Ma tu, sei antifascista si o no ? (2008) it/fr/de

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Quante volte mi sono sentito porre questa domanda! Ne ho perso il conto. E ogni volta che ho cercato di affrontare questa discussione sono sorti mille equivoci e incomprensioni. Il fascismo non è stato forse l’italica versione del male assoluto? Va da sé che l’antifascismo non può che rappresentare il bene assoluto, una virtù pubblica da esibire, da sbandierare in più di un’occasione. Guai a storcere il naso in sua presenza, a non mostrare la dovuta riverenza nei suoi confronti, a non tramandarne la gloriosa tradizione, si viene guardati con sospetto. Negare l’applauso all’antifascismo è sinonimo di losca ambiguità, se non peggio…

 

Eppure, che la retorica antifascista sia arrivata al capolinea dovrebbe essere ormai chiaro a chiunque, soprattutto oggi che tutti si proclamano “antifascisti”. Tutti, perfino l’attuale presidente della Camera (sì, proprio lui, l’ex delfino del fucilatore di partigiani Almirante). Già. Ma è l’effetto della generale usura delle parole e del loro significato: il termine “fascista” è stato talmente usato ed abusato che ha finito per indicare tutto e il suo contrario. Praticamente niente. E allora, perché insistere a ricamarci sopra?

Anzitutto, una precisazione. Tralasciando le elucubrazioni semantiche, sono antifascista sì o no? Sono nemico del fascismo, certo. Ma la definizione “antifascista” mi mette addosso un certo nervosismo. Me la sento troppo stretta, mi fa mancare l’aria. Io penso che l’antifascismo sia sì una virtù, ma di natura molto parziale. Appena si organizza e si vuol far passare per totalità, si trasforma in vizio. Per spiegarmi meglio, userò un’analogia. Voi credete in Dio? Io no, non credo in nessun essere supremo. Per cui considero con ostilità ogni religione, quale che sia, giacché tutte costruiscono il proprio potere sulla pretesa esistenza del fantasma divino. Sicuramente sono ateo. E questo fa di me al tempo stesso un anticristiano, un antimusulmano, un antigiudaico, eccetera.

Ma questi ultimi tratti sono per me secondari, mi appartengono pur non caratterizzandomi del tutto. Sono, per l’appunto, descrizioni parziali che prese singolarmente non esprimono appieno la mia totalità. Sono le classiche mezze verità che a furia di essere ripetute rischiano di diventare menzogne. Una dimostrazione? Mettiamo che qualche giovanotto occidentale mi avvicinasse e mi invitasse a partecipare ad una iniziativa antimusulmana. Cosa dovrei fare, accettare? Non scherziamo. Sono antimusulmano, è vero, ma mica solo questo. So bene che la lotta all’Islam attira orde di novelli crociati dalle camicie nere o verdi, per cui una proposta simile mi puzzerebbe troppo di integralismo cattolico. Allo stesso modo, se qualche giovanotto orientale mi avvicinasse e mi invitasse a partecipare ad una iniziativa anticristiana, ugualmente declinerei l’offerta. Sono anticristiano, lo ammetto, ma mica solo questo. Perciò non amo nemmeno la compagnia di chi fa della lotta alla Chiesa la propria guerra santa, mi puzza troppo di fondamentalismo islamico… Se dovessi quindi definirmi in base alle mie idee in merito alla religione, userei esclusivamente il termine ateo. Ogni altra definizione, per quanto in sé corretta, mi sembrerebbe troppo limitata, troppo vaga e ambigua. Ecco perché ogni iniziativa antireligiosa, per poter suscitare il mio interesse, deve manifestare chiaramente la sua contrarietà a qualsiasi religione. In questo modo si limitano le occasioni di incontro e i possibili contatti con altre esperienze? Ne sono consapevole. Ma di certi incontri e contatti, ne faccio volentieri a meno.

Ecco, prendete questo ragionamento e trasportatelo dal Regno dei Cieli agli Stati della Terra. Il risultato non cambia. Io sono nemico del fascismo, ma sono anche nemico della democrazia. Tra il bastone e la carota, tra la tirannia dei pochi e la tirannia dei molti, non vedo grande differenza. Per me si tratta solo di forme particolari che lo Stato o chi per lui può assumere, a seconda delle circostanze e delle esigenze, per imporre l’esercizio della propria autorità. Ma chi vuole sottrarsi a questo dominio, perché considera che ogni forma di autorità sia la negazione della libertà, non può che rifiutarle entrambe con la stessa forza e determinazione. Per questo motivo non riesco ad apprezzare le iniziative antifasciste, così come non gradisco quelle antidemocratiche. Mi rendo conto che le prime sono frequentate per lo più da benintenzionati, mentre le seconde per lo più da malintenzionati. Ma le intenzioni, buone o cattive che siano, non dovrebbero imbavagliare mai lo spirito critico. L’antifascismo resta comunque un ricettacolo di bolso democraticismo, come anche in passato hanno sostenuto tanti sovversivi.

E come è stato ribadito puntualmente fino a non molto tempo fa, almeno finché il dilagare nel Belpaese di aggressioni squadriste non ha consigliato di riesumarne di colpo la retorica. A quanto pare il culto della carogna non è redditizio solo con gli esseri umani, ma anche con le idee. Snobbato finché non c’erano neri-mazzieri all’orizzonte, l’antifascismo viene ora sbandierato per poter usufruire del suo effetto mobilitante. Un vessillo è un vessillo, serve per fare adunata. E se quello che prima veniva criticato funziona meglio, numericamente meglio, tanto vale nascondere e mettere sotto naftalina il proprio. La dignità, la coerenza, l’amor di sé… tutte belle cose, per carità, ma a chi volete che interessino? Come diceva con candore un putrido ex-ministro, «non bisogna confondere etica con politica».
Invece io, testardo e ottuso, insisto e persisto nel pensare che la lotta contro il fascismo non vada affogata nel calderone antifascista, nelle cui torbide acque si diluirebbe fino a scomparire. Ciò non solo sarebbe nocivo dal punto di vista teorico, ma sul lungo periodo lo diventerebbe anche dal punto di vista pratico, una volta esauritasi l’illusione quantitativa.

Gli squadristi che in questo periodo si stanno scatenando per le strade sono solo una escrescenza del mondo in cui viviamo, ne sono magari la parte più disgustosa e appariscente, ma nulla di più. È necessario difendersi dalle loro aggressioni, all’occasione cercare di neutralizzarli, però senza farne il nemico pubblico numero uno. Puntare i riflettori su di loro ottiene l’attenzione generale e scalda gli animi, si capisce, ma purtroppo permette anche di lasciar proliferare nell’ombra ciò che li circonda e li produce. Non penso si possa tacere su questo aspetto solo per amor di vicinato. Se tanti sovversivi non l’hanno fatto negli anni 20 e 30, quando il fascismo dominava e brutalizzava l’intero paese, perché dovremmo farlo noi oggi?

[Da Machete 3, novembre 2008.]

 

 

Tu es antifasciste, oui ou non ?

Combien de fois m’a t-on posé cette question ? Je ne me souviens plus. Et à chaque fois que j’ai cherché à affronter cette discussion, cela a conduit à mille incompréhensions et équivoques. Le fascisme n’a-t-il pas été l’incarnation du Mal absolu ? Alors il va de soi que l’antifascisme ne peut que représenter le Bien absolu, une vertu à exhiber en public, à afficher en toute occasion. Gare à vous si vous vous montrez distant en sa présence, si vous ne montrez pas la révérence due à son égard, si vous ne transmettez pas la glorieuse tradition, on vous regardera avec suspicion. Refuser d’applaudir devant l’antifascisme est forcément synonyme d’une ambigüité louche, voir pire…

 

Pourtant, le fait que la rhétorique antifasciste soit arrivée en bout de course devrait paraitre assez clair pour quiconque, surtout aujourd’hui où tout le monde se proclame « antifasciste ».
Tous, y compris l’actuel président de la Chambre (si, lui-même, l’ex-dauphin d’Almirante, ce fusilleur de Partisans). Si si. Mais ceci est l’effet de l’obsolescence des mots et de leur sens : le terme « fasciste » a tellement été utilisé, et on en a tellement abusé, qu’il finit par définir tout et son contraire ; et au final, pratiquement rien. Pourquoi donc utiliser encore et toujours ce terme ?

Avant tout, une précision. Laissons de côté les élucubrations sémantiques. Suis-je antifasciste, oui ou non ? Je suis un ennemi du fascisme, bien sûr. Mais la définition « antifasciste » provoque chez moi un certain agacement. Elle est trop réduite et suffocante. Je pense que l’antifascisme est effectivement une bonne chose, mais de façon très partielle. A peine s’organise-t-il qu’il veut se transformer en totalité, il devient alors une calamité.

Pour m’exprimer plus clairement, j’utiliserai une analogie. Vous croyez en Dieu ? Moi non, je ne crois en aucun être suprême. En cela, je suis hostile à toute religion, quelle qu’elle soit, car elles construisent toutes leur pouvoir sur la prétendue existence de ce Dieu fantasmé. Je suis certainement athée. Et ceci fait de moi en même temps un anti-chrétien, un anti-musulman, un anti-juif, etc…
Mais ces derniers traits sont pour moi secondaires, ils m’appartiennent sans me caractériser entièrement. Ils sont, pour l’instant, des descriptions partielles qui, prises isolément, n’expriment pas l’entièreté de mon être. Ils sont les vieilles demi-vérités qui à force d’être répétées, risquent de devenir des mensonges.

Une démonstration ? Mettons que quelque jeune homme occidental m’approche et m’invite à participer à une initiative anti-musulmane. Que devrais-je faire, accepter ? Ne plaisantons pas. Je suis contre l’Islam, certes, mais pas seulement. Je sais trop bien que la lutte contre l’Islam attire des hordes de jeunes croisés en chemises noires ou vertes pour que ce genre de proposition pue immédiatement l’intégrisme catholique.
De la même façon, si une jeune orientale m’abordait et m’invitait à une initiative anti-chrétienne, je déclinerais l’offre. Je suis antichrétien, je l’admets, mais pas seulement. Parce que je n’aime pas non plus la compagnie de celui qui fait de la lutte contre l’Eglise sa propre guerre sainte, je répugne trop au fondamentalisme islamique.

Si je devais me définir sur la base des mes idées vis-à-vis de la religion, j’userais uniquement du terme athée. Tout autre définition, pourtant correcte en elle-même, me semblerait trop limitée, trop vague et ambigüe. Aussi parce que chaque initiative antichrétienne, pour m’intéresser, doit manifester clairement son hostilité envers toute religion.
Cela limiterait les occasions de rencontres et les contacts avec d’autres expériences ? J’en suis conscient. Mais de certaines rencontres et contacts je tiens à me préserver…

Bien, prenez ce raisonnement et transposez-le du Règne des Cieux aux États de la Terre. Le résultat est le même. Je suis ennemi du fascisme, mais également ennemi de la démocratie. Entre le bâton et la carotte, entre la tyrannie du nombre et la tyrannie de quelques-uns, je ne vois pas de grandes différences. Pour moi il ne s’agit que de formes particulières que l’Etat peut assumer, selon les circonstances et les exigences, pour imposer sa propre autorité.

Mais celui qui veut se libérer de cette domination parce qu’il considère que toute forme d’autorité est la négation de la liberté, ne peut que les rejeter l’une et l’autre, avec même force et détermination.
Pour cette raison, je n’arrive pas à éprouver une quelconque sympathie pour l’antifascisme, pas plus que pour l’anti-démocratisme. Je me rends compte que le premier attire plus de gens « bien intentionnés », et le second plus de personnes « mal-intentionnées ». Mais les intentions, aussi « bonnes » ou « mauvaises » soient-elles, ne doivent jamais bâillonner l’esprit critique.
L’antifascime reste un réceptacle du démocratisme le plus borné, et que tant de révolutionnaires ont soutenu par le passé.

Et comme cela a été confirmé depuis quelques temps, à part déverser des cris d’alarme à propos des agressions commises par des milices « fascistes », l’antifascisme n’est pas parvenu à exhumer sa vieille rhétorique. Le culte de la charogne n’est pas seulement rentable avec les humains, mais aussi avec les idées. Ignoré tant qu’il n’y avait plus de chemises noires à l’horizon, désormais le drapeau de l’antifascisme est agité pour son pouvoir mobilisateur. Un drapeau est un drapeau, il sert à rassembler autour de lui. L’antifascisme ayant été largement critiqué, même s’il s’avérait le plus efficace numériquement parlant, il faudrait pourtant le ranger au fond d’un placard, ou l’enterrer.
La dignité, la cohérence, l’amour-propre… Autant de très belles choses, pour sûr, mais qui s’en soucie ? Comme le disait avec innocence une vieille canaille d’ex-ministre : « il ne faut pas confondre éthique et politique ».

Moi au contraire, entêté que je suis, je continue de penser que la lutte contre le fascisme ne doit pas être noyée dans la marre antifasciste, faite d’eaux si troubles qu’on s’y perdrait à coup sûr. Cela serait non seulement nuisible d’un point de vue théorique, mais sur le long terme, cela le deviendrait également sur le plan pratique une fois l’illusion quantitative évaporée.

Les miliciens qui se sont récemment multipliés dans les rues sont une excroissance, voir un reflet du monde dans lequel nous vivons ; ils en sont peut-être la partie la plus visible et la plus écœurante, mais rien de plus.
Il est nécessaire de s’auto-défendre contre leurs agressions, et de les neutraliser à l’occasion, mais sans pour autant en faire l’ennemi public numéro un. Les mettre sous le feu des projecteurs contribue à attirer l’attention générale et à choquer les bonnes âmes, ça se comprend, mais cela permet aussi de laisser proliférer dans l’ombre tout ce qui précède, entoure et produit ces horreurs.

Je ne pense pas qu’on puisse taire cet aspect, sous prétexte de « proximité ». Si tant de subversifs ne l’ont pas fait lorsque, dans les années 1920/1930, le fascisme régnait et brutalisait le pays tout entier, pourquoi devrions-nous le faire aujourd’hui ?


« Ma tu, sei antifascista si o no ? ». Texte extrait de Machete N°3. Traduit par nos soins.

Extrait de la brochure L’Anarchisme contre l’antifascisme.

 

 

Aber du, bist du Antifaschist, ja oder nein?

Wie oft habe ich diese Frage schon gehört! Ich habe aufgehört zu zählen. Und jedes Mal wo ich versuchte dieser Diskussion ins Auge zu blicken, haben sich tausende Missverständnisse und Unklarheiten ergeben. War der Faschismus etwa nicht etwa die italienische Version des absolut Bösen? Es versteht sich von selbst, dass der Antifaschismus nicht das absolut Gute repräsentieren kann; eine öffentlich vorzeigbare Tugend – das hat sich in mehr als einer Gelegenheit gezeigt. Wehe wer die Nase in dessen Anwesenheit rümpft und ihm nicht die zustehende Ehrerbietung erweist; wer die glorreiche Tradition nicht überliefert, der wird mit Argwohn betrachtet. Dem Antifaschismus gegenüber den Applaus zu verweigern, ist gleichbedeutend mit „sich der Scheinheiligkeit verdächtig zu machen“, wenn nicht schlimmer.

 

Und trotzdem, dass die antifaschistische Rhetorik an ihrer Endstation angelangt ist, dürfte nunmehr allen klar sein, vor allem heute wo sich alle als “antifaschistisch” bezeichnen. Alle, sogar der aktuelle Präsident der Kammer der Abgeordneten (ja, sogar er, der ex-Delfin der Schützen der Almirante Partisanen). Gewiss. Aber es ist der Effekt der generellen Abnutzung des Wortes und dessen Bedeutung: der Ausdruck “Faschist” war dermaßen verwendet und missbraucht, dass diesen nun das Schicksal ereilt hat, Alles und Nichts auszusagen. Also Nichts im Grunde. Warum also darauf bestehen, diesbezüglich noch etwas dazu anzumerken?

Zunächst eine Präzisierung. Lassen wir die semantischen Spielereien einmal beiseite; bin ich nun Antifaschist, Ja oder Nein? Ich bin sicherlich ein Feind des Faschismus. Aber die Definition “Antifaschist” macht mich etwas nervös. Sie hört sich beklemmend an und schnürt mir die Luft ab. Ich denke, dass der Antifaschismus doch eine Tugend sein könnte, aber einer sehr partiellen Natur. Sobald man sich organisiert und es auf die Gesamtheit übertragen will, verwandelt sich das in ein Laster. Um das näher zu erläutern, verwenden wir eine Analogie. Glaubt ihr an Gott? Ich nicht, ich glaube an kein höheres Wesen. Demnach betrachte ich jede Religion mit Feindseligkeit, welche auch immer, da jede einzelne ihre eigene Macht mit der eingebildeten Existenz des Heiligen Geistes konstruiert. Ich bin ganz gewiss atheistisch. Und das macht mich zur selben Zeit zum Antichristen, Antimuslimen, Antijuden, usw. Aber diese letzten Teile sind für mich sekundär, wenn sie auch zur Charakteristik des Ganzen gehören. Sie sind ganz genau Teilbeschreibungen deren Kampf sich auf der singulären Ebene befindet und sie können nicht zur Gänze widerspiegeln, was ich ausdrücken will.

Es sind die klassischen wahren Mittel, die die Wut des Daseins wiederholend riskiert, zu Lügen werden zu lassen. Eine kleine Demonstration? Nehmen wir an, irgendein junger westlicher Jugendlicher kommt zu mir und fordert mich auf, an einer antimuslimischen Initiative teilzunehmen. Was sollte ich tun?! Zusagen? Lassen wir die Witze. Ich bin gegen den Islam, das stimmt, und nicht nur das. Es stimmt auch, dass der Kampf gegen den Islam neue Kreuzritter mit Schwarzhemden oder Grünhemden (Ordnungsdienst der Lega Nord) versieht, weshalb ein derartiger Vorschlag mir zu sehr nach katholischem Integralismus stinkt. Wenn gleichermaßen irgendein junger orientalischer Jugendlicher zu mir kommt und mich dazu auffordert an einer antichristlichen Initiative teilzunehmen, lehne ich genauso ab. Ich bin antichristlich, das ist offensichtlich anzunehmen, aber eben nicht nur das. Deshalb mag ich die Gesellschaft derjenigen nicht die aus dem Krieg gegen die Kirche ihren eigenen heiligen Krieg machen, das stinkt mir zu sehr nach islamischen Fundamentalismus.

Wenn ich mich demnach auf der Basis meiner Idee in Bezug auf Religion definieren soll, verwende ich ausschließlich den Ausdruck atheistisch. Jede andere Definition, so korrekt sie in sich sein mag, erscheint mir zu eingeschränkt, zu vage und zu unklar. Genau weil jede anti-religiöse Initiative sich, um mein Interesse zu erwecken klarerweise gegen jedwede Religion aussprechen muss. Werden auf diese Weise die Möglichkeiten des Kontakts und die Möglichkeiten sich selbst in anderen Erfahrungen wiederzufinden eingeschränkt? Das weiß ich nicht. Aber von bestimmten Begegnungen und Kontakten mache ich gerne weniger Gebrauch. Nehmt diese Überlegung und übertragt sie vom Himmelsreich auf die Staaten dieser Erde. Das Ergebnis verändert sich nicht. Ich bin ein Feind des Faschismus, aber ich bin auch ein Feind der Demokratie. Zwischen dem Zuckerbrot und der Peitsche, zwischen der Tyrannei der Wenigen und der Tyrannei der Vielen, sehe ich keinen großen Unterschied. Für mich handelt es sich nur um die spezifische Form, dass der Staat oder die, über die er gemäß derer Umstände und derer Bedürfnisse bestimmen kann, die Ausübung der eigenen Autorität aufzwingt. Aber wer sich dieser Herrschaft entziehen will, weil er der Ansicht ist, dass jede Form der Autorität die Verneinung der Freiheit bedeutet, kann nicht anders, als beiderlei mit derselben Kraft und Bestimmtheit abzulehnen. Aus diesem Grund bringt man es nicht fertig die antifaschistischen Initiativen zu würdigen, genauso wie man die antidemokratischen nicht würdigen kann. Mir ist bewusst, dass erstgenannte vermehrt von denen mit guter Absicht frequentiert werden, während das Zweit-genannte vermehrt von denen mit böswilliger Absicht. Aber diese Absichten, so gut oder schlecht wie sie sein mögen, dürfen den kritischen Geist niemals knebeln. Der Antifaschismus bleibt jedenfalls ein Ordner in der Schublade der Demokratie, wie das auch in der Vergangenheit so viele Subversive verfochten haben. Und wie bis vor nicht langer Zeit präzise bekräftigt wurde, zumindest solange das um-sich-Greifen der Aggressionen der Schwarzhemden im Bella Italia nicht dazu geraten hat, plötzlich der (antifaschistischen) Rhetorik wieder Leben einzuhauchen. Dem Anschein nach ist der Kult um das Aas nicht nur für menschliche Wesen nützlich, sondern auch für die Ideen im Allgemeinen. Während der Antifaschismus solange wegblickt, bis keine Knüppel-schwingende Schwarzhemden am Horizont auftauchen, kommt er nun, um sich zur Schau zu stellen und sich seine mobilisierende Wirkung zu Nutze machen zu können. Eine Fahne ist eine Fahne, die dazu da ist Leute um sie herum zu versammeln. Und wenn jene, die zuerst kritisch waren, herausfinden, dass sie im numerischen Sinne besser funktionieren, so wollen sich nun viele verstecken und ihr Innerstes einmotten. Die Würde, die Kohärenz, die Selbstliebe… alles schöne Dinge, aber wen um Himmels Willen sollte das interessieren? Wie es ein verdorbener Ex-Minister naiv gesagt hat, “Ich brauche Ethik nicht mit Politik zu verwechseln.”

Ich dagegen, stur und dickköpfig, beharre und bestehe darauf, zu denken, dass der Kampf gegen den Faschismus nicht im antifaschistischen Kessel ertränkt werden kann, um sich so in seinen trüben Wassern aufzulösen und dann zu verschwinden. Das heißt also, nicht nur dass er aus dem theoretischen Standpunkt schädigend wäre, sondern dass er, wenn die quantitative Illusion auf lange Sicht einmal mehr erschöpft ist, auch aus praktischem Gesichtspunkt erblinden würde.

Die Schwarzhemden, die heutzutage um die Häuser ziehen, sind nur ein Auswuchs der Welt in der wir leben, damit vielleicht der abstoßendere und offensichtlichere, aber nichts mehr. Es ist notwendig sich gegen ihre Aggressionen zu verteidigen und gelegentlich zu versuchen sie zu neutralisieren, aber ohne sie zum öffentlichen Feind Nummer Eins zu machen. Wenn das Scheinwerferlicht auf sie gerichtet werden, erhalten sie die allgemeine Aufmerksamkeit und dabei lassen sich die Gemüter selbstverständlich erhitzen, aber vor allem erlaubt ihnen das, sich im dabei entstehenden Schatten zu vermehren, d.h. Im Umkreis den er produziert. Ich denke, dass man über diesen Aspekt nur aus reiner Nächstenliebe schweigen kann. Aber wenn das viele Subversive in den 20er und 30er Jahren nicht gemacht haben, wo der Faschismus das ganze Land brutalisiert und beherrscht hat, warum sollten wir das heute tun?

Ma tu, sei antifascista si o no?, in Machete #3}, November 2008

Deutsche Übersetzung in: Alles geht weiter #1}, Februar 2011

Für diese Broschüre nochmal überarbeitet :

PDF - 1.4 MB
Der Anarchismus gegen den Antifaschismus
(download booklet)