LA REAZIONE NELL’ARGENTINA

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Il Popolo

Facilmente dimentica, per un boccale di vino, il padrone che lo vessa e lo sfrutta. Oggi più che mai, nella baraonda carnevalesca delle elezioni, dimentica, tra i fiumi dell’alcool e le rimbombanti frasi dei demagoghi: la croce sulla quale i soliti farisei e scribi lo inchioderanno; il pane amaro quotidianamente disputatogli; le promesse sempre false che gli rinnovano ad ogni ripetersi della farsa. Quando, questo popolo, comprenderà che anche il padrone eletto dalla sua “volontà” è uguale agli altri?

 

Non vogliamo parlare di crisi nel movimento rivoluzionario e internazionale. Non vogliamo neppure parlare di crisi nel movimento anarchico, Non c’importa di analizzare se essa esiste o no; se essa brancola per potersi affermare sul corpo robusto della rivolta collettiva o se questo stesso corpo sta strangolando.

Non parliamo dunque di crisi.

Ma constatiamo semplicemente dei fatti, cosa facile per se stessa e che sempre può apportare degli ottimi insegnamenti per il proseguimento della lotta a fondo.

Davanti a noi, qui nell’Argentina, di fatti se ne svolgono abbastanza. Anche qui la reazione è in marcia. Non ha nessun punto fisso di partenza, non ha nessun piano prestabilito.

Distrugge qualsiasi punto che attacca.

Si afferma in tutti gli sterpi che incontra.

Mentre gli anarchici sono impegnati in una lotta vitale per liberare dall’Ushuaia Simone Radowitzky; mentre questa lotta viene stroncata quasi sul nascere; – dal novembre ad oggi non si fa altro che dormire sugli allori futuri a raccogliersi – mentre la levata di scudi per parte della polizia di Buenos Aires seguita indisturbata e incalzante; e in General Pico due compagni e un bambino cadono assassinati dal piombo dei “liguisti” di Don Manuel Carlés; mentre tutto ciò accade, i politici – gli eterni politici – aizzano un generale Justo qualsiasi a masturbarsi inutilmente scrivendo lettere per illudere il grosso gregge chiamato a farsi fregare nella carnevalata elettorale del prossimo aprile.

Le elezioni presidenziali riservano a questa regione diverse incognite di facile risoluzione ma di difficile annullamento. La vittoria dell’uno o dell’altro contendente non è altro che il trionfo della baionetta o della corruzione e nei due casi sfoceranno nell’immancabile dittatura.

Così, intanto, possiamo vedere le due facce della vita cittadina di Buenos Aires. Il veglione comiziaiuolo si sviluppa facile e lieto e la polizia – lasciata finalmente in pace dai politicanti dell’obrerismo – si scaglia contro le varie ridotte del nostro movimento soffocandone la voce e la protesta.

Noi, però, sapremo bene puntare i piedi.

E passiamo a fissare qualche aspetto caratteristico delle varie attività quotidiane di Don Manuel Carlés – il Mussolini dell’Argentina – presidente dei “liguisti”.

La “Liga Patriotica” è il puntello massimo della borghesia agraria dell’Argentina. Nel suo attivo tiene le più nefande gesta accadute in questo paese. Dalla “Semana de encro” fino all’ultimo massacro accaduto in questi giorni nella capitale della Pampa, la “Liga” è stata la vera guardia bianca argentina.

Il crumiraggio, tutte le degenerazioni patriottarde, i maltrattamenti che si soffrono nei campi e nelle officine sono tutta opera della famigerata “Liga”.

Come un fungo velenoso è comparso lo schema politico di questo paese un nuovo pericolo: i satelliti del nuovo candidato a presidente, Ippolito Irogoyen. Questi vogliono a tutti i costi mangiare, saziare la loro libidine di potere, soddisfare il loro fascismo.

Dunque questi satelliti in tutto e per tutto vogliono gareggiare con i “liguisti”, conquistare la supremazia nel paese, essere più reazionari dei “liguisti”. Concorrenza che si sviluppa ai danni del nostro movimento. Concorrenza che si allena sulla nostra pelle.

La reazione è in marcia!

L’Argentina è un facile terreno per un esperimento reazionario, come pure è una facile tomba per gli esperimentatori.

Per ora dobbiamo – più che mai – tenete presente che qualsiasi violenza dall’alto deve essere rintuzzata con un atto di ribellione dal basso. Il cacciatore di fiere, quando incalza queste, provoca una ribellione estrema che non ha limiti. La vittima o le vittime predestinate mordono, azzannano finché le forze non vengono meno, fino all’estremo.

Il nostro comportamento deve essere esclusivamente da ribelli. Le armi che dobbiamo adoperare devono essere imbracciate senza tante scelte, ma alla cieca.

Per fronteggiare l’alluvione, la tempesta, l’incendio, non si guarda tanto per il sottile, ma si pensa solo a fronteggiarli con tutte le forze a nostra portata.

Vi è un grandissimo bisogno di difesa, di agitazione e soprattutto di azione.

Per essere rivoluzionari, anarchici, non basta dirlo, ma bisogna anche dimostrarlo sul terreno dei fatti. E’ naturale che non pretendiamo da nessuno il foglio matricolare dove si elencanole varie azioni fatte o da fare.

L’anarchismo come manifestazione, integra e complessiva, non si racchiude tutto nel leggere un libro o un giornale, inviare l’obolo alla stampa e alla vittima sepolta nel carcere o frequentare un comizio e una riunione di gruppo. L’anarchismo s’afferma, valorizzandolo completamente, col combattimento contro il nemico che vuole tentare di eliminarlo. L’anarchismo se ha bisogno di chi lo propaghi e lo sussidi finanziariamente, ha anche bisogno – principalmente – di essere difeso con l’estremo sacrificio dei suoi propagatori e sostenitori.

Per essere rivoluzionario, anarchico, non basta dirlo, ma anche saper combattere da tale contro l’attuale stato di cose e contro chi difende la società presente.

Non ci rimane – qui, nell’Argentina ed anche in ogni qualsiasi altro luogo – che provarlo nel campo dell’azione, nel difendere il nostro movimento dagli attacchi che possono venirgli diretti da chicchessia, e nell’affermare la nostra idea con l’olocausto della nostra vita se ve ne sia bisogno.

Contro la violenza statele, per il trionfo nostro, ci vuole tanta e tanta ribellione.

Culmine

(estratto da “Severino di Giovanni, Il Pensiero e l’Azione, Edizioni Gratis)