Francesco Saverio Merlino
Il socialismo marxista è unilaterale. La questione economica non solo vi preme, ma sopprime tutte le altre. Marx ne ha fatto una specie di «forche caudine» sotto le quali tutto deve passare: politica religione famiglia ecc. Si direbbe anche che egli abbia voluto rimpicciolire il fronte di combattimento dell’armata socialista per renderne l’urto più potente…
Marx accorda al fatto storico, più o meno passeggero, come l’invenzione delle grandi macchine e la concentrazione delle ricchezze, un valore assoluto, ne fa una fatalità, una categoria storica. Tutto è fatale nella storia: il capitalismo come la sua prossima caduta. Le parole fatale, fatalmente si incontrano ad ogni linea del suo libro. Non si tratta già, beninteso, d’una fatalità determinata da condizioni fisiche, storiche e sociali, ma d’una fatalità strettamente economica, cieca, brutale, senza fondamento morale, estranea ad ogni idea di giustizia…
L’assioma di Marx è che «la socializzazione del lavoro e la concentrazione delle sue energie» si produrranno durante il periodo capitalista. «Gli elementi materiali ed intellettuali della forma collettiva della proprietà sono costituiti dallo sviluppo stesso della società capitalista» (J. Guesde-P. Lafargue, Programme definitif du Parti Ouvrier Français. Son histoire. Paris, 1883). «La cosa è già fatta — scrive ingenuamente Guesde. — La produzione individuale di un tempo cede sempre più il posto, sotto la forma di società e di compagnie anonime, ad una specie di proprietà collettiva» (J. Guesde, Services publics et socialisme, Paris, 1883). Queste compagnie anonime, come pure i monopoli della posta, dei telegrafi, delle ferrovie ecc. che certi Stati si sono appropriati, quanti madrigali non hanno ispirato ai socialisti autoritari!
Non rimane più così che da correggere gli effetti dell’intrusione del capitalista, di mettere da banda il parassita. Non si tratta che di cacciare indietro il capitalista, il quale fino ad oggi ha tenuto indietro l’operaio: girar la tavola — come ha detto, un poeta socialista inglese — sostituire al terzo il quarto stato, anche a costo di mettersi così su una via senza fine.
Il merito ed il torto nel tempo stesso della dottrina marxista — ciò che fa il suo successo, ma ne cagionerà l’abbandono — è il suo incomparabile semplicismo. Lotta di classe — conquista del potere da parte del proletariato— espropriazione del capitalista: ecco la serie progressiva del marxismo.
La lotta di classe, presentandosi come fatale, è il solo propulsore storico (1). «La legge del progresso economico è l’espropriazione» (2).
Il capitalista ha espropriato ed espropria l’operaio e il contadino: l’operaio e il contadino esproprieranno il capitalista. Legge del taglione: logica del peccato originale: divinità del fatto! Ciò che provoca e determina il conflitto è l’accumulazione degli effetti della espropriazione ad ogni periodo storico: oggi è la polarizzazione della ricchezza da un lato della società, e della miseria dal lato opposto.
Ma questa centralizzazione s’è avverata? È poi definitiva? È vero che l’operaio oggi sia più miserabile che cinquant’anni or sono? È vero che la produzione ed il commercio si centralizzano sempre più, specializzandosi, come han profetizzato Marx e l’economia politica? (3) L’estendersi del macchinismo non ha forse toccato il suo apogeo, e non è cominciato già il lavoro con la macchina a domicilio da parte del lavoratore reso così indipendente?
Sono problemi che aspettano dall’avvenire la loro soluzione: ma così come sono, costituiscono di per se stessi obiezioni formidabili al marxismo; del quale gli allori conquistati sul campo di battaglia della grande industria cominciano ad avvizzire.
Eppoi, il feudalismo capitalista non tollererebbe un monarca assoluto; al sommo dell’economia, come della intelligenza, regnano l’indipendenza ed il libero accordo. Al basso della scala la concentrazione non avviene in alcun modo. Il campo della concorrenza internazionale si allarga: altri popoli, altre classi, un’altra umanità viene a prender parte alla lotta per la vita. Forze estranee all’economia entrano in lizza: lo sviluppo intellettuale, l’emigrazione dei contadini, l’affratellamento crescente dei popoli, la Scienza che offre all’uomo nuove armi e in lui sveglia bisogni d’ordine superiore, tutte queste forze danno ciascuna la sua spinta. Il benessere è un alleato del progresso almeno altrettanto potente che la miseria, divenuta per i marxisti bene suada fames; così la coscienza morale, che si forma nelle classi operaie, lo è altrettanto che il benessere materiale.
La teoria marxista essendo d’un relativismo desolante, il suo momento psicologico deve presto passare. La preponderanza, che durante il secolo decimonono la questione economica ha acquistato su tutte le altre, per l’accrescimento rapido della ricchezza e la conversione in merce dei mezzi di produzione una volta immobilizzati presso chi li possedeva, sta per finire.
Un movimento politico e scientifico si è determinato, proveniente dalle più profonde latebre dell’organizzazione sociale attuale, che avvolge nel suo turbinìo tutte le istituzioni del nostro tempo. La Sociologia, la Scienza politica, la Storia, l’Etnografìa, la Paleontologia, l’Antropologia criminale, la Morale presentano ogni giorno problemi nuovi ed offrono nuove armi di combattimento ai difensori come agli avversari della società attuale.
Il campo di battaglia si allarga per tutti; solo i marxisti restano aggrappati alla teoria del capitale e del plus-valore, come un inglese del vecchio stampo alla sua Bibbia. «Di tutte le classi sussistenti oggi di fronte alla borghesia solo il proletariato forma una classe realmente rivoluzionaria. Le altre deperiscono e si estinguono dinanzi alla grande Industria» (4).
Ora, il distacco della classe operaia da tutto il resto della società poteva essere utile e necessario in principio, quando il proletariato si mise in cammino per la via del progresso. Ma si è avuto torto a perseverare in tale separazione.
L’Internazionale non si occupò propriamente che della sola emancipazione del lavoratore. I marxisti hanno addolcita la formula e cansata la difficoltà proclamando che «l’emancipazione della classe produttrice (non si dice più: degli operai) sarà quella di tutti gli esseri umani»; ciò che è vero, ma solo in rapporto alla questione esclusivamente economica.
Nondimeno hanno insistito sulla «separazione delle classi su tutti i terreni, e guerra delle classi per arrivare a sopprimerle» (5), ed hanno anche preteso di trasportare sull’arena politica (leggi elettorale) l’antagonismo di interessi esistenti nell’officina «tra salariati e padroni» (6).
Hanno chiamati i loro eletti «obici lanciati nei Consigli municipali della Borghesia».
Non l’avessero mai fatto! Gli operai li hanno presi in parola, ed hanno cominciato col diffidare dei propri catechizzatori. Un esempio è l’esclusivismo dei partiti operai di parecchi paesi. Perché infatti non si è potuta mai avverare l’unione socialista in Francia? Non certo per diversità di programma, ma bensì per la pretesa di ciascuna frazione d’essere la sola rappresentante della classe operaia organizzata. Che importa che dietro questa classe esista la folla degli operai non organizzati e non organizzati per la loro miseria ed ignoranza? Che importa che avanti a lei ed al suo fianco ci siano liberi combattenti usciti dalle file della borghesia, unitisi agli operai per sentimenti ed interessi non certamente economici?
Organizzazione della classe operaia, — aveva detto Marx. — Operai di tutto il mondo, unitevi! — Ma che cosa s’intende per organizzazione? Le società di Mutuo Soccorso non ne sono una forma? Le Leghe di Resistenza, le Camere del Lavoro, i Sindacati, le Trades-Unions forse? No! essa è l’organizzazione politica «per la conquista del potere», salvo a contentarsi provvisoriamente della conquista dei municipi, e disputare sulle parole: candidatura di classe o candidatura operaia.
Dopo tante fanfaronate, i marxisti si sono allontanati dall’obiettivo rivoluzionario per cacciarsi nella via del parlamentarismo. Sic transit… con quel che segue.
«Per difendersi contro il “serpente delle proprie torture” bisogna che gli operai non siano più che una sola testa ed un cuore: che, con un grande sforzo collettivo, con una pressione di classe, inalzino una barriera insormontabile, un ostacolo sociale che loro interdica di vendere “per il libero contratto” al Capitale, sé e i propri figli fino alla schiavitù ed alla morte» (7).
Gli operai che interdicono a se stessi di vendersi liberamente! In queste linee era scritta tutta l’impotenza dell’Internazionale e de’ Partiti Operai che le sono succeduti.
Ma questo non basta. Secondo Marx, la classe operaia ha la missione storica di riformare da capo a fondo la società. Questo incarico le è riservato, ed essa lo eseguirà, impadronendosi del potere politico. Una volta giunta al potere, cesserà di esistere come classe. Pare una fantasmagoria! Eppure molto seriamente Marx ed Engels ci appresero nel Manifesto Comunista del 1847 che «se il proletariato… diventerà per mezzo d’una rivoluzione classe dominante e come tale sopprimerà con la forza le antiche condizioni di produzione, sopprimerà per ciò stesso le circostanze che rendono possibili i conflitti di classe, sopprimerà nel tempo stesso la sua propria dominazione, in tanto che dominazione di classe» (8). Ecco a quale paradosso ci conduce il semplicismo marxista! Ad una assurda concezione del suicidio della classe lavoratrice all’apogeo della sua potenza.
Si è mai visto nella storia nulla di simile? S’è mai visto una classe intera, anche poco numerosa (come lo saranno relativamente gli operai organizzati nel momento della rivoluzione) suicidarsi come un amante tradito od un semplice bancarottiere? L’utopia qui salta agli occhi del più ingenuo!
I caporioni della classe operaia organizzata (poiché caporioni vi sono) s’impadroniranno del potere e se lo terranno. Organizzeranno il lavoro, i pubblici servizi, una amministrazione ed una burocrazia — anche troppa! — e sapranno introdurre, per mezzo di imposte od altro, nella distribuzione dei prodotti del lavoro, distinzioni ed ineguaglianze corrispondenti a quelle che passeranno tra le loro rispettive funzioni e quelle degli umili lavoranti manuali.
Così, infatti, i marxisti francesi, che hanno sangue blanquista nelle vene, concepiscono la rivoluzione. Il Partito (naturalmente il loro) comincerà con rimpadronirsi del potere: ogni gruppo locale eseguirà nel suo centro questa presa di possesso, costituendosi in potere rivoluzionario locale e nominando delegati pei differenti uffici. Si armeranno gli operai e si manderanno a combattere; e il partito resterà al potere, mettendo nel contempo la mano sulle casse pubbliche, banche, ecc.
Per interessare le masse alla loro rivoluzione, i socialisti marxisti accorderanno piccole concessioni: rilasceranno buoni per vitto ed alloggio, rimetteranno ai contadini il cinquanta per cento dei debiti ipotecari e faran loro pagare il resto; agli operai delle città daranno il diritto di eleggersi i loro amministratori, capifabbrica, direttori! E tutto dovrà essere fatto in ciascun luogo e secondo un piano uniforme. I poteri locali poi designeranno i propri delegati, i quali costituiranno il potere centrale.
La stessa organizzazione attuale dei partiti fornisce una idea di come saran costituiti i quadri del governo rivoluzionario.
Questo prenderà possesso in nome della nazione (vecchio inganno!), per mezzo di decreti, innanzi tutto della proprietà finanziaria o di ciò che ne sarà rimasto, poi della proprietà commerciale ed agricola. Non consulterà il popolo: ciò potrebbe indebolire la rivoluzione; ma dipenderà solo dai gruppi da cui sarà stato mandato al potere, eserciterà una dittatura di classe, e reprimerà naturalmente con energia ogni tentativo di opposizione (9).
«Il governo rivoluzionario — diceva candidamente il Congresso di Roanne (settembre-ottobre 1882) — sarà il solo governo, che, dopo Luigi XIV avrà tentato di migliorare le sorti dei proprietari campagnuoli».
Mille grazie!
Insomma la dittatura rivoluzionaria è l’ultima parola della scuola marxista.
«Lo Stato socialista non sarà come lo Stato odierno», allo stesso modo come il Cristianesimo non doveva cercare il suo regno in questo mondo. Marx, Engels e tutti quanti, hanno anche parlato di abolire lo Stato; ma occorre comprendere che si vuole sostituire lo Stato politico, con uno Stato economico, lo Stato-amministrazione.
Lo Stato oggi è la creatura della Proprietà, il servo di «quelli che possiedono qualche cosa»; domani sarà Proprietà e Stato nello stesso tempo. L’organizzazione del lavoro, che è una funzione sociale compiuta oggi, bene o male o non senza suo profitto, dal capitalista, sarà devoluta allo Stato; a lui sarà affidata la direzione politica della produzione e la distribuzione giuridica dei prodotti. Non sarà più insomma il miserabile «carabiniere e notaio» della scuola individualistica: sarà invece l’Universale Capitalista […].
Concludiamo: Il comunismo o collettivismo marxista sarebbe lo statu quo, toltone il capitalista e aggiuntavi la burocrazia.
(1) Engels (Origine della famiglia, della proprietà e dello stato, edizione tedesca di Zurigo, 1884) pone come forze motrici della evoluzione il bisogno della produzione (economica) e quello della riproduzione (della specie). Disviato così da una omonimia, egli si confuta da se stesso.
(2) J. Guesde, Services publics, op. cit.
(3) P. Kropotkin ha dato cifre molto dimostrative sulla decentralizzazione industriale e commerciale in Europa nel suo studio: Il fallimento del sistema industriale (pubblicato nella Nineteenth Century di Londra, nella Societé Nouvelle di Bruxelles, e nella Rivista Popolare di Roma).
(4) Marx-Engels, Manifesto dei comunisti.
(5) Logogrifo proposto da Deville, Aperçu sur le Socialisme scientifique.
(6) J. Guesde-P. Leforque, Le programme, op. cit.
(7) K. Marx, Il Capitale.
(8) Il primo atto con cui lo Stato si costituirà realmente rappresentante di tutta la Società, — la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della Società — sarà nel tempo stesso il suo ultimo atto come Stato. Il governo delle persone lascerà il posto all’amministrazione delle cose. (Engels, Socialismo utopistico e socialismo scientifico).
(9) (Rapporto letto al Congresso di Roubaix, del 1884 da: S. Renard, Le socialisme actuel en France, in Revue socialiste, a. 1888).
[da Il lato fossile del socialismo contemporaneo, “Il Pensiero”, Roma, del 10 settembre 1903 e sgg.]