Continua la resistenza agli sfratti a Torino. La rete antisfratti si è notevolmente ampliata, grazie a piccheti che hanno mostrato finora una notevole efficacia e che allo stesso tempo offrono occasioni di incontro con altri individui che rischiano di essere buttati fuori di casa. Non costituire uno sportello sfratti, cui rivolgersi per risolvere il proprio problema abitativo, non solo non ha rappresentato un ostacolo per incontrare degli sfrattandi, ma ha anche favorito la conoscenza tra persone che vivono uno stesso problema, riducendo una tendenza alla delega sempre presente in lotte di questo tipo.
L’autorganizzazione sta così cessando di essere solo una lodevole intenzione diventando pian piano una realtà. Anche la prospettiva di occupare una casa, sulla quale all’inizio da parte di tanti c’erano molte esitazioni, si sta affermando come l’unica soluzione praticabile per risolvere, e non solo rimandare, il problema di trovarsi senza un tetto sopra la testa. Una lotta che sta insomma iniziando a muoversi sulle sue gambe e di fronte alla quale appaiono evidenti le difficoltà della controparte. La rilevanza sociale del problema, che riguarda un numero crescente di uomini e donne, ha finora impedito a ufficiali giudiziari e polizia di assecondare le presenti richieste dei proprietari. Presidi anche relativamente esigui hanno messo in scacco la macchina degli sfratti. L’unici finora eseguito ha richiesto la mobilitazione di un centinaio di celerini, l’intervento dei pompieri con tanto di telone d’emergenza e la chiusura di tre strade sin dalle prime luci dell’alba.
Dopo mesi d’empasse sembra però che la questura della Mole abbia fatto il punto della situazione e iniziato ad attrezzarsi per fronteggiare una questione così spinosa. Accade così che la mattina del 15 maggio una trentina di agenti antisommossa, guidati da dirigenti in borghese, facciano irruzione in un’abitazione per eseguire uno sfratto nonostante questo fosse stato fissato per il 23 dello stesso mese. Un’iniziativa che non ha creato alcun fastidio allo sfrattando, che nel frattempo aveva già risolto il problema occupando con altri una palazzina, ma che ha illustrato, meglio di quanto potrebbero fare mille volantini, come la legge non sia super partes, ma uno strumento nella mani delle autorità che ne impongono l’osservanza agli sfruttati senza essere in alcun modo obbligati a tenerla in alcun conto. Una lezione di “educazione civica” che potrà notevolmente rafforzare questo percorso di lotta per la casa, se chiarirà che la soddisfazione dei propri bisogni dipende esclusivamente dai rapporti di forza che si riescono a stabilire con il fronte degli oppressori. Una forza che, come suggerisce l’azione poliziesca, è legata anche alla capacità di prendere l’iniziativa, agire in maniera imprevedibile e sorprendere il nemico.
Una potenzialità questa ancora tutta da esplorare in questa lotta torinese.
Cm
(articolo estratto da Invece n.16, estate 2012)