K. Tucker, “Una catalogazione delle conquiste” e “Un potenziale rivoluzionario”

a0396807527_16

Una catalogazione delle conquiste
La storia dell’archeologia non è molto diversa dal resto dell’antropologia. Si può dire che alla base degli scavi archeologici stia lo stesso tipo di osservazione che Malinowski introdusse nel lavoro sul campo dell’antropologia. Fu solo dopo l’Origine dell’uomo di Darwin (1859) che gli archeologi iniziarono a conoscere l’esistenza di un passato che andava ben oltre i 6.000 anni di tempo trascorsi secondo la Chiesa dalla “creazione”. Quanto al Nuovo Mondo fu necessario aspettare i contributi critici di Boas per una riformulazione delle modalità di scavo. Gli scavi archeologici così come li conosciamo oggi, hanno assunto la loro forma attuale solo dopo gli anni Sessanta, grazie al lavoro svolto da Lewins Binford in seguito alla messa a punto, nel 1947, del metodo di datazione del Carbonio 14, al ricorso esplicito della teoria dell’evoluzione, all’utilizzo di concetti ecologici e culturali e all’impiego della teoria dei sistemi.

L’archeologia è sostanzialmente lo studio del passato attraverso resti materiali. L’utilità del lavoro archeologico si realizza solo se quest’ultimo viene contestualizzato nell’ambito delle modalità di utilizzo di determinati oggetti da parte di popolazioni osservate di recente, oppure del normale utilizzo di materiali analoghi. Il lavoro dell’archeologia deve di fatto basarsi sull’individuazione della posizione esatta dei reperti nel terreno. Si tratta quindi di dissotterrare iol passato nel senso letterale e di formulare teorie sul significato dei reperti. In molti casi questo sta lavorando con un enorme svantaggio e l’elaborazione di numerose ipotesi; tuttavia, come nota Theresa, si può imparare molto da questo metodo. I risultati sono poi stati raccolti da alcuni studiosi, come John Zerzan, Jared Diamond e Clive Ponting, per citarne alcuni, e sono entrati a far parte della critica della civiltà.
L’aspetto problematico, a mio avviso, sono i risolti pratici di tale attività. Se da un lato non trovo utile confutare le implicazioni di tutte le informazioni raccolte, che segnalano i problemi intrinseci della civiltà, dall’altro ritengo che questa operazione possa aver senso qualora avesse uno scopo strumentale. In intendo affatto sostenere che dovremmo interrompere le nostre ricerche; temo però che la ricerca in sé abbia messo in ombra le possibilità che vanno prospettandosi. Quando scrivevo le domande da rivolgere a Theresa, ero ossessionato da un’idea. Se sappiamo che la civiltà è condannata alla distruzione e che lo stile di vita che conduciamo non è quello per il quale gli esseri umani si sono evoluti naturalmente, per quanto ancora dovremo insistere su questo punto prima di intervenire attivamente? Non è un’accusa rivolta agli altri studiosi, la mia è una preoccupazione di carattere generale.
Se si osserva il settore dell’antropologia, si notano studiosi come Boas che si preoccupano di registrare e catalogare senza sosta tutti i problemi della civiltà. Viene in mente una fotografia della guerra in Vietnam, in cui tre soldati statunitensi stuprano una vietnamita. Il lavoro del fotografo di guerra, come quello dei fotografi e dei giornalisti in generale, è registrare continuamente la distruzione in atto, verosimilmente nella speranza che quanto hanno registrato possa spingere altri ad agire. Quando smetteremo di registrare e basta, nella speranza che qualcuno si faccia avanti, e inizieremo ad agire? Per molti versi l’antropologia è come quel fotografo di guerra: si limita a osservare la distruzione che si verifica sotto i suoi occhi e a darne testimonianza. Sta forse qui il successo dell’addomesticazione: privare gli individui della possibilità di credere che possano incidere sulle situazioni. In ogni caso, i miei interessi restano su un piano meramente rivoluzionario. Sono di nuovo costretto a chiedermi quando smetteremo di assistere alla distruzione della nostra casa e di tutta la nostra vita e inizieremo ad agire. A mio parere, l’antropologia può essere utilizzata come un’arma contro la “realtà” civilizzata, ma finché rimarrà relegata nel dominio della scienza, temo che tenterà di imporci un ruolo di osservatori-partecipanti del processo di distruzione.
Come ha ricordato Theresa, il lavoro degli archeologi precede quello delle ruspe e questo può complicare ulteriormente la situazione. Se sappiamo che la cementificazione distruggerà completamente la terra, quale senso avrebbe riportare alla luce frammenti di un passato che verrà spazzato via dal cemento? Può servire da deterrente contro la cementificazione o gli scavi sono un modo come un altro per preparare il terreno, a prescindere dal fatto che intervenga o meno l’edilizia? Quello che più mi interessa è trovare un sistema per prevenire del tutto la distruzione, e non fare di necessità virtù.

Un potenziale rivoluzionario
Il lavoro di antropologi radicali come Theresa, Pierre Clastres, Marshall Sahlins, Richard B. Lee e Stanley Diamond, per citarne alcuni, è indispensabile per lo sviluppo della teoria e della prassi anarchica. Le scoperte della ricerca antropologica sono troppo importanti per passare inosservate ed è entusiasmante notare che gli studiosi di questi campi si rendono conto dei potenziali effetti del proprio lavoro. Tuttavia, è altrettanto importante utilizzare queste scoperte in modo altro, come se non fossero semplici “scoperte” e “prove”. Se vogliamo superare la civiltà dovremo applicare questo tipo di conoscenze allo scopo di risvegliare la natura selvaggia assopita in noi. L’antropologia continuerà ad essere indispensabile finché sarà in grado di rivolgersi a noi e finché noi saremo in grado di utilizzarla senza farci assimilare.
Lo stesso discorso vale per la storia e per le altre scienze. Personalmente ritengo che l’opera dei padri teorici dell’evoluzionismo sia stata indispensabile per sovvertire la mitologia scientifica dei conquistatori religiosi. In quanto essere umano che tenta di risvegliare la propria natura selvaggia, mi trovo costretto a contestare le potenzialità di queste scoperte. Fino a che punto è importante conoscere tutte le specificità del nostro passato? Quello che conta, infatti, è maturare una consapevolezza mitologica, ossia anti-istituzionale, che metta in risalto la nostra identità nel contesto della vita comunitaria della quale facciamo parte. Il successo della civiltà consiste nel ridurre la nostra realtà a uno sfondo di elementi a prescindere dai quali conduciamo la nostra esistenza. Con questo non intendo celebrare una sorta di ignoranza deliberata o di rifiutare la “conoscenza”, ma chiedermi che cosa faccia parte dell’animale umano. Dal mio punto di vista, una posizione mitica, non scritta, è in grado di procede di pari passo con il mondo e di conseguire quello che si auspicava di raggiungere con la storia e la scienza, senza conseguenze soggettive sul mondo del quale stiamo ragionando. Il problema che emerge consiste quindi nell’arrivare da un punto ad un altro. Il mio obiettivo è risvegliare una consapevolezza primitiva che l’addomesticazione civilizzata per giustificare e perpetuare e lo sfruttamento. Emergono di continuo domande su come utilizzare gli elementi che danno forma alla realtà civilizzata per distruggerla. In vista di questo obiettivo, posso solo sottolineare gli aspetti che ritengo problematici: nella fattispecie, ogni fede assoluta nelle discipline scientifiche, come l’antropologia, e il ricorso a tutti gli elementi che parlano direttamente alla mia natura, senza però trascurare quello che non mi interessa.
L’ampliamento di questa discussione ha come obiettivo individuare un metodo per mettere a frutto queste scoperte senza ricorrere al sistema che le ha prodotte. A mio parere, una rivolta contro la civiltà richiede una rivolta contro lo scientismo della civiltà, ossia la Ragione. Gli ambiti che Theresa ha delineato rappresentano ovviamente un punto di vista, interno al campo, su ciò che sta accadendo. Non sono del tutto d’accordo con la sua posizione, ma la rispetto perché tenta di effettuare una sovversione dall’interno, in modo scevro dalle preoccupazioni o dalle illusioni dell’antropologia, concepita in termini di “scienza delle meraviglie” come riterrebbe senz’altro Lévi-Strauss. Il cammino verso l’anarchia comporta la messa in discussione di tutti i “mostri sacri” che hanno gettato le basi del dissenso razionale, in modo da poter recuperare il nostro essere primigenio.

Kevin Tucker

Tratto da K. TUCKER, Anarchia e antropologia, La Scintilla Produzioni, Modena 2015; K. TUCKER, Anarchia e antropologia, in «Species Traitor», n. 3.

K. Tucker, “Una catalogazione delle conquiste” e “Un potenziale rivoluzionario”