BOMBE NAZIONALI

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PERLA DELLE ANTILLE
 
La bomba lanciata, durante le persecuzioni indimenticabili, in Barcellona in stato di assedio, quando passava, trionfante, il maresciallo-garrotatore Campos [1], non è certamente comparabile al congegno patriottico e nazionale piazzato, in tempo di pace, secondo i consigli del generale Weyler [2], sotto la chiglia di una nave americana [3].
La piccola marmitta del generale compì meraviglie.
Nelle acque di Cuba, il Maine saltò in mille pezzi. 250 marinai bruciati, fatti a pezzi, annegati… Del fuoco, del ferro, il lenzuolo delle onde. Un avvertimento della Spagna:
Qui vi sono delle trappole per lupi di mare.

Poiché una nazione avvertita ne vale due, non bisogna meravigliarsi della pronta risposta americana. Messaggio del presidente, voto delle camere, ultimatum…
Gli obici sono in batteria.
E gli obici pioveranno sui porti soleggiati. Americani e Spagnoli tenteranno di avvicinarsi alle coste dove si stagliano le case bianche, dove fioriscono delle popolazioni. Le bombe cadranno a casosulle città e sulle case, nei sobborghi in cui i bambini giocano per le strade sugli ospedali in cui i malati saranno, con un sol colpo, guariti…
Sono le bombe civilizzate.
Un anno fa, di questi tempi, la Spagna, la Cattolica, bruciava un po’ ovunque. A Barcellona, non era ancora il rogo; ma i colpi di fucile crepitavano.
Il consiglio di guerra, in seduta permanente, compiva esecuzioni sommariamente nei fossati di Montjuich. Si torturavano i prigionieri colpevoli di un opinione. Gli stivaletti dell’Inquisizione calzavano i piedi di nuovi martiri.
Si strappavano delle unghie. Si bruciavano carni al fuoco.
Dei monaci incappucciati circolavano con dei gendarmi, degli ufficiali e dei giudici, andavano di cella in cella a interrogare come si interrogava ai tempi rimpianti della Questione.
Nelle colonie, laggiù, nelle Filippine, A Cuba, la madre-patria covava i suoi piccoli.
Li covava a fuoco lento.
Si bruciavano vivi gli irregolari caduti nelle mani degli Spagnoli, dei regolari, dei secolari. Si reprimevano le sollevazioni degli indigeni spremuti sino in fondo,carichi d’imposte, morenti di fame, facendoli morire più velocemente con la spada e il bastone. Nei villaggi in cui, musica in testa, penetrava l’Esercito della Regina, giacevano, dopo il suo passaggio, cadaveri di donne violentate…
Contro i suoi figli ribelli, i suoi creoli, i suoi schiavi, i suoi negri, la Spagna cavalleresca sviluppava allegramente le sue qualità medievali
Cosa importavano le leggi di guerra? Questo codice della macelleria puerile e onesta.
Non vi è diritto di belligeranza per chi si rivolta nel proprio paese. Non più che per i liberi-pensatori, i repubblicani e altri anarchici della Metropoli, la Spagna tradizionale e papalina non si sentiva a disagio con i Cubani.
Quando non li si arrostiva, si fucilavano i prigionieri.
Non è così che si deve rispondere alla guerra dei partigiani?
Guerrilleros e flibustieri, i franchi tiratori dell’indipendnza erano buona carne da supplizio. I Cubani lo sanno così bne che quelli tra di loro caduti, vivi, in un’imboscata, cercavano un rifugio nel suicidio.
Uccidi! Viva la Spagna! Uccidi! para la Madona… Uccidi senza parole. Nessuna tregua per i partigiani- partigiani della Libertà.
L’America si commosse.
Si ignora come si commuovono gli Yankee. Perché se lal Spagna è cavalleresca, gli Americani sono filantropi. Brava gente! Soffrivano di vedere la desolazione diffusa in un paese vicino, su un ricco territorio così vicino, sulla perla di tutte le Antille.
E poi avevano forse da far dimenticare, con un intervento generoso, qualche errore del tempo passato? Pensavano senza dubbio al modo piuttosto radicale di cui un tempo braccavano il Pellirossa nelle praterie del Farwest. Quanti crimini odiosi da riscattare…
L’Americano è filantropo!
Non lo si dirà mai troppo invano: filantropo e metodista.
Una condotta esemplare, ora, una lezione di umanità cancellerebbe il tenace ricordo di questi massacri metodici di Pawnie, di Apache, di Sioux, razze estinte, annientate sotto il fucile degli anglosassoni. Si placherebbe, nella piroga, sui grandi laghi, l’ombra dell’ultimo dei Mohicani [4].
L’America fece dunque alla Spagna ciò che in stile diplomatico si chiamano delle rappresentazioni.
In stile volgare si scriverebbe: l’America recitò la commedia.
Accadde l’incidente del Maine che diede la scintilla alle polveri.
Cuba non è nient’altro nella mischia che una preda che due popoli si contendono.
Gli Stati Uniti avevano un mezzo molto semplice di dimostrare, sin dall’inizio, la purezza delle loro intenzioni:
Spontaneamente, riconoscere Cuba libre [5].
Ci hanno pensato un po’ tardi. Il Senato dice: sì. La Camera vacilla. Il Congresso cerca una formula. I giornali aggiungono che d’altronde si tratta, prima di ogni altra cosa, di pacificare vigorosamente.
Parlano della necessità di un governo stabile che assicurerebbe il “traffico”… Si sente l’asprezza della parola: dogane, dazi e royalty.
I filantropi sottintendono che, -essi soltanto- in fin dei conti, saranno capaci di far fruttare, nell’Isola, questo governo ideale.
La prova si farà a colpi di cannone.
Cuba, liberata dalla Spagna, sarà vassalla degli Stati Uniti.
In quanto alla regina reggente, al suo brillante seguito di cortigiani e di ministri, essi non ignorano affatto che la Spagna corre verso una formidabile sconfitta.
La loro cavalleria che fiuta le idee sovversive, la loro tracotanza poco maestosa lascerebbe, a questi hidalgo, una certa prudenza, se non sanno per certo che ogni occasione sarà buona alle parti dell’opposizione per buttare giù la loro regalità.
Una ritirata alle Antille, è, a Madrid, la rivoluzione.
Attraverso la forza oscura delle cose, i pseudo-padroni della Spagna sono travolti malgrado loro. Si ostineranno nel far valere i diritti illusori che essi possiedono sull’isola lontana che li maledisce.
Non eviteranno la batosta.
Eviteranno la Rivolta?
Correntemente la rivoluzione salutò il ritorno dei generali che lasciarono la loro ferramenta in mano al nemico vincitore.
L’eventualità è temibile a questo punto tanto che i tre re e gli imperatori, macellai dilettanti di popoli, non osano più lanciare i loro battaglioni.
Non si fidano del loro bestiame.
La guerra trascina e scatena. Si è annusato odore di sangue. Ci si è fatti sconfiggere per la principessa.
Il fucile serve per la Comune.
Che la guerra scoppi subito, si prolunghi o meno, o sia rinviata, la questione cubana è di quelle che una volta poste non si elude più.
Degli uomini vogliono liberarsi.
Gli insorti cubani sono lungi dall’avere l’ingenuità dei Cretesi dell’anno scorso. Quei sempliciotti non tentavano di scuotere il giogo del Sultano se non per diventare i sudditi del buon principe Giorgio di Grecia.
I Cretesi chiedono un re. I Cubani non chiedono nulla se non vivere liberi sotto il sole.
Hanno imparato a disprezzare le vane parole della vecchi Europa. Hanno la robusta energia di una Volontà che va per la sua strada.
Delle nazioni dette civilizzate possono ricorrere alla dinamite per contendersi questa preda di lusso. Gli obici, le mitragliatrici, possono tuonare oltre i mari. Le bombe sacre della patria possono uccidere delle donne e dei bambini…
La Spagna può accigliarsi, gli Stati Uniti possono sorridere, la bella perla delle Antille è perla che non si infilerà.
Zo D’Axa
NOTE
[1] Il generale Martinez Campos represse nella sua lunga carriera di reazionario militare anche le sollevazioni a Cuba nel 1895 in qualità di Governatore di Cuba, gli scarsi risultati conseguiti però, portarono alla sua destituzione con il generale Valeriano Weyler.
[2] Il generale Valeriano Weyler che subentrò al generale Campos, fec deportare almeno 400 mila cubani inclusi donne, vecchi e bambini in campi di concentramento, provocando migliaia di decessi.
[3] Zo d’Axa si riferisce al celebre caso della corazzata USS Maine che gli Stati Uniti avevano inviato a L’Avana nel gennaio del 1898 con il motivo di proteggere gli interessi dei cittadini statunitensi che vi risiedevano. L’affondamento della nave da guerra nel febbraio del 1898, che provocò centinaia di vittime e su cui ancora oggi vi sono controversie riguardo alle cause, provocarono un’ondata guerrafondaia nell’opinione pubblica statunitense sostenuta dalla grande stampa conservatrice e filoimperialista, e infine l’intervento armato degli USA. Le ostilità che si protrassero dal mese di aprile sino agli inizi dell’agosto 1898 portarono ad una rapida e schiacciante vittoria degli Stati Uniti che si impadronirono oltre che di Cuba anche delle Filippine, Porto Rico e dell’isola di Guam.
[4] Alle atrocità commesse dagli Spagnoli sia in patria sia nelle colonie americane, che aiutarono il partito belligerante statunitense nella loro propaganda a muovere guerra alla Spagna, Zo d’Axa ricorda quelle commesse dalla popolazione di lingua inglese prima e dopo l’Indipendenza. Cita ironicamente allo scopo il titolo del famoso romanzo di James Fenimore Cooper L’ultimo dei Mohicani edito nel 1826.
[5] Cuba Libre. Zo d’Axa ironizza, come è tipico nel suo stile e temperamento, abusando dei doppi sensi, in questo caso legando il nome della dichiarazione d’intenti statunitense di voler rendere indipendente Cuba con quello di un drink che da allora sarebbe diventato famoso, il Cuba libre appunto. La leggenda vorrebbe che un barman cubano avesse mescolato la Coca Cola statunitense al rum, prodotto tipicamente cubano, unione simbolica delle due nazioni unite in guerra contro la Spagna. In origine il Cuba Libre era un cocktail a base di rum bianco, succo di lime, sciroppo di zucchero allungato con la cola.