Si tratta di una rubrica nella quale trovano spazio più articoli di Novatore [N.d.C.]. (tratto da «Cronaca Libertaria», Milano, a. I, n. 8, 20 settembre 1917)
Premessa. Anche attraverso le lande sterminate dei brulli deserti germinano dei fiori. Fiori selvaggi che emanano peccaminosi profumi e che colle loro spine fanno sanguinare le stesse mani di coloro che li raccolgono, ma che hanno però, la loro storia grandiosa di gioia, di dolore e d’amore. Ripeto: sono fiori strani e selvaggi che sorti dal nulla che crea, furono fecondati dal sole e poscia sbattuti dall’uragano crudelmente, così!
Questi fiori sono pensieri germinati nella solitudine meditativa e profonda dell’anima mia mentre al di fuori, nel mondo che più non mi appartiene imperversa furiosamente la pazzia solcata dal fuoco elettrizzante del fulmine che implacabile schianta.
Ed io, vagabondo impenitente, che amo galoppare nelle gioiose e paurose vie di questo mio regno solitario e deserto, mi compiacerò di raccogliere periodicamente un fascio di questi fiori selvaggi per incoronarne questa bandiera ribelle che già una volta vigliaccamente e brutalmente stroncata canta ancora per il ritornello gioioso dell’eterno ritorno.
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Anarchico è solo colui che dopo una lunga, affannosa e disperata ricerca ha ritrovato sè stesso e si è posto, sdegnoso e superbo «sui margini della società» negando a qualsiasi il diritto di giudicarlo.
Colui che non sa essere all’altezza delle proprie azioni riconoscendosi, egli solo a giudice di se stesso, potrà magari credersi anarchico ma non lo è!
La forza di volontà e di potenza (da non confondersi col potere) lo spirito di autoelevazione e di individualizzazione sono i primi gradini d’una scala lunga ed interminabile ove sale colui che vuole superare anche se stesso oltre tutte le cose.
Solo colui che sa spezzare con impetuosa violenza i rugginosi cancelli che chiudono la casa della gran menzogna ove si sono dati convegno i lubrici ladri dell’«Io» (dio, stato, società, umanità), per riprendere dalle mani viscide e rapaci – inanellate del falso oro dell’amore della pietà e della civiltà, dei biechi predatori, il suo più grande tesoro, può sentirsi padrone e signore di se, e chiamarsi anarchico.
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L’anarchico, oltre ad essere il più grande ribelle ha pure il vanto di essere un Re. Il Re di se stesso s’intende!
Chi crede che Cristo possa essere il segnacolo ed il simbolo che l’uomo deve sventolare per giungere alla libertaria sintesi della vita, non può essere che un socialista o un cristiano negatore dell’anarchismo.
Quando Socrate, che malgrado tutto, era senza dubbio di molto superiore alla bestialità di quel suo popolo che lo condannava, accettò la cicuta che questo gli imponeva di trangugiare, fece una tal opera di viltà e di dedizione che l’anarchismo spietatamente condanna.
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Sfuggire, con qualsiasi mezzo, all’invincibile bestialità d’un popolo reso feroce e brutale da cannibaleschi pregiudizi e da spaventosa ignoranza, o alla sadica depravazione d’una putrefatta società la quale si crede in diritto di giudicare e condannare un singolo perché ha consumato una data azione che la suddetta società non è all’altezza di comprendere mai; è un atto superbamente ribelle ed individualistico che solo nell’anarchismo può trovare la sua ragion d’essere e la sua glorificazione.
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Ahimè! Anche la coscienza è stata fin qui un fantasma atavico e pauroso. E solo cesserà di essere tale, quando l’uomo l’avrà saputa rendere l’immagine e lo specchio della sua propria ed unica volontà.
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Il primo uomo che disse: «Non vi è nessun dio», fu senza dubbio un atleta dell’umano pensiero. Ma colui che si limitò a dire che: «Il dio del prete non c’è», barò coll’equivoco lasciando a sufficienza comprendere di essere, egli, un losco partigiano il quale già premeditava di uccidere gli uomini forse con una nuova menzogna. Tenetevi ben guardinghi da coloro che si limitano alla sola negazione di dio.
FIORI SELVAGGI
(tratto da «Cronaca Libertaria», Milano, a. I, n. 10, 4 ottobre 1917)
Non so perché quando penso ai NOSTRI (!) scrupolosi (!) giornalisti, ai fornitori della “nostra cara patria”, nonché agli eroi del fronte interno con tutta quella somma di élite di RI-VO-LU-ZIO-NA-RI interventisti che stanno sublimandosi in un bel bagno caldo di sfolgorante sole italico, mi sembra di udire la melodiosa voce di Laerte, nell’Odissea omerica, ad esclamare in un ebbro delirio di gioia: “Qual sole – oggi risplende in cielo, aurati Numi! – Gareggian di virtù i figli e nipoti – Giorno più bello non mi sorse mai!”
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Ieri sera, prima di coricarmi, mi venne la bizzarra idea di interrogare un mio grande e diletto amico, morto di pazzia parecchi anni or sono, intorno alla cinica apostasia di coloro che un giorno credevansi, dicevansi od erano compagni nostri. Ed egli, Federico Nietzsche – il mio grande amico morto con il suo consueto sarcasmo violento, mi rispose testualmente così: “Davvero molti di loro a quel tempo alzavano le gambe simili a danzatrici giacché il riso della mia saggezza gli attirava – ma poi mutarono avviso, ed ora gli vedo strisciare tutti incurvati verso la croce”.
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“Ahimè! Son sempre pochi quelli il cui cuore possiede un lungo e durevole coraggio ed il cui spirito ha la virtù della costanza. Tutti gli altri sono codardi”.
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Volersi affermare, voler fare trionfare le proprie idee, voler vivere secondo le proprie inclinazioni e voler sviluppare tutte le proprie qualità fisiologiche e cerebrali, ecco lo scopo di tutti coloro che hanno finalmente trovato il loro BENE e il loro MALE.
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Voler innalzare la propria individualità ed il proprio ideale fino al vero amore degli amici, ed al rispetto degli avversari e dei nemici, dando a questi guerra spietata e senza quartiere a tutti i tentativi fatti da parte loro per abbatterci ed umiliarci è da forti, è da audaci. Ma pretendere che tutti dovessero vivere e pensare come noi, a me sembrerebbe troppo grottesco, giacché “ciascun uomo – dice Stendhal – in fondo, se vuole darsi la briga di studiare se stesso, ha il suo bello ideale, e mi pare vi sia sempre un po’ di ridicolo nel tentare di convertire il vicino”.
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Non ho mai saputo spiegarmi il perché vi possa ancora essere una quasi moltitudine di uomini apparentemente molto distinti ed evoluti i quali credono e sperano di poter trovare il proprio trionfo e la propria elevazione, nel trionfo e nella elevazione del popolo. Costoro non si sono accorti mai – come direbbe per altre questioni il Balzac – che giace uno scheletro dov’essi si curvano per raccogliere un tesoro.
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“Quando si considera – dice il refrattario Chanfort – che il frutto del lavoro e del pensiero di trenta o quaranta secoli, è stato quello di abbandonare trecento milioni di uomini sparsi sulla terra ad una trentina di despoti per la maggior parte ignoranti e imbecilli, ciascuno dei quali è governato a sua volta da tre o quattro scellerati assai spesso stupidi, che pensare dell’umanità e delle sue sorti future?”. Povero Chanfort! Se tu potessi alzarti dal tuo freddo sepolcro, ove giaci ormai da più di un secolo, potresti vedere quali erano i destini che attendevano al varco questa MISERABILE umanità dei nostri giorni!
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“… gli spietati non fanno che cambiare culto e nel quadro stesso dell’eresia mettono e conservano sempre dei ricordi di religione” (G. Vales).
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Malgrado le prove fatte da certi selvaggi, dai Tartari, da Licurgo e da certe greche popolazioni, di mettere la donna in comune, oggi l’uomo, per fortuna sua, e forse della specie, è abituato a comportarsi con questa da proprietario!
“La mia donna!” dice l’uomo sano. Giacché dire: “la nostra donna” sarebbe da depravati.
Ma, cosa dice la donna? Come risponde essa? Ah, che caos! Che terribile caos!
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“I bambini, questi piccoli innocenti bambini! Li vidi rincorrersi nella via con occhi accesi, giocando alla guerra ed udii uno di loro piangere, con la sua fine voce infantile: in me fremette un senso di orrore, di raccapriccio.
Andai a casa, la notte cadde, e quegli innocenti bambini mi si trasformarono nel sogno fiammeggiante, come un incendio notturno, in intere legioni di giovani assassini” (L. Andreiff).