Paolo Schicchi
Tutte le volte che si veggono toccati certi idoli e certi compari in camarilla e compromesse le proprie maschere ed i propri interessi; allorché insomma scende la sferza su qualche farabutto, o babbeo, o vigliacco, e si sentono delle verità che non piacciono, si piagnucola: «Non facciamo personalità».
Ma, di grazia, che cosa intendete per personalità?
Io, per conto mio, intendo questo: Ogni attacco che mira a semplici ire ed interessi di persone, senza relazione alcuna colle idee.
Tutto ciò però che riguarda più o meno davvicino la lotta che si combatte, ogni rapporto dell’individuo coi principi che professa, esce dal campo delle personalità ed entra in quello delle idee.
Dite, moralisti a dieci centesimi la dozzina, attaccando questo o quel monarchico, il tale e tale altro sindaco, o ministro, o deputato, o funzionario, o borghese qualsiasi, non fate delle personalità?
Qual differenza tra uno di costoro ed un papa sedicente anarchico, un eunuco anarchicizzante, un socialista farabutto od altra simile ciurmaglia?
Forse sono meno pericolosi? Forse debbono giudicarsi dal nome che portano e non dalla loro condotta?
E poi, che cosa è quest’impersonalità? Mi sembra una concezione pretesca, dove non vi sono che dogmi e canoni regolatori. Discutere le idee va bene, ma nello stesso tempo bisogna parlare di coloro che le rappresentano. Non basta dire: Questa è anarchia e quest’altro è ermafroditismo, o farabuttismo, o borghesia; bisogna anche aggiungere: Questi sono anarchici e questi altri ermafroditi, o farabutti, o borghesi. Davanti il tribunale delle plebi deve farsi il processo a tutto e a tutti; ogni mistificatore dev’essere smascherato, ogni buffone sferzato, ogni idolo abbattuto. Col sistema del lasciar fare e lasciar passare altro non si ottengono che tradimenti e mistificazioni.
Del resto, perché lasciar fare e lasciar passare? Perché certe canaglie si dicono anarchiche? Ma alcune volte anche i poliziotti si vogliono lasciar passare per tali. Il nome è nulla, i fatti e le idee son tutto. Spesso sotto l’egida dei nomi si nascondono i più turpi traditori ed i più grandi mistificatori.
Né ci si venga a piagnucolare e dire: «I nemici godono: i nemici saranno contenti delle nostre scissure; è uno scandalo, ecc., ecc.»
Sapete quand’è che i nemici godono veramente? Quando Terzaghi diventa spia, quando Costa si porta candidato ed Alain Guzien si fa prete. Allora è il vero scandalo!
In questi giorni a proposito della conversione, o meglio della rendita del Guzien, ho visto tutti i giornali anarchici pieni d’aneddoti e d’insulti contro il néophite Cacolet. Uno ci fa sapere che Guzien era vanitoso e blagueur; l’altro ci rivela che in Guzien c’era la stoffa del traditore; un terzo ci dice che Guzien era un gesuita ed un ignorante.
Alt, signori! Perché non l’avete dette prima queste cose? Perché avete fatto ingrandire questa blague, questa vanità, questi germi del tradimento? Se l’aveste sferzato a tempo, oggi forse il traditore non l’avreste. Il vostro agire è ignobile, è ipocrita, è incomprensible. Pretendete di distruggere tutte le ipocrisie e le mistificazioni, ed intanto le alimentate sol perchè vengono da gente che si dice anarchica. Pretendete parlare francamente, lealmente alle plebi, e non smascherate i mentitori, per l’unico motivo che portano scritto in fronte: Io sono anarchico.
Ma sentite questa, ch’è ancora più enorme. A proposito del medesimo néophite Cacolet, un giornale anarchico ci racconta: «Il Guzien, in tutte le corrispondenze che inviava ai giornali per annunziare qualche riunione o conferenza, chiudeva così: – il compagno Guzien è pregato di non mancare. – Il compagno Guzien è pregato di venire, ecc., ecc. Insomma, si pregava egli stesso».
Voi siete dei complici allora, siete più canaglie di lui, perché pubblicavate le sue menzogne e le sue esplosioni megalomaniache!
Ci sono di questi caratteri deboli, di questi cervelli barcollanti che se nutriti di vanità e d’incensi cascano; se invece sono raddrizzati a tempo, continuano nella stessa via. Or noi crediamo che la vera carità anarchica non consiste nel tacere le cattive inclinazioni dei compagni e nel creare gli idoli; ma, al contrario, nel denunciarli a tempo. La vostra, cari signori, non è solidarietà, è semplicemente spirito di chiesuola, è camarilla e nient’altro.
I borghesi non fanno diversamente. Che razza di solidarietà è questa, per cui non si deve dire che Merlino si voleva presentare candidato nelle ultime elezioni politiche; che Pietro Gori è un ambizioso ignorante, un buffone d’istinti polizieschi; che Malatesta si atteggia a pontefice e costituisce un pericolo per l’anarchia. Dobbiamo forse aspettare che diventino più celebri affinchè la defezione costi più cara a noi e più proficua ai nemici? Non vi bastano gli esempi dei Brousse, dei Costa, dei Guzien e di tanti altri?
I veri elementi di dissoluzione non siamo noi; ma voi che scendendo di transazione in transazione, d’idolatria in idolatria, ci conducete alla putrefazione.
Ciò che vi ha di più originale in questa faccenda, si è che i più caldi fautori dell’impersonalità sono quelli che vivono di personalità veramente volgari. Leggete la Rivendicazione di quello schifosissimo arlecchino corrispondente al nome di Germanico Pisselli, e troverete ch’è un ammasso di personalità, di storie che riguardano lui, le sue cooperative ed i suoi duelli alla pulcinella.
Ecco coloro che predicano l’impersonalità, e la predicano quando si tratta di smascherarli. Invece di difendersi e di smentire le accuse a loro carico, si vestono da eroi, da moralisti in cattedra, e tuonano: «Non facciamo personalità!»
Ed ora ci rivolgiamo ai compagni.
Se voi siete veramente anarchici, liberi di cuore e di mente, cioè, amanti dell’osservazione e del vero, senza alcun preconcetto; se volete il bene della causa, ascoltate ciò che noi vi diciamo, e se è vero, dateci ragione e tenete il giusto conto di uomini e cose. Il formarsi idoli ed adorarli senza discussione, il crederli infallibili, incorruttibili, sacri ed inviolabili; il voler mettere barriere alla discussione ed alla lotta quand’esse mirano unicamente al trionfo del nostro ideale, non è d’anarchici; ma di borghesi o d’idioti. Coloro che vi parlano non hanno assolutamente ire personali, anzi tutt’altro; né hanno da ricevere lezioni di sacrificio, di coraggio, di buona volontà da chicchessia. Può darsi che hanno da darne magari a qualche papa e a tutti i sagrestani in genere.
Si vuole l’accordo, l’unione, ecc: ebbene, niente di meglio. Un solo punto però è quello su cui possiamo intenderci: Agire. Pel resto: organizzazione, congressi, viaggi apostolici, idolatrie — saremo sempre in lotta, e non ci potrà essere solidarietà alcuna fra noi e i montoni sedicenti anarchici accorrenti a sentire il verbo evangelico dalla bocca dei pontefici.
[El porvenir anarquista, 1891]