Il lavoro invade e determina tutta la nostra esistenza. Il tempo scorre impietosamente al suo ritmo mentre noi facciamo la spola fra identici ambienti deprimenti ad una velocità sempre crescente. Il tempo del lavoro… Il tempo produttivo… Il tempo libero… Ogni nostra minima attività ne è coinvolta: si considera l’acquisizione della conoscenza un investimento per una carriera futura, la gioia viene trasformata in divertimento e si dibatte in un’orgia di consumo, la nostra creatività è schiacciata negli angusti limiti della produttività, i nostri rapporti — perfino i nostri incontri erotici — parlano la lingua della prestazione e del rendimento… La nostra perversione ha raggiunto un punto tale che ricerchiamo qualsiasi forma di lavoro, anche volontario, pur di riempire il nostro vuoto esistenziale, pur di «fare qualcosa».
Esistiamo per lavorare, lavoriamo per esistere.
L’identificazione del lavoro con l’attività umana e la creatività, il dominio completo della dottrina del lavoro come destino naturale degli umani ha pervaso la nostra coscienza a una tale profondità che il rifiuto di questa condizione forzata, di questa costrizione sociale, sembra essere divenuto un sacrilegio per il concetto stesso di umanità.
Così qualsiasi lavoro diventa migliore di nessun lavoro. Questo è il messaggio diffuso dagli evangelisti dell’esistente, che suonano le trombe per la corsa alla competizione sempre più frenetica tra gli sfruttati per qualche briciola raccattata dalla tavola dei padroni; per la strumentalizzazione e il livellamento delle relazioni sociali in cambio di un po’ di lavoro miserabile nelle galere della sopravvivenza.
Non sono tuttavia solo le condizioni generali del lavoro a creare una strada senza uscita. È il lavoro come totalità, come processo di commercializzazione dell’attività umana che riduce gli esseri umani a componenti vive di una macchina che consuma immagini e prodotti. È il lavoro come condizione universale in cui le relazioni e la coscienza vengono formate, come la colonna vertebrale che mantiene e riproduce questa società basata sulla gerarchia, lo sfruttamento e l’oppressione. E in quanto tale, il lavoro deve essere distrutto.
Non vogliamo semplicemente diventare schiavi più felici o migliori gestori della miseria. Vogliamo ridare un significato e un fondamento all’attività umana e alla creatività agendo insieme, trasportati dalla ricerca della gioia di vivere attraverso la conoscenza, la coscienza, la scoperta, la complicità, la solidarietà.
Per la liberazione individuale e collettiva…
Liberiamoci dal lavoro
Libertà per l’anarchico Rami Syrianos [1]
Solidarietà col compagno Kleomenis Savanidis
Atene/Salonicco, 17/01/2012
[manifesto tradotto in italiano da NonFides]
Note
[1] Rami Syrianos è stato arrestato nel gennaio 2011, accusato di una rapina a una casa d’aste statale di Salonicco. Per la stessa vicenda è stato coinvolto anche Kleomenis Savvanidis, rilasciato su cauzione. Il loro processo comincerà il 26 marzo.