Lettera del compagno anarchico Giannis Mihailidis (it/es)

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Atene:

Con questa lettera cerco di spiegare le mie posizioni e le mie scelte come parte dell’azione anarchica insurrezionale e spero che essa funzioni come incentivo per la sua diffusione. Non è stata scritta da una prospettiva ideologica precisa o una tendenza ben consolidata. Si tratta del risultato di furti al “supermercato delle ideologie” e mie riflessioni.

Senza dubbio, contiene i giudizi e i valori di uno che, spinto dal folgorante ideale dell’anarchia, partecipa alla guerra contro il Potere. Spinto da un ideale che sta tanto nelle comunità tradizionali del passato quanto in quelle insorte del passato e odierne. Un ideale al quale ci stiamo avvicinando fino ad ora e che forse mai potrà prevalere universalmente. Perché, come ha scritto il compagno Giannis Naxakis, “il Potere non è metafisico, è dentro di noi”. Cosi come lo è la passione per le relazioni libere e senza dominio.

La comprensione del fatto che la realtà capitalista è una guerra di tutti contro tutti e una lotta per la sopravvivenza, questo mi spinge a prender parte alla guerra contro questa realtà e a scegliere la mia posizione. E cosi, considerando i membri del partito dell’Ordine come assassini senza scrupoli, ho scelto l’insurrezione. L’anarchia è il modo in cui mi ribello, cercando allo stesso tempo di non riprodurre ciò che sto combattendo, vale a dire le relazioni autoritarie, e organizzare le comunità di lotta in modo antigerarchico.

PRIMA PARTE
CONSIDERAZIONI SUL NEMICO

Lo sviluppo della civilizzazione comprende il continuo perfezionamento di tutto il complesso delle convenzioni sociali. Questo complesso è universale, comprende il denaro, le leggi, la morale. Ogni conflitto e lotta di interesse è intermediato e gestito da questo sistema di convenzioni.

L’attuale struttura sociale è configurata per equilibrare i contrappesi di forza, il principio della sua riproduzione e rafforzamento. In continua evoluzione e riaggiustata nei molteplici centri del Potere, da potenti capitalisti, dignitari di Stato e scienziati, la prosperità di tutti questi dipende dalla capacità di sopravvivenza e di riproduzione della macchina sociale.

Inclusa la distruzione di un frammento di questa gigantesca macchina le torna utile come opportunità per perfezionarsi. Ogni guerra, catastrofe naturale, insurrezione o rivoluzione danno al capitalismo nuove aree di investimento e anche un nuovo e più stabile regime nasce dalle ceneri del precedente. Ogni impero del passato è stato minacciato da altri poteri. Il capitalismo offre tanta flessibilità sociale in modo che ogni fattore del potere forte venga assimilato.

La forza della moderna macchina sociale sta nell’assimilare tutto. Ogni cittadino e impiegato costituisce un ingranaggio che va collocato nel modo giusto. E tutti sentono di essere dipendenti da questo ingegnoso “sistema di ammortizzazione degli urti sociali” che si chiama capitalismo e domina tutto.

Il denaro è un linguaggio globale, è la misura della capacità che ogni individuo ha per sfruttare gli altri. E tutto il mondo quando inizia a capire come maneggiare il denaro entra come parte integrante del sistema autoritario.

“Queste persone sono il sistema. E questo sistema è il nemico.”

Questo è il mondo potente del capitale. Tuttavia, la religione universale del denaro ha bisogno dei miracoli oltre ai suoi chierici: il complesso scientifico-tecnologico che ha messo l’ingegno umano al servizio dei soggetti più infidi. Macchine potenti che uccidono moltitudini, torturano, sterminano e, cosa peggiore, scompongono l’intelletto umano. Dalle bombe atomiche, le cavie da laboratorio, i macelli e gli allevamenti fino alla contaminazione e distruzione del pianeta. Dalle telecamere alle televisioni che diffondono il modello dello schiavo moderno fino alle “armi intelligenti” della polizia.

No, la tecnologia non è per niente neutrale. Si tratta di una prostituta che ti si può avvicinare ma che non dimentica i propri protettori. Una forza enorme che si sviluppa velocemente impugnando questo mondo sempre di più alla ricerca del controllo totale, sempre di più in cerca della definitiva sconfitta della libertà.

Pertanto un mondo felice è qui ed è fatto in modo tale che non da a nessuno il diritto di andare dicendo: “sono innocente”.

Non importa quanto la società ha messo le radici nell’ipocrisia morale della cultura borghese, la realtà dura e pura è presente e non può nascondersi dietro la montagna delle cosiddette “norme morali altruiste”. La presenza di sensibilità non si annulla per l’unione di condotte proibite, con la molto diffusa imprescindibile auto-oppressione la cui unica funziona è la prosperità e la riproduzione di una società di individui castrati.

Il furto è amorale perché mette in discussione il sacro calice della proprietà legale, mentre lo sfruttamento realizzato grazie alla proprietà va rispettato. Gli omicidi sono amorali tranne quelli fatti da un poliziotto o mercenario: si tratta allora di “atto eroico”. Non vale la pena citare le innumerevoli regole insipide e insignificanti, che vengono semplicemente replicate da antropoidi complessati, che aiutano a determinare delle linee guida per le relazioni amorose e, in generale, sociali.

Senza dubbio la morale è per le vittime, per la base della piramide sociale. Chi sta in cima, per stare li sputa su di essa, mentre finge di rispettarla e riconoscerla. Ma sputano anche ai liberi e consapevoli rivoluzionari che agiscono in base al proprio giudizio e ai propri sentimenti, mentre la morale si traduce in una sensazione spontanea, disprezzando le regole dei divieti. La differenza è che non hanno bisogno di fingere.

In base a ciò, il sistema capitalista non si limita alle strutture diffuse del potere, non può prosperare sulla base di una morale che chiunque può interrogare. Ha bisogno di un meccanismo violente che dissuada quelli che vorrebbero metterne in discussione la normalità. La violenza della legalità sostituisce i limiti delle norme morali e costruzioni ideologiche. Il capitale globale rappresenta un impero e il nucleo della sua imposizione violenza è il governo democratico.

Come qualsiasi altro regime totalitario anche la democrazia per i suoi sudditi pare essere la forma più conveniente di autorità. E naturalmente si occupa di riprodurre la propria morale, cultura e propaganda attraverso l’insegnamento statale, lo spettacolo e la-controllata dal centro-informazione. Il messaggio “qualunque forma di organizzazione delle relazioni umane che non sia autoritaria risulta inefficace” non ha bisogno di presentazioni: è implicito.

“La violenza non può essere una forza pura e brutale, perché se fosse cosi il cavallo di Caligola avrebbe lo stesso diritto del suo proprietario ad essere console di Roma. “ Tomas Paonal (1)

Perché il regime sembri non solo l’opzione più favorevole ma l’unica, non basta imporlo con la violenza, serve un’apparente clemenza.

La democrazia capitalista è il paradiso in confronto all’inferno che la stessa democrazia produce nei territori che sta sfruttando. Essa applica al suo interno il dogma della tolleranza zero, anche se esso fa parte dell’approccio terrorizzante verso quelli che, consapevolmente o meno, mettono in discussione l’ordine stabilito. Il limite della tolleranza può essere modificato per garantire gli equilibri delicati. Intanto la democrazia evita di sterminare fisicamente i suoi nemici interni e conserva la maschera umanitaria che nasconde la natura cruenta del complesso Stato-Capitale. Ogni deviazione da questa norma costituisce l’affermazione di una crisi del sistema, l’eco di un forte dissenso interno che minaccia di modificare il carattere del regime. Rappresenta anche un danno per la democrazia borghese che – funzionando grazie ai principi dell’economia – deve spendere più energia per ristabilire l’ordine interno.

Ovviamente tutto il meccanismo della violenza fisica esistente nella democrazia, vale a dire la polizia-giustizia-carceri ha i fondamenti nell’invenzione ideologica chiamata sicurezza. Il crimine è il nemico immaginario dal quale lo stato protegge, allo stesso tempo creando le condizioni che lo generano. Lo stesso sistema che fabbrica le armi ne definisce l’uso legale per il braccio militare che con violenza becera genera le condizioni del saccheggio brutale all’estero e tramite la polizia impone l’ordine nel territorio interno, vale a dire la condizione razionale di sfruttamento capitalista.

Il meccanismo di base della sottomissione che tiene in mano la democrazia capitalista è l’istituzione del carcere. Esso – che gli umanisti chiamano “correzione” – funziona come ricatto per tutti quelli che pensano di deviare dalla legalità borghese e, per fornire una forma più lieve di punizione rispetto all’esecuzione, conserva la maschera umanista del regime. Esso è anche la parte elementare dell’attuale sistema scientificamente strutturato che continua a mantenersi grazie alla violenza, diretta o meno, per prendere il controllo delle coscienze.

COSCIENZE ARMATE

Osservando il continuo sviluppo della tecnologia repressiva e del controllo verso modelli sempre più totalitari, sorgono le seguenti domande: Contro cosa si sta blindando il sistema? Cosa affonderà l’ordine nel caos? Quale forza cerca di ingannare le apparenze umaniste?

Una forza potente tanto quanto quella che l’ha generata. La consapevolezza dell’uomo. La coscienza che ha fatto conoscere valori contrari all’insensato sfruttamento e oppressione. Ciò che viene chiamato “conquiste sociali” non è altro che il perfezionamento del regime stesso che in questo modo assimila questi valori e riduce le reazioni contrarie, ma in realtà è violento e oppressore.

L’attuale sistema autoritario con i suoi pilastri si evolve continuamente con la tecnologia e la scienza, il fortissimo meccanismo capitalista e le democrazie occidentali con il loro ruolo di regolatore, tutti quelli sono il risultato della coevoluzione dialettica tra potere e insurrezione. Il regime è nato dalle rivoluzioni e continua ad essere rivoluzionario.

Il “miracolo” del mondo moderno è il bastardo nato dall’incontro amoroso tra il potere e le idee liberatrici. Da un lato il potere limita la propria bestialità e dall’altro l’esplosiva e rapida evoluzione del sapere (che una volta era perseguitato) insieme alla libertà di espressione aumentano il suo potenziale. È una situazione che, confrontando con le società del passato, non può far presagire nulla di positivo né tanto negativo, dal momento che non c’è mai stato nulla di simile e non c’è una storia ipotetica. L’unico che c’è è un mondo che cambia e con questa evoluzione abbiamo l’opportunità di partecipare con la forza della nostra coscienza.

Lo sviluppo della consapevolezza attraverso l’atto di criticare i valori e le idee stabilite e, passando per le insurrezioni e le rivoluzioni tanto individuali quanto sociali, da vita a nuovi ideali. Questo è il flusso della storia. A parte un sacco di sangue versato in nome degli interessi dei potenti, scorre anche il sangue che scorre nelle acque dell’insurrezione, flusso che scorre verso il sole della libertà e la sconfitta degli imperi. Perché gli spiriti liberi si armano e pretendono il loro posto nella storia. Quelli che sostengono che l’azione rivoluzionaria è priva di senso visto che il sistema è troppo forte, che si domandano come sarebbe il mondo se non fosse plasmato dalle insurrezioni e rivoluzioni, che si chiedono quale grado possa raggiungere il totalitarismo del potere se l’unica forza che si evolve al di fuori del desiderio insaziabile di più forza, più controllo… E dato che la risposta è cosi evidente, è meglio che guardino a loro stessi per vedere il riflesso delle loro scelte colpevoli.

SECONDA PARTE
SEGUENDO LE TRACCE DEL MIO VIAGGIO PER IL MONDO DELL’INSURREZIONE, DELLA RESISTENZA E DELLA SOLIDARIETÀ

Dal momento in cui ho sperimentato le cose che mi hanno portato a mettere in discussione l’ideologia dominante, dal momento in cui mi sono reso conto che ogni momento di passività è complicità con i crimini dei potenti, volevo che la mia azione fosse coerente con le mie idee. Ho cercato modi di sabotare l’armonioso funzionamento dello stato e dell’economia, cercando complici per agire. Moltissimi compagni hanno finito con lo scegliere opzioni che poi ho seguito e tratto ispirazione dalle loro azioni e percorsi. Percorsi che spesso sono stati difficili e dolorosi, all’insegna della conquista dell’autodeterminazione, della libertà e della vita.

Ogni forma e metodo di lotta ha i suoi valori e importanza. Servono per concretizzare i desideri di tutte le individualità ribelli che contribuiscono all’allargamento necessario del fronte rivoluzionario diffondendo idee liberatrici di sabotaggio della gerarchia, del mercato, delle strutture sociali e degli ingranaggi al servizio del capitale che distruggono la naturalezza, umana e non.

Naturalmente i mezzi e le strategie scelte nella guerra rivoluzionaria – come in qualsiasi guerra – in gran parte sono determinati dalla corrispondente strategia del nemico. La democrazia borghese nella sua versione greca preferisce permettere la libera espressione di idee rivoluzionarie, assicurandosi che queste vengano calunniate tramite i ben controllati mezzi di informazione, e sepolte da una montagna di volantini pubblicitari cosi che le masse continuino a consumare la falsa vita. L’intronamento televisivo prevale.

Lo stato sa bene che per vincere questa guerra di sovra informazione noi dobbiamo essere dinamici e forti e che un messaggio per diffondersi ha bisogno dell’azione. E ogni azione subisce il rispettivo grado di repressione. Lo scopo di questa breve analisi è sottolineare l’importanza che hanno tanto i progetti che diffondono le idee anarchiche quanto le azioni guerrigliere. Perché il discorso da solo, oltre che soccombere nella tomba della sovra informazione scavata dalla civilizzazione borghese, perde il suo senso se non sfida il monopolio della violenza di stato, se non si concretizza nella violenza diretta rivoluzionaria.

Allo stesso modo, nessuna rivendicazione d’attacco diffusa tramite la stampa o i mezzi digitali può sostituire la diffusione di mano in mano, la comunicazione che nasce tramite la relazione organica nei progetti aperti di resistenza.

La strategia dello stato di uccidere i nervi della lotta anarchica colpendone le forme dinamiche, violente e offensive, dimostra che alcune opzioni risultano più efficaci. Sarebbe ovviamente ridicolo affermare che certe forme di lotta sono superiori alle altre, però ogni individualità o collettivo ribelle deve farsi questa domanda: abbiamo intenzione di abbandonare certi campi di guerra rivoluzionaria e arrenderci al ricatto statale chiamato “legalità”?

ANCORA VIVO NELLO STOMACO DELLA BESTIA

Mi ritrovo a confrontarmi con il mondo carcerario, uno spazio/tempo determinato esclusivamente dalle regole. Tutta una serie di scelte mi hanno portato qui, scelte che ho fatto cercando di tracciare il mio percorso di negazione. Il rifiuto di soccombere ai ricatti dello stato, di rassegnarmi alle convenzioni del potere, a vivere come una piccola pedina. E’ stato un percorso consapevole di insurrezione, di resistenza e solidarietà. Un percorso pieno di sentieri in salita verso il vulcano della rivoluzione anarchica.

Essendo temporaneamente “disattivato” approfitto dell’opportunità che mi da il regime democratico: quella di esprimermi liberamente, cercando di trasformare la mia debolezza in forza. Il tempo morto del carcere nutre lo sviluppo delle idee che minano i fondamenti delle illusioni democratiche.

Urgenza di ogni rivoluzionario è trasmettere i messaggi che accendono la miccia dell’azione insurrezionale. Allo stesso tempo, tanto l’azione quanto la condotta di vita e di lotta che scegliamo funziona come il messaggio. Per questo considero tanto importante difendere le mie scelte che, secondo me, sono state cruciali e hanno dimostrato il significato che avevano per me. Lo considero più importante della “clemenza” che, eventualmente, potrebbero mostrare i tribunali democratici se scelgo di tacere sui temi più “sensibili”. Disprezzo i codici penali e non lascerò che limitino il mio discorso. Disprezzo anche la supposta “strategia” che si inventano quelli che, quando viene il momento, non sono capaci difendere le proprie scelte. Perché la nostra lotta si svolge soprattutto e principalmente in ambito politico e sociale. Non si tratta di un conflitto militare tra due bande. La dinamica della barricata rivoluzionaria è la prospettiva di estenderla e questa estensione sarà fattibile quando grideremo i messaggi dell’insurrezione e non quando restiamo a guardare nella speranza che il nemico ci tratti con clemenza.

Naturalmente il regime delle convenzioni non è basato su una violenza irrazionale. Lo stato moderno regola le condanne in base all’atteggiamento che uno tiene davanti alle istituzioni poliziesche e giudiziarie. In un certo modo tratta le spie, i pentiti, quelli che hanno fatto un passo dopo l’altro e difendono le proprie decisioni.

A quanto pare, alcuni sono stati ingannati dagli strateghi più abili, da quelli che sanno bene che “bisogna lasciare una salita al nemico e poi ucciderlo, quando retrocede”. (Sun Tzu)

Pertanto, nessuna ritirata, battaglia furiosa fino alla fine!

IL SENTIERO DELLA DEVIAZIONE

In questo momento sono accusato di tentato omicidio mediante l’uso di un arco durante un corteo, di essere membro della O.R. CCF, di 160 attacchi realizzati da questa organizzazione, di sparatoria con la polizia a Pefki e rapine in banca fatte a Velventò (vicino Kozano) e Filota (vicino Florina). Ogni accusa è per me un onore, visto che mi sento orgoglioso di quanto il regime mi contesta come suo nemico. Naturalmente ero nemico armato del sistema autoritario prima che la polizia mi fermasse con i suoi espedienti. E mi piacerebbe spiegare il ragionamento che mi ha guidato e toccare alcuni momenti importanti della mia attività e delle mie scelte. Ovviamente lascerò fuori alcune cose dato che non intendo dare informazioni al nemico in merito a quanto, per ora, non sa.

Nel 2009, quando lo stato ha colpito alcune delle infrastrutture della guerriglia anarchica e molti compagni sono andati in clandestinità, per me fu ugualmente importante il supporto ai clandestini e l’urgenza di prendere parte all’azione guerrigliera. In questo contesto nacque la mia relazione con la O.R. CCF.

Non sono stato membro dell’organizzazione, perché nell’anarchia ogni individualità ha la possibilità di scegliere il proprio percorso autonomo, unirsi liberamente e creare nuove organizzazioni, al contrario di quanto dice la propaganda dei media che vede una sola struttura centralista e ci inserisce tutti, annullando le differenze di ognuno. Tuttavia, durante questo periodo abbiamo avuto alcuni obiettivi comuni, sono nate delle relazioni di solidarietà concreta che ci hanno portato ad una collaborazione più profonda. E questa collaborazione a sua volta ha causato che anche io sono stato represso nell’operazione contro la Cospirazione.

Alcuni giorni prima dell’assalto dell’Unità Antiterrorista a Volos, venni arrestato per un corteo con l’accusa di aver puntato il mio arco verso il parlamento, un’azione che mi difendo completamente fino ad oggi, visto che si inseriva nel contesto di lotta multiforme. Continuo ad avere le posizioni che ho espresso nel testo che scrissi allora.

Torniamo a quando mi rilasciarono con misure restrittive che io stesso ho deciso di infrangere per non correre il pericolo di essere arrestato nel caso la polizia sapesse più cose di quanto aveva ammesso. Questa scelta, questa mia decisione, venne confermata dal mandato di cattura a mio carico dopo l’arresto di 5 membri della CCF a Volos.

Ero nel bel mezzo di un incrocio di scelte ma poi ho capito quale sarebbe stato il mio percorso. Scelsi il percorso accidentato che passa da meravigliosi scenari d’azione e una vita al di fuori della legge. Avevo scelto la guerriglia permanente, piena di conseguenze sorprendenti, sia in termini di attività di infrastruttura, azioni notturne per rubare veicoli o rapinare banche, come anche i momenti d’attacco.
Si è privati di tante cose quando si è clandestini, ma il fatto di non essere cittadini di stato è come una dichiarazione di guerra. Come anarchico, questo mi ha fatto sentire coerente verso me stesso, correndo il pericolo di essere arrestato non per una vita tranquilla nella comodità della legalità o, peggio ancora, aspettando un trattamento migliore da parte del nemico.

Questo rifiuto di arrendersi ha contribuito a sostenere insieme ai miei compagni un duro e continuo lavoro di infrastruttura: documenti falsi, appartamenti in affitto, armi, rapine armate di autofinanziamento. L’infrastruttura di difesa al tempo stesso era d’attacco, in base a quanto scelto sempre da noi. Insieme alle regole di sicurezza e le misure di antipedinamento, il nostro continuo lavoro nella difficile condizione di clandestinità ci ha spinti ad assaporare l’esperienza della guerra. Una vita sulla lama del coltello, adatta per gli amanti delle esperienze vere, una vita che rifuggono i consumatori nei cinema della propria passività. Perché vita significa azione, rivendicazione e guerra, non come una batteria che lavora per una macchina gigante.

Riconoscendomi come avversario del regime e sapendo che i suoi cani armati possono attaccarmi e catturarmi in qualunque momento, ho regolato la mia vita e i miei movimenti sperando nello scoppio della battaglia armata contro i mercenari di stato. Il momento in cui il valore della vita di uno sgherro si valuta in base a quanto ostacola la mia libertà. Senza dubbio, esistono condizioni che ci impediscono di prendere la vita anche di un soldato nemico, con le conseguenze di un tal atto o la clemenza verso questi stupidi “irresponsabili” che, spinti dalla diffusa apatia, si arruolano a forza. Tuttavia, quando i guardiani della legalità mi attaccano, la mia libertà vale più della loro, del tutto non necessaria, vita.

Pur avendo le armi, sia a livello materiale che di coscienza, quando abbiamo dovuto affrontare due agenti armati, capitato durante un compito di infrastruttura, eravamo insufficientemente armati, – nel vortice delle condizioni di clandestinità-, e, per essere esatti, avevamo solo una pistola. Per caso non ero armato e quando ho sentito che gli sbirri si avvicinavano ho cercato di fuggire, poi mi hanno immobilizzato.

Non dimenticherò mai gli splendidi spari mentre riflettevo sulla fine della mia libertà. Ma, la decisione difficile di uno scontro armato da una posizione chiaramente svantaggiosa da parte dell’anarchico Theofilos Mavropoulos mi ha risvegliato la rabbia della libertà. Siamo dovuti fuggire passando su quei corpi.

Nello scontro di Pefki, il mio contributo è stato recuperare l’auto degli agenti che ho poi usato come arma, minacciando gli agenti di travolgerli, i quali presi dal fervore cercavano di bloccarmi la strada. In ogni istante ho cercato di rincorrere la libertà. Il risultato finale di questo scontro è stato il ferimento grave dei due agenti, cosa che ha seminato panico tra le file dei mercenari della polizia, ma anche un grave prezzo per noi: il ferimento e poi la cattura del compagno.

Per me, il fatto che la mia libertà illegale sia durata due anni è un qualcosa di inestimabile. L’unica cosa che mi dispiace è che nel periodo prima dell’arresto non sono riuscito a soddisfare le mie aspettative, ovvero affinare l’azione guerrigliera e liberare i compagni dalle carceri della democrazia. Tuttavia, ho fatto un’esperienza che non cambierei per nulla al mondo, sviluppato relazioni che si sono forgiate creando una compagnia armata che ha girato per monti e città preparando rapine a azioni guerrigliere. Ho acquisito esperienza che conserverò come un tesoro per fare meglio le cose quando sarò di nuovo libero.

Non dimenticherò mai ciò che ho sentito due anni dopo, quando armati fino ai denti eravamo seguiti a bordo di un furgone tra le montagne della Macedonia occidentale, e non volevamo rischiare la vita dell’ostaggio in uno scontro con la polizia. Condizioni piene di contraddizioni, scelte contraddittorie.
In un mondo dove regna la sottomissione davanti alle armi della polizia, solo la minaccia delle armi può garantire la nostra esistenza. È quasi certo che qualunque nostro movimento fosse segnato, qualcuno lo avrà detto alla polizia. Comunque, l’unico modo di mantenere sicura l’informazione su di noi è attaccare con la nostra violenza il portatore di tale informazione. Finché si è abituati a seguire gli ordini degli agenti si obbedisce, sul momento, a ciò che impongono i ribelli. Fino a quando la coscienza si riconcilia con la proposta di resistenza e di una possibile relazione antiautoritaria. Se qualcuno si trova nella posizione difficile di obbedire alla voce che grida “fermi, mani in alto!” e allo stesso tempo non ha intenzione di collaborare con la repressione, sicuramente noterà che la nostra scelta è stata dovuta per una necessità, ovvero non aggravare una situazione già tesa.

Il mondo capitalista è un mondo in guerra e ogni aspirante spia sceglie di mettersi dalla parte dei nostri nemici. Possiamo comprendere le scelte di ognuno ed essere clementi, per il fatto che abbiamo imposto il minimo che potevamo fare in quel momento e abbiamo deciso di rispondere guerra alla guerra.
Non è realistica la critica sulle “relazioni di potere che si presentano durante un attacco o un sequestro”, visto che le relazioni del potere sono già sul tavolo, presenti ovunque. Il denaro sta nelle casseforti vigilato da guardie armate e quando se ne prende una piccola parte è per comprare articoli e “servizi”, ovvero perpetrare la catena della schiavitù.

L’unica relazione senza potere che può esistere nasce nelle comunità di lotta.

ORGANIZZAZIONE E ATTACCO

Ovviamente l’analisi di prima e la narrazione non avrebbe senso se non accompagnata dalla progettualità di continuare la lotta con ogni mezzo e in ogni forma. Perché le comunità di lotta sono costituite da individui diversi, con diversi punti di vista e motivazioni, ma che si uniscono nella guerra contro il potere. E’ da qui che nasce la desiderata e necessaria moltitudine di opinioni e di mezzi di lotta.
Certo, la scommessa di una organizzazione di guerra anarchica è ancora aperta. Sia rispetto alla realizzazione di un’azione contro il nemico sempre più forte e concreta, sia al rafforzamento delle relazioni tra compagni.

Un’organizzazione che significhi creare gruppi e cellule d’azione, secondo le esperienze comuni o con obiettivi e concezioni in comune. Un’azione che abbia a che fare con la diffusione delle nostre proposte e dei nostri valori e la sua connessione con altre forme di lotta, con l’obiettivo che ogni lotta frammentaria si sposti dal parziale al “tutto”, di una particolare condizione di oppressione e sfruttamento che alimenta la diffusa civilizzazione del potere. Un’azione che colpisca il nemico a fondo senza riconoscere il dicotomia “legale-illegale” e che non parli il linguaggio del nemico anche quando sa come decodificarlo. Un’azione collettiva, individuale, diretta. Dai cortei alle assemblee popolari fino ai sabotaggi incendiari notturni, le bombe, le rapine e gli omicidi dei dirigenti del sistema. In questa azione si creano le relazioni dei rivoluzionari, prendono forma e si completano nel concetto di solidarietà. In questa azione ogni individuo si sente completo e vive in linea con i propri sentimenti e la propria coscienza.

Pertanto, organizzazione significa anche superare se stessi, significa autocritica, rottura, dissoluzione e poi ricostituzione in base a fondamenti e relazioni ogni volta superiori. Ma significa anche coordinare le forze per gli obiettivi che abbiamo in comune, cercando modi di sfruttare le nostre differenze, di risanare il terreno dove ci sono crepe, di non dimenticare mai dove sta il nemico.

ATTACCO FRONTALE CONTRO L’APICE DELLO SVILUPPO DELLA CIVILIZZAZIONE DEL POTERE

In chiusura, volevo sottolineare la mancanza cruciale di approcci di lotta. Non ci concentriamo quasi esclusivamente sulla polizia e la repressione o le istituzioni politiche ed economiche, mentre il mondo del controllo totale si perfeziona nei laboratori scientifici privi di vigilanza. E mentre i più perversi aguzzini di animali in nome della scienza e della conoscenza fanno esperimenti sul controllo mentale e non hanno alcuna scorta poliziesca, al contrario dei politici che sono la vetrina del sistema.
Sembra abbastanza facile tornare al clero della tecno scienza un po’ della violenza che essi generano, ma molto poco si fa in questa direzione. Questo testo parla delle scelte che ho fatto, e lo vado a concludere con un’autocritica verso questa omissione fondamentale, verso le cose sempre rimandate in attesa di un momento migliore che non arrivava mai. Il mio obiettivo è che i nuovi compagni coprano i vuoti lasciati da chi è venuto prima. Considero essenziale, più che simbolico, il sabotaggio delle infrastrutture tecno scientifiche della civilizzazione. Perché se capiamo dove vanno le ricerche e chi le finanzia, ci renderemo conto che il grande capitale e i principali meccanismi dello stato dirigono lo sviluppo della scienza e della tecnologia per servire i propri fini del beneficio economico e del controllo sociale.

Si sa che l’industria approfitta delle conquiste scientifiche nel modo più distruttivo per la natura e in quello più doloroso per gli animali e le persone. L’inquinamento e il surriscaldamento del pianeta, passando per la riduzione delle forme di vita e terminando con la tortura asfissiante degli animali in gabbia per cibo o pelliccia, gli esseri umani si riservano un destino migliore per loro stessi. Nient’altro che violenza, dolore, sfruttamento e morte.

Il potenziale del metodo scientifico facilita la gestione sociale attraverso la propaganda psicologica, prepara il monitoraggio diffuso attraverso i “sistemi intelligenti” con telecamere telescopiche e satellite oltre agli insetti-spia robotizzati e, seguendo il filone del controllo mentale, gli esperimenti sui cervelli degli animali. Lo sviluppo dei droni aerei che già seminano morte nelle zone di guerra cosi come i soldati-robot. Allo stesso tempo preparano la fusione dell’uomo con la macchina, un’idea tecnocrata dove la distanza tra occhio, schermo e mano viene risolta da una connessione diretta col cervello, permettendo cosi uno sviluppo più veloce di questa superpotenza che è la tecnologia. Un’idea che nulla ha a che vedere con la fantascienza perché esiste già nei laboratori che “creano” varie specie di animali-robot con impianti cerebrali e ci sono università che preparano moralmente e legalmente le persone affinché accettino la singolarità tecnologica che unirà umani e macchine.

Questa situazione presenta un ricatto dei più evidenti che dobbiamo tenere a mente: noi o loro.

E credo che col tempo questo ricatto sarà sempre più sentito tra la gente, ma anche noi saremo sempre più deboli. Dobbiamo agire mentre c’è ancora tempo e non siamo troppo indietro. Il nuovo fascismo è qui e non si impone: lo si può acquistare. Abbiamo l’obbligo per noi stessi di sabotarlo e creare un potente fronte contrario, indipendentemente dalle nostre differenze ideologiche e teoriche.

Senza dubbio, per combattere il complesso tecno scientifico dobbiamo regolarci, dotarci di nuove tecnologie e usarle contro di esso. Come gli indios che non poterono combattere i conquistadores con l’arco, i rivoluzionari saranno eliminati se non perfezioneranno le forme d’azione. Purtroppo, tutto ciò sembra lontano ma si prevede che il futuro sarà ancora più oppressivo e angosciante, e per questo è chiaro che non vi è altro modo.

Insieme a questo invito ad agire mando un segnale solidale a tutti i compagni del mondo che hanno combattuto e che combattono contro il complesso tecno scientifico, lo stato e il capitale, dentro e fuori le mura delle prigioni.

Saluti rivoluzionari alle cellule della rete internazionale del ALF, ELF, FRI e FAI, la Cospirazione delle Cellule di Fuoco e tutti i gruppi e organizzazioni, chi si firma e chi no, chi non forma una rete globale di cellule ma-indipendentemente se concordo o no con i loro punti di vista-continua a scommettere sulla resistenza, l’insurrezione e la rivoluzione.

Giannis Mihailidis
Prigione di Koridallos

PS1. Mentre scrivo questo testo, il prigioniero anarchico Kostas Sakkas è in sciopero della fame (a partire dal 4 Giugno). Mi dichiaro solidale alla sua lotta finalizzata alla libertà. È necessario agire per impedire la strategia omicida dello stato a danno del compagno.

PS2. Da molti giorni c’è una brutale caccia all’uomo ai fuggitivi del carcere di Trikala, ovvero gente che è riuscita a farsi beffe della sicurezza carceraria, mostrando che nulla è impossibile. Il loro spirito combattivo e la fermezza con cui difendono la libertà ci regala un sorriso dei più sinceri. Buona fortuna, fino alla distruzione dell’ultimo carcere, fino alla libertà di tutti.
PS3. Le barricate in ogni angolo della terra riscaldano i nostri cuori.

Nota di traduzione

(1) Non è stato possibile rintracciare la fonte della citazione forse per un errore di copiatura dell’autore.

fonte

http://it.contrainfo.espiv.net/2013/07/28/atene-lettera-del-compagno-anarchico-giannis-mihailidis/

 

Grecia: Carta de preso anarquista Giannis Mihailidis

El compañero Giannis Mihailidis es uno de los cuatro anarquistas que cayeron presos el 1 de Febrero pasado por un doble atraco realizado en Velvedo. En el pasado ya se publicaron varias cartas suyas:

después de su detención en Febrero de 2011 (y no en finales de 2011 como aparece en el comentario del enlace) en una manifestación en Atenas por haber disparado con un arco contra los antidisturbios (http://publicacionrefractario.wordpress.com/2013/03/05/grecia-2011-escrito-de-giannis-mihailidis-tras-ser-detenido-luego-de-disparar-con-un-arco-al-parlamento/), desde la clandestinidad acusado de pertenencia a la CCF (http://liberaciontotal.lahaine.org/?p=4469) y otra vez como prófugo junto a Dimitris Politis (http://liberaciontotal.lahaine.org/?p=4617).

La siguiente carta se ha publicado hace un par de semanas

(en griego aquí: https://athens.indymedia.org/front.php3?lang=el&article_id=1479753)

 
Esta carta es un intento de explicar mis posiciones y mis elecciones como parte de la acción anarquista insurreccional y espero que funcionara como chispa para su proliferación.

No fue escrita desde el prisma de alguna ideología específica o alguna tendencia bien cristalizada. Se trata de algo compuesto por productos robados del “supermercado de ideologías” y por mis propios pensamientos.

Sin embargo, contiene los juicios y los valores de uno que, motivado por el deslumbrante ideal de la anarquía, participa en la guerra contra el Poder. Motivado por un ideal que aparece tanto en las comunidades tradicionales del pasado como en las comunidades insurrectas del pasado y actuales.

Un ideal al que hasta ahora sólo nos estamos acercando y que tal vez nunca va a prevalecer de manera universal. Porque, como lo describió el compañero Giannis Naxakis, “el Poder no es metafísico, está dentro de nosotros”. Así como lo es la pasión por las relaciones libres y sin dominación ninguna.

La comprensión del hecho que la realidad capitalista es una guerra de todos contra todos y una competición de supervivencia, me empuja a tomar parte en la guerra contra ésta realidad, me empuja a elegir mi posición. Y así, por considerar los partidarios del Orden unos asesinos sin escrúpulos, me he pronunciado en favor de la insurrección. La anarquía es la manera en que me rebelo, al mismo tiempo tratando de no reproducir lo que estoy combatiendo, es decir las relaciones autoritarias, y organizar las comunidades de lucha de un modo antijerárquico.


Primera parte

RESUMEN ACERCA DEL ENEMIGO

El desarrollo de la civilización incluye continuo perfeccionamiento de todo un complejo de convenios sociales. Este complejo es universal, abarca el dinero, las leyes, el moral. Cada uno de los conflictos y antagonismos de intereses está intermediado y manejado por este sistema de convenios.

La estructura social actual está configurada para equilibrar los contrapesos de fuerzas, el principio siendo su reproducción y fortalecimiento. Continuamente evolucionada y reajustada por múltiples centros del Poder, por potentes capitalistas, dignatarios del Estado y científicos, todos cuya prosperidad depende de la capacidad con que la máquina social sobrevive y se reproduce a sí misma.

Incluso la destrucción de un fragmento de aquella gigantesca máquina les sirve como oportunidad para perfeccionarla. Cada guerra, cada catástrofe natural, cada insurrección o revolución crean para el capitalismo nuevas esferas para las inversiones y además un nuevo y aún más estable régimen nace de las cenizas del aquel anterior. Cada uno de los imperios del pasado estaba amenazado por otras Poderes. El capitalismo ofrece tanta flexibilidad social que cualquier factor del poder fuerte simplemente acaba asimilado.

El vigor de la máquina social moderna está en su capacidad de asimilarlo todo. Todo ciudadano y todo empleado constituye un engranaje que tiene que ser colocado correctamente. Y todos sienten que están dependientes de ese tan ingenioso “sistema de amortización de sacudidas sociales” que se llama el Capitalismo y que lo domina todo.

El dinero es un idioma global, es la medida de capacidad que todo individuo tiene para explotar a los demás. Y todo el mundo al momento de aprender como manejar el dinero entra como iniciado en el sistema autoritario.

“Esta gente son el sistema. Y este sistema es el enemigo.”


Ese es aquel muy poderoso mundo del Capital. Sin embargo, la religión universal del dinero aparte del clero precisa también los milagros: el complejo de ciencia-tecnología que puso el ingenio humano al servicio de unos sujetos de lo más asquerosos. Máquinas potentes que asesinan en masa, torturan, exterminan y, lo peor, descomponen el intelecto humano. De las bombas atómicas, los conejillos de Indias, los mataderos y granjas de animales hasta la contaminación y destrucción del planeta. De las cámaras y televisores que difunden el modelo del esclavo moderno hasta las “armas inteligentes” de la policía.

No, la tecnología no es para nada neutral. Se trata de una prostituta que se puede acostar contigo pero nunca olvida quién es su proxeneta. Una fuerza enorme que se desarrolla rápidamente empujando ese mundo más y más cerca al borde del control total, más y más cerca de la derrota definitiva de la libertad.

Por lo tanto un mundo feliz ya está aquí y además está hecho de tal manera que no deja a nadie el derecho de ir afirmando: “soy inocente”.

No importa cómo se ha arraigado en la sociedad el moral hipócrita de la cultura burguesa, la realidad pura y dura es presente y no se puede esconder detrás de la montaña de las llamadas “normas morales altruistas”. Las apariencias de sensibilidad no se anulan por el conjunto de conductas prohibidas, con la muy difundida e imprescindible auto-opresión con su única función siendo la prosperidad y reproducción de una sociedad de individuos castradas.

El robo es amoral con tal que cuestiona el cáliz sagrado de la propiedad legal, mientras que la explotación por medio de la propiedad tiene que ser respetada. Los asesinatos son amorales menos esos que fueron cometidos por un madero o mercenario: entonces se trata del “acto heroico”. No vale la pena mencionar las incontables normas insípidas e insignificantes, que son simplemente reproducidas por los antropoides acomplejados, que con su ayuda limitan y ponen pautas a sus relaciones amorosas y, en contexto más amplio, sociales.

Sin embargo el moral es para las víctimas, para los de abajo de la pirámide social. Los que están en su cima, para estar allí ya le habían escupido a él, mientras que siguen fingiendo que le respetan y reconocen. Pero también le escupieron a él los libres y conscientes revolucionarios que actúan a base de su propio juicio y sus propios sentimientos, mientras que su moral se plasma por un sentir espontáneo, despreciando las normas de las prohibiciones. La diferencia es que ellos no necesitan fingir.

Por supuesto, el sistema capitalista no se limita a las estructuras del Poder difusas, tampoco hubiera podido prosperar a base de un moral que cualquiera puede cuestionar. Necesita a un mecanismo violento que va a disuadirle a todos la mera perspectiva de poner en duda su normalidad. La violencia de la legalidad sustituye los límites de las normas morales y construcciones ideológicas. El capital global constituye imperio y el núcleo de su violenta imposición es el gobierno democrático.

Como cualquier otro régimen totalitario también la democracia para sus súbditos parece ser la más conveniente forma de autoridad. Y naturalmente se ocupa de reproducir su moral, su cultura y su propaganda a través de la enseñanza estatal, el espectáculo y la–controlada desde el centro– información. El mensaje que “ cualquier forma de organización de las relaciones humanas que no sea autoritaria resulta ineficaz” ni siquiera precisa ser formulado: es implícito.

“La violencia no puede ser una fuerza pura y brutal, porque si sería así el caballo de Caligula tuviera el mismo derecho como Cónsul de Roma que su dueño.”

Tomas Paonal (1)

Para que el régimen parezca no sólo la más favorable pero también la única opción, no basta con imponerlo por la violencia bruta, se precisa las apariencias de clemencia.

La democracia capitalista es el Paraíso comparando con el Infierno que esta misma democracia produce en los territorios que está explotando.

Rehuye aplicar en su interior el dogma de tolerancia cero, incluso si eso forma parte de su discurso realizado en marcos de aterrorizar a los que, sea conscientemente o no, cuestionan el orden establecido. El límite de tolerancia puede ser ajustado para asegurar los equilibrios sensibles. Por lo tanto la democracia evita de exterminar físicamente sus enemigos internos y preserva su máscara humanista que encubre la naturaleza ensangrentada del complejo Estado-Capital. Cualquier desviación de esta norma constituye la afirmación de una desestabilización del sistema, el eco de una fuerte disidencia interna que amenaza cambiar el carácter del régimen. Constituye también un daño para la democracia burguesa que—funcionando sobre la base de los principios de economía—tiene que gastar más energía en restablecer su orden interno.

Por supuesto que todo el mecanismo de la violencia física presente en la democracia, es decir policía-justicia-cárceles tiene sus fundamentos en el invento ideológico llamado la seguridad. El crimen es el enemigo imaginario del cual el Estado te protege, al mismo tiempo creando las condiciones que le engendran. El mismo sistema que fabrica armas define como legal su uso por el brazo militar que tras violencia cruda genera las condiciones del saqueo brutal en el extranjero y por el brazo policial que impone el orden en el territorio nacional, es decir la racionalizada condición de explotación capitalista.

El mecanismo básico de sometimiento que tiene en sus manos la democracia capitalista es la institución del encarcelamiento. El encierro—que los humanistas llaman “la corrección”–funciona como chantaje para cada quien está pensando de desviarse de la legalidad burguesa y, por constituir una más clemente forma del castigo que la ejecución, preserva la máscara humanista que lleva el régimen. Es también la parte elemental del científicamente estructurado sistema moderno que siga manteniéndose sobre la violencia, sea directa o indirecta, para tomar control sobre las consciencias.

 

CONSCIENCIAS ARMADAS

Observando el continuo desarrollo de la tecnología de represión y de control hacia los modelos cada vez más totalitarios, surgen las siguientes cuestiones: ¿Contra quién se está blindando el sistema? ¿Qué es lo que hundirá ese orden tan bueno en el caos? ¿Cuál fuerza intentan engañar esas apariencias humanistas?

Una fuerza lo mismo poderosa que la fuerza que le ha engendrado. La consciencia del ser humano. La consciencia que ha dado a conocer los valores contrarios a la insensata explotación y opresión. Esto que ellos llaman “los logros sociales” no es nada más que la perfección del régimen mismo que de esta manera asimila estos valores y reduce las reacciones en su contra, pero de hecho sigue como es: violento y opresor.

El sistema autoritario actual con sus columnas fundamentales siendo la continuamente evolucionada tecnología y ciencia, el muy poderoso mecanismo capitalista y las democracias occidentales con su papel de regulador, todos ellos son el resultado de la coevolución dialéctica entre Poder e Insurrección. El régimen ha nacido de las revoluciones y sigue siendo revolucionario.

El “milagro” del mundo moderno es el bastardo nacido del encuentro amoroso entre el Poder y las ideas liberadoras.

Por un lado el Poder limita su propia bestialidad y por otro la explosiva y rápida evolución del saber (que una vez había sido perseguido) junto con la libertad de expresión aumentan a su potencial.

Se trata de una situación en que, comparando con las sociedades del pasado, no se puede presagiar nada positivo pero tampoco nada negativo, ya que nunca ha habido algo comparable y no existe una historia hipotética. Lo único que hay es un mundo que evoluciona y en esa evolución suya nosotros tenemos la posibilidad de participar con la fuerza de nuestra consciencia.

El desarrollo de la consciencia pasa por el acto de cuestionar los valores y las ideas establecidas y, pasando por las insurrecciones y revoluciones tanto individuales como sociales, da a la luz a nuevos ideales. Este es el flujo de la historia. Aparte de la sangre que se derrama abundantemente en nombre de intereses de los poderosos, fluye también la sangre que riega la flor de la insurrección, flor que gira hacia el sol de la libertad y del derrumbo de los imperios. Porque los libres espíritus se arman y reclaman tener su lugar en la historia. Aquellos que argumentan que la acción revolucionaria no tiene sentido ya que el sistema es tan poderoso, que se pregunten cómo sería el mundo si no hubiera sido moldeado por las insurrecciones y revoluciones, que se pregunten qué grado alcanzaría ya el totalitarismo del Poder si la única fuerza que evoluciona fuera el insaciable deseo por más fuerza, por más control…Y ya que la respuesta es tan evidente, mejor que se miren a sí mismos para ver el reflejo de sus elecciones llenos de culpa.

 

Segunda parte

SIGUIENDO EL RASTRO DE MI RECORRIDO POR EL MUNDO DE LA  INSURRECCIÓN, DE LA RESISTENCIA Y DE LA SOLIDARIDAD

Desde el momento en que las cosas que viví me llevaron a cuestionar la ideología estadista dominante, desde el momento en que me di cuenta que cada momento de la inactividad es complicidad en los crímenes de los poderosos, aspiraba a que mi acción sea coherente con mis pensamientos. Iba buscando maneras de sabotear el armonioso funcionamiento del Estado y de la economía, iba buscando cómplices para esta obra. Muchísimos compañeros acabaron eligiendo opciones parecidas mucho antes que yo y yo me había inspirado por sus ideas, sus acciones y por los recorridos que hicieron. Recorridos que muchas veces fueron difíciles y dolorosos, recorridos que vivieron reclamando la autodeterminación, la libertad y la vida.

Cada una de las formas y opciones de lucha tiene su valor e importancia. Sirve para convertir en carne y hueso los deseos de toda individualidad rebelde que contribuye al ensanchamiento necesario del frente revolucionario difundiendo las ideas liberadoras de sabotear las jerarquías, los mercados, las estructuras sociales y las máquinas al servicio del Capital que aniquilan la naturaleza, tanto humana como no.

Por supuesto que los medios y las estrategias que uno elige en la guerra revolucionaria—como en cualquier otra guerra—en gran parte están determinadas por la correspondiente estrategia del enemigo. La democracia burguesa en su versión griega prefiere permitir la libre expresión de ideas revolucionarias, después de haberse asegurado no sólo de que estas ideas serán calumniadas por sus bien controlados medios de información, pero sobre todo de que serán sepultadas debajo de un montón de octavillas de publicidad y que las masas seguirán consumiendo la falsa vivencia. El atontamiento televisivo prevalece.

El Estado conoce bien que para aguantar en esa guerra de sobreinformación tenemos que ser dinámicos y fuertes y que un mensaje para difundirse socialmente necesita la acción. Y hacia esta exactamente acción se orienta la subida del grado de represión. El objetivo de este breve análisis es recalcar la importancia que tienen tanto los proyectos que difunden el discurso anarquista como las acciones guerrilleras. Por que el discurso por sí solo, además de quedarse enterrado en la tumba de sobreinformación excavada por la civilización burguesa, perdería su sentido si no hubiera desafiado el monopolio de violencia del Estado, si no se hubiera encarnizado en la directa violencia revolucionaria.

De la misma manera, ninguna reivindicación de ataque difundida a través de prensa o medios digitales puede sustituir el acto de repartir comunicados mano a mano, no puede sustituir la comunicación que se produce mediante la relación orgánica generada en los abiertos proyectos de resistencia.

La estrategia del Estado de matar los nervios de la lucha anarquista golpeando sus formas dinámicas, violentas y ofensivas, causa que algunas opciones resultan más cruciales. Naturalmente sería ridículo afirmar que ciertas formas de lucha son superiores que otras, pero toda individualidad o colectivo rebelde debe proponerse la siguiente apuesta: ¿vamos a abandonar ciertos campos de guerra revolucionaria y así rendirnos frente a ese chantaje estatal fijo llamado “legalidad”?         

 

AÚN VIVO EN EL ESTOMAGO DE LA BESTIA

Me veo enfrentado con el mundo carcelario, un espacio/tiempo determinado exclusivamente por los convenios. Toda una serie de opciones que hice me ha llevado hasta aquí, opciones que hice intentando trazar mi propio trayecto de la negación. La negación a sucumbir a los chantajes del Estado, a resignarme frente a los convenios del Poder, a vivir como un peón minúsculo más. Se trató de un recorrido consciente de insurrección, de resistencia y de solidaridad. Un camino rastreador lleno de senderos que van cuesta arriba hacia el volcán de la revolución anárquica.

Por ser temporalmente “desactivado” me aprovecho de la oportunidad que me proporciona el régimen demócrata: la de expresarme libremente, intentando trasformar mi debilitad en fuerza. El tiempo muerto de la cárcel nutre el desarrollo de las ideas que socavan los fundamentos de ilusiones democráticas.

Es urgencia de todo revolucionario trasmitir los mensajes que enciendan la mecha de la acción insurreccional. Al mismo tiempo, tanto la acción como la postura vital y de lucha que elegimos funcionan ya como el mensaje. Por lo tanto considero tan importante defender estas de mis elecciones cuyas, según mi opinión, han sido cruciales y demostrar el significado que ellas tuvieron para mi. Lo considero más importante que la “clemencia” que, eventualmente, podían mostrar los tribunales democráticos si decido guardar silencio respecto a los temas más “sensibles”. Desprecio los códigos penales y no voy a dejarles limitar la dinámica de mi discurso. Desprecio también la supuesta “estrategia” que se inventan aquellos que, cuando llega la hora, no son capaces de defender sus elecciones. Porque nuestra lucha se lleva a cabo principalmente y sobre todo en un campo político y social. No se trata de un conflicto militar entre dos bandos. La dinámica de la barricada revolucionaria es la perspectiva de extenderla y esta extensión sea factible cuando gritemos los mensajes de insurrección y no cuando nos mantengamos a escondidas en la espera que el enemigo nos tratara de manera favorable.

Naturalmente, el régimen de los convenios no está basado en una violencia irracional. El Estado moderno regula las condenas según la postura que uno tiene frente a las instituciones policiales y judiciales. De una manera trata los chivatos, los arrepentidos, los que hacen paso atrás y de otra los que defienden sus decisiones.

Al parecer, algunos se dejaron engañar por los estrategas más hábiles, por los que saben bien que “debes dejar una salida al enemigo cercado y matarle luego, cuando retroceda.” (Sun Tzu)

Por lo tanto, ¡ninguna retirada, la batalla furiosa hasta el fin!

 

 

EL SENDERO DE LA DESVIACIÓN

En este momento estoy acusado del intento de homicidio con el arco ocurrido durante una manifestación, de ser miembro de la O. R. CCF, de 160 ataques realizados por esta organización, de enfrentamiento sangriento con la policía en Pefki y de atracos a bancos realizados en Velvedo (cerca de Kozani) y en Filota (cerca de Florina). Cada una de estas acusaciones es para mi un titulo de honor, ya que me siento orgulloso de que el régimen me cuenta como uno de sus enemigos. Claro que yo era enemigo armado del sistema autoritario antes que la policía que había fichado en sus expedientes. Y me gustaría explicar el razonamiento que ha guiado mi recorrido y referirme a algunos momentos importantes de mis actividades y de mis opciones. Por supuesto, voy a dejar afuera ciertas cosas ya que no tengo intención dar al enemigo informaciones que él, de momento, no sabe.

En 2009, cuando el Estado ha golpeado algunas de las infraestructuras de la guerrilla anarquista y bastantes compañeros pasaron a clandestinidad, para mi no sólo el apoyo a los prófugos sino también la urgencia de tomar parte en la acción guerrillera fueron algo que se entiende por sí mismo.

En estos marcos se produjo mi relación con la O.R.CCF.

No fui miembro de la organización, porque en la anarquía toda individualidad tiene la posibilidad de seguir su propio e autónomo recorrido, colectivizarse libremente y montar nuevas organizaciones, al contrario de lo que presenta la propaganda periodística que ve a una sola estructura centralista y nos quiere vernos todos allí dentro, anulando las diferentes características que tenemos cada uno. No obstante durante este período, al haber reconocido ciertos objetivos comunes, se generaron relaciones de  solidaridad de facto que nos llevaron a una colaboración más profunda.

Y esta colaboración a su vez ha provocado que también yo mismo recibí las consecuencias de la operación represiva lanzada contra la Conspiración.

Unos pocos días antes del asalto de la Unidad Antiterrorista en Volos, fui detenido en una manifestación por haber apuntado el Parlamento con mi arco, es decir por una acción que defiendo totalmente hasta el día de hoy, ya que por estar dentro de los marcos de la lucha multiforme se orientaba al enriquecer los medios y evolucionarlos según los principios de fantasía. Sigo teniendo las posiciones que he expresado en la carta que saqué entonces.

Por lo tanto, en aquel entonces me soltaron en libertad con medidas restrictivas cuyas yo mismo de todos modos ya he decidido de romper y eso para no correr el peligro de ser detenido en el caso que la policía supiera más cosas que ella misma haya admitido de saber. Esta elección, esta consciente decisión mía, fue confirmada por el orden de busca y captura sacado contra mi persona después del arresto de 5 miembros de la CCF en Volos.

Me encontré en medio de un cruce de opciones pero entonces ya sabía cuál es mi camino. Había elegido el trayecto escabroso que pasa por los preciosos lugares de acción y vida fuera de la ley. Había escogido la guerra de guerrillas permanente, llena de las secuencias asombrosas, tanto en lo que se refiere a los trabajos de infraestructura, campañas nocturnas para robar vehículos o los atracos a bancos, como en lo de los momentos del ataque.

Estás privado de tantas cosas cuando eres prófugo, pero el hecho que ya no eres el ciudadano del Estado equivale la declaración de guerra. Como anarquista, el hecho ese me hizo sentir coherente frente a mí mismo, algo que no sería así si corriera peligro de ser detenido por una vida tranquila en los abrazos de legalidad o incluso peor, si decidiera entregarme esperando un trato más favorable de parte del enemigo.

Este rechazo de la entrega tuve que sostener junto con mis compañeros tras un trabajo de infraestructura difícil y continuo: carnés de identidad falsos, alquiler de pisos, conseguir armas, autofinanciarse con atracos a mano armada. La infraestructura de defensa que al mismo tiempo constituía la infraestructura de ataque, siempre cuando lo hemos elegido nosotros. Junto con las reglas de seguridad y las medidas de antiseguimiento, nuestro continuo trabajo en la agobiante condición de clandestinidad nos empujo a saborear la vivencia de guerra. Vida sobre el corte de cuchilla, adecuada para los amantes de vivencias verdaderas, vida al cual los pacíficos consumidores fallan de acercarse en las salas de cine de su propia pasividad. Porque la vida significa intervención, reivindicación y guerra, y no que seas como una pila que trabaja para la máquina gigantesca.

Percibiendo a mi mismo como adversario del régimen y sabiendo que sus perros armados en cualquier momento pueden atacarme y capturarme, he ajustado mi vida y mis movimientos esperando el momento en que estallara la batalla armada con los mercenarios del Estado. El momento en que el valor de la vida de un madero está bajando según el grado en que éste se oponga a mi libertad. Sin duda, existen cohibiciones que nos impiden quitar la vida incluso a un soldado del enemigo, sean las consecuencias de tal acto o ya sea la clemencia ante esos estúpidos “irresponsables” que, conducidos por la condición de apatía generalizada, se alistaron al Poder. Sin embargo, cuando los guardianes de la legalidad me atacan, mi libertad vale más caro que sus, de todos modos innecesarias, vidas.

A pesar de tener armas, tanto a un nivel material como a un nivel de consciencia, el momento en que tuvimos que hacer frente a dos maderos armados, algo que ocurrió durante una tarea relacionada con infraestructura, estábamos insuficiente armados,—dentro del torbellino de las agobiantes condiciones de clandestinidad–, ya que, para ser exacto, tuvimos sólo una pistola. Por casualidad no iba armado y cuando sentí que los maderos se acercan traté de huir corriendo, hasta que finalmente me inmovilizaron.

Jamás olvidaré qué hermosamente sonaron los disparos mientras que yo desesperado reflexionaba que en breve se acabara mi libertad. Pero, la difícil decisión en favor de un enfrentamiento armado desde la posición claramente desventajosa la cual fue asumida por el anarquista Theofilos Mavropoulos, me ha liberado despertando en mi la rabia de libertad. Teníamos que escapar pasando por encima de sus cadáveres.

En la batalla de Pefki, mi contribución era agarrar el coche de maderos que luego he usado como arma, amenazando de arrollar bajo sus ruedas un policía que, sufriendo el exceso de fervor, intentaba bloquearme el camino. En todo momento yo me orientaba a la huida hacia libertad.

El resultado final de esa batalla enfurecida eran dos maderos heridos de gravedad, por lo tanto un coste que contribuyó a sembrar miedo en las filas del cuerpo mercenario de la Policía, pero tuvo también un grave precio para nosotros: lesión y luego captura del compañero.

Para mi personalmente, el hecho que mi libertad ilegal se haya ampliado por dos años más fue algo inestimable. Lo único de que me arrepiento es que en el período antes que me detengan no había logrado de cumplir mis expectativas, es decir agudizar la acción guerrillera y realizar tan deseada liberación de los compañeros de las cárceles de democracia. No obstante, he obtenido unas experiencias las cuales no cambiaría por nada en el mundo, he desarrollado unas relaciones que se forjaron creando una compañía armada que iba deambulando por montañas y ciudades preparando atracos y actos guerrilleros. He adquirido experiencias que voy a guardar como un tesoro para hacer las cosas aún mejor cuando estaré libre otra vez.

Nunca olvidaré lo atrapado que me sentí dos años más tarde, cuando armados hasta los dientes pero perseguidos estuvimos en una furgoneta, allí en las montañas de Macedonia Occidental, y no quisimos arriesgar la vida del rehén en una batalla con la policía. Condiciones llenas de contradicciones, opciones contradictorias.

En un mundo donde reina la sumisión frente a las armas policiales, solamente la amenaza de arma puede garantizar nuestra existencia. Es casi cierto que cualquier movimiento nuestro que fuera anotado, alguien se lo chivará a la policía. Entonces, el único modo de mantener segura la información sobre nosotros es tras someter con nuestra violencia el portador de ésta información. Con tal que ya está acostumbrado a seguir los órdenes de maderos va a obedecer, de momento, lo que le imponen los rebeldes. Hasta que su consciencia se reconcilie con la propuesta de resistencia y sea posible una relación antiautoritaria.

Si alguien se encuentra en esa posición difícil de obedecer la voz intensa que grita “¡atraco, manos a la cabeza!” y al mismo tiempo no tiene intención de colaborar con la represión, seguramente se dará cuenta que nuestra elección se debe a una necesidad y así se pondrá a nuestro lado sin agravar aún más esa situación tan tensa.

El mundo capitalista es un mundo en pie de guerra y todo aspirante a chivato ya había elegido por adelantado afilarse al bando de nuestros enemigos. Podemos comprender las elecciones de cada uno y ser clementes, pero el hecho de imponernos es lo mínimo que podemos hacer en momento en que hemos decidido de responder con guerra a la guerra.

Resulta poco realista la crítica sobre “las relaciones de poder que se generan durante un atraco o un secuestro”, ya que las relaciones del poder están ya en la mesa, presentes por todos lados. El dinero está guardado en las cajas fuertes vigilado por las armas policiales y cuando se saca una pequeña parte será para comprar artículos y “servicios”, es decir para perpetuar la cadena de esclavitud.

La única relación sin poder que pueda existir nace en las comunidades de lucha.

 

 

ORGANIZACIÓN Y ATAQUE

Naturalmente, el anterior análisis y relato no tendrían ningún sentido particular si no fueran acompañados por la proyectualidad de continuar la lucha con todos los medios y en todas sus formas. Porque las comunidades de lucha son constituidas por individualidades diferentes, con diferentes entre sí puntos de partida y motivaciones, pero que se juntan una con otra en la guerra contra el Poder. Es de ahí donde surge la deseada y necesaria multitud de opiniones pero también de medios de lucha.

Naturalmente, sigue abierta la apuesta de organización de guerra anarquista. Tanto respecto a la realización de más fuerte posible y más efectiva acción contra el enemigo, en cuanto al fortalecimiento de relaciones entre compañeros.

Organización que significa montar grupos y células de acción, sea según las experiencias comunes o ya sea objetivos o concepciones que estos tienen en común.

Acción que tiene que ver con la difusión de nuestras propuestas y nuestros valores y su conexión con otras formas de lucha, con el objetivo que toda lucha fragmentaria cambiara su enfoque de lo parcial a “lo todo”, de una particular condición de opresión y explotación a ese cautiverio generalizado engendrado por la civilización del Poder.

Acción que golpea el enemigo al fondo sin reconocer el dipolo “legal-ilegal”y que se niega a hablar el idioma del enemigo incluso cuando sabe cómo decodificarlo.

Acción colectiva, acción individual, acción directa. De las manifestaciones y las asambleas populares hasta los nocturnos sabotajes incendiarios, las bombas, los atracos y los asesinatos de órganos directivos del sistema.

En esta acción se forjan las relaciones de revolucionarios, toman forma de compañerismo y llegan a completarse en el concepto de solidaridad. En esta acción todo individuo se siente completo y vive en coherencia con sus sentimientos y su consciencia.

Por lo tanto, organización significa también superarse a sí mismo, significa autocrítica, ruptura, disolución y luego reconstitución a base de fundamentos y relaciones cada vez más superiores. Pero también significa coordinar las fuerzas hacia los objetivos que tenemos en común, buscando maneras de acoplar nuestras diferencias, de conectar de nuevo el terreno en que hubo grietas, de no olvidar nunca dónde y quién está el enemigo.

 

ATAQUE FRONTAL CONTRA EL  AUGE DEL DESARROLLO DE LA CIVILIZACIÓN DEL PODER

 Terminando, quería señalar una falta crucial de los enfoques de lucha. Nos centramos casi exclusivamente en la policía y la represión o en las instituciones políticas y económicas, mientras que el mundo del control total se está preparando en los laboratorios científicos sin vigilancia ninguna. Y mientras que los más pervertidos torturadores de animales en nombre del conocimiento y de la ciencia hacen experimentos sobre el control mental y no tienen escolta policial, al contrario que los políticos, ese tan señalado escaparate del sistema.

De verdad parece bastante fácil devolver al clero de tecnociencia un poco de violencia que ellos mismos engendran, pero muy pocas cosas se hacen con esta perspectiva. Este texto en que hablo sobre las opciones que hice, lo voy a concluir con una autocrítica respecto a esta omisión fundamental, entre estas cosas que siempre iba aplazando esperando el momento adecuado que nunca llegó. Mi objetivo es que los nuevos compañeros cubren los vacíos dejados por los que estaban antes. Considero esencial, más allá de lo simbólico, el sabotaje contra las infraestructuras tecnocientíficas de la civilización. Porque si examinemos por dónde van las investigaciones y quién las financia, nos demos cuenta que el capital poderoso y los principales mecanismos del Estado dirigen el desarrollo de las ciencias y de la tecnología para servir los fines del beneficio económico y del control social.

Se sabe que la industria se aprovecha de los logros científicos de lo más destructiva manera hacia la naturaleza y de lo más dolorosa hacia los animales y las personas. Empezando por la contaminación y sobrecalentamiento del planeta, pasando por la reducción de las formas de vida y terminando por la tortura del asfixiante encierro en las granjas de animales destinados para alimentación o para pieles, los seres humanos tampoco reservan un destino mejor para los de su misma especie. Nada más que violencia, dolor, explotación y muerte.

El potencial del método científico facilita el manejo social mediante la propaganda psicologizada, prepara el seguimiento generalizado a través de “los sistemas inteligentes” con cámaras telescópicas en los satélites e incluso incorporadas en los insectos-espías robotizados y, siguiendo el hilo del control mental, experimenta con cerebros de animales. Desarrollan los vehículos aéreos de bombardeo no tripulados que ya están sembrando la muerte en los regiones de conflictos militares y también los soldados-robot. Al mismo tiempo preparan la fusión de ser humano con máquina, un ideal tecnócrata en que la distancia entre el ojo y la pantalla y entre la mano y el teclado queda reducida a una conexión directa con el cerebro, de este modo permitiendo todavía más rápido desarrollo de esa superpotencia que es la tecnología. Un ideal que nada tiene que ver con la ciencia ficción porque ya existen laboratorios que “acogen” a varias especies de animales-ciborg  con implantes electrónicos en cerebros y existen infraestructuras universitarias que aspiran a preparan la gente moralmente y legalmente para que acepten la llamada singularidad tecnológica que unificará el ser humano con la máquina.

Esta realidad presenta un chantaje de lo más evidente que tenemos que concienciar: nosotros o ellos.

Y pienso que con el tiempo ese chantaje se hará sentir más y más por cada vez más gente, pero también nos volveremos cada vez más achacosos. Tenemos que actuar mientras que haya tiempo y ya nos hemos demorado muchísimo. El nuevo fascismo está aquí y no se impone: uno se lo puede comprar. Tenemos la obligación ante nosotros mismos de sabotearlo y de montar un poderoso frente en su contra, independientemente de nuestras diferencias ideológicas y teóricas.

Sin embargo, para combatir el complejo tecnocientífico tenemos que ajustarnos, tenemos que gozar de las nuevas tecnologías y usarlas en su contra. Como los Indios que no podían combatir los conquistadores europeos con sus arcos, los revolucionarios serán eliminados si no suban de grado y perfeccionan formas de su acción. Desgraciadamente, todo eso suena lejano pero está previsto que el futuro será aún más opresivo y agobiante y por lo tanto queda muy claro que no hay otro camino.

Junto con este llamado a la acción mando también un señal de solidaridad a los compañeros en todo el mundo que hicieron y siguen haciendo guerra contra el complejo tecnocientífico, el Estado y el Capital,  sea dentro o fuera de los muros de las prisiones.

Saludos revolucionarios a las células de redes internacionales del Frente de Liberación Animal (ALF), el Frente de Liberación de Tierra (ELF), el Frente Revolucionario Internacional (FRI) la Federación Anarquista Informal (FAI), la Conspiración de Células del Fuego y a todos los grupos y organizaciones, tanto los que firman como anónimas, que no forman red global de células pero–independientemente si estoy o no de acuerdo con sus puntos de vista—siguen apostando por la resistencia, la insurrección y la revolución.

Giannis Mihailidis

Cárcel de Koridallos

 

Postdata 1. En el momento en que se publica este texto, el prisionero anarquista Kostas Sakkas está en huelga de hambre (a partir del 4 de Junio). Me declaro solidario con la lucha que lleva a cabo el compañero para reclamar a su propia libertad. Es necesario tomar acción para impedir la estrategia exterminadora del Estado contra el huelguista.

Postdata 2. Desde muchos días se lleva a cabo una cacería brutal para dar con los fugitivos de la cárcel de Trikala, es decir con las personas que se atrevieron a burlarse de las medidas de seguridad carcelarias, mostrando que no hay nada que sea imposible. Su espíritu combativo y la firmeza con que defienden su libertad, nos regalaron unas sonrisas de lo más verdaderas. Suerte, hasta la destrucción de la última cárcel, hasta que todos seamos libres.

Postdata 3. Las barricadas de todos los rincones de la Tierra calientan nuestras corazones.

 

Notas de traducción:

1. No pudimos encontrar el fuente de este extracto ya que más probablemente el nombre del autor está mal escrito.

Grecia: Carta de preso anarquista Giannis Mihailidis