L’operaismo (di Victor Serge)

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L’operaismo

L’Operaismo?

È una strana malattia di cui soffre la quasi totalità della cosiddetta avanguardia intellettuale. Marxismo e sindacalismo ne sono le forme incurabili. Anche gli anarchici ne soffrono enormemente. Si tratta di una più o meno grave deformazione delle facoltà di percezione e del pensiero, che fa sì che agli occhi del malato tutto ciò che appartiene all’operaio appaia bello, buono, utile, così come ciò che non gli appartiene è invece brutto, cattivo, inutile, se non dannoso. Il triste inebetito, dall’aspetto fiacco, alcolizzato, fumatore, tubercolotico, costituente la massa dei buoni cittadini e delle persone oneste, diventa per incanto il lavoratore, il cui “solenne” lavoro fa vivere e progredire l’umanità e il cui sforzo magnanimo gli garantisce uno splendido futuro…

Guardatevi bene dal far notare all’operaista che il suddetto proletario è tutto sommato il sostegno più sicuro dell’abominevole regime del Capitale e dell’Autorità, ch’egli sostiene e sancisce attraverso il servizio militare, il voto e il lavoro quotidiano. Vi sentirete immediatamente trattare da individuo arretrato, ai pregiudizi borghesi e di non comprendere la … sociologia!

Le cause di questo stato d’animo, anche se molto numerose, sono facili da determinare. Al primo posto si dovrebbe mettere l’idea del lavoro come “gesto solenne” che mantiene alla vita; il lavoro è nobile nella sua essenza, dicono le menti semplici, nobile è il lavoratore. Ecco ! Hanno scordato una cosa; che la nobiltà di una attività è una concezione convenzionale e relativa; che il lavoro teoricamente così bello, è nella pratica ordinaria brutto, invalidante, demoralizzante; infine che un gesto quale che sia non può essere pieno di bellezza quando chi lo commette è una povera bestia umana attanagliata dalla paura e dalla fame …

E questo stato d’animo è sicuramente una delle cause dell’infatuazione verso il sindacalismo, contro il quale alcuni anarchici si sforzano di reagire. Entusiasmati dalla rapida crescita delle organizzazioni operaie – sempre rivoluzionarie all’origine (così come tutte le organizzazioni giovani, non avendo nulla da perdere e tutto da guadagnare) – delle intelligenze assolute vedono nel nuovo movimento la panacea universale. Il sindacalismo risponde a tutto, potrebbe tutto, promette tutto. Per alcuni, sarebbe da saggi e prudenti riformare la società senza sconvolgimenti dello stato sociale. Per altri è la cellula della società futura, che si instaurerebbe una bella mattina grazie ad uno sciopero generale. Tutti sono stati disillusi. Si è dimostrato – quantomeno tra coloro che non sono stati accecati dall’illusione – che i sindacati divenuti forti e saggi, perdono il desiderio di cambiare il mondo. Che spesso finiscono per scadere nel legalismo e divenir parte del funzionamento della vecchia società che hanno combattuto; che altre volte, essi arrivano a formare delle nuove classi operaie privilegiate, conservatrici altrettanto quanto gli odiati borghesi. Infine, dei guastafeste sono venuti ad informarmi che non bastava, per modificare l’ambiente, radunare gli abbrutiti, e anche se fossero organizzati potentemente essi non potrebbero creare nulla che non fosse al di sopra della loro mentalità…

Inoltre, negli ambienti più colti, tra cui scrittori, artisti, si è convenuto di ammirare la prole. Una letteratura nasce quando si dipinge in termini indignati della povera gente. I “martiri del lavoro” avevano i loro cantori. Ed a poco a poco si mette a punto un’immagine del lavoratore poco corrispondente alla realtà. È l’ammirevole minatore di Constantin Meunier, il bel operaio dal torso potente, dallo sguardo fiero, che si vede sulle incisioni socialiste dirigersi felicemente verso un grande sole purpureo…

A quel punto si innesta un’ideologia piuttosto complessa, che ha i suoi teorici e i suoi umoristi. Innumerevoli opuscoli, mucchi di carte, quantitativi di manifesti colorati hanno annunciato ai borghesi terrorizzati – sicuramente ! – l’imminente rivoluzione, la classe operaia cosciente che creerà, attraverso il grande sciopero, domani senza esitazione, la città felice in cui sotto la guida di un vigilante Comitato ognuno godrà in pace della felicità confederale.

Si aspetta, si aspetta, ci si prepara. Tre volte fracassati due lampioni; si discute sui più piccoli dettagli dell’inevitabile sconvolgimento e alcuni, scherzando con aria seriosa, raccontano che faranno la Rivoluzione così e così…. E nessuno pensa che l’attesa è tempo perso e che sarebbe meglio cominciare col fare un po’ di luce nella spaventosa notte dei cervelli.

Gli anarchici non sono operaisti. A loro sembra puerile portare all’apice della gloria il lavoratore di cui la pietosa incoscienza è causa del dolore universale, forse ancora più dell’assurda rapacità dei privilegiati.

Per l’osservatore imparziale, non è difficile vedere che, ben lontano dall’essere l’attività benefica decantato dai poeti, il lavoro nell’atmosfera presente è ripugnante. Assimilabile alla differenza che c’è tra sogno e realtà per quanto riguarda i proletari…

….Allora passiamo tra le plebi che seminano a casaccio il seme delle buone rivolte. E le minoranze nelle quali esiste ancora della forza, ci giungano, per ingrossare le fila degli amanti e dei combattenti della vita.

(L’operaismo è un articolo del 24 marzo 1910 firmato dall’anarchico russo Victor Serge con lo pseudonimo Le Rétif. Lo scritto comparve nella  rivista anarchica L’Anarchie  N°259.)