A proposito di soviet ed anarchia

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Vecchio di ottant’anni, questo scambio di vedute fra Camillo Berneri, all’epoca già noto “revisionista” anarchico, e Max Sartin, redattore dell’intransigente L’Adunata dei Refrattari, ha mantenuto intatta tutta la sua attualità. I riferimenti storici possono anche invecchiare, il significato di quanto viene espresso no. Da una parte, l’invito a sporcarsi le mani senza badare alle possibili contraddizioni: la politica, prima di tutto. Dall’altra, la scelta di battersi senza scendere a compromessi di alcun genere: l’etica, innanzitutto. Alle soglie del terzo millennio, pur immersi in un frastuono che fa perdere i sensi, non siamo poi molto lontani.

Camillo Berneri / Max Sartin
Il compagno m.s. si dichiara recisamente contrario al sovietismo. Il soviet è da lui definito «l’organizzazione politica del proletariato autentico e non autentico», «un organo elettivo avente potere legislativo», ossia è da lui condannato come potere politico e come potere legislativo. Il sovietismo ostacolerebbe il processo livellatore della rivoluzione sociale «in quanto cristallizza in forme politiche quella divisione della società in classi» che è funzione della rivoluzione di sopprimere; «sarebbe una barriera alle realizzazioni anarchiche, in quanto istituisce, localmente e nazionalmente, un potere politico di cui lo Stato è conseguenza logica inevitabile».
M.S., come tutto il suo articolo lo rivela, ha presente alla mente l’origine e la decadenza del sovietismo russo. Ma egli confonde il sovietismo quale fu in Russia e quale potrebbe esser stato, o essere domani, in Italia, con quella concezione di sovietismo, integrale sintesi non soltanto di quella rispettabile ma generica e spesso pericolosa volontà popolare, ma anche di quelle minoranze rivoluzionarie che in seno ai movimenti di masse, adunano, coordinano e potenziano le tendenze più avanzate, sia nel campo delle realizzazioni socialmente egualitarie sia nel campo delle realizzazioni politicamente democratiche.
Se il sovietismo può contenere in nuce le tendenze alla cristallizzazione statale, assumendo fin dai suoi inizi la natura di un sistema essenzialmente politico, cioè legislativo, poliziesco, burocratico ecc., il sovietismo è per sua natura l’immediata ed inevitabile espressione del bisogno delle masse di darsi un sistema di coordinazioni capace di assicurare e possibilmente aumentare e migliorare il tenore di vita, la difesa delle posizioni conquistate, la sostituzione degli organi e delle funzioni rispondenti ai generali bisogni.
Che nell’originaria natura popolare, genuinamente rivoluzionaria, del sovietismo, si infiltrino ben presto, inquinandolo, la demagogia autoritaria, le tendenze statolatra, e si addensino le tenebre delle maggioranze a crearsi dei capi, lasciando a quelli dei compiti dei quali dovrebbero essere gelose, questa è storia, e non possiamo noi che proporci di conservare al sovietismo quanto vi è in esso di autonomia, di anti-Stato, di extra legem, cercando che il sistema sia sano alle radici e saldo nei suoi ulteriori sviluppi.
Come accettiamo, valorizzandola, l’iniziativa popolare nelle sue manifestazioni insurrezionali ed espropriatrici, pur sapendo che errori ed orrori non mancarono e non mancheranno, così non possiamo non accettare l’iniziativa popolare nelle sue manifestazioni ricostruttrici.
I problemi della rivoluzione sono quelli che sono, risolvibili nel quadro di una data maturità politica e morale, di un dato complesso di economici fattori obiettivi che impongono soluzioni non solo immediate ma generali. Un organismo qual è lo Stato odierno può essere demolito, ma alla sua ossatura fa riscontro tutto quel sistema di fasci muscolari e nervosi che sono i servizi pubblici. Questi vanno riorganizzati, ed essendo, sia per la loro natura funzionale, sia per l’organizzazione che ha loro data la necessità accentratrice dello Stato, degli organismi eminentemente nazionali, al di sopra del villaggio, della città, della regione, dovrà pulsare un sistema di centri direttivi, che nella vita di una nazione sono quello che nella vita organica degli animali superiori sono il cervello, il cuore, i gangli nervosi.
Le società primitive, le città dell’epoca dei Comuni, il villaggio contadino, la cittadina di provincia della Spagna, possono realizzare delle forme più o meno integrali di quell’anarchismo solidarista, extra-giuridico a-statale caro a Kropotkin, ma la metropoli odierna, ma la nazione che ha un ritmo di vita economica internazionale, debbono affrettarsi a saldare le fratture prodotte dalla fase insurrezionale, perché la vita non si arresti; come il chirurgo deve affrettarsi a passare dal bisturi all’ago, quando si accorga che il cuore del paziente rallenta il proprio ritmo.
Il rivoluzionario odierno deve essere guerriero e produttore, deve essere l’insorto e il cittadino. E per cittadino intendo l’uomo che, non perdendo di vista la città ideale che biancheggia, alta, al di là del presente, sa che il crepitare delle mitragliatrici e il ronzio dei volanti, il lampo delle rivoltelle e il fumo delle ciminiere sono, oggi, nello stesso quadro e nello stesso piano.
Il sovietismo ripugna all’anarchia, tu dici, o caro m.s. D’accordo. Ma tutto quello che non è ancora l’anarchia ripugna ad essa, che è il punto di arrivo. L’anarchismo è il viandante, che va per le vie della storia, e lotta con gli uomini quali sono e costruisce con le pietre che gli fornisce la sua epoca. Egli si sofferma per adagiarsi all’ombra avvelenata, per dissetarsi alla fontana insidiosa. Egli sa che il destino, che la sua missione è di riprendere il cammino, additando alle genti nuove mete. Ma quando il popolo insorto dai rottami dello Stato fa materiale per costruirsi il libero Comune, e contro la Banca e il Consorzio padronale erge il Sindacato, e nella palestra del Consiglio si addestra ad amministrare, l’anarchico comprende che nella storia si agisce sapendo essere popolo per quel tanto che permetta di essere compresi e di agire, additando mete immediate, interpretando reali e generali bisogni, rispondendo a sentimenti vivi e comuni.
Recisamente contrari al sovietismo, noi? Noi che nelle autonomie locali avremmo la migliore trincea per sbarrare la strada allo Stato? Noi che non possiamo sognare di veder realizzata l’anarchia se non dopo la più larga e la più profonda esperienza di auto-democrazia, nel campo dell’amministrazione cooperativa e comunale?
Il sovietismo ha in sé il pericolo dello statalismo. E sia, e non pianteremo più meli perché molte mele hanno il baco? Ogni cosa che è nel mondo ha il proprio baco. Tutto sta nel saperlo levare. Preoccuparsi eccessivamente delle degenerazioni possibili, conduce ad un errore comune a molti tra noi: alla negazione assoluta.
La storia è opposizione e sintesi. L’anarchismo, se vuole agire nella storia e diventare un grande fattore di storia, deve aver fede nell’anarchia, come una possibilità sociale che si realizza nelle sue approssimazioni progressive. L’anarchia come sistema religioso (ogni sistema etico è di sua natura religioso) è una «verità» di fede, quindi per propria natura, evidente soltanto a chi la può vedere. L’anarchismo è più vivo, più vasto, più dinamico. Egli è un compromesso tra l’Idea e il fatto, tra il domani e l’oggi. L’anarchismo procede in modo polimorfo, perché è nella vita. E le sue deviazioni stesse sono la ricerca di una rotta migliore.
Tra m.s. che butta via la vasca da bagno col bambino dentro e V. di Guerra di Classe che esalta il sovietismo come il non plus ultra dell’anarchismo, vi è una via di mezzo, che mi pare la migliore. Ed è quella che tento additare in questa conclusione, che gioverà, forse, ad evitare equivoci su quanto ho detto fino ad ora. Il sovietismo è il sistema di auto-amministrazione popolare e risponde ai bisogni fondamentali della popolazione, rimasta priva degli organismi amministrativi statali. Questo sistema può permettere la ripresa della vita economica, compromessa dal caos insurrezionale, e può servire di base alla formazione di un nuovo ordine sociale, costituendo inoltre una proficua palestra di auto-amministrazione preparante il popolo a sistemi di maggiore autonomia. È compito degli anarchici in seno al sovietismo di cercare di conservare ad esso il suo carattere spontaneo, autonomo, extra-statale: di cercare che esso sia un sistema essenzialmente amministrativo e non diventi un organismo politico, destinato, in tal caso, a partorire uno Stato accentrato e la dittatura del partito prevalente; di lottare contro le tendenze burocratiche e poliziesche, cercando anche di circoscrivere la sua azione legislativa ai regolamenti rispondenti all’utilità generale.
Resta inteso che gli anarchici considerano il sovietismo come un sistema transitorio e superabile, e che non esiteranno a porsi contro di esso quando lo vedessero degenerare in strumento di dittatura e di accentramento.
M.S. dovrebbe, per convincermi che ho torto, spiegarmi quale sistema crede possibile possa sprigionare la rivoluzione italiana e con quali linee programmatiche e tattiche l’anarchismo italiano potrebbe agire in seno a quella rivoluzione raggiungendo i suoi massimi obiettivi possibili : ampie autonomie locali e accentramento circoscritto alle necessità d’ordine nazionale. Parlo, naturalmente, dei soli obiettivi politici.

Camillo Berneri

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Berneri è d’accordo che il sovietismo ripugna all’anarchia: «tutto quello che non è ancora l’anarchia ripugna ad essa, che è il punto d’arrivo». Ma l’anarchia non è l’anarchismo. Quella è la meta lontana, questo è il metodo. L’anarchia è la fede pura, sostiene Berneri; l’anarchismo è invece la chiesa che conduce alla fede pura, un compromesso tra l’Idea e il fatto, tra il domani e l’oggi.
La parola compromesso è una brutta parola; ciò che implica è ancora più brutto. In ogni modo, se si è costretti a subire il compromesso, non si deve accettarlo mai. Il fatto della vita sociale impone delle restrizioni e degli ostacoli all’applicazione integrale immediata dell’Idea oggi, e forse anche domani. Ma noi non possiamo considerare quelle restrizioni come un passo verso l’anarchia, quando invece ne sono una barriera; né possiamo accettare come definitivi quegli ostacoli.
So bene che, secondo Berneri «gli anarchici considerano il sovietismo come transitorio e superabile», ma una lunga esperienza dovrebbe averci ormai insegnato che se tutto è transitorio nella vita, le istituzioni autoritarie non si rassegnano mai alla loro transitorietà e sono, come ogni altro organismo, dominate da una tenacissima volontà di conservazione, onde il transitorio tende sempre a diventar permanente. Come si vede, Berneri risuscita nel suo sovietismo quel famoso periodo transitorio che è stato in passato il pretesto di tutte le deviazioni autoritarie del movimento rivoluzionario, che è oggi il pretesto ai diversi revisionismi a cui manifestamente si riconnette questo suo entusiasmo pei soviet.
Ora, io penso che gli anarchici non debbano essere, neanche transitoriamente, fautori di istituzioni autoritarie. Butto via la vasca da bagno col bambino dentro, o non cerco piuttosto di salvare il bambino che Berneri vorrebbe soffocato nell’alluvione sovietica?
Vediamo.
È naturale che parlando di sovietismo si debba aver presente il sovietismo russo, non ne esiste e non ne è mai esistito altro. Soviet è una parola russa e il soviet è un’istituzione russa. In Italia si è cercato di imitarlo coi Consigli di Fabbrica, che furono istituzioni create e dirette dai bolscevichi o, per essere più esatti, dai comunisti d’Italia. Al movimento dei Consigli di Fabbrica aderirono anche anarchici, ma con tali risultati da scoraggiare il ripetersi dell’esperimento.
Le parole hanno la loro fortuna e noi non ci comprenderemo mai se Berneri intende per sovietismo cosa diversa da ciò che tutti gli altri intendono, cosa che non è mai esistita fuorché nel suo desiderio o nella sua immaginazione. Il sovietismo è quello che è e non sarà altra cosa se non mutando natura, carattere e fisionomia, cioè cessando di essere il sovietismo. È possibile che domani risorga in Italia, ad opera dei comunisti che giustamente vedono in esso le basi popolari del loro potere politico, una versione italiana del sovietismo, cioè un sistema di Consigli Operai e Contadini; ed è probabile che degli anarchici, desiderosi di non straniarsi dalle attività locali dei loro compagni di lavoro prendano parte a questi Consigli allo scopo preciso di opporre alle ambizioni autoritarie dei comunisti freni ed ostacoli. Ma a me sembra estremamente pericoloso lasciar credere a quei compagni che il Consiglio di cui saranno membri — alla stessa stregua e con l’identica funzione per cui oggi possono essere membri di un Sindacato — sia suscettibile di diventare anarchico. Noi dobbiamo dir loro che in seno a quei Consigli essi non sono più soltanto lavoratori impegnati, a fianco dei loro compagni di fatica, nella gestione degli interessi comuni, ma rappresentanti, delegati, eletti in base ad un sistema di selezione che non è anarchico, perché usurpa alla massa il compito di quella gestione, onde — se vorranno adempiere alla loro missione di anarchici-minoranza — si guarderanno bene dall’assumersi alcuna responsabilità nelle direttive volute dalla maggioranza mantenendosi coerentemente all’opposizione; maggioranza, restituiranno alla massa il potere deliberativo che questa aveva delegato, in tal modo togliendo ai Consigli la loro caratteristica precipua e insomma la loro ragion d’essere, in quanto organi rappresentativi che, come si sa, finiscono sempre per rappresentare solo i rappresentanti.
Che il popolo erga il Sindacato contro la Banca e il Consorzio padronale, può essere vero in quanto concerne le intenzioni e i desideri dei lavoratori che il Sindacato sorreggono delle loro devozioni e dei loro tributi, e ai quali si è per decenni dato a intendere che quello era lo scopo del Sindacato stesso. Ma in quanto risulta dalla condotta di coloro che sono il governo del Sindacato e ne fanno la politica, l’esperienza insegna che dove il Sindacato non è mancipio della Banca e del Consorzio Padronale è invariabilmente freno, remora, intralcio alle audacie della massa o, per lo meno, delle sue avanguardie iconoclaste. E ciò perché il Sindacato è un organismo autoritario in seno al quale non è consentita che la tattica voluta e imposta dall’alto dove la politica contingente frusta e domina tutte le preoccupazioni rivoluzionarie.
Così è un sogno il credere che «il sovietismo è il sistema di autoamministrazione che nasce inevitabilmente da una rivoluzione popolare» ed è tendenziosa l’affermazione che esso «risponde ai bisogni fondamentali della popolazione, rimasta priva degli organismi amministrativi statali». Il sovietismo è un sistema di selezione che permette ad alcuni eletti, che ricevono ordini dall’alto, di escludere la massa dall’auto-amministrazione; e che risponde ai bisogni fondamentali della popolazione — pretendono precisamente coloro i quali aspirano ad essere gli eletti per precludere agli elettori l’auto-amministrazione ed applicare, con l’apparente consenso della massa, i loro particolari programmi di amministrazione e di governo. Io sono invece convinto che gli anarchici — eccezion fatta pei revisionisti che sembrano risoluti a distillare la pietra filosofale del governo anarchico — siano con me d’accordo nel ritenere assurda, nefasta, inammissibile quella pretesa. Le popolazioni, «rimaste prive degli organismi amministrativi (e politici) statali» corrono alle porte della Duma, al palazzo della Costituente, al Municipio, alla Camera del Lavoro, non perché queste istituzioni siano buone in sé, né perché possano dagli anarchici considerarsi come passi verso l’anarchia, ma perché essendo state combattute, perseguitate, soppresse dal vecchio regime, diventano agli occhi della moltitudine volta a volta centro, simbolo delle sue vaghe speranze di riparazione e di rivincita. Ma se a fianco della Duma sorgerà il soviet più largo di promesse, vindice di più radicali realizzazioni, le popolazioni diserteranno in breve la Duma e si affolleranno davanti ai portoni dello Smolny Institute. Basta, questo, all’anarchismo per unirsi al coro e gridare che nel soviet è la salvezza?
A me pare che non basti. L’anarchismo deve giudicare il soviet non dalle simpatie che riscuote tra la massa, ma dal carattere obiettivo della sua funzione. E se Berneri è con me d’accordo che il sovietismo è un sistema autoritario, e che come ogni altro sistema autoritario è politicamente liberticida, economicamente parassitario, moralmente ingiusto, Berneri dovrebbe convenire con me che l’anarchismo, lungi dall’accettarlo come una tappa verso l’anarchia, ha il dovere di combatterlo come una nuova insidia pel progresso sociale dell’umanità.
Non mi sfuggono le complicazioni della vita moderna; penso anzi che i cosiddetti servizi pubblici che tanto preoccupano il compagno Berneri, saranno assai più numerosi e complicati in seguito all’espropriazione rivoluzionaria della terra e di tutti i mezzi di produzione e di scambio, quando tutta quanta l’attività economica, non avendo più altro scopo che l’alimentazione e il benessere della collettività, sarà diventata, per così dire, funzione di pubblica utilità. Né intendo che l’anarchia significhi ritorno alla vita semplice o primitiva dei campi e del villaggio al crepuscolo della civiltà, bensì superamento, integrazione, su tutti i campi dell’umana attività, delle conquiste sinora raggiunte.
Ma delle due l’una: o l’anarchismo risolve anarchicamente il problema della gestione diretta del patrimonio sociale quale fu accumulato dal progresso compiuto e quale sarà ancor più arricchito dal progresso a venire, e allora l’anarchia sarà la possibile realtà del futuro; oppure l’anarchismo non risolverà anarchicamente questo problema, si contenterà di risolverlo con espedienti autoritari e allora non soltanto l’anarchia sarà impossibile per l’avvenire, ma l’anarchismo stesso è oggi un pleonasmo assurdo che non serve ad altro che a designare una delle tante correnti autoritarie del movimento rivoluzionario.
«La storia — scrive Berneri — è opposizione e sintesi». L’opposizione deve precedere la sintesi. E finché una possibilità di sintesi anarchica non si presenti all’anarchismo, perché dubitare che l’opposizione non abbia compiuta la sua funzione, perché pretendere che sia divenuta sterile? Il sostituire alla logica sintesi anarchica che sfugge, una sintesi autoritaria, non risolve il problema dell’anarchismo. Tutt’al più gli dà l’illusione di averlo risolto. Un’illusione tanto più pericolosa che nasconde l’insidia e conforta la pigrizia.
E Berneri si sente così soddisfatto nella soluzione sovietica dei problemi del suo anarchismo, che chiude gli occhi alla ragione ed esige da me una controsoluzione, unico argomento a cui si professi disposto ad arrendersi: «per convincermi che ho torto, dovrebbe spiegarmi quale sistema crede possibile possa sprigionare la rivoluzione italiana, ecc.».
A mia totale confusione, devo confessare che non ho un programma politico da offrire all’anarchismo italiano pei suoi bisogni cumulativi in occasione della prossima rivoluzione.
Non ho che una convinzione, e cioè che le deviazioni, le transazioni autoritarie dell’anarchismo, siano al tempo stesso dannose all’anarchia, al popolo italiano, alla sua rivoluzione.
Ed un proposito: mescolarmi tra la folla dei diseredati che non aspirano a creare per sé nuovi monopoli e privilegi, che sperano con la rivoluzione conquistarsi il pane e la libertà, viverne la passione, combatterne le battaglie per la rivendicazione di tutta la libertà, per l’integrazione di tutto il diritto, per l’abolizione di tutte le ingiustizie, cercando di sventare i calcoli e le insidie di quanti disegnano sottometterla al proprio dominio.
È poca cosa, ma mi sembra ancor meglio del sovietismo.

Max Sartin

[“Sovietismo, anarchismo e anarchia”, L’Adunata dei Refrattari, 15/10/1932]