Tratto dal libro
La bandiera dell’Anticristo
di Enzo Martucci
Edizioni Libreria internazionale di avanguardia, Bologna, 1949
pp. 171 – 180
I comunisti libertari odierni concepiscono l’Anarchia come un regime democratico a-statale, basato sul Comune nel quale la maggioranza stabilirà la regola generale di condotta.
I teorici del socialismo libertario, Bakounin, Kropotkine, Réclus, Malatesta erano invece più tolleranti. Essi pensavano che nel Comune futuro il sistema economico da seguire, le norme etiche e sociali da rispettare, le decisioni collettive da prendere non potranno essere imposte dal maggior numero, ma dovranno risultare accettate volontariamente dalla totalità degli associati. Essi credevano nell’accordo di tutti, nella vita idilliaca, ma ammettevano anche una minoranza dissidente alla quale la maggioranza dovrà riconoscere il diritto di tentare le sue esperienze. Solo se la minoranza attenterà con la violenza agl’interessi della maggioranza, questa sarà costretta, con la forza, a piegarla.
“Martucci non vorrà – scriveva Malatesta nel 1922 polemizzando con me su Umanità Nuova- che, per riguardo ai sacri diritti dell’individuo, noi dovremo lasciare libero di nuocere un feroce assassino o uno stupratore di bambini. Noi invece lo considereremo un ammalato e lo rinchiuderemo in un ospedale dove lo cureremo”.
lo penso che, come per natura, l’individuo può fare tutto quello che vuole purché ne abbia la forza, così gli altri, che si sentono lesi dalla sua azione, possono difendersi con ogni mezzo. La difesa è anch’essa naturale ed un gruppo può espellere dal suo seno colui che nuoce ai compagni, può mandarlo altrove o anche ammazzarlo se l’offesa è stata eccessivamente grave. Ma non deve privarlo della libertà, rinchiudendolo in una prigione-ospedale, non deve curarlo se egli non lo vuole. La pretesa di curare, di guarire, di correggere, di raddrizzare, è quanto mai odiosa perché costringe l’individuo a cessar d’essere quello che è e vuole rimanere, per diventare ciò che non è e non vuole diventare.
Prendete un tipo come la sadica Clara di Mirbeau; ditele che deve curarsi per distruggere le sue tendenze, perverse e anormali, che sono pericolose per lei e per gli altri. Clara vi risponderà che non vuole guarire, che intende rimanere com’è, sfidando ogni pericolo, perché l’appagamento delle sue brame erotiche, eccitate dall’odore del sangue e dagli spettacoli di crudeltà, le dà un piacere così acuto, un’emozione tanto forte, che non potrebbe più provare se si trasformasse in una donna normale e fosse costretta a soddisfarsi con le solite, insipide lussurie. Ditele ch’essa è un mostro, che dovrebbe inorridire di sé, e lei vi risponderà:
“mostri… i mostri… In primo luogo, mostri non ce ne sono! Quelli che tu chiami mostri sono forme superiori, o semplicemente fuori della tua concezione… Gli dei non sono mostri? L’uomo di genio non è un mostro, come la tigre, il ragno, come tutti gli individui che vivono sopra le menzogne speciali, nella splendente e divina immoralità delle cose? Ma io pure, allora, sono un mostro”.
Un famoso assassino che uccideva le donne non per depredarle ma per violarle, per ottenere la concordanza del suo spasimo di piacere con lo spasimo di morte dell’altra, confessava: “In quei momenti a me sembrava d’essere Dio e di creare il mondo”.
Se vi foste rivolti a lui per proporgli la cura che lo avrebbe reso normale, egli si sarebbe rifiutato d’accettarla, intuendo che nella normalità non avrebbe trovato una sensazione tanto intensa, quanto quella che gli offriva la sua anomalia.
Perciò voler curare, per forza, questi individui; volerli guarire ad onta della loro volontà, sarebbe come pretendere da un tubercolotico che si astenga dal fumo e dall’alcool per allungare la sua vita. “Ma a me non importa di morire prima – risponderà l’ammalato – purché possa ora soddisfarmi a modo mio. È meglio vivere ancora un solo anno, godendo, e non dieci soffrendo e rinunziando a tutto”.
Vorrete costringere a salvarsi quelli che vorranno perdersi? Ma allora non saranno più essi padroni della loro esistenza. Non potranno disporne come meglio crederanno, e sentiranno come un male il bene che intenderete fare.
Se la Clara di Mirbeau o i personaggi di Sade cercano di seviziarvi, sparate su loro. Ma lasciateli in pace e abbandonate l’idea di indurli al pentimento, in nome di Dio e della morale, o di curarli e guarirli, per la gloria della scienza e dell’umanità.
Ed inoltre, è poi vero che tutti coloro che consumano un delitto sono malati, pazzi degni del manicomio e della doccia?
Se la domanda la rivolgete alla scienza di Lombroso, questa vi risponde affermativamente. Vi definisce il crimine come un ritorno atavico. Se la rivolgete alla scienza di Ferri vi dice che il misfatto è un prodotto del fattore antropologico combinato col fattore sociale. Se interrogate poi Nordau vi dichiara che anche il genio è un degenerato. Questa scienza è dogmatica e unilaterale, tende alle facili generalizzazioni, estende i risultati delle osservazioni su fatti, sperimentati e compresi, a fatti, non esperimentati e non compresi, e ne ricava una verità assoluta, una conoscenza pretenziosa ma fittizia, che riduce ad unità inesistente la pluralità dei fenomeni naturali. Quindi essa crea un tipo d’uomo che non ha riscontro nella realtà, e vi assicura che chiunque si distacca da quel tipo è un soggetto patologico candidato all’ospedale. Ma una tale scienza non ha nulla di comune con quell’altra scienza relativa, modesta, in continuo farsi, che dubita sempre delle sue conquiste e continuamente le riesamina, disfacendo le certezze e avviandosi su nuove strade.
“Vi sono due parti nella scienza – scrive Berth – l’una formale, astratta, sistematica, dogmatica, specie di cosmologia metafisica molto lontana dal reale e pretendente nonostante ciò di rinserrare questo reale diverso e prodigiosamente complesso nell’unità delle sue formule, astratte e semplici; è la Scienza semplicemente, con una grande S, la scienza una che pretende negare la religione, opponendole soluzione a soluzione, e dando del mondo e delle sue origini una spiegazione razionale. E vi sono le scienze diverse, concrete, aventi ciascuna il loro metodo proprio, adatto al loro oggetto particolare, scienze che stringono il reale più da vicino che è possibile e non sono di più in più che delle tecniche ragionate. Qui la pretesa unità della scienza è rotta.”
I socialisti, i comunisti, i fabbricatori delle città future, non potendo più accettare la verità, unica ed universale, rivelata dalla religione che essi hanno ripudiato; ricevono dalla Scienza, unitaria e dogmatica, l’altra verità, unica ed universale, al di fuori della quale non può esservi benessere individuale né ordine sociale. Essi sentono il bisogno di avere i piedi poggiati sulla terra ferma della certezza assoluta, e perciò Malatesta incamera tutti i responsi scientifici sulle origini della criminalità.
Ma non è vero che solo quelli che hanno tendenze spiccatamente anormali, che sono pazzi e ammalati, consumano i delitti. L’esperienza dimostra che anche uomini perfettamente sani e normali compiono dei misfatti e non solo per ragioni economiche o per cause determinate dall’ignoranza o dal pregiudizio. Un giovane, buono, semplice, sincero, che ho conosciuto in carcere, vi si trovava per scontare la pena dell’ergastolo, avendo avvelenato la moglie per convivere con l’amante.
Un ragioniere, ch’è stato con me al confino politico nell’isola di Tremiti, era l’uomo più normale, comune, mediocre che sia possibile immaginare. Al Confino la polizia fascista l’aveva mandato perché egli ospitava un fratello comunista acceso. Ma lui, il ragioniere tipo, sembrava la personificazione della saggezza, pacifica e calcolatrice, del ceto medio. Pure per poco non finì in galera perché, nascostamente, corrompeva le bambine e compiva su di esse atti di libidine. Il denaro col quale tacitò una madre infuriata, lo salvò in quell’occasione. Però a me confessò che il satiro l’aveva sempre fatto anche quando si trovava libero, a Milano.
Un mio amico, morto da molti anni, era un giovane generoso, leale, nobile, dotato di una squisita sensibilità e di un’intelligenza superiore. Fine poeta, s’innamorò di una donna che poi l’abbandonò. Incontratala un giorno, nella sua anima sconvolta dall’ira e dalla gelosia si manifestò imperioso, cieco, istintivo, il bisogno di sparare sul bambino che la ragazza portava fra le braccia. “Sentivo – mi diceva – che doveva ammazzarle il figlio per fare soffrire alla madre tutto quello che lei faceva soffrire a me. Mi sono trattenuto sovrumano di volontà. Ma un istante ancora e avrei sparato”.
Tutti gli uomini possono commettere delitti, perché nell’anima di ciascuno si trovano riuniti gli istinti più diversi e le tendenze più opposte. In me sono maggiormente sviluppate quelle generose, in te le perverse; però in una circostanza speciale, sotto lo stimolo di potenti interessi materiali, sentimentali o intellettuali, io posso uccidere un uomo e tu salvarne un altro. Cosa fa allora la società di Malatesta? Mi considera pazzo solo perché la mia volontà e la mia ragione non hanno avuto la forza di trattenere lo scatto istintivo? Ma non sempre la volontà e la ragione riescono a frenare gl’istinti!
Talvolta lo possono, talaltra no. E poi, in certi casi, anche se posso trattenermi, non lo faccio perché penso sia bene seguire la spontaneità che mi sprona ad una azione delittuosa. Ad ammazzare, per esempio, colui che mi ha offeso o danneggiato. Sono allora pazzo perché ragiono a modo mio e non come gli altri che condannano la vendetta?
Ma la società di Malatesta mi vuole matto a qualunque costo, e mi rinchiude nella prigione-ospedale ch’è peggiore del carcere borghese.
Infatti, in carcere non resta che per un periodo determinato, il tempo della pena. La giurisprudenza basata sulla scuola classica mi considera responsabile delle mie azioni, e dopo avermi inflitto un castigo proporzionato al danno che ho arrecato, mi lascia libero e non si preoccupa di quello che farò. Invece la giurisprudenza che si fonda sulla scuola positiva mi giudica irresponsabile, malato, e si stabilisce che dovrò rimanere nell’ospedale fin quando sarò guarito.
Cioè a tempo indeterminato, fino al giorno in cui ai medici piacerà dimettermi. E allora pazzo diverrò certamente a furia di subire docce gelate, camicie di forza ed altri benevoli trattamenti curativi. La repressione del delitto mediante l’internamento dei criminali nel manicomio, richiederebbe inoltre la costituzione di un corpo di polizia che dovrebbe razziare gli ammalati pericolosi. Ma in tal modo rinascerebbe il meccanismo autoritario-giuridico-sbirresco e non vi sarebbe più libertà.
Nell’Anarchia non potranno esistere galere camuffate da ospedali, né poliziotti mascherati da infermieri. L’individuo provvederà alla sua difesa da solo, o associato con altri, ma senza delegare tale incarico a specialisti che finirebbero per diventare padroni di tutti. La spontaneità naturale, non più esasperata dalla compressione delle leggi, delle morali, dell’educazione, non ci condurrà all’impossibile paradiso della fratellanza e dell’amore, ma non produrrà nemmeno una recrudescenza d’assassinii e di violenze.
Se, invece, per mantenere l’ordine ed annientare i criminali, creeremo un nuovo apparato preventivo e repressivo, ritorneremo fatalmente alla società che avremo distrutto. Ossia alla società dei governanti e dei governati.