Abolizione ed estinzione dello stato

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Camillo Berneri 1936

Mentre noi anarchici vogliamo l’abolizione dello Stato, mediante la rivoluzione sociale ed il costituirsi di un ordine novo autonomista-federale, i leninisti vogliono la distruzione dello Stato borghese, ma vogliono altresì la conquista dello Stato da parte del «proletariato». Lo «Stato proletario» – ci dicono – è un semi-stato poiché lo Stato integrale è quello borghese, distrutto dalla rivoluzione sociale. Anche questo semi-stato morirebbe, secondo i marxisti, di morte naturale.

Questa teoria dell’estinzione dello Stato, che è alla base del libro di Lenin “Stato e Rivoluzione”, è stata da lui attinta da Engels, che, ne “La scienza sovvertita dal signor Eugenio Duhring”, dice:

«Il proletariato s’impadronisce della potenza dello Stato e trasforma anzitutto i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. In tal modo esso distrugge se stesso come proletariato, abolisce tutte le differenze e tutti gli antagonismi di classe, e in pari tempo, anche lo Stato in quanto Stato.

La società che esisteva e che esiste e che si muoveva attraverso gli antagonismi di classe, aveva bisogno dello Stato, cioè di una organizzazione della classe sfruttatrice allo scopo di mantenere le sue condizioni esterne di produzione, allo scopo, in particolare, di mantenere con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione volute dal modo di produzione esistente (schiavitù, servaggio, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sintesi di essa in un corpo visibile, ma tale era solo nella misura in cui era lo Stato della classe che, anch’essa, rappresentava a suo tempo tutta la società: Stato dei cittadini proprietari di schiavi dell’antichità, Stato della nobiltà feudale nel medioevo, Stato della borghesia ai nostri giorni. Ma una volta divenuto il rappresentante effettivo di tutta la società esso diventa da sé stesso superfluo. Dal momento che non c’è più alcuna classe sociale da mantenere oppressa; dal momento che sono eliminate, insieme con la sovranità di classe e la lotta per l’esistenza individuale determinata dall’antica anarchia della produzione, le collisioni e gli eccessi che risultavano; da tal momento non c’è più niente da reprimere, e uno speciale potere di repressione, uno Stato, cessa di essere necessario.

Il primo atto con il quale lo Stato si manifesta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società, è in pari tempo l’ultimo atto proprio dello Stato. L’intervento dello Stato negli affari della società diventa superfluo in tutti i campi uno dopo l’altro e poi cessa da sé stesso. Al governo delle persone si sostituiscono l’amministrazione delle cose e la direzione del processo di produzione. Lo stato non è «abolito»; esso muore. Sotto questo aspetto conviene giudicare la parola d’ordine di «Stato libero del popolo», la frase di agitazione che un tempo ha avuto diritto all’esistenza ma che è, in ultima analisi, scientificamente insufficiente; ugualmente sotto questo aspetto la rivendicazione dei cosiddetti anarchici che vogliono che lo stato sia abolito dall’oggi al domani».

Tra l’oggi-Stato e il domani-Anarchia vi sarebbe il semi-Stato. Lo Stato che muore è «lo Stato in quanto Stato» ossia lo Stato borghese. È in questo senso che va presa la frase, che a prima vista pare contraddire la tesi dello Stato socialista. «Il primo atto con il quale lo Stato si manifesta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società, è in pari tempo l’ultimo dello stato». Presa alla lettera ed avulsa dal proprio contesto, questa frase verrebbe a significare la simultaneità temporale della socializzazione economica e dell’estinzione dello stato. Così pure, prese alla lettera ed avulse dal contesto, le frasi relative al proletariato distruggente se stesso come proletariato nell’atto di impadronirsi della potenza dello Stato verrebbero a significare la non necessità dello «Stato proletario». In realtà, Engels, sotto l’influenza dello «stile dialettico», si esprime infelicemente. Tra l’oggi borghese-statale e il domani socialista-anarchico Engels riconosce una catena di tempi successivi, nei quali stato e proletariato permangono. A gettare della luce nell’oscurità… dialettica è l’accenno finale agli anarchici «che vogliono che lo Stato sia abolito dall’oggi al domani», ossia che non ammettono il periodo di transizione nei riguardi dello stato, il cui intervento, secondo Engels, diviene superfluo «in tutti i campi l’uno dopo l’altro», ossia gradatamente.

Mi pare che la posizione leninista di fronte allo Stato coincida esattamente con quella assunta da Marx e da Engels, quando si interpreti lo spirito degli scritti di questi ultimi senza lasciarsi ingannare dall’equivocità di certe formule.

Lo Stato è, nel pensiero politico marxista-leninista, lo strumento politico transitorio della socializzazione, transitorio per l’essenza stessa dello Stato, che è quella di un organismo di dominio di una classe sull’altra. Lo stato socialista, abolendo le classi, si suicida. Marx ed Engels erano dei metafisici ai quali accadeva di frequente di schematizzare i processi storici per amore di sistema.

«Il proletariato» che si impadronisce dello Stato, deferendo ad esso tutta la proprietà dei mezzi di produzione e distruggendo se stesso come proletariato e lo Stato «in quanto Stato», è una fantasia metafisica, un’ipostasi politica di astrazioni sociali.

Non è il proletariato russo che si è impadronito della potenza dello Stato bensì il partito bolscevico, che non ha affatto distrutto il proletariato e che ha invece creato un capitalismo di stato, una nuova classe borghese, un insieme di interessi collegati allo Stato bolscevico che tendono a conservarsi conservando quello Stato.

L’estinzione dello stato è più che mai lontana nell’URSS, dove l’intervenzionismo statale è sempre più vasto ed oppressivo e dove le classi non sono in disparizione.

Il programma leninista del 1917 comprendeva questi punti: soppressione della polizia, dell’armata permanente, abolizione della burocrazia professionale, elezioni a tutte le funzioni e cariche pubbliche, revocabilità di tutti i funzionari, eguaglianza degli stipendi burocratici con i salari operai, massimo della democrazia, concorrenza pacifica dei partiti all’interno dei Sovieti, abrogazione della pena di morte. Non uno solo di questi punti programmatici è stato realizzato.

Abbiamo nell’URSS un governo, un’oligarchia dittatoriale. L’Ufficio Politico del Comitato Centrale (19 membri) domina il Partito Comunista russo, che a sua volta domina l’URSS. Tutti coloro che non sono dei «sudditi» sono tacciati di controrivoluzionari. La rivoluzione bolscevica ha generato un governo saturnico, che deporta Rjazanov, fondatore dell’istituto Marx-Engels, mentre sta curando l’edizione integrale e originale del «Capitale», che condanna a morte Zinoviev, presidente dell’Internazionale Comunista, Kamenev e molti altri tra i maggiori esponenti del leninismo, che esclude dal partito, poi esilia, poi espelle dall’URSS un «duce» come il Trotski che, insomma, inveisce contro l’ottanta per cento dei principali fautori del leninismo.

Nel 1920, Lenin scriveva l’elogio dell’autocritica in seno al Partito Comunista, ma parlava degli «errori» riconosciuti dal «partito» e non del diritto del cittadino di denunciare gli errori, o quelli che a lui sembrano tali, del partito al governo. Essendo dittatore Lenin, chiunque denunciasse tempestivamente quegli stessi errori che lo stesso Lenin retrospettivamente riconosceva, rischiava, o subiva, l’ostracismo, la prigione o la morte. Il sovietismo bolscevico era un’atroce burla anche per Lenin, che vantava la potenza demiurgica del Comitato Centrale del Partito Comunista russo su tutta l’URSS dicendo: «Nessuna questione importante, sia d’ordine politico sia relativa all’organizzazione, è decisa da una istituzione statale della nostra Repubblica, senza un’istruzione direttrice emanante dal Comitato Centrale del Partito».

Chi dice «Stato proletario» dice «capitalismo di Stato»; chi dice «dittatura del proletariato» dice «dittatura del Partito Comunista»; che dice «governo forte» dice «oligarchia zarista» di politicanti.

Leninisti, trotskisti, bordighisti, centristi non sono divisi che da diverse concezioni tattiche. Tutti i bolscevichi, a qualunque corrente o frazione essi appartengano, sono dei fautori della dittatura politica e del socialismo di Stato. Tutti sono uniti dalla formula: «dittatura del proletariato», equivoca formula corrispondente al «popolo sovrano» del giacobinismo. Qualunque sia il giacobinismo, esso è destinato a deviare la rivoluzione sociale. E quando questa devia, si profila l’ombra di un Bonaparte.

Bisogna essere ciechi per non vedere che il bonapartismo stalinista non è che l’ombra fattasi vivente del dittatorialismo leninista.

Nota

Questo scritto apparve in Guerra di Classe, Barcellona, 24.10.1936.

È una analisi lucida e penetrante dei concetti di Stato proletario e Dittatura del Proletariato. Di queste formule assurde si abbeveravano a quel tempo i socialisti statalisti che ancora esistono nella versione meno assurda e criminale ma pur sempre idiota e fraudolenta di socialdemocratici e keynesiani.

Berneri pagherà con la vita questa sua franchezza nei confronti dei comunisti stalinisti. Sarà infatti ucciso dalle squadracce comuniste che, su ordine di Stalin, diedero la caccia agli anarchici a Barcellona durante le giornate di Maggio del 1937.