Botte e Risposte

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Luigi Galleani
Si domanda: «Credete voi che se uno è pecora nell’organizzazione, fuori di essa sarà un leone? Quando mai l’organizzazione ha impedito un atto individuale?».
 E chi ha mai detto, se è lecito, che un operaio è ribelle soltanto quando non è organizzato?
Chi ha negato mai che un operaio organizzato possa compiere un atto di ribellione individuale? Figuratevi: financo un bigotto può arrivare sino a tanto.
Quello che noi si nega è che il ribelle sia tale, soltanto perché organizzato.

Quello che non noi, ma i fatti, dicono chiaramente, è che molti individui i quali una volta, erano dei militanti battaglieri ed audaci, entrati nell’unione — specialmente se a coprirvi una carica — andarono perdendo a poco a poco i loro impeti ribelli, la loro attività, sino a cadere in un sonno letargico da cui difficilmente riescono a svegliarsi.
E poi, quando si parla di organizzazione, è ovvio, che non tanto l’individuo singolo, ma la massa è quel che più importa.
Ebbene: ci si può dimostrare forse che l’organizzazione infonde alla massa lo spirito di ribellione? Si può forse strappare come roba da nulla una delle pagine più vere del Kropotkin d’una volta? Quella che afferma e dimostra esser Io spirito di ribellione latente, innato nelle masse: si può forse negare una verità che sbalza fuori dalle pagine più rosse della storia delle lotte operaie, verità da noi ripetuta tante volte ma che non ci stancheremo mai di ripetere: che cioè le masse organizzate o no, si muovono sotto l’impulso dei bisogni e delle emozioni immediate?
Sì: può darsi che un operaio il quale tante volte per necessità, si trova a far parte di una unione di mestiere, compia un atto di ribellione. Ma è vero o non è vero che questa unione, all’indomani dell’atto, si affretta a scomunicare il suo membro ribelle? È vero o no che l’organizzazione coltiva lo spirito di disciplina ed impone il rispetto e l’obbedienza alle leggi del suo codice?
E da quando in qua lo spirito di disciplina e di obbedienza, han cominciato a generare la ribellione sentita? cosciente?
Un anarchico antiorganizzatore, polemizzando, diceva presso a poco così: «Amici organizzatori, voi potete irreggimentare degli individui incoscienti, essi saranno sempre delle pecore, delle nullità, degli zeri e voi addizionate quanti zeri volete, il totale sarà sempre zero».
Senonchè un compagno organizzatore rispondeva:
 «È vero, cento zeri addizionati daranno per totale zero, ma mettiamoci a capo un’unità e voi vedrete che gli zeri diventeranno centinaia, migliaia, milioni».
E me la chiamate una «bella risposta» questa?
 Se la massa irregimentata è zero, e rimane zero, fin tanto che non si sia messo un’unità a capo degli zeri, allora vuol dire che il valore l’hanno i capi e non la massa. Allora si viene implicitamente ad ammettere la necessità dei capi. E debbono essere proprio gli anarchici a tirar fuori simili argomenti?
Dunque, è vero: sono i dirigenti quelli che danno l’impronta e l’indirizzo all’unione. 
La massa dunque va dove essi vogliono. E non è certo una bella cosa. 
Perché i signori padroni potrebbero giocare all’unione quel tiro birbone che un furbo contadino giocò a un suo nemico pastore. Conoscendo l’istinto delle pecore nel seguire ciecamente il montone, riuscì a comprare dal pastore il montone e mentre la mandra era lì accovacciata, lo buttò in un burrone. E che si vide?
 Giù l’una dopo l’altra le pecore si gettarono tutte nel burrone, senza che nessuno ve le spingesse.
È una verità irrefutabile: sono le minoranze coscienti, audaci che trascinano le grandi masse.
Ma allora lo scopo nostro primo e precipuo è quello di dar vita e forza e coscienza a queste minoranze; non quello di irregimentare le masse operaie, ma di 
illuminarle.
Gli anarchici organizzatori chiamano anch’essi i conferenzieri, distribuiscono manifesti, giornali ed opuscoli, fanno insomma anch’essi la propaganda e si adoperano a far coscienze anarchiche.
Verissimo. Ma essi sono spinti a far quanto sopra, perché organizzati, perché favoriscono l’organizzazione? o piuttosto perché sono anarchici?
Si dice: «È nostro dovere entrare nelle unioni per far propaganda anarchica, per indirizzare il movimento operaio verso orizzonti più vasti, per dare ad esso possibilmente un contenuto ideale».
Siamo sempre lì. Voi stessi ammettete fra le righe che non è sempre possibile fare nelle unioni la propaganda anarchica e dare ad esse un contenuto ideale. Per essere più esatti si dovrebbe dire che è quasi mai possibile; ma anche ammesso che sia possibile, d’onde ne traete la necessità di spendere le nostre energie per creare delle organizzazioni nuove?
Perché badate bene, noi andiamo anche nelle chiese e nei meeting religiosi o politici a interrompere i preti e a sbugiardarli, con la speranza che qualche fedele si svegli ed apra gli occhi. Ma con questo nessuno di noi s’è mai sognato di affermare la necessità delle chiese e quanto meno di aiutare i preti ad aprirne delle nuove. 
V’è di più. Quando si dice di andare nelle unioni per trarle a noi, in altre parole per conquistarle, non si vorrebbe fare nel campo economico quello che i social-riformisti fanno nel campo politico con la conquista dei pubblici poteri?
Ebbene: cosa è successo ai socialisti?
Che invece di conquistare il governo furono da questo conquistati.
E non succederebbe, e non succede anzi, anche a quelli che muovono alla conquista delle unioni?
Non sacrificheremmo anche noi il fine ai mezzi?
Confessa un sindacalista, che talvolta i padroni in certe circostanze, provocarono dei movimenti, degli scioperi per fiaccare e stroncare l’organizzazione e che il più delle volte raggiungono lo scopo per la ingenuità e l’inconscienza del proletariato organizzato.
E che vuol dire ciò? Non vuol dire forse che l’unione può avere un valore soltanto quando sia l’associazione libera e spontanea di forze coscienti? E che quindi l’importante è far le coscienze e non gli organizzati?
Non prova forse una verità che detta da noi fu ritenuta menzogna?
Che cioè l’Unione come lo Stato riceve i suoi impulsi dalle forze individuali e che perciò si illudono coloro, i quali s’aspettano dall’Unione quello che soltanto essi stessi possono conquistare; che l’Unione non è una forza magica, e ridà ai lavoratori soltanto quello che essi stessi le hanno dato.
E se vi sono degli scioperi che fiaccano la resistenza operaia invece di irrobustirla, non vuol dire anche che la scioperomania reclamistica di certi organizzatori riesce dannosa per le sorti del proletariato?
Che cioè lo sciopero economico è un’arma a doppio taglio, che ferisce gli inetti, i ciechi, gli incapaci?
(Cronaca Sovversiva, anno XIV, n. 29, 15/7/1916)