Le dichiarazioni al maxiprocesso di Gabriela, Tobia, Antonio e Jacopo

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JACOPO BINDI

In questi anni il movimento No Tav ha insegnato a tutti noi cosa significa prendersi cura di un territorio e delle persone che vi abitano. Ci ha mostrato cosa significa, in un paese come il nostro, avere la testarda volontà di essere protagonisti delle decisioni sul proprio futuro. Ha rappresentato per tanti, uomini e donne, un esempio contro la rassegnazione ad un futuro di miseria e ingiustizia.

L’opposizione alla costruzione della linea ad alta velocità Torino – Lione è sostenuta con un ampio spettro di motivazioni da tecnici, economisti e accademici, abitanti della valle di Susa, studenti, famiglie e lavoratori di tutto il paese (ed Europa). Schematizzo queste motivazioni in pochi punti:

Poichè arrecherebbe un incalcolabile danno al territorio alpino della Valle di Susa, delle risorse idriche e della qualità della vita dei suoi abitanti.
Poichè si tratta di un’opera inutile, giustificata da un flusso passeggeri e merci basso (tanto da utilizzare la linea già esistente solo al 30% delle possibilità) e da previsioni basate su modelli di traffico che di scientifico non hanno nulla, ma si avvicinano piuttosto all’arte divinatoria o alla superstizione: la sperata crescita esponenziale del traffico non si è mai verificata, bensì abbiamo assistito ad una diminuzione complessiva delle merci e dei passeggeri da e per la Francia.
Poichè un’enorme quantità di risorse pubbliche (a seconda delle convenienze si dice da 8 a 22miliardi) verrebbe dirottata verso questo opera inutile e dannosa. Siamo in un periodo di crisi economica e tali cifre sono all’incirca il valore di un’intera finanziaria: tutta la popolazione di questo paese sta subendo i tagli all’istruzione, alle borse di studio, alla sanità e molti altri servizi pubblici. Quelle risorse si potrebbero impiegare per risolvere i problemi reali che affliggono questo paese.
Il movimento No Tav ha anche evidenziato il pericolo di infiltrazioni mafiose. Diverse inchieste, di cui l’ultima questa estate, hanno evidenziato la presenza di aziende legate all’imprenditoria mafiosa in Val di Susa e nel cantiere di Chiomonte.

La politica si è mostrata sorda a queste critiche, troppo interessata a mantenere questo progetto e far così gli interessi di pochissimi a scapito della maggior parte della popolazione. Questo spreco di risorse pubbliche viene imposto a tutto il paese, mentre i giovani della mia età devono arrangiarsi tra lavori precari e disoccupazione (perchè una soluzione vera non si riesce a trovare, le risorse non bastano mai), quelli con cui ho studiato all’università sono obbligati ad emigrare all’estero per poter avere un posto di ricerca (perché in Italia questo settore è pesantemente sottofinanziato).

Di fronte a questa situazione avrei potuto “badare ai fatti miei”, ma sono convinto che se, nella storia del nostro paese, non fossero esistite persone disposte a rompere il muro dell’indifferenza e dell’apatia oggi ci troveremmo in un mondo di gran lunga peggiore.

É per questo che il 27 Giugno ero a Chiomonte con tanti e tante No Tav, dalla Val di Susa e da fuori, condividendo lo spirito e le motivazioni della protesta. Le forze dell’ordine sono arrivate al mattino molto presto, in grande numero. La pinza meccanica ha cominciato ad operare a pochi centimetri dai corpi dei manifestanti. Dopo poco sono iniziati fitti lanci di lacrimogeni, provenienti da tutte le direzioni. Sul piazzale l’aria è diventata presto irrespirabile: donne, uomini, anziani e bambini, tutti ugualmente asfissiati dai gas lacrimogeni. Nel frattempo la polizia ha cominciato ad avvicinarsi al piazzale brandendo i manganelli e scortata da imponenti mezzi meccanici. La situazione era piuttosto caotica, confusa e non mancava certo molta paura. Ho vissuto, e penso tanti altri, quella situazione come un atto di prevaricazione e per questo ho provato molta rabbia. Non ho badato molto a ciò che facevano gli altri intorno a me e penso che ognuno abbia reagito a modo proprio. Nell’agitazione e rabbia del momento ho istintivamente raccolto una pietra, senza poi farne niente. Ci siamo quindi allontanati, ancora inseguiti dalle forze dell’ordine, dai manganelli e dal fumo dei lacrimogeni, tramite l’unica via di fuga presente: i sentieri che conducono alla frazione Ramat.

GABRIELLA AVOSSA
Sarò brevissima:
Non sono io quella delle fotografie che vengono attribuite alla mia persona. Ma il 27 giugno 2011 io c’ero.
C’ero anch’io a difendere quella che per 40 giorni abbiamo chiamato ed è stata la Libera Repubblica della Maddalena. Mi assumo e rivendico appieno il significato di tutte quelle indimenticabili meravigliose giornate.
Non starò a illustrare in questo luogo i mille buoni motivi che spinsero e spingeranno sempre tante persone come me tra quei sentieri. Perché è evidente che in questo bunker si parla un’altra lingua, che si difendono interessi di tutt’altra natura. Non è quindi la sede per descrivere quanta forza e gioia possa restituire l’aver partecipato anche solo a una di quelle giornate di Resistenza.
Perciò concludo: il 27 giugno 2011 c’ero anch’io e ne sono fiera, e mi riconosco in ogni singolo atto messo in campo in quei giorni di splendida Resistenza.
Tutte libere, tutti liberi!

–CONTINUA DOPO IL VIDEO

TOBIA IMPERATO

Siamo giunti alla fine di questo dibattimento. A voi non resta che giudicarci secondo le norme del codice penale.
Nonostante abbiano un soggetto, il legislatore, tanto impersonale quanto irraggiungibile – quasi un dio infallibile dispensatore di giustizia -, in realtà i codici non sono altro che una banale creazione umana. Non solo la loro compilazione, ma anche la loro interpretazione e applicazione non sono altro che semplici azioni umane.
La giustizia, quella vera, si sottrae alla norma e non potrà mai essere codificata. Appartiene alla sfera dei valori e solo il giudizio storico – una volta che le passioni del presente saranno sopite – decreterà, attraverso il comune senso civile, se la vostra sentenza sarà stata o meno giusta.
In quest’aula sono state delineate due visioni diametralmente opposte dei medesimi eventi.
Una – quella della procura – che vede centinaia di agenti violentemente aggrediti e feriti nell’adempimento del proprio dovere.
L’altra – quella che noi e le nostre difese abbiamo esposto – racconta di un movimento popolare pacifico aggredito brutalmente senza che avesse messo in atto nemmeno il semplice reato di disobbedienza civile. Sì, perché noi siamo stati violentemente attaccati mentre eravamo pacificamente attestati in un luogo in cui non solo avevamo il diritto di rimanere ma di cui avevamo persino pagato il suolo pubblico. Un’area che era al di fuori – e lo rimane tuttora nonostante le recinzioni illegittime che ne inibiscono l’accesso – dall’area destinata al cantiere.
Non solo quindi il 27 giugno alla Maddalena le forze dell’ordine effettuarono un’azione illegale, da tutti noi percepita come tale, ma la fecero con altissimo disprezzo per la salute di chi si trovava di fronte.
Io non temo di essere retorico affermando che quel giorno lo Stato italiano intraprese una vera e propria guerra chimica ad alta intensità contro i propri cittadini.
In questi ultimi anni si è parlato molto di CS, il gas espulso dai lacrimogeni di cui è vietato l’uso bellico dalle convenzioni internazionali. Proibito nella guerra fra stati ma ammesso nella guerra interna contro i propri cittadini che dissentono.
In Italia il primo uso massiccio di questo gas si ebbe nel 2001 a Genova contro i manifestanti che contestavano il G8. E tutti sanno della riprovazione a livello internazionale di cui fu oggetto la polizia italiana per come fu gestito in quei giorni l’ordine pubblico. Numerose testimonianze già allora descrissero quanto questo gas fosse micidiale, causando svenimenti nausea vomito problemi respiratori infiammazioni oculari irritazioni cutanee. Gli studi medici ci dicono che una forte e prolungata esposizione potrebbe creare danni permanenti a occhi polmoni stomaco fegato cuore reni e persino provocare aborti. E non si conoscono ancora le conseguenze nel lungo periodo, conseguenze cui patiranno non solo coloro che ne sono stati colpiti ma anche agli agenti che ne hanno fatto largo uso. Non a noi, quindi, dovrebbero rivolgersi i loro sindacati. Come ha insegnato la vicenda delle bombe all’uranio impoverito, gli apparati statali si disinteressano non solo della salute dei propri cittadini ma persino di quella dei loro servi.
Ebbene, io ho partecipato alle giornate genovesi e vi posso dire in tutta tranquillità che – sotto questo profilo, confrontate alle giornate della Maddalena – furono meno traumatiche. In Val Susa – nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio 2011 – la quantità e la concentrazione di CS fu enormemente più alta. Fu decisamente la più massiccia da quando questo gas è in dotazione alle forze di polizia in Italia.
Chi diede l’ordine di accerchiare la libera repubblica della Maddalena e, come in una tonnara, gasare tutti i presenti, precludendo ogni via di fuga e gasandoli anche tra i boschi dove avevano cercato scampo e riparo? I dirigenti sul posto, dai nomi secretati in questo processo? Il questore? Il prefetto? Il ministro degli interni? Il presidente del consiglio?
Contro di noi, in questo procedimento, si sono costituiti come parti civili reclamando il risarcimento dei danni subiti, ben tre ministeri. Ebbene, io dichiaro apertamente che non sono loro le parti lese, anzi dovrebbero rispondere alla comunità per il grave attentato commesso alla salute di tutti i cittadini presenti a Chiomonte in quelle due giornate, per averli proditoriamente sottoposti per ore all’esposizione di gas venefici.
Ora, pare che la legislazione italiana consideri il CS arma non-letale con effetti reversibili e ne consenta l’uso da parte della forza pubblica. Ma l’uso di uno strumento di dissuasione coercitivo dovrebbe essere sempre effettuato con moderazione e con dei limiti ben precisi. Come una mano può non essere letale in un semplice schiaffo, la stessa mano può diventare letale se strozza alla gola. E’ della cronaca di questo periodo come a Ferrara l’uso spropositato di uno strumento ordinario in dotazione agli agenti di pubblica sicurezza, il manganello, abbia condotto a morte il giovane Federico Aldovrandi o come un altro strumento frequentemente usato nelle strutture psichiatriche, il letto di contenzione, abbia barbaramente assassinato il maestro salernitano Francesco Mastrogiovanni.
Questo uso incontrollato esagerato e spropositato di CS è all’origine della nostra reazione. Era quello che serviva per trasformare con un colpo di bacchetta magica un movimento popolare pacifico ventennale in un’accolita di violenti.
Perché, solo dopo il 27 giugno e il 3 luglio 2011 – improvvisamente – il movimento NO TAV diventa un problema di ordine pubblico, tanto da originare summit governativi, relazioni di servizi segreti e dichiarazioni deliranti di ministri e uomini politici? Solo per giustificare il conseguente accanimento giudiziario? Per arrivare ad accuse di terrorismo per il lancio di petardi o a condanne di anni di reclusione per la sola detenzione e trasporto di artifici pirotecnici?
Chi ha decretato questo inasprimento di livello dello scontro? Il movimento NO TAV o lo Stato italiano?
La risposta è di una banalità sconcertante. Non potendo controbattere pubblicamente con valide argomentazioni le ragioni del movimento, lo si è volutamente criminalizzato. Non potendo convincere si è scelto di agire con la forza, per schiacciare il dissenso manu militari. Questa è la moderna democrazia che ci governa, una vera e propria democrazia totalitaria.
Noi in quelle due giornate fummo presi alla gola, aggrediti in maniera letale e ci siamo difesi.
Non lo neghiamo e non abbiamo paura di rivendicarlo.
Persino il codice riconosce la legittima difesa. Non credo abbia importanza – almeno sul principio – se chi offende veste una divisa e chi si difende no. Perché quel giorno, è evidente, la legalità non stava dalla parte di chi la difendeva.
E in cosa è consistita praticamente la nostra difesa di fronte ad un’aggressione chimica di tale portata? Nel gesto più semplice e naturale, quello di tirare dei sassi.
Quando andavo alle elementari ricordo che nel libro di testo vi era l’illustrazione di un ragazzino che scagliava un sasso contro dei soldati austriaci. E la didascalia ne parlava come di un eroe, autore di un gesto coraggioso che aveva innescato la sollevazione di tutta la città di Genova contro l’invasore. Era il Balilla. Solo più avanti scoprii che la sua figura era stata successivamente strumentalizzata in senso nazionalista dal fascismo. E ancora più avanti scoprii che molti altri sassi erano stati lanciati dalle folle in tumulto, come fece il popolo di Milano per chiedere il pane nel 1898, richiesta cui lo Stato sabaudo rispose con il cannone. Nella storia moderna i movimenti popolari hanno sempre usato questa forma di difesa, semplice spontanea diretta ed elementare.
Io sono fermamente convinto che siano stati proprio quei sassi – impugnati, in svariate lotte, dalle generazioni ribelli che ci hanno preceduto – a permettere alla società civile di progredire, a permettere l’affermazione e il riconoscimento di tutti quei diritti sociali e quelle libertà civili che ormai sono patrimonio comune acquisito. Diritti per la cui difesa e ampliamento dovranno essere gettati ancora tantissimi sassi.
Detto questo, mi auguro che ora la procura torinese non sequestri, per istigazione alla violenza, tutti i libri in cui compare l’immagine del ragazzino genovese.
Secondo il governo e le sue fonti informative di sicurezza il nostro movimento sarebbe ormai ostaggio di frange violente e la Val Susa sarebbe diventata una palestra per i violenti di tutta Europa. Come a dire che coloro che hanno tirato dei sassi, tagliato delle reti o gettato dei petardi nel cantiere sono altra cosa rispetto a coloro che per anni hanno animato il movimento NO TAV. E oltre a essere diversi, la maggior parte non sarebbe nemmeno composta da valsusini.
Nulla di più palesemente falso, perché in questa lotta tutti contribuiscono con le proprie capacità e possibilità. Non tutte le persone possono avere la prestanza fisica per arrampicarsi su per i sentieri, ma anche a chi resta indietro il cuore non cessa mai di battere all’unisono con tutti quelli che stanno tagliando le reti e sabotando i lavori.
E che il movimento abbia raccolto con simpatia la solidarietà di numerose persone che, anche con sacrificio personale, sono accorse in Val Susa a sostenere la nostra lotta è un dato di fatto. Se il 27 luglio – a difendere la Maddalena – eravamo per lo più piemontesi, il 3 luglio sono giunti da tutta la penisola per protestare contro l’aggressione subita, che da tutti era considerata un atto di forza ingiustificato e violento da parte dello Stato italiano. Se non vi fosse stato questo alto grado di coscienza collettiva non si sarebbe certo radunata tanta gente. La parola d’ordine “Assediamo il cantiere” e l’obiettivo di quel giorno, l’abbattimento delle recinzioni, erano stati ampiamente pubblicizzati e condivisi da tutti. Per questo le reti furono attaccate in punti diversi, non solo dalla strada ma anche dai boschi, per questo finita la manifestazione, la gente non se ne era andata ma era rimasta sul posto a incitare coloro che le buttavano giù.
E le forze dell’ordine ancora una volta sono ricorse alla guerra chimica, sparando migliaia di candelotti lacrimogeni, non solo su chi danneggiava le reti ma anche, proditoriamente, sugli inermi. E ancora una volta ci siamo difesi.
Fra noi non ci sono differenze. Noi siamo un’unica comunità resistente.
Si può resistere lanciando un sasso, sabotando le recinzioni e le attrezzature del cantiere, occupando un terreno, effettuando un blocco stradale, costruendo un presidio, intraprendendo un’azione legale, organizzando un dibattito o un volantinaggio e persino creando un gruppo di preghiera. E poi marciando tutti insieme.
Il nostro è un movimento che, per condivisione di idee e unità di popolo, è stato giustamente paragonato – anche se in altro contesto storico e con altri mezzi – a quello della resistenza al nazifascismo. Sì, perché in Val Susa lo Stato italiano sta pesantemente militarizzando il territorio, continuando a inviare truppe che sono percepite dalla popolazione alla stregua di un esercito invasore.
Più saremo attaccati, più ci mostreremo uniti. Un popolo, una lotta.
Per portare un esempio personale, io sono stato obiettore di coscienza e resto tuttora convinto antimilitarista. Mai avrei immaginato nella mia esistenza di marciare in corteo assieme agli alpini NO TAV e di ritrovarmi dopo a bere e a scherzare con loro. Questa è la magia del nostro movimento. Un movimento di popolo che supera ogni divergenza, rispetta ogni differenza, e si stringe come un pugno solidale abbracciando tutti quelli vi si ritrovano. Questo è il motivo per cui nessuno riesce a dividerci.
In questo processo si è parlato soprattutto di scontri, di agenti feriti, di manifestanti assetati di sangue. Chiunque abbia ascoltato le testimonianze degli agenti che hanno deposto si è reso conto di come molti di loro si siano accidentati da soli, per imperizia della montagna, distorcendosi cadendo o addirittura respirando il loro stesso gas, che i sassi dei manifestanti ben poco potevano contro caschi scudi e le robuste protezioni delle divise, che la maggior parte ha continuato il servizio fino alla fine per poi marcare visita e accorgersi delle “ferite” solo in serata. Quasi tutti i referti medici riportano prognosi brevi poi gonfiate a posteriori con presunte complicazioni. Lo stesso carabiniere, l’unico che il 3 luglio ebbe un contatto diretto con i manifestanti, che ha dichiarato in quest’aula di essere stato massacrato di botte, ne è uscito con una prognosi esigua di 10 giorni, segno evidente che le percosse ricevute erano di lieve entità. Non così è accaduto a Fabiano Di Bernardino, NO TAV arrestato nella stessa giornata e poi pestato brutalmente all’interno del cantiere, riportando ulna radio e naso fratturati. Due pesi e due misure della stessa procura torinese, noi sul banco degli imputati, archiviazione per i massacratori in divisa.
Noi non siamo fautori dello scontro a tutti i costi. Lo abbiamo accettato per legittima difesa ma non lo cerchiamo. Quello che ci interessa, ci anima e ci appassiona sono i momenti costruttivi di crescita collettiva della nostra lotta. Quei momenti in cui la storia si interrompe – anche se per un tempo brevissimo – e si può pensare e viversi in un mondo diverso, in cui condividere valori e speranze.
E uno di questi momenti è stato la libera repubblica della Maddalena, che è stata una vera palestra, non di violenza ma di democrazia. Non della democrazia rappresentativa in cui si delega il potere ad altri che poi ne abuseranno a piacimento, ma della democrazia reale, quella in cui tutto un popolo si confronta, discute, decide e agisce in prima persona.
Noi siamo un movimento che si oppone alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità che consideriamo inutile costosa e nociva.
Nociva per l’ambiente, che verrà devastato in maniera irreversibile, e per la salute degli abitanti della Val Susa e di Torino, che saranno esposti per anni alla contaminazione di polveri d’amianto e persino radioattive.
Inutile perché tutte le più elementari previsioni di traffico lo prospettano ampiamente.
Costosa perché così vuole il sistema clientelare dei partiti che è alla base ogni grande opera nel nostro paese. Opere progettate per impinguare le casse di vari gruppi finanziari, di potenti lobbies di costruttori, di partiti politici e associazioni mafiose. La corruzione eletta a sistema. Costoro non hanno alcuna remora, per i propri miserabili tornaconti di bottega, a sottrarre sempre più risorse alla scuola, alla sanità, alla cultura, alle pensioni, alla salvaguardia del territorio e ai servizi per i cittadini.
Di tutto questo – cioè delle ragioni e delle motivazioni degli imputati – in questo processo non se ne è voluto parlare. Come se le nostre ragioni – che dei tecnici competenti avrebbero ampiamente illustrato – non fossero attinenti al processo.
E nemmeno di ‘ndrangheta si è voluto parlare. Nonostante i giornali riferissero dei rapporti tra questa organizzazione mafiosa e le ditte appaltatrici del cantiere TAV di Chiomonte, proprio di quell’Italcoge che ha la faccia tosta di costituirsi parte civile contro di noi.
Mentre noi venivamo denunciati, arrestati, vessati da misure cautelari sproporzionate, la mafia – dietro i reticolati – sotto la protezione delle forze dell’ordine e dell’esercito italiano, in tutta tranquillità faceva i suoi affari asfaltando le strade all’interno del cantiere.
Gli svariati tentativi dei nostri difensori di introdurre questi elementi all’interno del processo sono sempre stati rigettati dal tribunale come non pertinenti. Si è deciso di fare in fretta e di chiudere gli occhi.
Solo dibattendo su queste problematiche il tribunale avrebbe potuto avere un quadro esaustivo della posta in gioco, per entrambe le parti. Invece abbiamo assistito a un processo contro più di 50 oppositori del TAV in cui non si è discusso né del TAV né delle infiltrazioni mafiose che lo accompagnano.
Qui si è preferito dibattere solo sulle distorsioni e sui lividi riportati dagli agenti per poi presentare il conto in pene detentive e pecuniarie.
Io credo che sia impossibile giudicare qualsiasi fatto se lo si estrapola dal contesto in cui è maturato. La stessa azione che in una data circostanza può essere considerata riprovevole, all’inverso, può presentarsi virtuosa in altro contesto.
Comunque le nostre ragioni – anche se non in quest’aula – sono ormai all’attenzione di tutto il paese. Una sempre più ampia fascia di persone sta cominciando a comprendere i meccanismi della truffa ad alta velocità della linea ferroviaria Torino-Lione. L’opposizione sta lentamente montando in tutta la penisola, e anche in Francia.
Per noi lottare contro questa devastazione che lo Stato vuole imporre alla Val Susa è anche una questione morale.
Noi abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di opporci.
Non riconosciamo la regola che ogni decisione presa dalla maggioranza degli eletti sia indiscutibile e irrevocabile.
Pensiamo che i cittadini debbano intervenire direttamente su ogni problema che li riguarda.
Abbiamo indicato un nuovo modello di democrazia, in cui le minoranze hanno pari dignità delle maggioranze e non accettiamo diktat da parte dello Stato.
E non ci fermeremo, nonostante la procura torinese continui a depositare decine di denunce nei nostri confronti, ipotizzando reati spropositati persino per episodi penalmente irrilevanti. Giustizia a tempo pieno e ad alta velocità solo contro il movimento NO TAV, che nelle aule di tribunale – a dispetto dei tempi lunghi – gode di una specifica corsia preferenziale.
Non abbiamo paura.
Noi, a differenza dei sostenitori del TAV, non abbiamo interessi particolari da difendere, non siamo qui seduti sul banco degli accusati per esserci illecitamente appropriati di qualcosa per mero tornaconto personale. Quello che ci muove è solo un’idea di giustizia. Noi siamo animati da alti valori etici e sociali.
Coloro che in una determinata epoca storica sono ritenuti pericolosi delinquenti e come tali sono incriminati e sanzionati dalla legge possono diventare gli eroi di domani. Molti sovversivi che vennero condannati e patirono lunghe pene detentive durante gli anni bui del fascismo poi furono considerati i padri della repubblica, tanto che uno di loro ne è diventato persino il presidente. Lo stesso è accaduto a Nelson Mandela.
Il movimento NO TAV – sia nel caso di vittoria, sia di sconfitta – sarà comunque riconosciuto dalle generazioni future come un modello eroico di resistenza.
Per quanto ci riguarda, attendiamo il vostro verdetto senza timore, come sempre, con serenità e determinazione, con la coscienza e l’orgoglio di essere nel giusto. Perché le ragioni sono tutte dalla nostra parte.
Il movimento NO TAV sta scrivendo la storia di questo paese.
E la storia vi giudicherà.

ANTONIO GINETTI

P R E M E S S A

Signor Presidente, prima di prendere la parola intendo fare una breve premessa con la quale le chiedo di poter parlare oltre che dell’oggi anche del mio passato.

I giorni del 26 e 27 gennaio 2012 il mio passato è stato utilizzato IN MODO DISTORTO NEL PROCESSO.
L’ ampio e strumentale utilizzo del mio nominativo sui media mi portò a scrivere e presentare, durante l’interrogatorio di garanzia (il 30 gennaio 2012) una MEMORIA DIFENSIVA che penso sia agli atti di questo processo come allegato al verbale dell’interrogatorio. In esso affronto il mio passato per riportare la Verità su di esso assai distorto dai media.

La scheda redatta dalla Questura di Torino ed in mano dei P.M. fa ampio riferimento al mio passato, e probabilmente il mio passato verrà nuovamente nello stesso modo utilizzato nella requisitoria. Il passato è stato spesso utilizzato per attaccare diversi testi della difesa.
Inoltre, anche durante questo processo, si è volutamente utilizzato, sui media, il mio passato sempre falsandolo, onde poter influenzare il processo stesso nonché il giudizio di voi Giudici sulla mia persona.

Non vi è alcun dubbio che i P.M. vi chiederanno di giudicare il sottoscritto anche in virtù
dell’art. 133 c.p.
Pertanto appellandomi proprio a questo articolo del codice penale vi chiedo di poter oggi parlare anche del mio passato, per poter correttamente affrontare il presente per cui mi trovo in questo Tribunale.

Il 2 luglio 2011 collocai la mia tendina nei due metri quadrati che avevo acquistato, insieme alla mia compagna e facenti parte dei circa 1.500 metri di prato a Venaus, condivisi con altri circa 1.250 No Tav. Il giorno successivo, dopo un’abbondante colazione al Presidio, con amici della Valle mi recai al concentramento di Giaglione per manifestare contro il vile attacco alla Libera Repubblica della Maddalena che lo stato aveva condotto il lunedì precedente. Sì! Il 3 luglio 2011 ero a Giaglione in Val di Susa. E lo dico con grande orgoglio, in quanto in quel giorno a Chiomonte si è scritta una bellissima pagina del Movimento di Resistenza. Il 3 luglio 2011 a Chiomonte, tutta (o quasi) la popolazione della Val di Susa e migliaia di solidali provenienti da tutta Italia intendevano rispondere, nella forma e con le pratiche che il Movimento popolare quale è quello No Tav sa sviluppare, alla operazione illegale, ancorché illegittima che il 27 giugno precedente aveva sgomberato il Presidio permanente, meglio conosciuto come Libera Repubblica della Maddalena. Che, come abbiamo sentito in questa stessa aula, era autorizzato, e in regola con ogni norma legale. Da Giaglione, ricordo le migliaia di persone di ogni età, con le quali marciai per raggiungere la Baita No Tav in Clarea.
Molte erano state le manifestazione che il Movimento No Tav, nei suoi più di 20 anni di vita, aveva organizzato ed avevano attraversato in lungo e in largo la VALLE CHE RESISTE. E molte ancora verranno successivamente organizzate. Ricordo solo la data del 25 febbraio 2012, e successivamente ne comprenderete il motivo. Ma quel giorno vi era la consapevolezza di non effettuare la solita “sfilata” ma si sapeva che si doveva contrastare l’occupazione con tanto di fortino militare di parte del territorio della Valle. Si doveva rispondere in massa alla violenza dello Stato che pochi giorni prima aveva voluto annientare “manu militari” la bellissima e importantissima esperienza della Libera Repubblica della Maddalena, oltretutto collocata in una zona che, come anche qui abbiamo potuto appurare, è fuori dall’area che doveva essere interessata al cantiere.
Questa è la prima Verità che si dovrebbe scrivere in questa aula se vogliamo e intendiamo ricercare la Verità.

Ero in Valle di Susa il 3 luglio, come già vi ero stato per alcuni giorni sul finire del mese di maggio, per vivere appunto quella bellissima esperienza che è stata la Libera Repubblica della Maddalena.
Ma vi ero stato anche il 30 marzo 2008, sempre a Chiomonte o meglio alla Maddalena, quando con altre 1400 circa persone firmai l’atto di acquisto di un terreno in località La Colombera: un bellissimo appezzamento di terra coltivato a vigna. Dove purtroppo ci è proibito di accedervi, seppure distante un chilometro dal cantiere.

Ma se fossi stato avvisato che quel 3 luglio mi sarei ritrovato in una cappa fumogena prodotta da ben 4357 lacrimogeni al C.S. Ripeto: 4357 candelotti al C.S. Arma chimica secondo le Convenzioni Internazionali che ne proibiscono l’utilizzo nei teatri di guerra.
Altra Verità che si è cercato di non far uscire da parte di coloro che in questa aula non intendono portare alcuna Verità ma raggiungere ben altro obiettivo, ossia l’annientamento “manu militari”, con la repressione, i processi, il carcere, del Movimento popolare che intende respingere la devastazione della Valle, lo sperpero di ingenti somme di denaro sottratto a Sanità, alla Scuola, ai servizi sociali; che lotta contro la presenza della Mafia nel cantiere.
Se fossi stato avvisato di tutto ciò, dicevo, mi sarei ben guardato di salire quel giorno in Valle.
La mia triste esperienza per quanto concerne la morte per Tumore ai polmoni mi avrebbe impedito di portare il mio corpo in una zona satura di un gas nocivo.
O forse no! Sarei ugualmente venuto a respirare gas pur di unirmi alla Resistenza dei valsusini contro l’arroganza e la sopraffazione di uno Stato che afferma di rappresentarci.

Ma lasciamo, per un attimo da parte Giaglione, Chiomonte, la Valle che Resiste, il 3 luglio.

Vorrei invece portare la vostra attenzione, signor Presidente e signori della Corte su un aspetto a me molto caro accaduto in questa vicenda giudiziaria: l’utilizzo improprio che si è voluto fare della mia persona.
Sappiamo tutti benissimo quanto importante sia la propaganda di una stampa collusa per supportare una campagna repressiva come è quella contro il Movimento No tav, soprattutto con la grossa operazione sviluppatasi il 26 gennaio 2012 e ancor più con la operazione contro i quattro giovani accusati artificiosamente di “terrorismo”, per un’azione di semplice sabotaggio; che, non me ne vogliano i P.M. rimane pur sempre una forma di Lotta utilizzata storicamente e sempre dalle classi subalterne. E colpire una forma di Lotta significa voler annientare il diritto-dovere che gli oppressi hanno di rivendicare i loro diritti.
Si, aveva bisogno di appellativi “forti” da dare in pasto ai media, che potessero suggestionare la c.d. opinione pubblica. Per questo non si è esitato ad utilizzare impropriamente e con molta ipocrisia il mio nominativo, potendoci attaccare l’appellativo “ex terrorista”. Che è ovvio, a nessuno poteva giustamente importare il nome in quanto tale, ma poter utilizzare appunto quell’appellativo contro il Movimento No Tav. Che poi questo appellativo su il sottoscritto sia nato da una sentenza ingiusta, illegittima e forse anche illegale poco importa a lorsignori. Ho sempre affermato che questo mi è stato rifilato in passato come una “MARCHIATURA”. In un processo SPECIALE in un periodo EMERGENZIALE. Magari sarebbe utile anche soffermarmi un attimo su questa vecchia mia condanna, ma non so se mi posso dilungare troppo, forse anche sì e nel prosieguo di questa mia dichiarazione vi ritornerò sopra. Intanto vi anticipo che quella condanna non fu supportata da nessuna prova, da nessun pur minimo indizio. Che non fui accusato di aver partecipato a qualche azione, atto o altro di reale. Proprio niente di niente.

Ma veniamo ad oggi.

Il 26 gennaio 2012 per tutta la giornata fui tormentato dall’angoscia di non riuscire a comprendere la motivazione per la quale ero stato condotto in carcere.
Non mi avevano potuto aiutare gli agenti Digos di Pistoia, incaricati dell’arresto; i quali solo seppero dire: la dobbiamo arrestare. A nessuna delle mie domande seppero rispondere.
Non mi aiutò la lettura del malloppo che gli agenti Digos mi avevano consegnato. Seppure fosse a colori. Nel silenzio della cella d’isolamento lo lessi, lo rilessi…ma niente che mi indicasse la motivazione reale dell’arresto.
Riuscii solo a comprendere che vi erano due agenti della Digos fiorentina, che se era andata bene forse mi avevano visto una volta, massimo due, nella loro vita, che affermavano di riconoscermi in una foto. Mi somiglia abbastanza e si potrebbe anche essere tratti in inganno se non mi si conosce bene. Bene come la Questura di Pistoia, che per l’appunto non mi aveva riconosciuto. Eppure ebbi a pensare che pure alla Questura di Pistoia fosse stato recapitato il fascicolo delle foto e dei video. E non mi sbagliavo, come è stato confermato in questa stessa aula da dirigenti della Questura torinese.
Angosciato da questo tormento, straziai tutto il giorno il malloppo delle indagini, per trovare una motivazione dell’arresto, una che fosse una; ma niente, niente di niente.
La risposta mi arrivò alla sera, dal televisore, di cui, anche le celle d’isolamento non possono esserne private. Arresti in tutta Italia, e questo già lo sapevo dal malloppo. Per i fatti del 27 giugno e il 3 luglio 2011 in Val di Susa, anche questo già lo sapevo. ….tra gli arrestati anche un ex terrorista di Prima Linea: Ginetti Antonio.
Cazzo! mi sono detto: ma questo sono io.
Ho ascoltato vari telegiornali e tutti la stessa tiritera: tra gli arrestati un ex terrorista….E il giorno successivo ancora ripetuto il mio nome, con l’aggiunta dell’appellativo di ex terrorista.

Ecco risolto il busillis: gli serviva dei nomi “forti” per la loro campagna mediatica. Intendo non il nome anagrafico, che a nessuno in Italia può interessare se il sottoscritto sia stato condannato nei tempi che furono, né se sono stato arrestato nel presente. Magari escludendo la piccola cittadina dove abito. Poter dire e far scrivere a caratteri cubitali che tra gli arrestati per la Resistenza No Tav ci sono anche ex terroristi. Questo ciò che volevano.

L’ascolto dei telegiornali mi portò una grossa curiosità: cosa avrebbero scritto, sulla cronaca cittadina, i giornali il giorno successivo. Provai ad avere copia dei giornali, ma non vi riuscii.
Le maglie dell’isolamento furono sufficientemente impenetrabili. Né vi riuscii quando fui trasferito in sezione. Dovetti aspettare alcuni giorni ancora. Non ricordo bene se mi giunsero per posta o mi furono portati al primo colloquio che ebbi con un mio fratello.
Comunque sia li divorai nella lettura. Li lessi varie volte. Ma francamente, non mi meravigliò più di tanto leggere le menzogne che riportavano. Mi ero preparato ad un simile evento. Del resto per costruire un “Mostro” non si bada a dove si mestano le mani. Mi ripromisi che avrei sporto querela contro di essi.

Ed infatti, non appena uscito dal carcere per i domiciliari, una delle prime iniziative che intrapresi fu di chiamare per telefono un avvocato chiedendogli se mi supportava in questo, ossia nella querela ai giornali La Nazione e Il Tirreno. Mi invitò a recapitargli copia dei giornali, cosa che celermente feci.
Mi informò che avrei potuto querelare Il Tirreno, mentre La Nazione, aveva tolto quattro parole e non era imputabile di diffamazione. Ma vi allego la copia de La Nazione on-line che solo dopo il tempo necessario per la querela mi fu recapitata da un amico, che io non avevo purtroppo visto. Dove si ripete anche qui le menzogne di diffamazione. (Allegato n° 1)
Ed è così che oggi la giornalista che aveva firmato l’articolo e il suo Direttore responsabile sono chiamati in tribunale a Livorno a rispondere di diffamazione a mezzo stampa per un menzogna che hanno spudoratamente scritto nelle pagine della cronaca pistoiese come potete ben vedere dall’allegato che vi presento. (allegato n° 2).
Ovviamente vi terrò informati sull’andamento di questo procedimento che è frutto della campagna diffamatoria nei miei confronti, promossa per diffamare tutto il Movimento No Tav.

Navigando su internet ho potuto apprendere che, quanto scritto da Il Tirreno, ed in parte da La Nazione, o meglio in tutto nella sua versione on-line; magari col cambio di una virgola o con un termine diverso è stato riportato da vari giornali nella loro forma digitale. Non mi è dato di sapere se lo abbiano fatto anche nella forma cartacea. Forse potevo fare una indagine in tal senso e verificare, ma niente cambierebbe.
Questo denota che la frase riportata da Il Tirreno non è stato il frutto immaginifico di una giornalista in vena di celebrità, ma più precisamente è farina dello stesso mulino che ha visto vari giornali scrivere pari pari la stesse identiche frasi. O per meglio dire, e per essere più precisi penso di poter affermare n che queste menzogne siano frutto di una unica regia.
Tutti sappiamo che dal potere spesso escono informative e veline orali o scritte per “aiutare” i giornali a scrivere intorno a casi specifici. Penso che anche in questo caso i vari giornali abbiano fatto solo un copia-incolla.

Ritengo molto importante, a questo punto, cercare di comprendere dove sia la sala di regia di questa che chiamerò INFORMATIVA, che ha voluto discreditare il sottoscritto.
E non è cosa da poco, visto che qui si dice di voler cercare la Verità. Ma se si utilizza il falso e la menzogna penso che ben altre cose si cercano, e non la Verità. Mi rimane difficile pensare che, chi sa utilizzare la menzogna possa dichiararsi dalla parte della Verità. Ma prima forse sarà meglio leggere quanto scritto di falso sul mio conto.

Signor Presidente, in allegato (n° 3) a questo mio intervento potrà leggere alcuni degli articoli che sono riuscito a trovare su internet, purtroppo non quelli pubblicati, se ci fossero stati, su carta. E neppure tutti quelli usciti on-line.. Inoltre, vorrei specificare che in questo mio intervento non troverà niente che non sia comprovato. Non parlo per ipotesi o supposizioni, ma tutto quanto vado affermando è reale, vero e documentabile. Solo così infatti si può raggiungere la Verità.

Prendo un giornale a caso, ma potrà notare che tutti riportano la stessa identica affermazione, da cui si evince che vi è una unica regia.

“Nel processo ai componenti del gruppo “Brigata Luca Mantini”….Ginetti
fu condannato ad un anno per associazione a delinquere”.

No, Signor Presidente! NO! Il Ginetti, in quel processo, fu ASSOLTO! Mi ripeto e voglio sottolineare: A S S O L T O.

Chi ha scritto e divulgato queste informazioni ha scritto il falso sapendo di scrivere il falso. Il motivo, non occorre essere dei geni, è comprensibilissimo: infangare la mia persona, creare denigrazione su di me. Cosa peraltro non riuscita, almeno per quanto riguarda la mia piccola realtà cittadina, dove, anche per il lavoro che svolgo, nonché per 40 anni di militanza politica, sono abbastanza conosciuto. É bastato far conoscere le falsità di questa affermazione per ottenere molta solidarietà. Ma agli estensori di questa “informativa” poco o nulla interessava del sottoscritto come soggetto, come pure cosa poteva accadere nella mia piccola città, ma piuttosto volevano utilizzare il mio passato, falsandolo oltremodo con la menzogna, per infangare il Movimento No Tav.
O forse, davvero si intendeva calunniare il sottoscritto. Ma perché? A questa domanda troveremo risposta nel prosieguo di questo mio intervento.

Ma intanto, ritorniamo alla frase riportata dai giornali.

In data 14 dicembre 1989 la Corte di Assise di 1° grado di Firenze – sezione seconda mi assolve dalla imputazione di banda armata condannandomi ad un anno per associazione a delinquere.
I processi però in Italia, non terminano dopo il primo grado. Ma si sviluppano su tre gradi di giudizio. Ma questo, non devo certo essere io a dirlo in un’aula di Tribunale.
E così, il 29 novembre 1990 la 2^ Corte di Assise di Appello, sempre di Firenze, mi assolve anche dal reato di associazione a delinquere. ASSOLUZIONE A FORMULA PIENA!!! …”per non aver commesso il fatto”

Signor Presidente se mi permette vorrei affermare che chi ha saputo scrivere una simile infamia sapendo di scrivere il falso si è tolto qualsiasi dignità per poter affermare di essere dalla parte della Verità.
Ma soprattutto: che motivo c’era di far scrivere che ero stato condannato? Forse non bastava, per creare il ”Mostro”, affermare che, dopo una prima condanna , ero stato ancora una seconda volta arrestato con le stesse accuse? E tralasciare la menzogna sulla condanna? Certo che era sufficiente! Ma forse gli estensori avevano altri obiettivi. E lo vedremo più avanti.
Questi, fanno scrivere una seconda notizia, o meglio una NON-notizia, perché tale realmente è. Oltre ad una immensa sciocchezza. Inutile anche per creare il “Mostro”, come per la campagna diffamatoria del sottoscritto e ancor più del Movimento che si intendeva colpire. Inutile a tutto e tutti.
Ma, con un’attenta analisi, ci da l’idea di dove sia la sala di regia di questa informativa.
Prendo a caso Il Giornale.it:
“Ginetti fu arrestato all’aeroporto di Roma rientrando da una vacanza in Egitto”

NO! No, signor Presidente.
Il sottoscritto fu arrestato a Il Cairo. Ovviamente in modo illegale, in quanto non vi era nessun mandato di cattura internazionale.
In allegato (n° 4) vi porto le prove reali: purtroppo il mio biglietto aereo è andato perso (o posso dire: requisito) nelle varie perquisizioni che ebbi tra Il Cairo, Roma e Firenze, però potete vedere quello della mia compagna di viaggio. Volo (andata e ritorno) con la Somalia Airlines rilasciato a Roma il 10 ottobre. Per il ritorno, ma solo mio, volo con Alitalia. Biglietto acquistato la mattina stessa a Roma.

Quanto vado dicendo oggi infatti, ho avuto modo di affermarlo già in sede processuale nel lontano 1989 quando in una mia “dichiarazione spontanea”, mossi varie denunce di illegalità verso chi aveva condotto le indagini e tra queste appunto anche l’essere stato arrestato illegalmente in Egitto.
Avrei voluto riportare in allegato, tale intervento, ma le mie ricerche presso il Tribunale di Firenze hanno dato esito negativo. E me ne dispiace non poco, in quanto avreste potuto leggere che tra le denunce da me effettuate e indirizzate alla Procura di Firenze contro chi aveva operato il mio arresto, all’epoca personale della Digos di Firenze, vi era anche quella molto più pesante di “sequestro di persona a scopo di estorsione” nella persona della mia ex consorte.

E mentre voi vi ponete la domanda: perché non si rispettò la legge e non mi si attese a Roma, dove stavo andando, visto che fui fermato all’aeroporto; io mi pongo un’altra domanda e la pongo anche a voi signor Presidente e signori della Corte.

A chi mai poteva interessare conoscere dove si era sviluppato il mio arresto nel lontano 1983?

Intendo dire: ci può essere uno, e dico uno dei 60milioni di italiani a cui poteva interessare dove fu arrestato uno dei tanti, un perfetto nessuno nel lontano 1983? Sono trascorsi 30 anni; a chi può interessare dove è stato arrestato il sottoscritto nell’altro secolo? Senza contare che per questo arresto fui poi assolto. Perché perdersi in queste notizie non vere, in queste non-notizie, perché non è certo una notizia che può interessare a nessuno, e penso neppure qui dentro a qualcuno può interessare dove, come e quando fui arrestato nel lontano 1983.
Questa frase completamente inutile per la campagna diffamatoria nei miei confronti, inutile perché non smuove niente e a nessuno è potuto interessare sapere questo, rappresenta invece il “marchio di fabbrica” della informativa sulla mia persona giunta a giornali e televisioni.

A qualcuno, in questa aula, se i P.M. ci dicono che no, loro non l’hanno né scritta né diffusa, verrà in mente la Questura di Pistoia, dove vivo e dove, da 40 anni svolgo la mia Militanza politica.
Se lo pensa anche Lei, signor Presidente, le dico subito che non dalla Questura di Pistoia è stata scritta e diffusa. Non che ami la Questura della mia città, ma amo la Verità.
E la Verità la troviamo leggendo ad esempio La Repubblica.it, (allegarto n° 5) sempre del 26 gennaio 2012. Riporto testualmente:
“Secondo quanto reso noto oltre ad essere stato arrestato in precedenza
con l’accusa di associazione sovversiva, negli ultimi anni era stato
denunciato per aver tracciato scritte durante manifestazioni.
Attualmente militava negli ambienti della sinistra antagonista tra cui
il “Collettivo Liberate gli orsi”.”

“SECONDO QUANTO RESO NOTO” penso significa: dall’informativa inviataci.
Questa sì, scritta e diffusa da chi conosce, perché qui si parla di cose concrete, reali, che conoscono chi deve controllare quotidianamente i “SOVVERSIVI” e di loro sanno e conoscono tutto. Certo, queste sono notizie di piccolo cabotaggio. Non sono notizie su cui si può infangare nessuno, scritte sui muri, niente di più diffuso e normale, la militanza in un Collettivo. Notizie che non servono molto per fare di un Resistente un “Mostro”.
Comunque, strano modo quello di informare i giornali. Se devono far conoscere un soggetto dovrebbero dire tutta la storia del soggetto. Non solo quello che gli fa più comodo.
Ed allora avremmo potuto apprendere che il sottoscritto il giorno 18 ottobre 2010 veniva assolto per il reato di violenza a Pubblico Ufficiale art. 337 c.p. PER NON AVER COMMESSO IL FATTO. (allegato N° 6)
Si sarebbe potuto apprendere che in data 2 dicembre 2011 il Giudice dell’udienza preliminare: “DICHIARA IL NON RUOLO A PROCEDERE NEI CONFRONTI DI GINETTI ANTONIO PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE”. L’imputazione era art. 372 c.p. falsa testimonianza. (allegato n.° 7).

Certo, a chi diffonde tali notizie interessava far sapere che il sottoscritto è sempre vissuto fuori dalla legalità.
Ed è vero: il sottoscritto è sempre vissuto nella illegalità, purtroppo però subita.
Dall’arresto voluto da un pluriomicida che doveva pagarsi la libertà, alla condanna senza uno straccio di prova o indizio. All’arresto in territorio straniero. Al licenziamento ILLEGALE dalle Poste. (anche di questo mi permetto di portare in allegato la documentazione. (allegato n°8). Leggerete la lettera di “Cancellazione dall’albo provinciale dei sostituti portalettere ULA” nonostante fossi in aspettativa come potete leggere nell’allegato.
Illegale è stato il rifiuto di risarcimento danni per l’ingiusta detenzione. Di questa illegalità permettetemi di riportare quanto scritto dal Procuratore Generale presso la prima Corte di Cassazione in data 3 dicembre 1992 per richiedere il rigetto della mia richiesta a seguito dell’ assoluzione.

“….e successivamente diede causa al protrarsi della custodia cautelare
attraverso un comportamento mendace e provocatorio”

Mendace, ossia bugiardo. Questo per aver sostenuto la mia innocenza, riconosciuta con l’assoluzione.
Provocatorio forse perché un Comunista non può rivendicare l’innocenza? O cosa?
Comunque, questa tesi che si contrapponeva ad un Giudice che mi aveva assolto già fatta propria dalla Prima sezione penale della Corte di Appello di Firenze in data 20 novembre 1991 fu accettata anche dalla Corte Suprema di Cassazione quarta sezione penale il 23 gennaio 1993. (allegato n° 9)

Ma cosa dire del sequestro del computer, strumento di lavoro della ditta a mio nome, nel corso di una perquisizione il 27 aprile 1995, anche se immediatamente (un mese) restituito? O cosa dire della perquisizione il 15 aprile 1986 dopo l’omicidio di Lando Conti? Cosa ci potevo entrare? Niente. Ma servivano un certo numero di persone coinvolte in perquisizioni, nonché di varie città, per la propaganda di stampa, ed allora ci si dirotta anche sul sottoscritto. E il mio coinvolgimento in una indagine “nazionale” contro una organizzazione politica (CARC) anche qui solo per aumentare nominativi e città coinvolte? Tutto finito nelle nebbie dopo la solita perquisizione e un semplice interrogatorio davanti ai soli carabinieri. Potrei continuare fino alla noia ma termino con l’illegalità maggiore: il sequestro “a scopo d’estorsione” della mia ex consorte. Fino a giungere ai giorni nostri e all’arresto del 26 gennaio.
Come vedete: una vita nella illegalità subita.

Ma torniamo a noi.

CHI aveva motivi che andavano ben oltre questa stessa indagine?. A chi niente importava di queste vicende torinesi, ma molto interessava invece potermi danneggiare nell’immagine?. Chi aveva motivi per scagliarsi contro la mia persona?

Con un messaggio ben chiaro: noi possiamo fare tutto ciò che ci aggrada. Falsare la realtà, usare la menzogna, rigettarti in faccia tutto ciò che hai affermato davanti ad una Corte di Tribunale. E se allora niente potemmo intraprendere, il tempo sta con noi e oggi ti rigettiamo in faccia quanto da te detto rigirandolo a nostro piacere.

Certo che questa è una mia valutazione, una mia deduzione. Certo che avevo detto che sarei rimasto solo a fatti e realtà. Infatti non intendo sottoporvi alcuna mia deduzione, ma vi invito invece a valutare i fatti reali. E quindi a prendere atto che a niente serviva far scrivere della falsa condanna, a niente serviva far scrivere dell’arresto a Il Cairo. Niente, intendo, per creare il “Mostro” per questa indagine. Dunque altre finalità volevano gli estensori della informativa. Comunque posso a ragione ben affermare che si è voluto scrivere il falso sapendo di scrivere il falso. Che hanno voluto coscientemente portare in inganno i giornali, sapendo che li stavano portando alla menzogna.

A questo punto comunque, Signor Presidente, mi permetto di chiederle come possa prendere in esame informazioni di chi ha voluto coscientemente infangare la mia persona con si tante, nonché pesanti e infamanti menzogne. Se non ci si è peritati di usare a piene mani si tanta menzogna, come si può dare credito a loro dichiarazioni nei miei confronti? Ma di questo lascio ai miei avvocati la difesa che sapranno ben fare.

Signor Presidente, le necessità di fare chiarezza su quanto si è voluto scrivere di me mi obbligano a dover proseguire oltre e approfittare ancora della vostra attenzione.

In questa sede mi preme rigettare in faccia a chi lo ha usato il termine ex-terrorista.
Intanto, se è vero che fui condannato al processo di Prima Linea, è pure vero che mai feci parte di questa organizzazione. Questo dedotto dalle stesse parole di colui che mi accusò, di niente oltretutto, nella sua necessità di comprarsi la libertà.
Tutto quanto vado adesso ad affermare lo troverà in allegato, ma non mi posso esimere dal leggere quanto di me fu scritto nel corso delle indagini.
Ma andiamo in ordine e leggiamo prima alcune frasi dei procuratori riprese dall’interrogatorio che il sottoscritto ebbe avanti ai sostituti Vigna Pier Luigi e Chelazzi Gabriele, il 27 aprile 1981.

…”facendogli anche presente che numerose persone imputate di fatti anche assai gravi, hanno reso ampie e dettagliate dichiarazioni. Il P.M. fa anche presente all’imputato che dichiarazioni nei suoi riguardi sono state rese da persona di Torino….”

Ed allora andiamo a leggere i nomi delle “numerose persone”: Donat Cattin Marco. Il quale è uno e solo uno. E’ pure vero che in quel processo vi erano un sette o otto altri c.d. “collaboratori di giustizia”, per non usare altre definizioni che qui non piacerebbero, ma nessuno di questi ebbe a dire niente di niente del sottoscritto.
E andiamo a leggere cosa dice il Donat Cattin Marco del sottoscritto:

Nell’interrogatorio reso il 30/3/1981 avanti il P.M. di Firenze così il Donat Cattin affermava: “Questo è Patrizio, persona che ho conosciuto a Torino, tanti anni fa, e faceva parte di Viva il Comunismo e poi di Avanguardia Comunista e che curava la pubblicazione di Mirafiori Rossa. Ora che li mi fa il nome di Ginetti, rammento tale cognome e che costui poi si licenziò dalla Fiat. Egli poi faceva parte del gruppo intorno al Gianluca e uscì da P.L. con lui.

Successivamente, nell’interrogatorio del 15/10/1981 avanti il G.I. Donat Cattin specificava

“Mi fu detto che Patrizio faceva parte dell’area di Prima Linea e che uscì con il T…”

Dunque una conoscenza vecchia nel tempo, ed è vero che ho vissuto a Torino negli anni 1972 – 76,
senza affermare di avermi mai più visto. Le sue sono frasi raccolte non si sa neppure dove né
quando: …mi fu detto…dove, da chi, quando?

Ma ancora assai più chiaro sarà il G.I. nella sua ordinanza di scarcerazione, datata 21/7/1981.
In essa leggiamo:
“rilevato che gli elementi a carico del Ginetti sono costituiti dalle dichiarazioni di Marco Donat Cattin, che riferisce genericamente della sua conoscenza con persona da lui conosciuta con il nome di “Patrizio” risalente a diversi anni fa…”

Altro che “NUMEROSE PERSONE IMPUTATE”!
Altro che “ AMPIE E DETTAGLIATE DICHIARAZIONI”!

Ed ancora

“il comportamento dell’imputato nel primo interrogatorio reso al P.M. era tale da avvalorare gli elementi a suo carico. Questi però per la loro genericità e indeterminatezza non sono tali da giustificare il mantenimento dello stato di carcerazione preventiva.”
Per terminare:
“Nessun altro elemento circa la concreta partecipazione alla Banda Armata”

Nel 1981 per mantenermi in carcere non furono sufficienti gli elementi “generici e indeterminati”
presentati al GIP dalla Procura.
Questi però, furono sufficienti per una condanna, seppure lieve, in quanto inserito in un “grande
processo” del periodo speciale, del periodo emergenziale in cui ebbe a svolgersi. Oserei affermare
pena espressa da un Tribunale Speciale.
Mentre appena cinque anni successivi, in un diverso periodo storico, sebbene forse con qualche indizio maggiore, si fa per dire, e comunque con la stessa “genericità e indeterminatezza” fui assolto dalle stesse imputazioni.
La sentenza del 1985 non fu una condanna…ma una vera e propria “MARCHIATURA”. Molte volte si è utilizzato questa mia presunta condanna per accusarmi di tutto e di più. Una scritta su un muro da me tracciata assume un ruolo quasi di azione terroristica. Il mio nome altre volte è stato utilizzato per “ampliare” sul territorio nazionale talune indagini.
Nel “periodo emergenziale” non interessava poi tanto la condanna in sé, ma poter ampliare la “campagna mediatica” sul numero di condanne. Né si poteva comunque assolvere nessuno.
Cosa che mi pare stia accadendo pure in questo procedimento: dal mio arresto del 26 gennaio 2012 fino alla condanna che andrete a infliggermi.

“Marchiare” un militante politico per tutto il resto della sua vita. Sperando magari che così avrebbe
interrotto la sua militanza. Cosa che invece, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, mai é
accaduto. E nonostante la condanna subita, ho potuto continuare la mia militanza, che
oggi mi porta qui in questa aula.
E anche questo mio NON ABBANDONO della militanza politica, mi si è voluto far pagare
oggi dagli estensori della informativa.
Come potete ben vedere mai fui condannato per atti di violenza o altro di specifico. NO! MAI!
La mia condanna nasce esclusivamente dalle Idee che portavo avanti e mai ho cessato di esporle
nonostante il carcere che per queste ho dovuto subire, e mai riuscirete ad allontanarmi da esse,
essendo Idee di Giustizia, di Libertà, di Uguaglianza.

Ma questa vicenda che adesso ho descritto mi porta ad affermare che si sia voluto solamente colpire un Militante Politico.
Faccio notare come il GIP nel lontano 1981 valutò le accuse e le prove per decidere se mantenermi in carcere. Nel 2012 il Gip non ha preso in esame le prove, soprattutto perché di prove neppure l’ombra in questa indagine, ma ha preso le sue decisioni di mantenimento delle condizioni carcerarie nei miei confronti, come pure di tutti gli indagati sottomessi a carcerazione o altri provvedimenti, basandosi solo sulla sua richiesta di “pentimento” (o ravvedimento come lo chiama lei). Ma pentirsi di cosa? Di avere delle Idee? Di voler difendere il territorio dalla speculazione? Di voler partecipare in prima persona alle Lotte sociali?

Che questo sia un Processo Politico lo si evince dalla requisitoria che il Pubblico Ministero ha fatto nell’udienza preliminare del Luglio scorso.
In quindici minuti circa ha risolto la richiesta di rinvio a giudizio per ben 45 imputati. Di nessuno ha ritenuto doveroso analizzare la posizione. Di nessuno ha neppure fatto il nome. Non aveva necessità di dover analizzare le specificità, le prove o gli indizi dei singoli. Qui non esistono proprio i singoli. Esistono Resistenti No Tav. E nella requisitoria del Pubblico Ministero ciò che si chiedeva di rinviare a giudizio, come oggi di essere processata è: la Resistenza No Tav.
Il signor Caselli sa di giocare un bluff quando afferma che non si è voluto utilizzare l’Associazione a delinquere. Più semplicemente sa di non poterlo fare. Egli sa benissimo che non ha davanti delinquenti, organizzati per commettere reati patrimoniali o altro, reati per il proprio tornaconto personale. Sa che si trova davanti RESISTENTI… ed ancora il Codice Penale non contempla la ASSOCIAZIONE a RESISTERE. Ma nonostante questo qui sta cercando di attuare con il teorema assolutamente pretestuoso secondo cui chiunque si trovi in un luogo dove si svolgono scontri tra F.d.O. e dimostranti, seppure non vi partecipi e sia dimostrata la sua estraneità ne è comunque responsabile, nella sola sua presenza fisica.

I miei avvocati sapranno portare argomentazioni chiare e prove ben precise che stabiliscono la mia innocenza. Ma sappiamo anche che in questo Processo non ci sono “prove” da smontare, “indizi” da correggere. Ed anche se dovessero portare motivazioni chiare e precise sul ruolo repressivo che si è voluto attuare, anche se con questo mio intervento fossi riuscito a dimostrare i lati oscuri che ha spinto qualcuno a volermi “incastrare” ad ogni costo. Dubito assai che la Procura voglia abbandonare le sue convinzioni che purtroppo finiscono per colpire non solo singole persone, ma per distruggere un Movimento Popolare come quello No Tav. Pertanto sono convinto che le argomentazioni lasceranno il tempo che trovano. Ripeto: l’ambiente creato attorno a questo processo è quello di un Processo Politico.

Signor Presidente, penso che sia appurato che le motivazioni per le quali il 3 luglio 2011 mi trovavo a Chiomonte sono ben chiare: partecipare ad una battaglia per la difesa del Territorio.

Intendo terminare questa mia dichiarazione esponendovi, signor Presidente e signori della Corte un dubbio. Un forte dubbio che mi assilla.
LA QUESTURA DI PISTOIA NON MI HA RICONOSCIUTO! E neppure ha ritenuto di dover usare falsità sul mio passato. Anche se per il presente, come abbiamo potuto appurare, non ha guardato tanto alla correttezza delle informazioni.

E come invece può avermi riconosciuto personale della Questura di Firenze, che a differenza di quella di Pistoia, difficilmente può avermi frequentato di persona
Può avere credito il riconoscimento di un operante che mi vede e mi può conoscere non certo di persona?
A Firenze successe quello che ho in precedenza raccontato.
Le informazioni contenute nella informativa a mio carico sono, per quel che ho dimostrato dei processi che ho subito e delle loro conclusioni, non conformi alla verità dei fatti che intendo qui ristabilire.

E’ certamente un mio dubbio, e tale rimane.
Ma una sentenza deve esprimere la Verità, deve nascere dal raggiungimento della Verità.
E non deve ammettere dubbio alcuno.
Pertanto, solo dissipando questo mio dubbio e rispondendo a questa mia domanda Ella, signor Presidente potrà affermare di emettere una sentenza “SENZA OGNI OMBRA DI DUBBIO”.
Può prendere come oro colato quanto qui affermato da un esponente della Questura fiorentina, può invece esercitare la sua ragione nel giudicare e nel ricercare la verità. può essere preso come oro colato quanto riferito nelle informative, così come ha fatto la giornalista de Il Tirreno, la quale però oggi è chiamata a risponderne davanti ad un Tribunale, può essere invece esercitato quel discernimento che è degli uomini di giustizia, non di potere.

La Procura vi chiederà di condannarmi “per aver lanciato sassi a poliziotti e carabinieri”. Sono sicuro che vi chiederà un numero di anni (di condanna) assai alti rispetto ai reati contestati, o come affermeranno i P.M. “una pena congrua con la gravità dei reati ascrittigli”.
Signor Presidente, il sottoscritto non vive in un deserto. Molti, direi moltissimi, del resto non è colpa mia se vivo in una piccola cittadina, oserei dire un villaggio dove tutti sanno tutto di tutti, dove tutti ci conosciamo. Per cui non al sottoscritto, ma alle centinaia, migliaia di persone che seguono la mia vicenda, che hanno visto la mia faccia sui giornali e letto le mie vicissitudini dovete spiegare il perché Antonio Ginetti sarebbe venuto a Chiomonte quel 3 luglio a tirare sassi ai poliziotti!
Non penso che il 3 luglio si sia svolto il campionato nazionale di tiro del sasso al poliziotto.
Pertanto vi pongo una domanda, la quale esige una risposta: PERCHE’ IL 3 LUGLIO SAREI VENUTO A CHIOMONTE A TIRARE SASSI?
Se la mia passione fosse tirare sassi ai poliziotti, perché spendere decine di euro per venire a Chiomonte? Forse che a Pistoia non vi sono sassi? Forse che a Pistoia non vi sono poliziotti?
Senza contare che a Chiomonte, come in altre zone della Valle la mia frequentazione si è ripetuta nel tempo e tuttora si ripete.
E se il 25 febbraio 2012, a causa dell’ accanimento persecutorio mi fu impossibile partecipare all’ennesima Marcia No Tav (Bussoleno-Susa), devo affermare che da Pistoia partì un pullman per portare alcune decine di persone alla suddetta Marcia. Persone che magari neppure sapevano dove si trovava la Valle di Susa. Persone che mai vi erano state, e magari mai vi ritorneranno. Non è facile a Pistoia organizzare un pullman per partecipare a manifestazioni, non dimenticando la grande distanza (400 chilometri) della valle di Susa, eppure quel giorno il pullman partì pieno! Si voleva partecipare ad una seconda gara del tiro del sasso? Penso proprio di no! Piuttosto si voleva esprimere solidarietà ad un militante, ad una persona che tanto si era spesa per combattere contro una devastazione speculativa ed un peggioramento delle condizioni di vita di un intero quartiere. Ed a proposito della battaglia che mi ha visto coinvolto contro un parcheggio interrato nel bel centro storico pistoiese, nonché in un quartiere dalle caratteristiche “medioevali”: strade strette e densamente abitate, vorrei allegare a questo mio intervento un libro che nasce come stampa degli Atti di un Convegno tenutosi il 30 novembre 2011. Dove, a pagina 77, potrete leggere l’intervento del Comitato che ha impedito la speculazione e peggio ancora la messa lsotto pericolo idrogeologico della città di Pistoia, che porta la mia firma. Convegno in cui si vede che le battaglie che ci coinvolgono nella difesa dei territori, spesso ci portano a intercettare sul nostro cammino Associazioni Culturali impegnate nello studio e nella ricerca storica delle città. Perché nelle nostre battaglie contro le speculazioni vive anche e sopratutto la salvaguardia del Patrimonio Storico delle città, come delle Valli, che oltretutto vivono non poco sul turismo. L’autrice di tale libro è una delle maggiori storiche di Pistoia ed una che più di altri mi ha convinto a scrivere quel libretto che vi vorrei allegare quest’oggi.
Questo lo dico con tutto l’orgoglio che possiedo, e non me ne vogliano i P.M.
Come potete ben vedere, le nostre battaglie le combattiamo sul terreno della conoscenza, dell’informazione, della consapevolezza del ruolo dei cittadini nella difesa del territorio dalla speculazione, dalla cementificazione; nascono dalla volontà di voler vivere in un territorio sano e volerlo tramandare ai nostri nipoti così come ci è stato tramandato a noi. Sappiamo che la speculazione e il profitto metteranno in campo tutta la loro forza e violenza. Sappiamo che il prezzo da pagare è alto, ma orgogliosamente sappiamo pagarlo e sappiamo Resistere. Questo ci viene insegnato da oltre 20 anni di Lotta del Popolo No Tav. Ed è per annientare queste volontà che oggi, dopo che la sola forza del manganello e del gas C.S. non si è dimostrata efficace si utilizza la Repressione del carcere e dei tribunali.

Signor Presidente quando emetterà la sentenza contro di noi la prego di rispondere alla domanda che non il sottoscritto, ma molti cittadini di questa nazione le chiedono: PERCHE’ IL 3 LUGLIO CHIOMONTE FU INTERESSATA DA UNA VERA E PROPRIA BATTAGLIA CAMPALE? 4357 CANDELOTTI AL C.S. in poche ore e in un’area limitata, I FERMATI SOTTOPOSTI AD ABUSI E BOTTE, SASSI LANCIATI NON SOLO DA RESISTENTI MA ANCHE DA POLIZIOTTI E CARABINIERI non sono fatti che accadono tutti i giorni.
Molti in Italia guardano quotidianamente le foto che vengono aggiornate del cantiere di Chiomonte e molti si chiedono perché accanto alle ruspe si vedono i lince e gli alpini in missione come se fossero in Afghanistan

L’ambiente montato attorno a quest’aula finisce per convincere l’opinione pubblica che non si sta processando delle singole persone, ma la possibilità che un Movimento Popolare, qualunque esso sia, possa Resistere alla violenza di uno Stato incapace, o impossibilitato, di risolvere le vertenze come le richieste dei territori e dei propri cittadini con la “politica”.
Si finisce per processare il DIRITTO E DOVERE DI RESISTENZA di una popolazione impegnata nella difesa del suo futuro.
Certo, dalla parte di chi accusa stanno le Leggi dello Stato. Ma dalla nostra parte sta la LEGITTIMITA’ della Storia. Le Leggi a cui ci si appella sono diverse da quelle che regolavano lo Stato 70 anni fa e sono diverse da quelle che regoleranno lo Stato tra 70 anni. Perché le Leggi sono scritte dagli uomini a seconda delle necessità dell’organizzazione sociale dello Stato in un dato periodo storico. Mentre la nostra LEGITTIMITA’ nasce dalla difesa che stiamo effettuando del territorio che l’Umanità ha vissuto nei millenni e per altri secoli ancora dovrà, cioè vorrà, vivere. Ne era testimonianza il sito archeologico neolitico de La Maddalena da voi distrutto. Noi Lottiamo per lasciare in eredità ai nostri nipoti un territorio sano, pulito e vivibile. Così come ci è stato tramandato dai nostri avi.
E mentre le Leggi dell’Uomo mutano, le Leggi della Natura permangono. E le nostre IDEE, che nascono per/dalla difesa della Natura vivranno oltre di voi.

Tutto questo iter processuale si è mosso sotto la logica repressiva.
Dai provvedimenti del 26 gennaio con l’arresto senza alcuna vera necessità, con il mantenimento di provvedimenti contro molti dei qui presenti sembrano mossi da accanimento persecutorio.
Come il GIP che esigeva solo un nostro pentimento per aver partecipato alla Resistenza No Tav. E mai è entrata nel merito delle prove o indizi per stabilire le sue scelte nei nostri confronti.
E a tale proposito vorrei far notare come tutte le volte che è stato chiamato un Ente terzo a decidere (leggasi: Tribunale del Riesame o altro) sempre sono state ribaltate le decisioni della Procura
In questa e in tutte le indagini (oramai molte) contro il Popolo No Tav si vuole non necessarie le prove, indizi o altro per il mantenimento in carcere o imporre altri provvedimenti cautelari. Come la distribuzione di decine di fogli di via dalla Valle a persone colpevoli solo di avere raggiunto la Valle che Resiste per esprimere la loro solidarietà al popolo valsusino

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E qui non posso non ricordare come la Procura di Torino abbia di fronte il sangue di due giovani portati alla morte. Parlo di Edoardo Massari (Baleno) e di Maria Soledad Rosas (Sole). Non è stato sufficiente che la seconda vivesse a circa 11.000 chilometri di distanza dai luoghi dove erano avvenuti i fatti di cui fu accusata, od era appena giunta in Italia.

Intendo ricordarli con le parole che Soledad scrisse nel silenzio della sua cella:

“Ci vogliono morti perché siamo i loro nemici
non sanno di che farsene di noi perché non siamo i loro schiavi”

Incapaci di risolvere democraticamente i problemi in Valle di Susa, come del resto in tutta Italia, dove popolazioni intere chiedono la salvaguardia del territorio dalla distruzione per Opere Speculative; ma anche nei confronti di centinaia di fabbriche che oggi chiudono i battenti lasciando a casa migliaia di operai ormai non più utili; ma anche nei confronti di migliaia di famiglie che sono fuori dal mercato speculativo dell’abitazione. Incapaci di risolvere i problemi e i bisogni dei suoi cittadini lo Stato trasforma tutte le necessità del suo popolo in Emergenze o in Ordine Pubblico. Dispiegando tutta la sua Forza militare contro i propri cittadini, oltretutto senza guardare tanto al sottile e dispiegando un apparato e una forza oltre ogni limite come ci dimostrano i 4357 candelotti al gas CS sparati, anche ad altezza d’uomo, in poche ore il 3 luglio 2011.
Signor Presidente concludo affermando il mio Diritto/Dovere a Lottare per la salvaguardia del territorio, contro il peggioramento della qualità della vita a cui una Società basata sullo sfruttamento dell’uomo su l’uomo ci obbliga quotidianamente, per una Società al cui centro non deve esserci il Profitto, il Denaro, la Speculazione ma l’Umanità con i suoi bisogni e le sue necessità.
E se questo percorso deve passare dalla Resistenza contro devastazioni, licenziamenti, contro un Potere arrogante, sappia che sempre mi/ci troverete pronti.
Signor Presidente se mi dovrà condannare per soddisfare l’esigenza di un Potere che non può ammettere che da parte di Cittadini vi sia la capacità di vittoria che risiede nella RESISTENZA, sappia che lo farà unicamente basandosi sulle falsità come ho potuto ben precisare.
Da parte mia non mancherò di smascherare le falsità di questa inchiesta, come saprò anche denunciare che contro di me ci si è basati unicamente sulla infamia di chi solo ha voluto vendicare un passato remoto, che ha saputo mettere le mani nel fango e nella melma per tirarmele addosso, senza peraltro riuscire nel suo vile intento. Solo dall’Odio, da un grande Odio non solo verso il sottoscritto, ma verso la Verità,la Giustizia è nato il mio arresto.
La mia quarantennale militanza politica, nonostante il carcere, i processi, una presunta condanna, per non parlare delle denunce, delle perquisizioni vi deve ricordare che non sarà la vostra ennesima ingiustizia a porre fine al mio impegno per una Società basata sulla Uguaglianza, la Giustizia, la Fratellanza e libera dallo sfruttamento dell’uomo su l’uomo. E poter giungere un dì ad esprimersi con le parole del primo Uomo che ha percorso lo Spazio:
“da quassù vedo la terra, è bellissima senza confini e senza frontiere”

Termino prendendo in prestito da un grande Uomo della Storia, da un grande Comandante della Resistenza:

CONDANNATEMI, NON IMPORTA, LA STORIA MI ASSOLVERA’!