A TU PER TU CON LA SETTA Durante trent’anni di lotta rivoluzionaria mi sono trovato spesso con i comunisti in Italia e all’estero, in carcere o al confino. Ho avuto cosi agio di conoscerli a fondo e di comprendere quale grave pericolo essi rappresentano per l’avvenire dell’umanità. Fra noi, fin da principio, si è manifestata una reciproca e violenta antipatia.
I servi di Stalin mi detestavano ed io li attaccavo tutte le volte che ne avevo l’occasione. Il nostro dissidio non era determinato soltanto dalla diversità di idee ma anche dall’irriducibile opposizione dei temperamenti. Io ho l’anima inquieta e tormentata del romantico, un’anima dionisiaca, refrattaria all’imbrigliamento e assetata di lontananza. La mia eccessiva sensibilità, le mie ardenti passioni, il disperato anelito verso una vita nuova e una libertà sconfinata, mi rendono fratello di quei lirici, vagabondi e nostalgici che, durante il XIX° secolo, cercarono al di là di ogni stabile ordine le più folli ebbrezze. Con Nietzsche potrei spiegare le vele e partire sognando un caldo sud tropicale o una Grecia vestita d’indaco immarcescibile; con Stirner potrei dirigermi verso un futuro caotico ed invocare una scapigliata anarchia, licenziosa come una baccante dai seni erti e dai capelli al vento; con Baudelaire potrei aspirare l’avvelenata fragranza dei fiori del male ed impazzire nel desiderio di una bellezza che scende dal cielo o dall’inferno ma rende meno sozzo l’universo e meno pesante il tempo. Però con Gramsci o con Togliatti, con Roveda o con Boretti, non potrei mettermi in un treno popolare e andare a Mosca. No ! La mia natura si ribellerebbe… I comunisti non sono degli uomini; non sono nemmeno delle bestie; sono degli automi, privi di sentimenti, freddi come il ghiaccio ed azionati soltanto dal fanatismo che in loro non è una passione o una fede intensa, qualche cosa che brucia internamente e spinge alla lotta e al sacrificio, ma un dovere razionale utilitario. « La mia ragione — dice il bolscevico — mi dimostra che il mio interesse di proletario è di diventare comunista. Perciò entro nel partito, ubbidisco disciplinatamente ai capi, mi voto interamente alla causa e soccombo anche al suo servizio. Ma tutto ciò lo faccio sempre per un interesse materiale, per socializzare la ricchezza e creare un mondo nuovo nel quale io — se sopravviverò — e tutti gli altri lavoratori potremo mangiare e stare bene ». Naturalmente il comunista ha anche la speranza inconfessata che nella società futura potrà mangiare un po’ più degli altri ed esercitare un’autorità come commissario del popolo o agente della Ghepeù o, in mancanza di meglio, come custode sovietico dei monumenti vespasiani. Quella di comandare, di dettar legge, è una passione comunista. Mangiare e comandare: ecco i due soli bisogni del bolscevico cosciente. All’infuori di questi non ve ne sono altri. E siccome il comunismo promette il soddisfacimento delle due supreme esigenze, il bolscevico lotta fanaticamente per l’avvento di Stalin. Ma questo fanatismo freddo, materialista, dettato dalla ragione la quale dimostra che è meglio soffrire oggi per godere domani; questo fanatismo basato sul calcolo e privo d’ogni slancio di sentimento, di ogni calore d’ideale, d’ogni soffio di sogno, è quanto di più mostruoso si possa immaginare. E’ la sola forza motrice di creature dall’anima inaridita e dal sangue gelato, l’unico sostituto delle passioni umane che mancano, per un capriccio della natura, o che sono state soffocate dall’educazione marxista. Avvicinate un seguace di Stalin: vivete con lui; rimarrete sbigottiti dall’assoluta assenza d’ogni sensibilità, dalla freddezza glaciale di questa macchina verniciata di minio rosso. Ascoltate le sue definizioni: il sentimento: una debolezza, roba da donnicciola isterica. La pietà: una svenevolezza da signore con la pancia piena. L’amore: una menzogna; non esiste che il bisogno sessuale; possedere una donna è come bere un bicchier d’acqua. L’arte: un lusso da borghesi, una cosa inutile; distoglie dalla lotta politica. L’ideale: la trasposizione ideologica degl’interessi di classe. La volontà: un’apparenza illusoria del determinismo economico su cui non esercita nessuna azione. La realtà: il bisogno del ventre. Voltaire diceva che leggendo le opere di Rousseau sentiva il desiderio di camminare a quattro zampe. Io, dopo aver parlato con un comunista, sento la necessità di una scorpacciata di spaghetti.