La caduta degli idoli

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Aldo Wjollo

L’anima umana sarà sempre un quesito irrisolubile.
L’uomo nel corso dei secoli si era costruito pazientemente, faticosamente e dolorando molti e pesanti altari. Su ogni altare poi volle mettere un idolo incoronandolo di bellezza e di scienza, di lavoro e di arte, perché gli facesse la vita bella e gli desse la gioia.
Idoli che invece fecero vile l’uomo, idoli che lo fecero deviare dalla via luminosa che lo doveva condurre alla gioia, alla bellezza, alla vita sana del piacere. Idoli che vollero le loro vittime, ancor calde e fumanti, idoli sanguinari che, insaziabili, vollero essere soddisfatti.
L’amore pel prossimo: che dal biondo Cristo in poi ha avvelenato l’animo dell’uomo come l’acido più potente.
La Famiglia: che al suo culto ha incatenato l’uomo colle catene infrangibili del dovere e dell’onore.
La Pietà: che fece dell’uomo destinato ad essere un dio, l’essere il più vile e il più debole.

*
Dal fatale fascino avvelenatore di questi idoli noi, soli, colla irruenza giovane delle nostre idee corrosive, abbiamo saputo e voluto sottrarci.
Noi, soli contro tutti, abbiamo sghignazzato irriverenti in faccia agli altari che odoravano di incenso, in viso agli idoli che odoravano di sangue.
Noi soli non badammo se lungo il nostro percorso si lasciavan grosse stille di bel giovine sangue che nella terra facevan solchi profondi purché si andasse avanti, purché ci si innalzasse, purché nulla fosse al di sopra di noi.
Noi soli schiacciammo gli idoli che rendevano l’uomo vile e che gli tarpavano il volo alto verso la luce, verso il sole!
E fummo derisi, e fummo lapidati!
Tuttavia proseguimmo, pochi contro molti, baldi perché sereni.
Ora però gli avvenimenti neri di sangue rappreso, fatti di orrore, fatti di morte, ci hanno dato ragione. Delle prove che ora abbiamo della verità delle teorie che esponemmo, ne facciamo a meno perché s’era convinti entro di noi di essere nel vero.
Giacché il turbine sanguinoso che ha abbattuto uomini e cose come fuscelli, coscienze, idee ed anime come foglie morte, ha voluto abbattere gli idoli che impastandoli di sangue, l’uomo volle eretti.
Vennero abbattuti senza che alcuno osasse la protesta, ch’era un loro diritto e un loro dovere, senza che alcuno gridasse al sacrilegio benché s’uccidesse quel che era pur istituzione sacra: ma di fronte agli urti ed ai conflitti del denaro nulla più vi è di sacro, nemmeno la vita!
I tempi mutano.
La Famiglia, più non esiste.
Il focolare tanto decantato come l’origine e la culla delle più miti virtù, ora non è più che un mucchio di bigia cenere spenta.
I padri accanto ai figli in una atmosfera acre di fumo e di lamenti, attendono ansiosi ed incoscienti la morte liberatrice!

La Religione più non ha valore: Iddio serve a mascherare la strage. Il suo vicario in terra è impotente a salvare gli uomini.
La Pietà innalzata fino ai cieli ora si è inabissata. L’uomo uccide freddamente un altro uomo che mai prima conobbe, come se uccidesse un giovane maiale.
Cristo è nella melma!
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I valori non si sono capovolti, si sono annientati!
Gli altari fatti di fango e di sangue hanno ceduto, gli idoli sono caduti e si sono infranti!
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Non saremo noi però, come alcuni forse potranno credere, a rallegrarci di ciò. Noi constatiamo semplicemente.
Non ci rallegriamo di ciò perché purtroppo ben sappiamo che a guerra finita gli idoli rinasceranno sotto altre forme più imperiosi, più agguerriti, più dispotici.
Non saremo noi che canteremo, in mezzo a tante sconfitte, la nostra vittoria perché sappiamo che uomini che non hanno voluto questa strage ma che l’hanno fatta saranno incapaci poi di vivere senza avere in loro qualche idolo che li sorregga.
Ci sentiamo però fieri di aver posseduto, sia pure fra dolori, incertezze e gioie, un raggio di luce che ci ha guidati fra tanta tenebra.
Ci sentiamo però fieri ed animosi perché sappiamo che saremo ancora pochi affermanti la bellezza di una rivolta contro tutti gli idoli, vecchi e nuovi.
Ci sentiamo ancora pronti per essere domani di nuovo, come lo siamo oggi, come lo fummo ieri, contro la massa, fuori dal gregge.
Contro la massa che, se ha rovesciati gli idoli non l’ha fatto in un impeto di bella e rossa ribellione, ma spinta dagli eventi, come fiume limaccioso di viltà e di bassi egoismi.
Fuori del gregge anche domani perché sappiamo che questo, svestita la casacca, ricostruiti di nuovo gli altari, posti sopra questi nuovi idoli e chiamato a raccolta per un nuovo sacrificio, belando risponderà ancora: presente!
A noi basta far constatare che tutti gli idoli hanno basi d’argilla e che tanto un forte vento come una marea impetuosa li potranno far scomparire.
Che gli uomini hanno ancora l’animo pregno di viltà e che non sapranno mai opporsi con uno slancio di rivolta, che non sapranno mai difendere i loro più cari, più sacri principi, i canoni fondamentali delle loro morali, che non sapranno difendere dall’assalto degli eventi i loro idoli fatti delle loro animucce cadenti.
Perché sono vili, vili e deboli!
A noi quindi che, malgrado la bufera irrompesse schiantando uomini e anime, siamo rimasti ritti, al nostro posto, è riserbato il compito doloroso è vero ma inesorabilmente necessario, di tentar di plasmare una nuova anima e un nuovo cervello al popolo.
Noi dovremo tentare di rubar l’arte a Dio!
Noi dovremo sferzare gli uomini colle idee che fanno sanguinare, perché essi col loro elevamento diano modo pure a noi di spaziare più lontano verso nuovi e più limpidi orizzonti, verso più belli ed atroci ideali!

[Cronaca Libertaria, n. 6, Milano, 6 settembre 1917]