Il controllo sociale della sessualità come struttura portante del potere di Flaminia Saccà.

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1. Il controllo sociale della sessualità: il caso della conferenza ONU al Cairo

Nel corso dell’evoluzione umana l’organizzazione economica e sociale si è espressa attraverso l’esercizio del potere (economico, sociale, politico, militare, culturale, eccetera). Questo esercizio ha dato vita a delle vere e proprie strutture. Una delle strutture portanti dell’organizzazione del potere – e non certamente l’ultima – è stata la gestione e il controllo della sessualità il cui principale teorizzatore – e forse il più completo – è stato il filosofo francese Michel Foucault, il quale, con la sua trilogia sulla “Storia della sessualità”, mostra come essa sia ben presente e persistente nel mondo moderno. (Foucault, 1976; 1984; 1984 bis).
Vi sono diverse prove recenti della rilevanza che il controllo sociale della sessualità assume a tutt’oggi, ma particolarmente importanti appaiono i dibattiti sorti puntualmente ad ogni Conferenza Onu in tema di demografia e condizione della donna e che assumono all’improvviso un nuovo ruolo e spessore nell’attuale confronto con i governi di paesi come l’Afghanistan, che fanno della repressione sessuale un perno forte della gestione politica nazionale.
Ripercorrendo a ritroso il recente percorso dell’emersione del problema, potremmo individuare un esempio eclatante nella Conferenza su Popolazione e Sviluppo che si è tenuta dal 5 al 13 settembre 1994 al Cairo, sotto l’egida dell’Onu, la quale ha affrontato per la prima volta in maniera esplicita i problemi dello sviluppo uniti a quelli della crescita demografica. Era stata indetta sostanzialmente per fare fronte a una preoccupazione incombente. Le risorse primarie da cui dipenderà la sopravvivenza delle generazioni future dell’umanità vanno esaurendosi. Nello stesso tempo anche il degrado ambientale si va intensificando. Il tutto in stretta connessione con una esplosione demografica senza precedenti.
In sostanza una situazione allarmante, alla quale porre rimedio, in quanto la forte espansione demografica sta minacciando l’equilibrio fra popolazione e risorse, alimentando una povertà duratura e diffusa, una disuguaglianza economica e sociale crescente e pericolosa.
Una Conferenza, come suggeriva anche il titolo, dai temi più economici e demografici che sessuali.
Ma il dibattito che si è avviato ancora prima dell’apertura dei lavori si è acceso su tutt’altre questioni. Sulla legittimità dell’aborto, delle relazioni sessuali fra adolescenti, fra adulti dello stesso sesso, di sesso diverso ma non sposati, sui diritti delle donne ad avere accesso a una sessualità sicura e a una riproduttività libera e cosciente. Sulla sessualità, appunto. E sul suo controllo.
Si è assistito così, ad un vero e proprio braccio di ferro tra l’Onu e le grandi religioni monoteiste. La linea dell’Onu, sostenuta dagli Stati Uniti schierati in prima fila, era fautrice di una sessualità più consapevole, slegata dai fini riproduttivi, con l’obiettivo primario di promuovere una politica di contenimento delle nascite. Le due grandi religioni monoteiste, cattolicesimo e islamismo, per una volta alleate, erano invece decise a battersi in nome di una sessualità ricondotta entro i confini della mera riproduzione all’interno dell’ambito coniugale. Posizione che le portava a negare, peraltro, l’esistenza di una vera e propria emergenza nel rapporto fra popolazione e risorse.
Mentre le due grandi religioni monoteiste si preoccupavano di stabilire la moralità o meno dell’uso del profilattico, dell’aborto, delle unioni non consacrate dal sacro matrimonio, e altro – tutte forme di controllo sociale della sessualità – gli aspetti più drammatici del controllo venivano a malapena accennati. Si è parlato poco del fatto che migliaia di donne vengono a tutt’oggi torturate, mutilate, seriamente defraudate della loro integrità psico-fisica.
Se è vero che il dibattito più acceso ha toccato i temi che ben conosciamo (a cui i mass media, peraltro, hanno dato grande risalto) è pur vero che alla Conferenza è stata in tutti modi ribadita l’importanza di riconoscere dignità, autonomia e indipendenza alla donna. Alcuni punti del documento approvato riguardavano anche in maniera specifica le pratiche tradizionali dei matrimoni precoci e delle mutilazioni genitali. Così, ad esempio, il capitolo IV, sulla parità dei sessi, al punto 4.21, stabiliva la necessità che i governi si adoperassero per applicare severamente le leggi che riguardano l’età legale minima per il matrimonio, alzandone i limiti quando necessario. E al punto 4.22. del medesimo capitolo si legge che “i governi sono sollecitati a proibire la mutilazione genitale femminile” (UNFPA, 1994).
Queste pratiche comportano in molti casi, gravi rischi per la salute della donna. Dalle infezioni, allo shock, alle difficoltà ad avere rapporti sessuali completi, complicazioni del parto, e molte altre ancora, a volte con esiti fatali per la donna e per il neonato. Non sono rari i casi di menomazioni e anomalie riscontrate in bambini nati da donne troppo giovani o infibulate.
Oggi, al fine di prevenire simili complicazioni, pratiche quali la circoncisione femminile, l’escissione e l’infibulazione, vengono operate sempre più spesso negli ospedali. Tuttavia va evidenziato che il problema non è solo medico. Le mutilazioni genitali e i matrimoni precoci incidono sulla persona, sia direttamente, mutilando e danneggiando gravemente il fisico, sia in maniera meno diretta, ma non per questo meno devastante, sull’equilibrio psicofisico e l’integrità e la dignità della persona, segnatamente della donna. La mortificazione della donna, inoltre, e la sua totale dipendenza dall’uomo non sono sancite da nessun testo sacro.
In un certo senso la Conferenza del Cairo ha compiuto un passo importante. Come stabilito chiaramente nel capitolo VII del Piano di Intervento, “Diritti e sanità dell’età riproduttiva”:
“La salute riproduttiva è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale – e non semplicemente un’assenza di malattie o di infermità – in ogni modo collegato all’apparato riproduttivo, ai suoi processi e alle sue funzioni. La salute riproduttiva implica quindi il fatto che le persone abbiano una vita sessuale soddisfacente e sicura, che abbiano la possibilità di procreare e la libertà di decidere se, quando e quanto spesso farlo…e il diritto di accesso a servizi sanitari appropriati che permettano alle donne di affrontare la gravidanza e il parto con sicurezza e offrano le migliori opportunità di avere un bambino sano” (Cap. VII, UNFPA, 1994).
Non si è nemmeno mancato di sottolineare come la maternità precoce (spesso conseguenza del matrimonio precoce) comporti un rischio di mortalità materna e infantile superiori alla media, e come questa pratica finisca con l’ostacolare il miglioramento dello status economico, sociale e di istruzione delle donne, costituendo un grave impedimento al loro pieno sviluppo (paragrafo 7.41, Capitolo VII).
Tuttavia la gran parte del dibattito è stato incentrato sulla legittimità stessa della sessualità quando non finalizzata alla riproduzione.
Dalle ragioni sociali, economiche e demografiche della Conferenza si era passati alle ragioni etico-religiose e, da queste, a ragioni che riguardavano in senso piuttosto stretto la sessualità. In altri termini, si affrontava la questione sessuale sotto la forma degli aspetti morali, medici e demografici.
Se in un primo momento l’organizzazione economica (il tema della Conferenza) e la discussione sulla regolamentazione della sessualità all’interno del modello di sviluppo sembravano separati, e l’immissione del tema della sessualità poteva apparire come un’intrusione, il tutto acquistava rilevanza e significato qualora si fosse pensato che nel mondo le strutture di potere si sono manifestate soprattutto attraverso la gestione e il controllo della sessualità.

2. Il controllo sociale della sessualità: la storia e i divieti

Il problema affonda le sue radici nella storia dell’evoluzione delle società. Gli esseri umani per rispondere alle necessità della loro sopravvivenza si sono organizzati in strutture sociali o società. Per fare ciò e per massimizzare la cooperazione e la collaborazione dei suoi membri, una società ha bisogno di organizzare e orientare l’attività umana. La struttura di una società è determinata dunque, dalla sua organizzazione. La crescita e la sopravvivenza di una società sono direttamente proporzionali al livello di organizzazione che questa società si è data. Ora, non esiste organizzazione senza una qualche forma di controllo. Nel caso di una società si tratta di un controllo sociale del comportamento individuale e associativo. Il controllo funziona sia al suo interno, per mantenere la coesione del gruppo dominante, sia al suo esterno, verso i gruppi dominati, dato che generalmente le società si suddividono in una qualche forma di gerarchia.
Per controllo sociale si intendono tutti i fenomeni ed i processi che contribuiscono a regolare il comportamento umano e a organizzarlo stabilendo rapporti fra più soggetti in vista di scopi collettivi, primo fra tutti la realizzazione dell’ordine sociale.
Nelle società la sessualità svolge un ruolo preminente non soltanto in quanto rappresenta una delle principali funzioni vitali dell’essere umano, ma anche in quanto i membri della società sono reclutati al suo interno tramite la riproduzione sessuale e in ogni società esiste una qualche forma di controllo sociale della sessualità. E anzi, questo si trova spesso a rappresentare un elemento portante dell’organizzazione sociale stessa.
Per il soddisfacimento dei bisogni primari, per il sostentamento e la sopravvivenza stessa degli individui, gli uomini sono andati organizzandosi. Questa regolamentazione ha colpito in primo luogo proprio la sessualità, vista, allora come oggi, come un impulso irruento, capace di distrarre dal lavoro e di minacciare l’ordine sociale necessario alla produzione e, in ultima analisi, alla riproduzione sociale.
Alcuni sociologi, filosofi e psicologi poi partono dall’assunto che la società sia venuta formandosi con il lavoro. Ad esempio, per Georges Bataille (1957), il filosofo dell’erotismo, l’organizzazione della vita sessuale è essenziale sia al mantenimento dell’ordine sociale sia alla produzione. Sarebbe stato il lavoro a condurre l’uomo di Neanderthal verso il percorso che lo ha reso sapiens. In questo senso si può dire che il controllo sociale della sessualità si pone a fondamento della società stessa.
Allo stesso tempo, sempre analizzando lo sviluppo dell’uomo, Herbert Marcuse in Eros e civiltà (1955) sostiene che la repressione degli istinti ha portato l’uomo al di fuori della sua condizione meramente animale. In pratica è stata posta in atto quella che il Marcuse definisce una vera e propria “desessualizzazione” dell’organismo, in quanto una forte erotizzazione ostacolerebbe l’utilizzazione dell’organismo stesso come strumento di lavoro.
Anche per Freud (1930) si sono rese necessarie delle regolamentazioni degli istinti aggressivi, profondamente fusi con la sessualità, per evitare che essi minacciassero di distruggere la civiltà. L’energia sessuale repressa verrebbe poi generalmente dirottata sul lavoro e sulle attività intellettuali. Mentre per il sociologo tedesco Helmut Schelski (1960) la regolamentazione sociale (intesa come sovrastruttura culturale) degli impulsi sessuali si impose già agli albori delle prime società umane. Fu una delle prime espressioni culturali e una delle prime esigenze della nostra specie. La regolamentazione dei rapporti sessuali e riproduttivi viene qui concepita come la forma sociale primaria di tutto il comportamento umano, tanto che ribaltare queste norme significherebbe minare la forma sociale costituita.
In sintesi, potremmo dire che la sessualità si pone alla base di ogni società in quanto riproduzione (dei suoi membri), ma anche, e non secondariamente, come impulso, bisogno, istinto di base che, come tale, non può essere lasciato allo stato brado. A mano a mano che l’uomo è diventato un essere sociale e ha cominciato a vivere in società, il rapporto con i suoi istinti è mutato a un duplice livello. Da una parte, a questi si è aggiunto il sostegno – prezioso per la sopravvivenza – della cultura; dall’altra gli istinti si sono affievoliti, perdendo anche la capacità di fornire all’essere umano un valido orientamento all’azione. Era necessario codificare sempre di più il comportamento per via normativa, e dunque sociale.
L’uomo è davvero diventato “umano” in quanto è riuscito a prendere distanza dai suoi istinti primari, a non lasciar condizionare la propria vita da questi. In tale percorso ha dovuto organizzare, reprimere, incanalare la natura che si era trovato come data. Solo così è riuscito, in qualche modo a superarla. Ed è così che la sessualità si è posta come problema primario in tutti i tempi e in tutte le civiltà.
Secondo queste linee è nata la teoria secondo la quale il progresso dell’uomo passava anche attraverso la codificazione della sua vita sessuale e grazie ai suoi divieti l’uomo si sarebbe evoluto dalla sua condizione animale.
In questo ambito assume rilevanza l’assunto di partenza, e cioè che nel mondo le strutture di potere si sono manifestate soprattutto attraverso la gestione e il controllo della sessualità. Regolamentando la sessualità, di fatto si è regolamentata anche la società.
È su questo terreno, ad esempio, che si è potuto affermare il cristianesimo ed è sempre su questo terreno che il Vaticano ha tentato di ritagliarsi una nuova funzione e un nuovo ruolo al Cairo (e con toni più sfumati a Pechino, nella Conferenza Onu del 1995), in un mondo che in realtà si va sganciando dai dettami religiosi per affidarsi sempre di più alla scienza. Ma è ancora su questo terreno che i fondamentalisti islamici governano la rivolta contro l’Occidente, stringendo i propri paesi in una morsa di rinnovata e violenta repressione sessuale.
Uno strumento di potere dunque, che nei secoli si è abbattuto in special modo sulla sessualità femminile. Il controllo sociale della sessualità ha assunto molteplici forme a seconda delle varie epoche o delle zone geografiche, passando attraverso vari gradi di violenza repressiva: dalle forme più blande di ostracismo sociale nei confronti di chi trasgredisce alle norme, alla violenza fisica delle mutilazioni genitali come prevenzione dalla trasgressione, all’assassinio (impunito nei casi di adulterio da parte della moglie, o comminato dai tribunali nei casi di stregoneria, o di trasgressione a presunte leggi sacre). Generalmente il tipo di controllo applicato è da mettersi in relazione al tipo di formazione sociale in presenza e al suo modo di produzione.
Ad una prima osservazione sembrerebbe che più il livello economico è semplice, più la struttura sociale è “libera”, scarsa di regole, di divieti, di credenze religiose e strutture.
C. Turnbull (1965) ad esempio, ha svolto una ricerca fra i pigmei Mbuti dediti alla raccolta e alla caccia. La struttura sociale di queste popolazioni è l’orda. Le libertà sessuali sono piuttosto marcate. I rapporti sessuali fra i giovani celibi sono frequenti. La raccolta è effettuata regolarmente dalle donne che si organizzano in bande di lavoro e autodifesa.
Ogni orda è composta da venti, trenta famiglie. All’interno delle famiglie i vincoli parentali sono particolarmente flebili. I figli passano da una famiglia all’altra. Il matrimonio si contrae preferibilmente attraverso lo scambio delle sorelle e senza dote. È quasi sempre matrilocale. L’incesto è vietato solo fra collaterali di terzo grado, ma non tra parenti di generazioni vicine. Non esiste il culto dei morti. Infine nessun divieto sembra comportare gravi conseguenze in caso di violazione.
Le donne partecipano a tutte le attività degli uomini. Il controllo su di loro è nullo e non esistono legami durevoli. Impossibile in queste condizioni esercitare un potere politico centralizzato e costante. Ciascun produttore è padrone del suo strumento di produzione. Poche e astratte le rappresentazioni religiose. La savana è amica. Oggetto di pratiche religiose è il cielo.
Con la caccia, queste caratteristiche vengono largamente mantenute, anche se all’interno dell’orda comincia ad emergere una organizzazione del lavoro più sofisticata. Ma, come per i raccoglitori, il modo di vita dei cacciatori è istantaneo. Il prodotto (la caccia) viene consumato nel momento stesso in cui lo si ottiene. Le preoccupazioni sono volte verso la produzione presente piuttosto che verso la sua riproduzione.
Nell’orda nessun legame durevole unisce i giovani agli anziani. Il figlio non offre garanzie di sostegno al genitore nel momento in cui questo non sarà più produttivo. Manca qualsiasi culto degli antenati. Questo modo offre, secondo Meillassoux (1975) il quadro di una libertà individuale che si esprime e manifesta negli atteggiamenti sessuali, nella fragilità dei legami matrimoniali e nell’instabilità delle istituzioni.
La situazione cambia nelle popolazioni dedite all’agricoltura. Alcuni autori marxisti, fra i quali lo stesso Engels, hanno sottolineato l’importanza dell’avvento della proprietà privata. Il controllo della sessualità femminile si collega qui strettamente al problema della trasmissione dell’eredità. Nel momento in cui con lo sviluppo dell’agricoltura si è cominciato a produrre un surplus, si è posto il problema dell’eredità. A chi trasmetterla? Ai figli. Come assicurarsi che i nuovi nati fossero davvero i propri figli? Controllando la sessualità femminile. Alla donna a quel punto veniva attribuita soprattutto la funzione di produttrice dei discendenti dell’uomo.
L’antropologo francese Claude Meillassoux (1975) ha approfondito anche il tema del controllo sociale della sessualità femminile nei sistemi agricoli, conducendo una serie di ricerche su alcune popolazioni della savana, i Guro, che praticano l’agricoltura in un’economia di sussistenza.
Con l’agricoltura il quadro generale, rispetto all’orda, si capovolge. Il futuro diventa una preoccupazione e con la preoccupazione nasce il problema della riproduzione.
Riproduzione della fertilità della terra, riproduzione del surplus, riproduzione delle strutture del gruppo, riproduzione delle braccia che lavorano la terra.
I rapporti di produzione si fanno più complessi. Assumono l’apparenza della parentela. Il figlio viene sottoposto al padre. La procreazione diviene il mezzo più diretto per produrre lavoratori-dipendenti e la donna – produttrice dei produttori – il più potente mezzo di produzione orientato verso il futuro. Di conseguenza la più soggetta a restrizioni, controlli, costrizioni.
Le preoccupazioni per il futuro si volgono verso il passato che diventa esperienza. Con l’esperienza il passato acquista un valore mai avuto fino allora. E con il valore del passato acquistano valore i possessori della memoria e dell’esperienza: gli anziani.
La natura da protettrice diventa nemica. La cacciata dal paradiso terrestre è forse nel passaggio dalla raccolta e dalla caccia all’agricoltura. La natura, ora, dà, ma solo attraverso un duro lavoro. E come dà, può togliere. Gli elementi naturali come la pioggia, la siccità o la grandine possono essere amici o nemici. Nasce la religione, la magia, gli uomini che posseggono i segreti della natura, che sanno blandirla quando è nemica, invocarla e onorarla quando è amica.
Meillassoux in L’economia della savana parte dalla cellula sociale tradizionale. Questa è costituita come un insieme di individui dei due sessi abitanti in uno spazio comune (o che si spostano insieme) “sotto l’autorità di un uomo vivente, ritenuto importante, e che hanno tra loro rapporti di parentela”.
Si tratta, in poche parole di una comunità. La parentela non esprime esclusivamente dei rapporti di sangue, ma anche, e forse prima di tutto, dei rapporti sociali che fondano la coesione sociale, anche se la parentela da sola non è sufficiente a fondarla.
La figura dell’anziano assume un importanza rilevante. È lui l’autorità. Ma su cosa si basa la sua autorità? Sul controllo esercitato sugli altri membri della comunità mediante la detenzione delle conoscenze, ma anche, per quel che ci riguarda, mediante un sistema di controllo esercitato tramite una serie di relazioni complesse, volte sostanzialmente al controllo e alla distribuzione delle donne.
A questo livello “la semplicità e l’accessibilità dei mezzi di produzione… non permettono l’esercizio di un controllo efficace sul produttore da parte dell’intermediario. In questo fatto risiede una differenza fondamentale rispetto alle società tecnologicamente più complesse, dove l’importanza materiale dei mezzi di produzione rappresenta, per coloro che li detengono, il mezzo più efficace di controllo sociale su coloro che li utilizzano” (Meillassoux, 1995, p. 86).
In un’economia in cui il prodotto del lavoro può essere controllato soltanto controllando il produttore, diventa importante controllare chi produce il produttore, cioè la donna. È in virtù di questa sua funzione di produttrice di produttori, che la donna diventa l’oggetto di mille proibizioni, restrizioni e controlli. L’accesso alla donna inizia così ad essere regolato da una serie di istituti, che generalmente si fondano su un accordo al livello degli anziani. È infatti necessario un accordo su vasta scala tra gli anziani dei gruppi vicini per assicurare e preservare le loro rispettive autorità.
Se consideriamo la posizione del giovane agli albori della società agricola, constatiamo che gli è relativamente agevole acquisire conoscenze vitali, costruirsi utensili, occupare un terreno libero. Solo che queste condizioni “non gli permetteranno di accedere a una posizione di autorità in seno al gruppo”. Per raggiungerla egli deve a sua volta costituirsi una dipendenza, ricreare “a suo vantaggio lo schema sociale da cui deriva”. Egli “deve prendere moglie”, stabilire “rapporti di paternità con i suoi figli”.
“L’affermazione dell’autorità degli anziani passa dunque attraverso il controllo dei mezzi d’accesso alle donne puberi”. In un’economia dove non si può controllare il prodotto del lavoro “è logico controllare ugualmente, e forse con maggior vantaggio, il produttore del produttore, la donna procreatrice”. Non a caso i rapporti sessuali delle giovinette sono molto liberi. Ci si interessa della donna solo quando è in grado di procreare. “L’accesso alle donne sarà dunque regolato da un certo numero di istituzioni”. Questo accesso e queste regole sono appannaggio dei soli anziani e costituiscono la base e una delle fonti del loro status.
Così nelle società agricole i controlli sulla donna si fanno più stringenti. L’attività produttiva di queste società richiede una cooperazione a lungo termine. La riproduzione assume una importanza decisiva per la comunità, in quanto si richiede una forza lavoro in numero e qualità sufficienti alla riproduzione sociale.
Il matrimonio e la filiazione divengono fondamentali. Con essi si ottiene la forza lavoro necessaria alla produzione, ma si ricreano anche i rapporti gerarchici. È in occasione dell’istituzionalizzazione dei rapporti matrimoniali tra gruppi confinanti che appaiono dei manufatti che sono dei beni matrimoniali il cui valore è associato allo status di chi li gestisce. La circolazione dei beni matrimoniali si situa di conseguenza solo a livello degli anziani. I giovani ne sono esclusi, mentre le donne rientrano nel circuito, ma come produttrici di prole.
Ciò che si scambia in un matrimonio non è la donna bensì la prole che ci si attende da lei. E questa “attesa” è simbolizzata dallo scambio dei beni matrimoniali che a loro volta testimoniano la condizione sociale di chi li possiede e la “loro circolazione ha per oggetto il rinforzo dell’autorità degli anziani all’interno dei rispettivi gruppi”.
Nell’analisi della circolazione di questi oggetti, del loro valore sociale, ci si imbatte nella complessa politica fra i gruppi. Un matrimonio implica sempre un’alleanza e il bene matrimoniale la simbolizza e, in un certo senso, la fonda.
Di nuovo la donna finisce col trovarsi al centro dei rapporti e delle relazioni sia all’interno del gruppo, sia all’esterno. Il controllo sociale della sessualità trova così nel controllo della donna il suo stesso fondamento.

3. L’omosessualità e la continenza

A dire il vero esistono anche forme di controllo della sessualità maschile, ma esse non hanno mai raggiunto la persistenza e la violenza poste in atto nei casi di controllo femminile. Ad esempio già nell’antica Grecia, ma anche a Roma, nasce il tema della “continenza”. Si tratta tuttavia non di una repressione forzata degli istinti sessuali maschili bensì, dell’inizio di una riflessione dell’uomo sull’uomo, di una “tecnologia del sé”, in cui le élites maschili si pongono il problema di uno stile di vita all’altezza della loro condizione, che si comincia a voler migliorare.
L’uomo, quanto più si discosta dalla condizione animale per progredire verso livelli superiori, tanto più si pone il problema del controllo delle sue pulsioni.
Dai pitagorici agli stoici agli epicurei, ci si propone, con argomenti e stili di vita diversi, un modello della continenza come virtù e segno distintivo della padronanza di sé, che è l’anticamera della padronanza sugli altri. Controllando se stessi, si dimostra di essere veramente padroni, di essere degni di esercitare il potere sul resto della società. In Socrate era segno di saggezza. La continenza era un modello di vita che rientrava in un generale controllo di sé che non era riprovazione del sesso, né tanto meno dell’omosessualità, come è stato ipotizzato da qualche autore, ma é rifiuto dell’amore puramente carnale, quindi pulsionale, non controllato. E in questo quadro rientra anche la continenza sessuale.
In tutti i casi, non si tratta di una legge cui sottomettere le masse e gli esseri inferiori da controllare, come le donne. È anzi, il segno della libertà (prima fra tutte dalle proprie pulsioni) di una ristretta élite. È una morale non prescrittiva, né normativa. Le leggi, le istituzioni erano rivolte altrove. Controllavano le donne e i sottoposti. Non gli uomini liberi, che si controllavano da sé per l’accrescimento delle proprie virtù.
Per il resto, gli uomini erano liberi di avere relazioni sessuali prima, durante e dopo il matrimonio, con chi volevano. Anche con altri uomini. Si richiedeva loro soltanto di decidersi a sposarsi una volta adulti per poter donare figli alla patria (dovere cui spesso recalcitravano, in quanto con gli altri uomini avevano dei rapporti più completi di scambio intellettuale, preclusi con le mogli, generalmente poco istruite). Inoltre si richiedeva loro di assumere un ruolo sessuale attivo nei rapporti omosessuali una volta raggiunta l’età adulta.
Fu solo quando l’omosessualità sia attiva che passiva si fece dilagante che si cominciarono a porre in atto controlli e sanzioni. Con le guerre e la conseguente crisi demografica, oltre alla ormai diffusa preferenza per i rapporti omosessuali, si propose con forza il problema del ripopolamento demografico e della dispersione del seme.
Importante è in questo senso anche l’influenza ebraica.
L’imperativo per gli ebrei era la riproduzione e l’atto sessuale era considerato lecito solo se si concludeva con il deposito del seme nell’utero femminile.
C’è da notare che l’attenzione era tutta rivolta verso il seme maschile, che non doveva essere sprecato per non mettere in pericolo la stirpe. Per il resto, si dava una relativa tolleranza.
La condanna dell’omosessualità era tenace, ma colpiva soprattutto il partner attivo, (cioè colui che disperdeva il seme), mentre il partner passivo e l’omosessualità femminile non erano oggetto di altrettante attenzioni. Per quel che riguarda la donna poi, se la riproduzione è il valore supremo, i rapporti eterosessuali godono di una relativa indulgenza, non solo all’interno del matrimonio, ma anche al di fuori di esso.
La verginità della sposa in effetti era molto apprezzata, ma i rapporti prematrimoniali non erano proibiti. L’insieme di tutti questi elementi sembra coagularsi con il cristianesimo. Una morale che non poteva immettersi con successo in una civiltà senza tenere conto della realtà in presenza e delle sue esigenze.
Il cristianesimo seppe riprendere i temi che da più parti stavano emergendo, conferendogli una sistematicità, la cui evoluzione è durata parecchi secoli, e di cui forse solo ora, si comincia a intravedere il declino. Il cristianesimo condanna sin dal suo inizio l’omosessualità. Paolo, nella lettera ai romani sostiene che sia stata l’omosessualità, maschile e femminile, a scatenare l’ira divina contro i pagani. Come non pensare che abbia subito l’influenza della religione ebraica?
A tal proposito, Eva Cantarella (1988) sostiene che “il cristianesimo aggiunge alla riprovazione pagana della passività sessuale maschile quella ebraica dell’omosessualità attiva”.
Giungerà presto ad una condanna globale dei rapporti sessuali, via via fino a restringerli al campo del matrimonio e, a veder meglio, nemmeno tanto a questo se, sempre Paolo, nella lettera ai Corinzi, sostenne la supremazia della continenza rispetto al matrimonio, visto solo come il male minore (“…è meglio sposarsi che bruciare”). Tuttavia, l’influenza di questa concezione tarderà a farsi sentire. Il cristianesimo ai suoi inizi trovò proprio nel matrimonio un importante strumento della sua affermazione.
Con il Cristianesimo la condizione della donna, dei rapporti fra i sessi, subisce un mutamento. Secondo lo storico Santo Mazzarino (1959), il III secolo rappresenta una rottura con la civiltà pagana. Le donne cominciavano ad avvertire il bisogno di scegliersi il coniuge al di là dei dettami sociali che le costringevano a maritarsi all’interno del loro ordine (senatorio) quando si trattava di donne di alto rango (clarissimae), e che comunque scoraggiavano, quando non impedivano, i matrimoni fra classi diverse, specie fra cittadine romane e schiavi o liberti (schiavi liberati). È chiaro che tali matrimoni costituivano una vera e propria minaccia all’ ordine sociale costituito, specie qualora si pensi che la struttura schiavistica avrebbe potuto vacillare in seguito alla manomissione degli schiavi da parte delle loro aspiranti spose.
Su questo terreno, il cristianesimo, pur essendo come religione perseguitata dalle leggi, operava con crescente successo, entrando nel privato, raccogliendo il crescente bisogno di indipendenza delle donne nella scelta del coniuge, insegnando alle donne che il marito può essere scelto, se possibile fra i correligionari. Comunque bisognava cercare di convertirlo.
È la rivoluzione spirituale cristiana. La famiglia stava cambiando. Le donne non erano più soltanto deputate ad assicurare la discendenza agli uomini, erano diventate il principale strumento di diffusione della religione. Ma è anche vero che in questo modo si conferiva al “sesso debole” una maggiore autonomia decisionale, e il matrimonio cominciava ad avere una base affettiva.
Qui, in sostanza, si gettarono le basi del matrimonio moderno, fondato sempre più su un’affinità spirituale ed affettiva, e sempre meno su motivazioni economiche e sociali. Tuttavia il percorso è stato lungo e tortuoso. A partire da Costantino, il cristianesimo andò imponendosi, condannò le dottrine segrete e il paganesimo, ed elaborò una concezione del matrimonio che poneva al bando ogni forma di sessualità che non fosse rivolta alla procreazione. Tuttavia, per quel che riguarda la sessualità, il comportamento della Chiesa non è sempre stato univoco. La teoria si costituì lentamente. D’altro canto nei libri sacri, nell’Antico Testamento come nel Vangelo, il messaggio di Dio poteva apparire piuttosto contraddittorio. Se nella Genesi si stabilisce che “Non è bene che l’uomo sia solo” (quindi i due sessi sono destinati ad unirsi), la donna e l’uomo non si trovano affatto in condizioni di parità, essendo la seconda sottomessa al primo. Il concetto è rafforzato da una frase di Gesù che proclamava l’indissolubilità del matrimonio: “Non divida l’uomo quello che Dio ha giunto” (Matteo, XIX, 6). L’usanza del ripudio della moglie da parte del marito venne pertanto condannata. Ma ancora un’altra frase del Maestro ha contribuito a caratterizzare la dottrina della ecclesia primitiva in fatto di sessualità: “Vi sono (degli eunuchi) che tali si sono fatti per amore del regno dei cieli. Chi può capire capisca”.
Su questa affermazione si costituì una concezione che vedeva la società suddivisa in una gerarchia al cui capo si trovavano i continenti, e poi tutti gli altri.
Il matrimonio certamente non era sanzionato, ma era visto come una concessione a coloro che non potevano contenersi ed era ancora sostanzialmente relegato ai margini della sacralità. I riti matrimoniali non si svolgevano in chiesa. È il periodo in cui il matrimonio avveniva spesso per ratto, lo stupro collettivo era frequente, e la sessualità piuttosto sregolata.
A mano a mano venne sentita l’esigenza di una riorganizzazione dell’ordine sociale e a cavallo dell’anno mille, il potere spirituale si unì a quello temporale. Questo comportò una rivalutazione del matrimonio come freno e canalizzazione della sessualità ordinata. Vennero riprese le concezioni di Agostino, secondo il quale l’atto sessuale nella fornicazione è un peccato mortale, ma nel matrimonio è un peccato meno grave. Il matrimonio poi consente di moltiplicare gli uomini e di ripopolare il Paradiso. Inoltre mette un freno alla sessualità femminile, a lungo creduta come incontenibile e senz’altro più prepotente di quella maschile.
Ma la storia della sessualità e di quella femminile in particolare -come tutte le storie- non è così lineare. Se nel ‘600 l’Occidente conosce un periodo di libertà e libertinaggio, intorno al ‘700 l’opposizione fra lavoro e sessualità riemerse con forza. Indicativa la posizione di Malthus. Questo reverendo, lungi dall’incitare a una limitazione diretta delle nascite, come spesso si è creduto, si limitò a esaltare le virtù civilizzatrici della continenza collettiva praticata a lungo in Europa. Si riferiva all’usanza delle nozze tardive fra contadini, praticata fra il XVI ed il XVIII secolo. Un’ascesi sessuale ritenuta da molti autori necessaria a un autentico sviluppo economico. Malthus celebrava la specificità occidentale del celibato che, se protratto abbastanza a lungo, si rivelava efficace nella salvaguardia del fragile equilibrio fra popolazione e mezzi di sussistenza.
La tendenza del periodo è infatti di reazione al libertinaggio diffuso. La Chiesa cattolica si oppose al calvinismo, alle pratiche delle corti di Francia e di Inghilterra.
Dal canto suo la scienza scese direttamente in campo dando vita a uno dei massimi sforzi di controllo delle pulsioni che la storia conosca.
La letteratura medica sulla sessualità “legittima” cambiò di tono. Le teorie mediche avevano per un certo periodo raccomandato l’eiaculazione e messo in guardia dagli effetti psicologi connessi alla continenza femminile, considerando il coito una necessità naturale. Ora il piacere viene accusato di uccidere l’amore. La sessuologia dei Lumi cominciò a negare l’orgasmo femminile a cui aggiunse l’invenzione scientifica dei mortali pericoli del piacere solitario.
L’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, fu anche la patria del puritanesimo. La setta metodista, si prefisse la repressione della sessualità illegittima. Il nuovo ordine sociale passava per il soffocamento dell’impulso sessuale delle masse dei lavoratori.
La nuova monarchia mercantilistica non intendeva solo moralizzare i suoi sudditi, ma farli lavorare, e la lotta alle varie forme di sessualità si collocava in una più vasta operazione di sorveglianza e controllo degli individui. A questo scopo si rafforzano e si proteggono le istituzioni. La condotta individuale non riguarda più la questione morale, ma diviene un affare di stato.
Interessante notare come in una società in cui l’imperativo è il risparmio, ideologi e scienziati si scaglino contro ogni spreco. Già Rousseau vedeva nell’accoppiamento il peccato più grave. Il medico svizzero Tissot con un suo trattato sull’onanismo contribuì poi in notevole misura al mito del vizio solitario.
Si cerca di sostituire con nuove formule e nuove ideologie il venir meno del controllo religioso (cristiano). Un esempio può essere individuato nell’imperativo categorico kantiano, secondo il quale l’uomo deve trovare in sé il motivo della propria continenza, che è continenza di tutto, della sessualità e di altro. Peraltro anche Kant, come Tissot, riteneva la masturbazione un atto contro natura da impedire a ogni costo.
Questa etica del controllo viene in parte ripresa dal puritanesimo protestante, che non a caso nasce contro gli eccessi della Chiesa cattolica romana. Ma è sempre di più l’apporto scientifico a dare il “la” alla repressione. Nel XVIII e XIX secolo pazzia e devianza sessuale si confondono, e i libertini, le prostitute e gli omosessuali vengono rinchiusi in manicomio.

4. Il controllo sociale della sessualità fra Occidente e Paesi islamici

Avanza l’Occidente, il capitalismo. Un nuovo modo di produzione che chiama all’appello tutte le forze possibili, entrando fin dentro le case e regolamentando la sessualità di tutti. Foucault ci ha ricordato come sia stata proprio la borghesia a sottoporsi per prima a un simile controllo. Con il culto del corpo e dell’integrità fisica della discendenza, si è affidata sempre di più alla scienza medica, per la sua affermazione. (Si va verso il “bio-potere”, come lo chiama questo autore).
Ma i controlli, canalizzando e definendo le pulsioni, stabilendo cosa, come e perché un comportamento è lecito e un altro non lo è, hanno portato anche ad una riflessione. Una conoscenza che ha connotato la sessualità umana diversamente da quella animale o da quella di una pulsione immediata. Il modo di vivere e sentire il sesso è venuto mutando.
La sessualità si è riempita di significati sociali. Con la conoscenza fatalmente si è venuta sganciando dagli imperativi morali, fondati su un ordine divino ignoto e irraggiungibile ai più. Ci si è accorti che un continente non necessariamente si pone “un gradino più in alto” di un fornicatore (come sarebbe stato definito un tempo), che la masturbazione non uccide nessuno, che l’omosessualità non è né un aberrazione né una malattia da condannare con la morte. Il sesso si è fatto più libero. Si sono sperimentate le comuni in URSS negli anni ’20, l’Occidente ha vissuto la “liberazione sessuale” del ’68. Oggi i rapporti prematrimoniali, extra-coniugali, omosessuali, e plurimi, sono frequenti, a tal punto che, intorno al sesso “libero”, si è venuto a costituire tutto un mercato che spazia dalla pubblicità ai locali sadomaso. Dalle sfilate di moda, alle riviste patinate, modelle giovanissime ammiccano a rapporti lesbici. I locali per lo scambio delle coppie fioriscono. Si organizzano viaggi esotici in “paesi-bordello”, a uso e consumo di capitalisti rampanti. Senza contare negozi hard, riviste pornografiche, videofilm e gadget vari. Se non si può risparmiare che almeno si consumi. È l’altra faccia del sistema economico. Non stupisce che in paesi governati da fondamentalisti islamici la lotta ai modelli di vita Occidentali si leghi fortemente alla repressione sessuale e femminile in particolare.
In realtà però ciò che emerge dalla storia e dall’analisi dei provvedimenti adottati in anni recenti dai diversi paesi islamici ci dice solo che potere e sessualità, organizzazione politica, strutture di potere e controllo sociale della sessualità, continuano ad andare di pari passo.
Di fatto ogni stato islamico adotta una propria politica demografica a seconda della situazione economica o politica del momento. Così il laico Iraq proibisce severamente anticoncezionali e aborto per evitare una preoccupante inferiorità numerica nei confronti del suo nemico storico, l’ Iran. Per contro, l’integralista Iran autorizza anticoncezionali e aborto perché il boom demografico blocca il suo sviluppo. Esemplare il caso di Khomeini: uno dei primi atti dell’imam dopo la sua ascesa al potere nel 1979, fu lo scioglimento dell’Organismo statale per la pianificazione familiare e la riabilitazione dell’istituto islamico della poligamia combattuto tenacemente dallo scià. Egli giunse a definire la politica di contenimento delle nascite un “complotto sionista”, ma dieci anni dopo, quando la popolazione dell’Iran, raddoppiandosi, raggiunse i 60 milioni di abitanti e il paese era uscito stremato da otto anni di guerra, Khomeini fece una clamorosa marcia indietro, emettendo una fatwa (un responso legale vincolante per i fedeli islamici) che “nello stato di necessità” l’Islam autorizzava la pianificazione familiare definendo il contenimento delle nascite “un compito sacro”. I radicali iraniani che si opponevano all’allora presidente Rafsanjani hanno tentato di sfruttare la Conferenza del Cairo per mettere in discussione la stessa politica di pianificazione familiare attuata in Iran e destabilizzare il regime. Altrettanto hanno fatto gli integralisti islamici in Egitto, Pakistan, Bangladesh e Turchia.
Ma se gli slogan islamici, estremisti e non, prendevano di mira il presunto “libertinaggio” della Conferenza, quando i discorsi si facevano più seri emergevano i motivi di fondo della protesta. L’Occidente veniva accusato di aver sfruttato in tutti i modi i paesi del Terzo Mondo. Non pago di ciò, voleva imporre a questi paesi anche una limitazione delle nascite. Limitazione che, a loro parere, andava tutta in favore dello sviluppo economico capitalistico dei paesi già sviluppati, consentendogli di scaricare sempre sulla stessa parte di mondo le responsabilità di uno sviluppo e di un consumo oramai insostenibili. Invece di cancellare il debito estero dei paesi più poveri, invece di ridurre il proprio livello di produzione e di consumo, chiedevano al Terzo Mondo di fare meno figli. È su questo che voci musulmane e cattoliche si sono levate insieme nell’accusa di “imperialismo contraccettivo”. Un piccolo esempio certo, ma significativo della distanza tra “Oriente” e “Occidente” (per usare una esemplificazione abusata e riduttiva). Un esempio che tuttavia ci dice anche quanto il controllo sociale della sessualità – femminile in particolare – rivesta ancora il ruolo di struttura portante di organizzazioni economiche e sociali così diverse fra loro, il cui esercizio del potere (economico, sociale, politico, militare, culturale) continua a non poter prescindere dalla gestione e dal controllo della sessualità.

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Fonte: pubblicato sul sito della rivista telematica Il dubbio, Anno II, Numero 3, 2001

http://spazioinwind.libero.it/ildubbio/numero3_01/sacca.htm