Lettera di Giannis Naxakis (Atene maggio 2013) it/en

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Ad un mese dal mio arresto rimango ancora perso nei miei pensieri cercando di trovare momenti di calma e chiarezza, cosi ho potuto prendere la penna e buttar giù qualche parola. Il mio umore cambia alla velocità della luce, va su e giù no stop ed è difficile trovare un punto fermo da cui ripartire. Ciò che è successo a Nea Filadelfia mi fa star male, le nuove conclusioni che vengono fuori mi feriscono, la comprensione di quanto è precisamente successo mi uccide. Ci ricado quando ascolto la noia quotidiana e le discussioni infinite valutando i mesi, gli anni, le accuse e tutto ciò che è rilevante. Sappiamo molto bene perché siamo qui e il motivo non è certo per alcune comuni pratiche criminali come sappiamo che da adesso in poi il tempo non scorrerà necessariamente insieme a noi facendo il conto alla rovescia per uscire.

Quel pomeriggio di Aprile, un dannato nostro errore è stato più che sufficiente per farci rinchiudere e star qui a tormentare i nostri sogni. In un momento l’universo è stato destabilizzato, le lancette dell’orologio sono tornate indietro e il flusso è andato al contrario. Una fottuta regola cospirativa non seguita quel giorno – in una serie di altre seguite – e questo è stato più che sufficiente affinché gli scagnozzi dell’antiterrorismo ci prendessero. In – per quanto sia permesso il terno – un momento insospettabile i bastardi hanno avuto la meglio. Quattro persone, un circolo di anarchici, una cella a Koridallos. Una serie di arresti che è avvenuta negli ultimi anni davanti a noi è stata sufficiente per farci preoccupare ma non per farci capire l’accuratezza chirurgica e la disciplina dei nostri movimenti necessari nell’ambito della sicurezza.

Ciò che si richiede sicuramente in questi casi è l’assetto rigoroso dell’attacco e la sicurezza e ovviamente non sto parlando di fare sconti alla prima parte. Abbiamo visto arresti, numerose indagini arrivare alla gente dal nulla, sapevamo molto bene della sorveglianza discreta e non ma ancora il brutto momento doveva venire. Lasciate che io sia l’ultimo stronzo che finisce catturato, ne sarei felice, lo accetterei come l’onore di riuscire a scrivere l’epilogo di una storia cosi lunga. Ecco perché voi compagni fuori, mentre cospirate i vostri piani, dovete guardarvi e dire: “Faremo meglio di loro. Hanno ottenuto l’impossibile, noi oseremo l’impensabile!” E questa promessa potrebbe garantirvi il biglietto per il cielo…

Questi pensieri impressi sono una ritirata prima delle emozioni, più di una disposizione d’animo che un “obbligo” del discorso, un tentativo di trovare mondi comuni già esistenti e una ridefinizione individuale dei fattori esterni, i quali tutti insieme e ognuno separatamente anticipa nell’assoluto. Le parole qui vogliono comunicare direttamente con i cuori insorgenti all’esterno. Un cuore colpito dall’autorità al picco della sua innocenza e da allora spaventato per sempre. É stato scosso, ferito e fatto sanguinare senza fine ma una strana cosa – destinata a rivelarsi in seguito – lo ha salvato. E questo cuore non è finito, ma ha solo iniziato a non sentir nulla, tranne l’odio. Il tempo è passato e lentamente ha iniziato a sentire alcuni processi interiori. Un duro confronto tra numerose insicurezze e il loro superamento si è evoluto con un’intensità rapida. Non c’è voluto molto prima che l’inevitabile accadesse e questo cuore si spezzasse, rilasciando in abbondanza dai suoi meandri una nuova e misteriosa sostanza. Una nuova condizione di vita stabilita che viene liberamente tradotta in guerra all’autorità, consapevole e permanente e una generale volontà di non far altro che questo. Questo cuore ancora batte forte…

La condizione esistente tra di noi invoca una sola cosa, la distruzione. Nessuna analisi può darne una precisa descrizione ma solo una conferma. Le analisi socio centriche ignorano un fatto basilare per una lettura della “realtà oggettiva”. Ignorano l’ingenuità che c’è, l’autorità che nella forma dello sfruttamento come subito da molto oggi, inizia dove finisce l’individuo. L’autorità che caratterizza l’esistente attorno a noi pre-esiste nell’individuo come elemento basilare che definisce la sua esistenza, come un istinto che definisce la sua sopravvivenza. L’autorità in altre parole non è un elemento metafisico che un giorno è arrivato per infettare la società “libera”, l’autorità è un elemento della natura sicuro come la vita e la morte. L’individuo socializzato pertanto, per quanto possa combatterla, allo stesso modo la realizza. Le rivoluzioni infami infatti non sono altro che il rovesciamento di questa contraddizione. La rivoluzione è un infinito moto circolare, una spirale di vita e l’elemento più onesto dell’individuo che rappresenta meglio di tutto la sua organizzazione generale senza sbocco eccetto se stessa, senza l’esistenza di alcun tipo di sfruttamento. Il poliziotto, il giudice e tutta l’altra merda sono nient’altro che ruoli della sopravvivenza/rafforzamento che risulta dalla nostra continuità individuale, dalla nostra estensione verso un altro individuo. La possibilità di una società liberata e senza autorità che alcuni propongono per il domani è una fantasia della mente, un’illusione della speranza per l’ingenuità e il pericolo per chi mentre realizza la distanza esistenziale della ruoutine quotidiana nel mondo dell’autorità e vuole coprirlo con qualcosa di più concreto, loro non capiscono l’autorità della menzogna, depravazione e squallore risultante dallo sfruttamento delle intenzioni più pure di un individuo che sta cercando un modo per esprimere spontaneamente, direttamente e senza inibizioni, l’oppressione accumulata e ripartita dalla società di massa, questo mondo disgustoso di autorità accumulate. L’autorità non è buona o cattiva, piccola o grande. È una ed è contagiosa, diffusa come una valanga.

Nella guerra delle contraddizioni e riguardo ai comandi vocali dell’autorità, il rifiuto comporta una posizione speciale. Parla la lingua del suo stesso desiderio, che è il suo intervento, la sua verità e la sua assolutezza tra le tante.

Dobbiamo dire: “Io sono l’organizzazione e io sono la società. Io sono la proprietà e io sono l’economia. E solo io posso distruggerle.” In ogni momento dobbiamo istigare, provocare, incendiare e distruggere. Non c’è limite per quanto possiamo guardare oltre, eccetto la terra sotto ai nostri piedi.

Dobbiamo cadere nel fuoco insieme alle molotov. Cosi bruciamo, ci fondiamo e dalle ceneri rinasciamo come un composto più forte del fuoco.

Dobbiamo cercare una vita oltre il percorso. Quando un cammino ci sembra familiare dobbiamo abbandonarlo e cercare l’ignoto, il selvaggio, la libertà. Dobbiamo guardare l’orizzonte e dire: “Sto venendo da te anche se non ci siamo mai incontrati.”

Dobbiamo conoscere il passato ma non guardare indietro neanche per un secondo. Un momento è sufficiente per far danno, per restare intrappolati in una vita prestabilita già vissuta prima.

Dobbiamo disprezzare il già dato, rifiutare il vecchio. Il nostro motivo per alzarci la mattina deve essere la decostruzione dell’ideologia. Sennò il domani ci troverà marci e la storia ci troverà finiti.

Dobbiamo avere il tempo come alleato nella nostra lotta. Col coraggio di dire: “Odiato mondo non ti darò neanche un’ora di lavoro. E quando la vita miserabile stanca, troverò l’opportunità di “lasciare” tutti i suoi valori superflui.” Il mostro crea mostri.

Dobbiamo tra le altre cose riconoscere l’ironia e le sue provocazioni. Non nel senso di: combattiamo il mondo autoritario con i suoi stessi mezzi e abbattiamo la civilizzazione umana con gli strumenti inventati e trovati tra le nostre mani, ma invece: caspita, ecco cosa desidero anche se l’intero dannato universo è contro di me. L’ironia da un lato, un pieno di ragioni dall’altro. Non importa come la guardi, la civilizzazione è un gigantesco crimine. Se vogliamo qualcosa, è una vita senza elementi di essa. Se vogliamo la libertà, la vogliamo selvaggia. Non primitiva, ma inedita.

Non importa quante parole si dicono, quanta letteratura è stata scritta che descrive romanticamente la resistenza, quanti libri con storie eroiche di insurrezioni sono stati scritti e riscritti nei secoli, quanti poemi rivoluzionari, quante istruzioni di anarchia ortodossa, quanti sfoghi selvaggi misantropi o meravigliose melodie di unità, quanti canti appassionati sono stati urlati, quante ricette prestabilite di liberazione – lasciamo stare le astratte manifestazioni di rifiuto – riempiono migliaia di pagine di comunicati, il mondo della pratica, azione violente, la guerra “sporca” solamente può dar senso a qualsiasi teoria che riguardi lo scontro con l’autorità. La dinamica delle azioni dirette e il relativo intervento nell’esistente è ciò che simbolizza la giustizia antiautoritaria e stabilisce i termini nell’infinita ricerca di una vita libera. La lotta anarchica informale e autonoma ha una pulsione, si introduce militante negli spazi e nei tempi del nemico distruggendo gli elementi strutturali del mondo opposto e ci unisce come una vera comunità rivoluzionaria che ha abolito trionfalmente barriere e confini, evolvendo la consapevolezza individuale verso l’imprevedibile come una sola questione.

Dalla prigione adesso, attraverso una realtà sociale grezza e condensata, mi avvicino ancora di più alle mie responsabilità facendo i conti con le conseguenze della mia scelta di fare un viaggio fantastico e strano verso il mondo del rifiuto concreto. Una nuova prova, più difficile e pericolosa mi aspetta all’angolo adesso. Con il pensiero ai combattenti “lasciati” presto perché hanno osato, quelli che osano il viaggio, inclusa una lunga sosta presso l’istituzione “correzionale”, gli “incorreggibili” di qui che non si aspettavano di vedermi ma che mi aspettavano in realtà con gioia perché è cosi che vanno queste dannate cose, quelli caparbi con cui ho varcato il cancello dell’istituzione, quelli testardi fuori che ridicolizzano la loro paura ogni giorno e quelli che semplicemente non capiscono cosa significa la legge, la polizia, la morte e sorridendo vanno avanti verso l’ignoto, io stringo i denti e dopo un respiro profondo ricomincio da zero…

31/5/13
Giannis Naxakis
1° braccio della prigione di Koridallos

fonte

http://it.contrainfo.espiv.net/2013/06/24/atene-lettera-di-giannis-naxakis/

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Athens – Letter from detained anarchist comarde Giannis Naxakis

Translated by Actforfreedomnow/boubourAs
A month after my arrest I still remain sunken in thoughts trying to find moments of calm and clarity, so I can finally put the pen down to write a couple of words. My mood changes at the speed of light, it goes up and down non-stop and is finding it hard to find a steady point to hold on to. The account of what happened in Nea Filadelfia sickens me, the renewed conclusions that come out hurt me, the realization of what exactly happened kills me. I relapse when listening to daily boring and endless discussions evaluating months, years, charges and all the other relevant matters. We know very well why we are in here and the reason is definitely not for some common criminal practices just like we know that from now on time does not necessarily roll with us counting down to the exit.

 

That afternoon of April, one fucking mistake of ours was more than enough to enclave us and stay there to haunt our dreams. In one moment the universe was de-stabilized, the hands of the clock turned back and the flow made a sudden reverse. One fucking conspiratorial rule was not followed that day -in a series of many followed- and this was more than enough for the thugs of the anti-terrorist force to catch us. In a -as much as the term is allowed- unsuspecting moment the bastards got the upper hand. Four people, a circle of anarchists, a cell in Koridallos. A series of arrests that took place these last years in front of us were enough to trouble us but not to make us realize the surgical accuracy and consistency our moves require in the frames of security. What is required for sure in this cases is the strict alignment of attack and security and obviously I am not talking about making discounts on the first part. We saw imprisonments, we saw numerous prosecutions coming to people from nowhere, we knew very well about discreet and indiscreet surveillances but still the bad moment came. Let me be the last sucker that gets caught, I will be glad, I would accept it as an honour to manage to write the epilogue in such a long history. This is why you comrades out there, while conspiring your plans, look at each other and say: “We will do better than them. They got to the impossible, we will dare the unthinkable!” And this promise might secure you the ticket to the sky…
These imprinted thoughts are a retreat before emotions, more of a soul deposition than an “obligatory” deposition of speech, an attempt to find already existing common worlds and an individual redefinition on exterior factors, which all together and each one separately anticipate the absolute. The words in here want to communicate directly with the insurgent heart out there. A heart which was shot from authority at the peak of its innocence and since then was scared for ever. It was shaken, wounded and bled endlessly but a strange thing -destined to be revealed later- saved it. And this heart did not cease, but was only left to not feel anything, except hate. Time passed however and slowly slowly it started feeling some interior processes. A tough dual between numerous insecurities and their overcoming, were evolving with the intensity increasing rapidly. It wasn’t long before the inevitable came and this heart broke and overflowed, releasing from its depths a mysterious, new substance in abundance. As a result an unprecedented feeling was born which gradually revealed the hidden lust of life, the refusal. A new condition of life is established which is freely translated into war with authority, conscious and permanent and a general unwillingness for anything besides that. This heart still beats hard…
The existing condition amongst us, pleads for only one thing, destruction. No analysis can can give it an precise description but only confirmation. The socio-centric analyses ignore a basic fact for the reading of “objective reality”. They ignore out of naivety that is, that authority in the form of exploitation as meant by many today, begins where the individual ends. Authority which characterizes the existing around us, pre-exists in the individual as a basic element which defines its existence, like an instinct which defines its survival. Authority in other words is not a metaphysical element which one morning came to infect “free” society, authority is an element of nature as sure as life and death. The socialized individual therefore, as much as it fights it, it equally carries it. The infamous revolution therefore, is nothing more than the overcoming of this contradiction. The revolution is an endless motion cycle, a spiral of life and the most honest element of the individual which represents better than any else its general organizational dead-end besides itself, without the existence of any kind of exploitation. The cop, the judge and all the other shit therefore, are nothing more than roles of enforcement/survival which result from our individual continuation, from our extension to the other individual. The possibility of a liberated and without authority society which some propose for tomorrow is an imagination of the mind, an illusion of hope for the naïve and the dangerous who while realizing the existential gap of the repeated daily life in the world of authority and want to cover it with something more substantial, they do not realize the authority of lying, depravity and wretchedness resulting from the exploitation of the purest intention of an individual who is looking for a way to express spontaneously, directly and without inhibitions, the accumulated oppression and rot shared out by mass society, this disgusting world of accumulated authorities. Authority is neither good, or bad, not small or big. It is one and contagious, widespread like a flood.
In the war of contradictions and towards the vocal commands of the authoritarian camp, refusal holds a special position. It speaks the language of its own desire, which is on its own its intervention, its truth and absoluteness among many.
We must say: “I am the organization, and I am the society. I am the property, and I am the economy. And only I can destroy them.” At every moment we must agitate, provoke, ignite and detonate. The next we must spit at ourselves for not accomplishing anything. There is no limit as long as we look up, except for the earth under our feet.
We must fall into the fire together with the molotov. So we burn, melt and from the ashes be reborn as an amalgamation stronger from the fire.
We must seek a life beyond the trodden. When a path seems familiar to us we should go off it and look for the unknown, the wild, the free one. We must glance at the horizon and say: “I am coming to you even if we never meet.”
We must know the yesterday but not look back in time even for a second. A moment is enough to do the damage, to trap you in a designated life you have lived before.
We must dispute the given, we must reject the vested. Our motive to get up in the mornings must be the deconstruction of the ideology. Or else tomorrow will find us rotten and history will find us finished.
We must renew ourselves. Know what to throw away and what to keep. See what we have acquired till today in our journey and say: “What we have, is what we are. And starting from now we will demolish the foundations of this world.” And renewal becomes regeneration.
We must have time as our ally in the struggle. With courage to say: “Hated world I will not give you even an hour of work. And when your miserable life tires you, I will find the opportunity to ‘lift’ all of your surplus value.” The monster, creates monsters.
We must as well among others recognize the irony and its provocations. Not so much in the part that says: we fight the authoritarian world with its own means and we want to flatten human civilization with tools invented and found in our hands, but the other part which says: fuck yeah, this is what I desire even if the whole fucking universe is against me. Irony on one side, loads of right on the other. No matter how you look at it, civilization is a gigantic crime. If we want something, it is a life without any elements from this one. If we want freedom, we want it wild. Not primitive, new-found.
No matter how many words are said, how many literature volumes are written romantically describing resistance, how many books with heroic stories of insurrections are printed and reprinted over the centuries, how many revolutionary poems, how many preachings of orthodox anarchy, how many wild misanthropic cries or beautiful melodies of unity travel to the ends, how many passionate and graphic chants are shouted loud and send shivers and how many clear as day propositions of struggle and ready made recipes of liberation -let alone abstract manifestations of refusal- fill thousands of pages of communiques, the world of practices, violent actions, the “dirty” war only can give meaning to whatever theory around the clash with authority. The dynamic of the actions, direct and sudden interventions on the existing is what symbolizes the anti authoritarian justice and sets the terms in the endless hunt of free life. Informal and autonomously the anarchist struggle has a pulse, militantly intrudes into enemy time-spaces destroying structural elements of the opposite world and unites us like a real revolutionary community which has abolished barriers and borders triumphantly, evolving thus the individual conscience to the unpredicted as the sole matter.
From prison now, through a condensed and tough social reality, I come even closer to my responsibilities dealing with the consequences of my choice to follow a provocatively beautiful and strange journey to the world of factual refusal. A new test, harder and more dangerous awaits me around the corner now. With my thought on the fighters who “left” early because they dared, those who their daring journey, included a sudden and long stop at the institution of “correction”, the “incorrigibles” in here who did not expect to see me but in reality joyfully awaited me because this is how fucking things go, those stubborn ones who I entered the gate of the institution with, those stubborn ones outside who ridicule their phobias everyday and those who simply do not understand what means law, police, death, and smiling go ahead to the unknown, I clench my teeth and after a deep breath I start again from zero…

31/5/13

 Giannis Naxakis

1st wing Koridallos prisons

http://actforfree.nostate.net/?p=14573