24 dicembre 2001: Horst Fantazzini muore nel carcere di Bologna

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(24 dicembre 2001: Horst Fantazzini muore nel carcere di Bologna)

 

Mercoledì 19 dicembre alle 13… vengono arrestati 2 individui nei pressi di una banca di Bologna, con l’accusa di tentata rapina aggravata.
Pare che i due siano stati fermati a bordo di due biciclette e che fossero in possesso di due taglierini, guanti di lattice e un paio di collant.
I due sono Carlo Tesseri e Horst Fantazzini.
Poche ore dopo, gli sbirri perquisiscono le case in base all’articolo 352, applicato in casi di flagranza di reato e sequestrano libri, riviste, volantini, adesivi ed altro materiale di propaganda anarchica, oltre a lettere personali, agende, un computer e denaro in contanti.
Dopo 32 anni di galera, Horst, aveva ottenuto da qualche mese la semi-libertà, con fine pena nel 2022.
Carlo era stato liberato nel mese di luglio dopo 7 anni di carcere. Compagni anarchici che vivono una vita all’insegna della ribellione e della passione per l’anarchia, all’inseguimento di una vera libertà.

Ultimamente i media si erano interessati – piuttosto miserabilmente, come al solito – alla storia di Horst trasformandola in una storiella di cronaca rosa e facendone un film.
Davanti al gip che ha confermato gli arresti, i due compagni si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Horst e Carlo non hanno potuto ancora avere colloqui.
I pochi giornali che hanno parlato dell’arresto lo hanno fatto secondo il solito odioso e miserabile copione dell'”anarchico romantico” arrestato durante l’ennesimo colpo.
Nessuna parola sulla persecuzione che aveva subito e men che meno su Carlo (tra l’altro entrambi inquisiti dal pm Antonio Marini nella maxi inchiesta e susseguente maxiprocesso per banda armata ai contro una settantina di persone).
IERI, domenica 24 dicembre, ci arriva per telefono la notizia che Horst è morto.


PER HORST

Sabatino

Horst non è “un ingenuo che non è stato capace di essere generoso con se stesso” come una compagna ha affermato. L’ingenuità è uno stato di incoscienza che non è mai appartenuto al bagaglio ideale ed alla coerenza del suo essere anarchico, tutt’altro. Tanti possono definirlo poeta, scrittore, pittore, io penso che è semplicemente un’intelligenza viva che riesce ad avere una visione critica, costruttiva, comunicativa, come pochi altri possono permettersi; in lui tutto è naturale, spontaneo, umano, ricco di quella ricchezza interiore che lascia stupiti tutti.
Personalmente ho avuto il piacere ed il privilegio di conoscerlo nel 1974. Lui arrivava dal carcere di Sulmona dopo una tentata evasione che gli aveva procurato una frattura, per cui fu trasferito al centro clinico del carcere di Perugia dove ci conoscemmo.
Sull’ingessatura che immobilizzava la sua gamba aveva scritto: “free…free…free….I want to be free” la cosa mi colpì molto e non avendo nozioni di lingua inglese gli domandai il senso di quella scritta e da allora tutti i giorni andavo a fargli compagnia, in quelle occasioni conobbi anche Libero(suo papà). L’opportunità non andò per le lunghe, in conseguenza di una protesta fui trasferito a San Gimignano, persi quasi del tutto i contatti con Horst, qualche cartolina per salutarci, le nostre strade si divisero ed ognuno visse il dramma delle carceri di rigore e dei manicomi giudiziari. Nonostante la brevità di tempo, quest’uomo che ingenuo non era,fu capace di imprimere con il confronto quotidiano, il seme dell’Anarchia nella mia coscienza ideale. Un patrimonio prezioso che ancora oggi conservo con cura, aldilà delle contraddizioni che in certi momenti vivo.
Non intendevo parlare di me, ma ho dovuto accennare a degli episodi per spiegare meglio la conoscenza del carissimo compagno Horst.
Umanità e coscienza politica non si possono scindere altrimenti è un fallimento ideale ed umano dell’individuo. Aldilà della retorica posso affermare, senza paura di essere smentito, che Horst appartiene a quella schiera di uomini coraggiosi, intrepidi, sensibili, idealisti, coerenti e coscienti della propria forza, delle proprie ragioni e principalmente delle proprie azioni, anche sapendo di dover pagare un prezzo troppo alto, è stato indomito, mai un cedimento, mai un compromesso ed io per questo lo ammiro e gli dedico un mio pensiero.
La vita è un gioco, giochiamoci la vita.
Ognuno gioca la sua partita nel modo che ritiene più opportuno. Tanti per paura di perdere quello che “hanno” rinunciano al gioco ed inermi assistono in modo passivo, altri con molta cautela giocano cercando d’imitare l’avversario per farselo “amico” ed emulare le loro nefandezze, pochi giocano d’azzardo con la coscienza di sapere anche di poter perdere. Perdere non vuol dire uscire sconfitto dalla contesa, non dipende dalla volontà o incapacità soggettiva.
Il gioco è duro, l’avversario è spietato, crudele, baro, bisogna stare molto attenti per prevenire ed evitare il bluff! In ogni modo vale la pena di rischiare, in gioco c’è l’essenza della propria dignità esistenziale racchiusa nella convinzione ideale del concetto di libertà e del profondo senso umano di fraterna solidarietà.
Giocare d’azzardo vuol dire essere vivi, palpitanti, partecipi anche se contro corrente in questa società prevaricante, oppressiva, discriminante, assassina, che vuole tutti allineati, ubbidienti, sottomessi al potere di pochi criminali che si arrogano il presunto diritto di voler governare gli altri; il loro unico scopo è la salvaguardia dei privilegi acquisiti con il terrore, la meschina potenza delle armi, il dominio psicologico delle menti. Il rischio dell’azzardo nasconde subdole e striscianti insidie, quasi sempre si paga un prezzo troppo alto, ciò è prevedibile, nonostante tutto, qualcosa dentro di te ti da quell’energia necessaria, quella convinzione profonda di difendere i tuoi diritti “costi quel che costi”.
L’azzardo è quel senso di responsabilità verso se stessi, quella sicurezza della convinzione che si irradia investendo tutto quello che ti circonda, è la coscienza dell’essere di quello che si vuole, con la forza ed il coraggio di spendere tutte le tue energie per la realizzazione del fine preposto.
Unico, vero uomo con il coraggio della consapevolezza di restare bambino per una società diversa, tutta colorata, irradiando il mondo con un sorriso e le tue mani tese….


Per Horst

Valeria Vecchi

“ormai è fatta”, davvero…
per tutta la libertà che ti hanno negato
per quella che non siamo riusciti a darti
per quella che non hai riconosciuto….
senza rimorsi e rimpianti…..
il mio cuore
vola alto come un falco quando ti penso…


Ricordando Horst Fantazzini

Pino Cacucci

Avevo sperato di conoscerlo, finalmente, il giorno in cui a Bologna uscì “Ormai è fatta”, il film tratto dal suo libro autobiografico. Ma ancora una volta, l’ennesima, per Horst Fantazzini non si volle concedere ciò che per altri sarebbe stato normale: neppure quel paio d’ore pomeridiane da trascorrere in una sala cinematografica, godendosi almeno una soddisfazione in un’intera vita agra.
Enzo Monteleone decise di girarlo dopo aver trovato il libro “per caso” (ma esiste il “caso”?) su una bancarella dell’usato o dell’invenduto… E lui, come anche Stefano Accorsi, aveva conosciuto Horst andando a trovarlo in carcere per discutere dei mille dettagli del film in progettazione, e me ne parlò come di un uomo di profonda dolcezza e istintiva simpatia, con cui si era instaurata una collaborazione immediata, schietta, amichevole.
Io, invece, “Ormai è fatta” l’avevo letto praticamente appena era stato pubblicato, e anche qui per i “casi della vita” (sempre pensando che forse il “caso” non esiste), lo leggevo nello stesso periodo in cui conoscevo suo padre Libero, quando mi trasferii a Bologna e presi a frequentare il Cassero di Porta Santo Stefano, dove il “vecchio” Fantazzini era una presenza costante assieme alla compagna Maria, coppia che ai miei occhi di ventenne ancora colmo di entusiastici propositi, appariva a dir poco “leggendaria”… Ricordo però che Libero non parlava volentieri di Horst, e quando lo faceva camuffava l’amarezza e la malinconia con qualche frase un po’ burbera, lui che era sempre così bonario e disponibile con chiunque e in qualunque situazione… Horst, ai suoi occhi di ottantenne che aveva afferrato la vita per le corna senza rassegnarsi a nessun destino che non fosse quello da lui scelto, faticava non poco ad accettare il “destino” di un figlio finito sulle prime pagine come “rapinatore gentile” quanto scalognato, e sicuramente al vecchio partigiano, al combattente anarchico che andava fiero del proprio passato e lottava contro un presente saccheggiato dai cialtroni di sempre, bruciava troppo quel tono patetico con cui certa stampa dipingeva il figlio a cui non ne andava bene una, e che continuava a tentare evasioni impossibili ottenendo soltanto un accanimento feroce e ottuso, comunque spietato e violento come Horst non era e non sarebbe mai stato. Da vecchio padre, poi, chissà che strette al cuore ogni volta che vedeva quella copertina di “Ormai è fatta”, con Horst crivellato di pallottole e coperto di sangue dopo la fallita fuga da Fossano…
L’uscita del film fu l’occasione per una iniziativa di solidarietà all’uomo divenuto l’emblema di un caso giudiziario abnorme e abominevole: persino i pluriomicidi non trascorrono più di trent’anni in carcere, e quella sera Stefano Accorsi, che ha interpretato il giovane Horst, e Francesco Guccini, nel fugace ruolo del padre Libero, parteciparono non come attori del film ma come cittadini indignati contro quell’accanimento di una giustizia ingiusta. Ma, come si leggeva nel retro di copertina del suo racconto autobiografico, la domanda è se “una società ingiusta può emettere condanne giuste”…
Alla fine (e non immaginavo fossimo così vicini alla “fine” di questa storia), Horst l’ho potuto abbracciare soltanto pochi mesi fa, quando aveva ottenuto la semicarcerazione (perché passare la notte in galera non è “semilibertà”, la libertà o è tale o non è, non ci sono modi per spezzettarla e frammentarla), e in poche ore mi ha confermato ciò che già immaginavo: avevo di fronte un uomo che era riuscito straordinariamente a mantenere intatta la dolcezza d’animo, malgrado trentaquattro anni di prigionia, di sogni calpestati, di folli imprese al limite del suicidio, di rivolte disarmate e pestaggi vigliacchi, di mille ingiustizie enormi o piccolissime, ma non per questo meno brucianti, compresa quella che gli aveva impedito di vedere il “suo” film, fosse stato anche con gli schiavettoni ai polsi e due guardie ai lati…
Quando è tornato dentro per l’ultima – mancata – impresa sgangherata, con l’umiliazione di apparire più patetica che criminosa, la categoria di cinici e superficiali che vanno comunemente sotto la definizione di “benpensanti” hanno malpensato: “Visto? Era e resta irrecuperabile…”. Ma chi potrebbe mai giudicare il gesto di un uomo che ha subìto trentaquattro anni di non-vita senza aver mai tolto la vita a nessuno?
E adesso che il cuore di Horst si è fermato, penso che i cuori dei ribelli, chissà, forse continuano a battere nei cuori degli altri ribelli che restano e dei ribelli che verranno… Perché nessuno muore mai del tutto finché c’è qualcuno che lo ricorda, finché resta viva la memoria di quei battiti affidati magari a un libro, a un film, ma soprattutto a quel sorriso dolce e un po’ venato d’amarezza, il sorriso di chi non si rassegna e sogna ancora, malgrado tutto, malgrado il mondo che ci ritroviamo attorno…


Per Horst

Coordinamento Anarchico Genovese, Comitato Anarchico di Difesa e Solidarietà

Horst Fantazzini ha cessato di esistere. La notizia è di qualche giorno fa, arrivata per telefono o per mail, e circolata tra tutti noi, compagni anarchici e non, antagonisti e refrattari.
In questo momento non ci interessa in modo particolare soffermarci sulle ipotesi o voci di un possibile o probabile pestaggio di cui sarebbe stato oggetto Horst e che ne avrebbe determinato la morte.
In questo momento ci interessa manifestare la nostra solidarietà a Carlo Tesseri (arrestato il 19 Dicembre insieme ad Horst), ancora una volta e solo dopo pochi mesi dalla sua scarcerazione ultima, rinchiuso in un infame galera di stato; in questo momento ci interessa ricordare Horst come refrattario, ribelle, anarchico, uomo alla ricerca della libertà. Costi quel che costi.
Non dobbiamo rivendicare nulla di particolare. Horst ha fatto le sue scelte, molte delle quali sostenute a caro prezzo e al di là di qualsiasi becera illusione ipotetica di una giustizia democratica dal volto umano.
Saluti a Horst solidarietà a Carlo! Lo Stato, ancor più oggi nella modernità democratica e atroce delle necrotecnologie e necroscienze, non può accettare che i suoi pilastri e le sue regole vengano messi in discussione.
Dalla diffamazione alle fandonie, dalle infamie ai pestaggi, dal controllo elettronico e mass-mediatico alla repressione brutale e generalizzata sino all’esercizio del diritto-arroganza di sopprimere anche fisicamente, se necessario, qualsiasi tentativo di ribellione e atto di dignità.
La società-stato e la società-carcere sono l’espressione devastante e terribile di un mondo già reso propriamente invivibile. L’opzione unica e irrinunciabile che può alludere alla libertà, necessaria e urgente più che mai adesso, ancora una volta è e rimane la rivolta: aperta, diffusa, generalizzata. La rivolta che si chiama azione diretta oltre qualsiasi soglia o barriera illusoria e dissuasoria di tutte le opzioni nefaste e nefande sul buon governo dell’umanità!

Per l’anarchia!

NO CARCERE – NO STATO – NO CAPITALISMO


HORST, UNA VITA PER L’ANARCHIA

Croce Nera Anarchica
Gruppo Anarchico per l’Azione Diretta Globale

In queste ore di rabbia e di angoscia per la morte del compagno Horst Fantazzini, molte domande non trovano ancora risposte. Ci hanno detto che Horst è morto per arresto cardiaco. Ma qual è la causa di quest’infarto? Soprattutto chi ha fermato il suo cuore?
I suoi figli hanno notato dei lividi sul corpo. È stato un pestaggio o lo stesso ritorno in carcere a provocare la sua morte? L’unica certezza che abbiamo è che la morte di Horst non è altro che l’ennesimo assassinio di Stato perpetrato contro un anarchico che ha inteso vivere lottando senza sosta contro il capitale, contro le prigioni nelle quali ha vissuto metà della sua esistenza e contro qualsiasi forma di autorità. Per Horst era già stata pianificata la morte in carcere, visto che la sua condanna sarebbe terminata nel 2022, ma avevano già tentato di eliminarlo in passato, crivellandolo di colpi durante un tentativo di fuga. Il 24 dicembre ’01, dopo 32 anni di carcere, il nostro compagno è morto nelle loro mani, sequestrato nelle galere di stato!
Riteniamo diretti responsabili di questa morte i p.m. bolognesi Orso e Pescatore, nonché il direttore e tutti gli infami che lavorano all’interno del carcere della Dozza.
ASSASSINI DI IERI E DI OGGI, NON VI DIMENTICHEREMO.
Il nostro pensiero adesso è anche rivolto al nostro compagno Carlo Tesseri, anch’egli sequestrato nel carcere della Dozza, amico e compagno da sempre di Horst, arrestato insieme a lui il 19 dicembre, a cui sono tuttora negati i colloqui con i familiari. La sua compagna ha già chiesto al p.m. Orso un colloquio urgente che le è stato negato più volte. Stamattina (25/12) si è recata dal vicedirettore della Dozza, Candiano, il quale si è rifiutato di farle incontrare Carlo, rispondendo che la morte di Horst non era un motivo sufficientemente grave per concederle il colloquio.
Riteniamo sia importante stringerci intorno a Carlo, perché senta il nostro affetto e la nostra solidarietà.

LIBERTÀ PER CARLO.
LIBERI TUTTI.
FUOCO ALLE GALERE


Horst… senza perder tempo…

un anonimo anarchico “dall’altra parte del mondo”

ci conoscevamo da troppo poco tempo io e Horst… il tempo sembra sempre troppo poco quando non se ne ha più… di perso ne vedo alle spalle già troppo per passarne altro a compiangere… …ne starò qui a raccontare la storia di Horst perché la conosco frammentariamente e c’è chi l’ha vissuta cosi a fondo insieme a lui che raccontarla gli è naturale quanto la propria. E probabilmente gli sarà impossibile farlo senza ammiccare quel dolcissimo sorriso che ogni volta che li ho visti insieme volava dalle labbra di una e affiorava su quelle dell’altro…
… Horst picchiava sodo quando scherzava manescamente… lo faceva spesso quando siamo stati assieme, mi sono sempre detto che fosse perché aveva una gran voglia di contatto fisico con le persone… più o meno ingenuamente (non lo so) associavo questi modi al fatto che 30 anni e passa di carcere probabilmente generano bisogni spontanei di una emotività che io non ho mai conosciuto. Ma mi piaceva perché il primo pugno sullo sterno che m’ha rifilato poco dopo averlo appena conosciuto mi ha messo subito a mio agio.
E perché, scontato a dirlo parlando di Horst, era tutta vitalità… quella stessa che portano con se le/i ribelli di tutta una vita quando, a questa rognosa e mortifera società, decidono di fare la festa.
La stessa che non s’ammazza, non si reprime, non si tortura… la stessa che non si può rinchiudere dietro le sbarre di qualche porca galera di Stato.
Se trent’anni di carcere non bastano a spezzare un uomo, allora vuol proprio dire che non ci sono ne sbarre ne sbirri che tengano, la libertà spacca tutto, da la forza a un uomo di non tirarsi indietro, di non arrendersi, di non commiserarsi, di non martirizzarsi ne lasciarsi martirizzare, di non sentirsi sconfitto mai… la dignità tiene forte e non cede, ricominciando tutto daccapo con la tenacia di tutta una vita ancora da vivere, di tutto un mondo di galere, controllo, autorità e gerarchie ancora da distruggere… fino alle estreme conseguenze… giusto per iniziare.
Quelle/i come Horst non muoiono con le pantofole, addormentati davanti a un televisore rincoglioniti da una vita di rimbecillimento mass-mediatico, competizione e ipocrisia.
Non ne hanno il tempo. Piuttosto escono di casa in pantofole e bussano senza mazzi di fiori alla mano a uno dei fortini del capitale e, distraendo per un attimo gli automi affaccendati a difendere chi li sfrutta (scellerati, questi si, carnefici della propria dignità) dalla pietosa e piatta vita che conducono, tornano e torneranno a batter cassa e a riprendersi quel che è di tutte/i noi. Non tanto soldi, ne tantomeno potere, ne nulla del genere… Ma la vita stessa che dentro quei forzieri si tiene sequestrata, la vita di milioni di sfruttate/i ostaggio del capitale, la vita di milioni di morti in guerre che i proprietari di quei forzieri hanno manovrato e sui cui armamenti continuano schifosamente a lucrare.
Storia di morte, di sangue, di genocidi. Di controllo di immensi territori, ricchezze e risorse. Lo sapeva Horst, lo sanno ad esempio decine di migliaia di argentine/i che in questi giorni hanno bruciato le banche e il culo a parecchia di questa gentaglia, che pretende maldestramente di tener sotto controllo ciò che invece gli sta palesemente sfuggendo di mano. NOI.
Le banche non le alleggeriscono i romantici. Non le bruciano gli innocenti, i candidi della “via” democratica, non le sabotano gli sconfitti della rivoluzione ne i terzomondisti ne tantomeno i profeti dell'”attesa”o “del recupero” dell’altrui rivolta verso il dialogo e la conciliazione tra sfruttati e sfruttatori… purché ognuno al suo posto. Le banche le bruciano, le alleggeriscono, le sabotano, le rivoltano i/le rabbiosi/e, le/i colleriche/ci, gli/le impazienti, i/le ribelli. A Bologna come in Spagna, in Bolivia, in Argentina, in Brasile, in Grecia, in Albania, in Algeria, ecc…
Non è questione di attaccare i simboli del potere e del capitale come a qualcuno fa comodo farci credere. Riducendo tutto su un piano strettamente spettacolare… una mera questione di democratici antagonismi a suon di simboli in cui basta solo premere il tasto del telecomando per votare chi ha ragione e chi torto.
Se le banche che simboleggiano ricchezza e peccano di troppa opulenza o gli sfasciatori che simboleggiano poco più che un malcontento diffuso se non una semplice combriccola di morti di fame.
È questione di danneggiare, sabotare, truffare, espropriare concretamente in prima persona ciò che non è un mero simbolo ma un luogo concreto dove la rovesciante normalità di una vita in gabbia trascorrerebbe altrimenti solita, ridicola parodia di esistenze degne d’essere vissute mentre l’imperturbabile scandire di operazioni contabili internazionali tiene in ostaggio un mondo intero.
Attaccare il particolare nella sua concretezza, nella sua evidente vulnerabilità… non rincorrere una inesistente e fantomatica centralità del capitale e del controllo, sparlandosi addosso su come inutile o addirittura controproducente può essere NON aspettare di poter colpire (insieme a fantomatiche masse di “proletari”) il cervello globale stesso (il palazzo d’inverno da assediare) di questa miseria organizzata che è l’esistente… aspettando il momento strategico in pantofole davanti le immagini televisive di un susseguirsi incomprensibile (e pure un po’ fastidioso) di rivolte particolari, locali, a volte individuali… venduteci per attacchi di follia più o meno generalizzata, “impure”, sporche di violenza che ci raccontano come indiscriminata… fermi… in pantofole… tutt’al più scagliandosi contro la mancanza di rispetto dei diritti umani, delle regole democratiche e delle “libertà individuali”.
Una banca non simboleggia nulla più che un supermercato, una vetrina, una galleria del treno ad alta velocità, un ripetitore assassino, la macchina di un secondino (o il secondino stesso), la casa di un giudice (o il giudice stesso), un blindato dei carabinieri (o un carabiniere ste(s)so), gli uffici o i negozi di un impresa che lucra sul lavoro dei detenuti e delle detenute, un traliccio dove prima c’era preziosa macchia mediterranea, un manager della Novartis, un vivisettore, il cantiere per un inceneritore, un campo transgenico, un ministro o un ministero, un prete o una chiesa, un commissariato, una sede di partito, un seggio elettorale, una concessionaria o quel che a ciascuna/o meglio gli pare.
Si tratta di colpire le nocività. Ciò che ci controlla avvelena e reprime. Provocando danni, perdite. Dimostrando quanto tutto sia estremamente riproducibile e incontrollabile. Quanto piu diffusamente e anonimamente siamo capaci. Strategie, momenti, risorse differenti. Ognuno colpendo quel che più non tollera e non sopporta. Ognuna/o scegliendo i propri. Questo fa paura, questo getta nel panico sbirri, economisti, sociologi e pennivendoli. Perché questo non è can-can mass-mediatico. Non è rumore. È storia. la storia di chi si ribella, la storia di chi si rivolta, la storia di chi non lascia dormire in pace una società di cadaveri. E la storia non finisce. La storia di Horst e di tanti/e altri/e.
Horst non l’hanno spezzato con trent’anni di carcere. Non s’è arreso, non s’è fermato. Horst l’hanno dovuto ammazzare. Con l’ennesimo arresto, sbattendolo nell’ennesima cella, per l’ennesima volta. Non so se sia morto davvero di infarto, se lo abbiano soccorso o quant’altro… non cambia nulla.
Horst lo ha ammazzato lo Stato. Lo hanno ammazzato quelli che per trent’anni lo chiudevano a chiave dietro una porta blindata, non solo carcerieri… psicologi, assistenti sociali, medici, volontari, fornitori dei penitenziari, manutentori, esattamente come sbirri, politici e giudici… persone… esseri in carne ed ossa. Tutte direttamente responsabili dell’esistenza fisica stessa del carcere. E di questo schifo di società.
Assai più vulnerabili e minacciabili delle solide “democratiche” mura che ci rinchiudono. Tutte/i fuori e dentro le galere.

Non finisce qui.

Ciao Horst ti prometto che non perderò più tempo.


Testo letto da Pralina al funerale di Horst

29/12/2001

Queste sono poche righe davanti alla vita straordinaria di un uomo che non si è mai risparmiato, che non ha mai fatto calcoli, che non ha mai avuto paura davanti agli sbirri neanche quando gli sparavano addosso per ucciderlo, e non riuscendovi cercavano di seppellirlo in carcere, di disgregare i suoi affetti e la sua vita con mille ricatti e mille metodi coercitivi, ricatti affettivi squallidi… Horst non si è mai piegato davanti al potere, ha soltanto mostrato il suo lato tenero, il suo lato di bambino indifeso che urlava “IL RE È NUDO!!” e per questo suo lato l’ho amato disperatamente e noi tutti gli abbiamo voluto bene. Pur conoscendo la sua vita e la sua storia e non essendo sempre d’accordo con le sue scelte. Negli ultimi tempi, Horst aveva una voglia incredibile di avere una vita “normale”, la vita “normale” non è quella vita insulsa vuota da ogni tensione esistenziale, ma una vita che rendesse giustizia anche al bambino che era in lui, anche all’artista che era in lui, che usciva dopo 40 anni di carcere, e anche a me, che avevo subito tante pesanti umiliazioni ma non per questo piegata o doma, e che per questo potevo comprendere più di tutti la condizione di disgregazione familiare e di carcerazione umana che va ben al di là dell’istituzione carcere.
Questi 5 anni per noi sono stati certamente difficili, ma belli, pieni di tensioni; il rapporto con Horst era di assoluta sincerità, come diceva lui “tu sei la persona più pulita che io abbia mai conosciuto ed io ti voglio bene come un padre, perché per me sei proprio come una bimba”; il rapporto con Horst era di grandissima sensualità, di erotismo, di gioco, di pazzia, di progetti da realizzare, di amicizie da vivere, noi avevamo una bellissima casa immersa nel verde e ultimamente anche un cane, ma nessun lusso né agio, la nostra bella casa costruita per lui da Libero che lui chiamava “il nostro nido” aveva problemi urgenti e costanti di essere sistemata e questo lo sanno solo quelli che ci frequentavano, quei pochi che ci davano una mano per renderla vivibile. Per la mancanza di soldi i lavori procedevano a rilento e alcune volte “riciclavamo” i mobili dall’immondizia, ma noi eravamo felici. Eppure, con mille problemi, qualche piccolo lusso ce lo concedevamo senza chiedere niente a nessuno. Niente di più e niente di meno di qualche pranzo o qualche cena, Horst era stanco di mangiare la sbobba schifosa del carcere…
Siamo stati dignitosi in tutto, e ci siamo voluti un bene immenso, un bene vero, che non si può neanche quantificare. Questo era sicuramente il nostro momento più difficile: Horst usciva dal carcere alle 6 del mattino per andare a lavorare con il buio e con il freddo; lavorava in magazzino con la giacca addosso per ripararsi dal freddo, aveva dei problemi di salute abbastanza seri che non aveva raccontato a nessuno (poiché quando un semilibero sta male… deve tornare in carcere), tornava a casa per trascorrervi appena tre ore, tornava in carcere rigorosamente per le 10 di sera con qualsiasi tempo, dormiva appena due o tre ore per notte, perché nelle sezioni semiliberi ci sono molti problemi. Era molto stanco, sofferto, dimagrito, e soprattutto dormiva pochissimo.
Eppure, anche in questa condizione (che alla maggior parte dei compagni era oscura), c’era un po’ di spazio per noi. Allora le piccole cose quotidiane, preparargli un caffè, cuocergli un piatto di tagliatelle con il ragù fatto in casa, acquistavano il significato di casa vera, di vera famiglia.
Gli dicevo, ora che abbiamo lottato tanto per farti avere la semilibertà e che stiamo aspettando la grazia, se tu facessi qualche altra stupidaggine non solo butteresti nella merda le poche persone che hanno creduto in te, ma rovineresti tutto.
Ma evidentemente la tensione per la libertà in lui era troppo forte, e un giorno senza farmene partecipe mi ha messo davanti al fatto compiuto. La telefonata del suo avvocato, una bastonata sul collo mentre tornavo in treno a casa con un assegno in tasca. Avevo appena venduto due ritratti, ero felice perché lui mi spronava a disegnare, ma anche perché dietro quella commissione c’erano speranze concrete per entrambi…
Io non giudico lui e il suo gesto fragile e in fondo ridicolo ma questo sistema di merda che non ha saputo offrirgli altro che un duro lavoro in magazzino alla sua età (62) e ancora tanti anni di carcere davanti.
Il dolore che sto provando, davanti a una fine così ingiusta, così assurda, ma così “normale”: dato che in carcere ci vanno soltanto i poveracci…non potete neanche immaginarla.
Restano piccole e grandi umiliazioni, mai perdonate e mai dimenticate, che un giorno renderò veramente pubbliche.
Horst, il mio dolce e buffo Horst, è volato via per sempre e non tornerà mai più in nessun carcere. Ti porterò per sempre nel mio cuore e onorerò per sempre la tua memoria, il tuo coraggio, le cose che hai scritto, quelle che hai detto, la voglia che io diventi una grande artista. E insieme la memoria di mamma Bertha, di Maria, di Libero, con amore. Grazie Anna 1 e 2, grazie Loris, grazie Luigi, ti voglio bene Jacopo. Grazie avvocati che avete creduto in noi e che ci siete stati amici. Grazie a tutti gli amici e amiche che ci sono stati vicini. Liberi tutti!. Viva l’Anarchia!!
Ciao topolino!!
La tua Pralina Fantazzini


Ricordando… Horst Fantazzini

Umanità Nova, n. 1, 13 gennaio 2002

LIBERI TUTTI. Con questo striscione che ne precedeva il carro funebre, Horst Fantazzini ha lasciato i compagni, le compagne, amici e parenti.
Si è svolto sabato 29 dicembre il funerale in forma a-religiosa. Presso il cimitero della Certosa di Bologna si sono riunite oltre 200 persone, in massima parte compagne e compagni anarchici. Nella sala del Pantheon si è svolta la cerimonia di commiato dove hanno preso la parola Patrizia, Chiara, Giorgio, Sabatino, Salvatore, Laura e Walter, ognuna ed ognuno con un ricordo di Horst. Si è poi formato un piccolo corteo che ha accompagnato per un breve tratto il carro funebre, con le note di “Addio Lugano bella” prodotte dalla fisarmonica di Gloria e dalla tromba di Giorgio e lo striscione “Liberi tutti” che apriva il corteo. C’era anche lo striscione dei compagni del Movimento Anarchico Fiorentino “né stati, né religioni, né servi, né padroni”. C’erano tante bandiere ed ovviamente anche quella della Federazione Anarchica Bolognese che suo padre, Alfonso “Libero”, aveva lasciato ai compagni.
Horst è morto il 24 dicembre intorno alle 20 a causa di un aneurisma addominale. La morte lo aveva colpito nel carcere della Dozza dove dimorava ormai da due anni. Ma la sua condizione di detenuto era cambiata. Dopo un breve periodo di semilibertà, di vita seminormale, da alcuni giorni era tornato ad essere un detenuto a tempo pieno, un rapinatore “gentile”, un bandito dalla società. Il 19 dicembre, infatti, era stato arrestato assieme a Carlo Tesseri, in fondo a via Mascarella con l’accusa di aver tentato una rapina alla Banca Agricola Mantovana.
Al diffondersi della notizia della morte di Horst si sono diffuse le voci più varie, anche quelle di una sua morte “incidentale”. L’autopsia che si è svolta alla presenza di un medico di parte nominata dai figli Luigi e Loris e le testimonianze di alcuni reclusi, hanno fugato ogni dubbio e preoccupazione. Horst è stato subito soccorso e rianimato ma un secondo, fatale attacco, lo ha stroncato. Una morte banale ma una fine dignitosa di una vita in cui la dignità con la quale ha affrontato mille traversie è stato il tratto caratteristico della sua figura.
È nota, soprattutto ai lettori di Umanità Nova, la sua vicenda umana. Giovane operaio alla fine degli anni sessanta mise in pratica le considerazioni di Bertold Brecht “è più criminale fondare una banca che svaligiarla”. Ma, contrariamente alle cronache rosa-nere che lo hanno reso famoso non fu mai un uomo della “mala”. Agiva sempre da solo o con pochi amici. Rispondeva sempre in prima persona del suo operato, non incitava altri ad emularne le gesta, non usava armi da fuoco e prendeva ciò che riteneva “strettamente necessario”.
La sua lunga detenzione è iniziata nel 1973 dopo il suo tentativo di evasione dal carcere di Fossano culminato con il suo linciaggio da parte dei carabinieri del generale Dalla Chiesa. Questo fatto era stato da lui raccontato nel libro “Ormai è fatta” dal quale è stato tratto l’omonimo film proiettato in pochissime sale cinematografiche nell’estate del 1999. Aveva conosciuto le galere europee già diverse volte negli anni precedenti. Ma ha fatto 16 anni di carcere continuativo e senza permessi, fatto talmente raro da averne fatto un caso giudiziario. Aveva infatti ottenuto un permesso nell’inverno del 1989 e ne aveva approfittato per riprendersi un po’ della sua vita. Era stato nuovamente arrestato nell’estate del 1991 in un’operazione che aveva dato il via alle montature antianarchiche degli anni ’90. Da questo episodio la sua nomea di “terrorista” che ha portato molti giornali ad accomunarlo o addirittura ad affiliarlo alle Brigate Rosse. Proprio lui che, attivo partecipe di tutte le rivolte carcerarie, aveva combattuto non solo il potere dei secondini “di stato” ma anche quello dei secondini del “potere rosso” e, per questo, era stato oggetto di percosse da parte di detenuti istigati dal “fronte delle carceri”.
Un uomo libero, indomito fino alla fine. Una vita vissuta con dignità, una dignità che, alla fine, gli hanno dovuto riconoscere anche i forcaioli ed i borghesi. Se qualche ombra resterà sulla sua vita, questa sarà determinata esclusivamente dalla sua grande generosità.