi risolutamente a una triste orbita istituzionale. Tra lotte costituenti e lotte destituenti cambia il vezzo formale, ma non la sostanza, giacché condividono tutte la stessa ossessione: sollevano la questione del rapporto fra autonomia e istituzioni al fine di conciliarle insieme. È anche per questo motivo che l’idiozia della «convergenza delle lotte» abbonda sulle labbra dei militanti. Chi ha interesse a reclamare questa convergenza è solo chi intende rappresentarne e gestirne il punto di incontro. Ma una simile pretesa, oltre a denotare i pruriti autoritari di chi l’avanza, è ridicola per ciò che sottende. Per qualcuno i vari conflitti oggi in corso sono deboli perché isolati, e quindi bisognerebbe affidare al sarto più abile il compito di ricucire assieme tutti quei fili separati. Ma è il tessuto dei fili ad essere scadente, mediocre, miserabile, e ciò è diventato talmente palese che l’idea di indossare quella stoffa non appassiona più nessuno. Al di là dei richiami di chi ne fa bottega, la si continua ad usare solo per assuefazione, per disperazione, per mancanza d’altro. Chi è rimasto a volerla davvero, questa vita di merda, a traboccare di desiderio per una carriera ed una pensione? Che la democrazia sia una buona ragione per cui vivere o morire lo possono forse pensare nei paesi che vivono da secoli sotto la tirannia, forse. Ma qui da noi… Qualcuno pensa di poter evitare la decomposizione di un cadavere imbalsamandolo con la formaldeide costituente, con la magia destituente, con l’applicazione di una cera «diretta»?
Quando si smette di battersi per la sopravvivenza della società che ci sta annientando, rimane solo la pura negatività ad alimentare la rivolta. Fine delle rivendicazioni, appunto. Fine del dialogo. Fine del consenso. Fine della politica. Ma che questa negatività sia condannata per forza di cose ad essere effimera, a bruciarsi nel giro di poche ore, di pochi giorni, o di poche settimane, che questa negatività non possa essere altro che un combustibile temporaneo, da maneggiare con cautela e solo quando non se ne può fare a meno, prima di fare ritorno a quello ufficiale: ecco quale sarebbe la peggiore rassegnazione. La ricreazione può non finire mai solo se la campanella viene messa fuori uso e, al tempo stesso, se il cosiddetto immaginario viene bonificato dalla menzogna societaria…
[16/5/16]
http://finimondo.org/node/1873