Internazionale Situazionista. Il questionario. (1964)

Internationale+Situationniste

«Internationale Situationniste», n. 9, agosto 1964*
Che cosa significa la parola “situazionista”?

Definisce un’attività che intende “fare” le situazioni, non “riconoscerle”, come valore esplicativo o altro. Questo a tutti i livelli della pratica sociale, della storia individuale. Noi sostituiamo alla passività esistenziale la costruzione dei momenti della vita, al dubbio l’affermazione ludica. Sino ad ora, i filosofi e gli artisti non hanno fatto altro che interpretare le situazioni; si tratta ora di trasformarle. Dato che l’uomo è il prodotto delle situazioni che attraversa, è importante creare delle situazioni umane. Dato che l’individuo è definito dalla sua situazione, vuole il potere di creare delle situazioni degne del suo desiderio. In questa prospettiva devono fondersi e realizzarsi la poesia (la comunicazione come realizzazione di un linguaggio in situazione), l’appropriazione della natura, la liberazione sociale completa. Il nostro tempo sostituirà la frontiera fissa delle situazioni-limite, che la fenomenologia si è compiaciuta nel descrivere, con la creazione pratica delle situazioni; sposterà permanentemente questa frontiera con il movimento della storia della nostra realizzazione. Noi vogliamo un fenomeno-prassi. Non dubitiamo affatto che questa sarà la banalità primaria del movimento di liberazione possibile del nostro tempo. Cosa si tratta di mettere in situazione? A differenti livelli, può essere questo pianeta, o l’epoca (una civiltà nel senso di Burckhardt, per esempio), o un momento della vita individuale. Inizino le danze! I valori della cultura passata, le speranze di realizzare la ragione nella storia, non hanno un altro prosieguo possibile. Tutto il resto si decompone. Il termine situazionista, nell’accezione dell’Internazionale Situazionista, è esattamente il contrario di ciò che attualmente in portoghese si chiama “situazionista”, vale a dire un difensore della situazione esistente, in quel caso del salazarismo.
L’Internazionale Situazionista è un movimento politico?
Le parole “movimento politico” definiscono oggi l’attività specializzata dei capi di gruppi e di partiti, che attingono dalla passività organizzata dei loro militanti la forza oppressiva del loro potere futuro. L’Internazionale Situazionista non vuole avere niente in comune con il potere gerarchizzato, sotto qualunque forma si ponga. L’Internazionale Situazionista quindi non è né un movimento politico, né una sociologia della mistificazione politica. L’Internazionale Situazionista si propone di essere il più alto grado della coscienza rivoluzionaria internazionale. È per questo che si sforza di chiarire e di coordinare i gesti di rifiuto ed i segni di creatività che definiscono i nuovi contorni del proletariato, la volontà irriducibile di emancipazione. Incardinata sulla spontaneità delle masse, una simile attività è incontestabilmente politica, a meno che non si neghi tale qualità agli agitatori stessi. Nella misura in cui delle nuove correnti radicali appaiono in Giappone (l’ala estremista del movimento Zengakuren), in Congo, nella clandestinità spagnola, l’Internazionale Situazionista fornisce a loro un appoggio “critico”, e dunque si adopera ad aiutarli praticamente. Ma contro tutti i “programmi transitori” della politica specialistica, l’Internazionale Situazionista si riferisce ad una rivoluzione permanente della vita quotidiana.
L’Internazionale Situazionista è un movimento artistico?
Una gran parte della critica situazionista dedicata alla società dei consumi consiste nel mostrare a che punto gli artisti contemporanei, abbandonando la ricchezza di superamento contenuta, se non proprio sfruttata, nel periodo 1910-1925, si siano in maggioranza condannati a fare arte così come si fanno affari. I movimenti artistici, da allora, non sono che le ricadute immaginarie di un’esplosione che non ha mai avuto luogo, che minacciava e minaccia ancora le strutture della società. La coscienza di un simile abbandono e delle sue implicazioni contraddittorie (il vuoto e la volontà di ritornare alla violenza iniziale) fa dell’Internazionale Situazionista il solo movimento che possa, inglobando la sopravvivenza dell’arte nell’arte di vivere, rispondere al progetto dell’artista autentico. Siamo degli artisti soltanto in quanto non siamo più degli artisti: stiamo realizzando l’arte.
L’Internazionale Situazionista è una manifestazione nichilista?
L’Internazionale Situazionista rifiuta il ruolo, che tutti sono pronti a concederle, nello spettacolo della decomposizione. L’aldilà del nichilismo passa per la decomposizione dello spettacolo ed è per questo che l’Internazionale Situazionista intende fortemente adoperarsi. Tutto quello che viene elaborato e costruito al di fuori di una simile prospettiva non ha bisogno dell’Internazionale Situazionista per crollare da sé; ma è anche vero che, ovunque nella società dei consumi, le aree dismesse del crollo spontaneo offrono ai valori nuovi un campo di sperimentazione di cui l’Internazionale Situazionista non può non tener conto. Non possiamo costruire che sulle rovine dello spettacolo. D’altronde, la previsione, perfettamente fondata, di una distruzione totale obbliga a non costruire mai se non alla luce della totalità.
Le posizioni situazioniste sono utopiche?
La realtà supera l’utopia. Tra la ricchezza delle possibilità tecniche attuali e la povertà del loro uso da parte dei dirigenti di ogni tipo, non c’è più da lanciare un ponte immaginario. Noi vogliamo mettere l’attrezzatura materiale a disposizione della creatività di tutti, come ovunque le masse si sforzano di farlo nel momento della rivoluzione. È un problema di coordinamento, o di tattica, come si vuole. Tutto ciò di cui noi trattiamo è realizzabile, sia immediatamente, sia a breve termine, dal momento in cui si comincino a mettere in pratica i nostri metodi di ricerca, di attività.
Giudicate necessario chiamarvi così, “situazionisti”?
Nell’ordine esistente, in cui la cosa prende il posto dell’uomo, ogni etichetta è compromettente. Tuttavia quella che abbiamo scelto porta in sé la sua propria critica, magari sommaria, per il fatto che si oppone a quella di “situazionismo” che gli altri scelgono per noi. D’altronde sparirà quando ciascuno di noi sarà situazionista interamente, e non più proletario che lotta per la fine del proletariato. Nell’immediato, per quanto ridicola sia l’etichetta, ha il merito di segnare una cesura tra l’antica incoerenza ed una esigenza nuova. Quel che più era mancato all’intelligenza da alcune decine di anni era per l’appunto questa cesura.
Qual è l’originalità dei situazionisti in quanto gruppo delimitato?
Ci sembra che tre punti notevoli giustifichino l’importanza che noi ci attribuiamo come gruppo organizzato di teorici e di sperimentatori. In primo luogo, noi facciamo, per la prima volta, una nuova critica, coerente, della società, che si sviluppa “attualmente”, da un punto di vista rivoluzionario; questa critica è profondamente radicata nella cultura e nell’arte di questo tempo, ne detiene le chiavi (evidentemente questo lavoro è piuttosto lungi dall’essere portato a termine). In secondo luogo, noi pratichiamo la rottura completa e definitiva con tutti coloro che ci obbligano a farlo, e una rottura a “catena”. Ciò è prezioso in un epoca in cui le diverse forme di rassegnazione subdolamente sono imbricate e solidali. In terzo luogo, noi inauguriamo un nuovo stile di rapporti con i nostri “sostenitori”; rifiutiamo assolutamente i discepoli. Ci interessiamo soltanto alla partecipazione al più alto livello, ed a lanciare nel mondo persone autonome.
Perché non si parla dell’Internazionale Situazionista?
Se ne parla abbastanza spesso, fra i possessori specializzati del pensiero moderno in liquefazione, ma se ne scrive molto poco. Nel senso più generale, è perché rifiutiamo il termine “situazionismo”, che sarebbe la sola categoria capace di introdurci nello spettacolo regnante, integrandoci sotto forma di dottrina fossilizzata contro noi stessi, sotto forma di ideologia nel senso di Marx. È normale che lo spettacolo che noi rifiutiamo, ci rifiuti. Si parla più volentieri dei situazionisti in quanto individui, per tentare di separarli dalla contestazione d’insieme, senza la quale, d’altra parte, non sarebbero neppure degli individui “interessanti”. Si parla dei situazionisti “da quando smettono di esserlo” (le varietà rivali di “nashismo”, in diversi paesi, hanno questa sola celebrità in comune, di rivendicare bugiardamente una qualsiasi relazione con l’Internazionale Situazionista). I cani da guardia dello spettacolo riprendono, senza dirlo, dei frammenti di teoria situazionista, per rivolgerla contro di noi. Se ne ispirano, com’è normale, nella loro lotta per la sopravvivenza dello spettacolo. È loro necessario quindi celare la fonte, vale a dire la coerenza di simili “idee”. Non è soltanto per vanità di plagiari. Inoltre, molti intellettuali esitanti non osano parlare apertamente dell’Internazionale Situazionista perché parlarne implica un minimo di presa di posizione: dire nettamente quello che si rifiuta, rispetto a quello che se ne assume. Molti credono, assai a torto, che fingere intanto l’ignoranza li libererà più tardi dalle loro responsabilità.
Che appoggio date al movimento rivoluzionario?
Sfortunatamente non ce n’è. La società, certo, contiene delle contraddizioni e cambia. Cosa che rende, in un mondo sempre nuovo, possibile e necessaria un’attività rivoluzionaria che attualmente non esiste più, o non ancora, nella forma di un movimento organizzato. Non si tratta quindi di “appoggiare” un simile movimento, ma di farlo: di definirlo e, in maniera inseparabile, di sperimentarlo. Dire che non c’è movimento rivoluzionario è il primo gesto, indispensabile, a favore di un tale movimento. Tutto il resto è ridicola riverniciatura del passato.
Siete marxisti?
Tanto quanto Marx quando diceva: “Non sono marxista”.
C’è un rapporto tra le vostre teorie ed il vostro modo di vita reale?
Le nostre teorie non sono null’altro se non la teoria della nostra vita reale e del possibile sperimentato o intravisto in essa. Per quanto parcellari siano i campi di attività disponibili, sino a nuovo ordine, in essi non ci comportiamo al meglio. Trattiamo il nemico da nemico, ed è un primo passo che raccomandiamo a tutti come apprendimento accelerato del pensiero. D’altra parte, va da sé che sosteniamo incondizionatamente tutte le forme di libertà dei costumi, tutto ciò che la canaglia borghese o burocratica chiama dissolutezza. È evidentemente escluso che noi prepariamo la rivoluzione della vita quotidiana con l’ascetismo.
I situazionisti sono all’avanguardia della società dei divertimenti?
La società dei divertimenti è un’apparenza che copre un certo tipo di produzione-consumo dello spazio-tempo sociale. Se il tempo del lavoro produttivo propriamente detto si riduce, l’esercito di riserva della vita industriale lavorerà nel consumo. Tutti sono successivamente operai e materia prima nell’industria delle vacanze, dei divertimenti, dello spettacolo. Il lavoro esistente è l’alfa e l’omega della vita esistente. L’organizzazione dei consumi più l’organizzazione dei divertimenti deve equilibrare esattamente l’organizzazione del lavoro. Il “tempo libero” è una misura ironica del corso di un tempo prefabbricato. Rigorosamente, “questo” lavoro non potrà dare che “questo” divertimento, sia per l’élite oziosa – di fatto, sempre più semi-oziosa – sia per le masse che accedono ai divertimenti momentanei. Nessuna barriera di piombo può isolare né un pezzo del tempo, né il tempo completo di un pezzo di società, dalla radioattività diffusa dal lavoro alienato; se non altro perché esso forgia la totalità dei prodotti e della vita sociale, “così” e non altrimenti.
Chi vi finanzia?
Siamo sempre stati finanziati, in maniera estremamente precaria, soltanto dal nostro proprio lavoro nell’economia culturale dell’epoca. Questo impiego è sottoposto a questa contraddizione: abbiamo delle tali capacità creative che possiamo “riuscire” in tutto quasi a colpo sicuro; abbiamo una così rigorosa esigenza di indipendenza e di perfetta coerenza tra il nostro progetto e ciascuna delle nostre realizzazioni presenti (…) che risultiamo quasi totalmente inaccettabili per l’organizzazione dominante della cultura, anche in questioni assai secondarie. Lo stato delle nostre risorse discende da questa componente. A questo proposito, si veda quel che abbiamo scritto sul numero 8 della nostra rivista sui “capitali che non mancheranno mai alle imprese nashiste” e, al contrario, sulle nostre condizioni.
Quanti siete?
Un po’ meno del nucleo iniziale della guerriglia nella Sierra Maestra, ma con meno armi. Un po’ meno dei delegati che erano a Londra nel 1864 per fondare l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, ma con un programma più coerente. Altrettanto risoluti dei greci alle Termopili (“Passante, vai a dire a Lacedemone…”), ma con un più bell’avvenire.
Che valore potete attribuire ad un questionario?
A questo? Si tratta manifestamente di una forma di dialogo fittizio, che oggi diviene ossessiva con tutte le psicotecniche dell’integrazione allo spettacolo (la passività gioiosamente assunta sotto un travestimento grossolano da “partecipazione”, da attività mascherata). Ma noi possiamo sostenere, a partire da un’interrogazione incoerente, reificata, delle posizioni esatte. Di fatto, queste posizioni non “rispondono”, in quanto non rinviano alle domande: rinviano le domande. Sono delle risposte tali che dovrebbero “trasformare le domande”. Così il vero dialogo potrebbe cominciare dopo queste risposte. Nel presente questionario, tutte le domande sono “false”, e tuttavia le nostre risposte sono vere.
[* Ora in Aa.Vv. (a cura di Isabella de Caria e Riccardo d’Este), Internazionale Situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino, 1994 (raccolta completa dei dodici numeri della rivista); cfr. l’Introduzione: L’Internazionale sconosciuta di Mario Lippolis. Per una critica delle tesi situazioniste, cfr. Jean Barrot, Le Roman de nos origines: alle origini della critica radicale (paragrafo 3) e Endnotes, Dal rifiuto del lavoro alla comunizzazione]