Tag Archives: Giovanni Gavilli

Illusioni e realtà

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(Giovanni Gavilli)

 

Negli anni 1884-85, gli operai americani del nord si agitarono per ottenere dalla classe detentrice della ricchezza il diritto di lavorare solo otto ore al giorno. La moltitudine di quegli operai non vedeva più in là di questa restrizione di orario; ma gli anarchici e con essi tutti gli elementi profughi della disciolta Internazionale tentarono di dare al movimento un ben più alto indirizzo, una meta più precisa ed efficace: la rivoluzione sociale e la conquista della libertà di produrre e di consumare come e quanto ad ognuno occorre e conviene. Vecchia speranza codesta e radicale mutamento che all’anarchia incammina l’umanità; bisogno sentito da chi nulla poté accaparrare per sé o per i suoi della ricchezza sociale; speranza e bisogno che ai gaudenti paiono irrealizzabili, perchè contrastanti apparentemente con l’interesse dei ricchi. Tuttavia la povera gente vi si accanisce e combatte disperata; la sorregge nella lotta l’istinto di conservazione, la necessità di migliori condizioni di vita a cui la sospingono la scienza con le sue invenzioni, colle sue scoperte; e lo sfruttamento sempre crescente che i capitalisti operano avidissimi e sicuri, perché protetti, nel loro brigantaggio, dalla legge e quindi dal braccio e dall’incoscienza degli sfruttati.

Il movimento ebbe in America il suo sanguinoso epilogo nel 1886. Un milione e trecentomila operai scioperarono il giorno del primo maggio di quell’anno in segno di protesta; i padroni avevano rifiutato di lasciar lavorare i loro operai otto ore soltanto, mantenendo ad essi la vecchia tariffa.

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I Banditi Rossi

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Il Reprobo [Giovanni Gavilli]

Erano essi anarchici?
«Un’automobile lanciata a tutta corsa con uomini armati di pistole automatiche che spargono il terrore e la morte lungo il cammino, è cosa più moderna certo, ma non più pittoresca di un masnadiero ornato di piume ed armato di trombone che ferma e svaligia una carovana di viandanti, o del barone vestito di ferro, su cavallo bardato che impone la taglia ai villani; e non è cosa migliore».
Così scrive nel n. 2 di “Volontà” il Malatesta, emerito fabbricatore di coscienze rivoluzionarie, per provare irrefutabilmente che nessuno ha il diritto di considerare quegli uomini o quei delinquenti — se più vi piace — quali anarchici.
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I naufraghi della vita

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Giovanni Gavilli

In una notte di tempesta avevano veduto colare a picco nel Pacifico il bastimento che doveva ricondurli in Europa: delle ottanta persone che, fra passeggeri ed equipaggio, vi erano imbarcate, essi soli avevano potuto salvarsi: il nostromo, tre marinai e il figlio del capitano, un giovanetto di quindici anni. Da quattro giorni e quattro notti la barca su cui si erano salvati, forse per non trovarvi che una più lunga terribile agonia, se n’andava alla deriva, furiosamente sbattuta dai marosi e dal vento.
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Riformisti Anarchici

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Il Carnefice [Giovanni Gavilli]
Le ragioni dell’imperversante ibridismo italiano, vanno ricercate principalmente nella mania di correr dietro alle riforme.
Ad esse si va – secondo gli autoritaristi – per graduali modificazioni della legge. Costoro sono logici; per essi la legge è indispensabile fondamento della vita pubblica e di quella privata. Mutare gli uomini, modificare i sistemi, applicare con giustizia la legge, moderare le pretese, avere riguardi agli svariati intricatissimi interessi dello Stato e dei cittadini, ecco il programma, i mezzi e l’obiettivo della lotta.
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Gaetano Bresci

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Giovanni Gavilli
Era il pomeriggio di Giovedì 19 Luglio 1900, una delle più ridenti giornate del cielo di Napoli, le cui magnifiche vie che conducono dalla Stazione al Porto, si sentivano frescheggiate da una carezzevole brezzolina confortatrice, ed erano gremite di popolo vestito a festa; attendevano il re, che veniva a salutare la prima spedizione italiana che da Napoli salpava per la Cina. Mi sorprese che non un grido di gioia o di protesta, di saluto o di collera echeggiasse fra la folla assiepata, anzi pigiata dietro i cordoni dei soldati schierati sui due marciapiedi della Via Umberto I, per dove doveva passare la vettura reale. Quel silenzio o quella moderazione non mi pareva e non era naturale alla folla napoletana, e poco dopo mi convinsi che non m’ingannavo; qualche cosa distraeva in quel momento il buon pubblico che aspettava paziente da quasi un’ora il passaggio del re, annunziato con grandi manifesti murali dal sindaco della città: giovani socialisti, fra i quali riconobbi uno dei maggiorenti dell’attuale socialismo napoletano, distribuivano numerose copie d’un manifestino stampato su carta rossa e firmato: «i socialisti».
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