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Da “Max Stirner: l’Unico e la comunicazione filosofica di Felis”
Nel panorama della filosofia moderna il “caso Stirner” merita forse una certa considerazione, soprattutto in virtù della radicalità teoretica dell’autore che interpreti coraggiosi tendono ad accostare sempre più a figure ben più note del pensiero filosofico tra Ottocento e Novecento, e vale a dire in particolar modo Friedrich Nietzsche e Karl Jaspers. “Stirner porta avanti il discorso tipico della ragione illuministica, mostrandone, anche se indirettamente, i limiti intrinseci: se condotta fino alle sue ultime conseguenze, essa ci porta di fronte al nulla come vuoto nulla. Di qui il suo particolare nichilismo. (…) Questo è un problema che S. non approfondisce ulteriormente. Si deve soprattutto a Nietzsche il merito di avere ripreso e portato avanti tale problematica, che riguarda il fondamento del singolo uomo. (…) A mio avviso, dopo Nietzsche l’eredità di S. viene ripresa e portata avanti in modo particolare da Jaspers, che non a caso definisce il proprio pensiero come filosofia della ragione e della libertà”. (1) Il primo interprete contemporaneo che sia riuscito a rivitalizzare l’attenzione intorno all’opera del grigio Johann Caspar Schmidt, originario di Bayreuth in Baviera (la futura capitale del wagnerismo), che passerà la sua vita in una pressoché totale anonimità riscattata solo dalla riscoperta postuma, grazie soprattutto all’autentica devozione che gli porta il pensatore autodidatta anarchico tedesco J.H. Mackay (che lo farà letteralmente resuscitare dall’oblio alla fine del secolo scorso), è singolarmente Karl Löwith, che nella celeberrima opera “Da Hegel a Nietzsche” contribuisce non poco a riaccendere l’interesse su un autore considerato, forse a torto, un “minore” nella stupefacente nidiata di teorici della filosofia post-hegeliana del secolo passato. Il richiamo che Löwith sostiene è però quello del rapporto tra S. e il quasi parallelo ma distinto percorso teoretico kierkegaardiano : “La tesi stirneriana dell’»Unico» è contemporanea al fondamentale concetto kierkegaardiano del «singolo», il quale «si accontenta di sé dinanzi a Dio». Entrambi non credono più alla realtà umana dell’umanità attuale e alla realtà cristiana della moderna cristianità. (…) …l’Io basato sul nulla di Stirner rappresenta un tentativo di spezzare il cerchio cristiano, iniziatosi con la predicazione di Cristo e conclusosi con le chiacchiere degli uomini (…).Per Stirner l’umanismo rappresentava l’ultima forma e la fine del cristianesimo; per Kierkegaard, invece, il vero cristiano è il contrario di ciò che esso è diventato nel corso del tempo, cioè dell’umanità e della cultura.”
Max Stirner: l’Unico e la comunicazione filosofica di Felis – Prima parte
Nel panorama della filosofia moderna il “caso Stirner” merita forse una certa considerazione, soprattutto in virtù della radicalità teoretica dell’autore che interpreti coraggiosi tendono ad accostare sempre più a figure ben più note del pensiero filosofico tra Ottocento e Novecento, e vale a dire in particolar modo Friedrich Nietzsche e Karl Jaspers. “Stirner porta avanti il discorso tipico della ragione illuministica, mostrandone, anche se indirettamente, i limiti intrinseci: se condotta fino alle sue ultime conseguenze, essa ci porta di fronte al nulla come vuoto nulla. Di qui il suo particolare nichilismo. (…) Questo è un problema che S. non approfondisce ulteriormente. Si deve soprattutto a Nietzsche il merito di avere ripreso e portato avanti tale problematica, che riguarda il fondamento del singolo uomo. (…) A mio avviso, dopo Nietzsche l’eredità di S. viene ripresa e portata avanti in modo particolare da Jaspers, che non a caso definisce il proprio pensiero come filosofia della ragione e della libertà”. (1) Il primo interprete contemporaneo che sia riuscito a rivitalizzare l’attenzione intorno all’opera del grigio Johann Caspar Schmidt, originario di Bayreuth in Baviera (la futura capitale del wagnerismo), che passerà la sua vita in una pressoché totale anonimità riscattata solo dalla riscoperta postuma, grazie soprattutto all’autentica devozione che gli porta il pensatore autodidatta anarchico tedesco J.H. Mackay (che lo farà letteralmente resuscitare dall’oblio alla fine del secolo scorso), è singolarmente Karl Löwith, che nella celeberrima opera “Da Hegel a Nietzsche” contribuisce non poco a riaccendere l’interesse su un autore considerato, forse a torto, un “minore” nella stupefacente nidiata di teorici della filosofia post-hegeliana del secolo passato. Il richiamo che Löwith sostiene è però quello del rapporto tra S. e il quasi parallelo ma distinto percorso teoretico kierkegaardiano : “La tesi stirneriana dell’»Unico» è contemporanea al fondamentale concetto kierkegaardiano del «singolo», il quale «si accontenta di sé dinanzi a Dio». Entrambi non credono più alla realtà umana dell’umanità attuale e alla realtà cristiana della moderna cristianità. (…) …l’Io basato sul nulla di Stirner rappresenta un tentativo di spezzare il cerchio cristiano, iniziatosi con la predicazione di Cristo e conclusosi con le chiacchiere degli uomini (…).Per Stirner l’umanismo rappresentava l’ultima forma e la fine del cristianesimo; per Kierkegaard, invece, il vero cristiano è il contrario di ciò che esso è diventato nel corso del tempo, cioè dell’umanità e della cultura.” (2) Come si vede, l’accostamento S./ Kierkegaard è fondato sulla comune presa di distanza , in entrambi radicale ma verso opposte direzioni, nei confronti dell’ipostatizzazione dell’umano nel/sul divino che caratterizzerebbe la ripresa dell’approccio dialettico da parte dei giovani neo- hegeliani, e che vede in Fuerbach, Bauer, Ruge e Weitling dei protagonisti. Marx è ancora da giungere, ed il virulento attacco che quest’ultimo assieme all’ alter- ego Engels condurrà a S. è spiegabile forse solo con la volontà di liquidare un avversario di prim’ordine che pone questioni scottanti, che si vorrebbero risolte dall’approccio materialistico- dialettico. (3) Quali sono queste problematiche così scottanti, e come ciò può avere una valenza forte nei confronti del tema della comunicazione filosofica, che sta al centro del nostro interesse, è presto detto: seguendo le indicazioni dello stesso Stirner, che nella parte prima della sua opera centrale (“unica”, verrebbe da dire…), ovvero «L’Unico e la sua proprietà», pubblicata nel 1844 a Lipsia (anche se porta la data del’45) (4) inizia dalla disamina dell’amore cristiano, e scrive: “ Il cristiano ama solo lo spirito; ma dove trovare qualcuno che sia solo spirito? L’amore per l’uomo in carne ed ossa non sarebbe più una cordialità «spirituale», sarebbe un tradimento alla «purezza» di cuore, all’»interesse teorico». Infatti la pura cordialità è ben diversa da quella cordialità che ci fa stringere la mano ad ogni persona; al contrario, la pura cordialità non è cordiale con nessuno, non è che simpatia teoretica, simpatia per l’uomo come uomo e non come persona. La persona infatti, in quanto «egoista», non è degna di questo amore, perché essa non è l’uomo, l’idea (…)Per la cordialità pura o per la teoria pura l’uomo può essere solo criticato, deriso e disprezzato; egli è solo «fango», come sostengono certi preti fanatici”. (5) Questa è la chiave di volta del pensiero di S., che utilizza un termine singolarmente in sintonia con quello che il deuterantagonista Marx spende nella definizione del grande Moloch del pensiero e della prassi: si tratta di «spettri», fantasmi che aleggiano nella storia del pensiero umano: “Con i fantasmi ci addentriamo nel regno degli spiriti, nel regno degli esseri. L’essere misterioso e incomprensibile che agita e ossessiona l’universo è proprio quel fantasma misterioso che noi chiamiamo essere supremo. Il secolare tentativo degli uomini fu proprio quello di scoprire, comprendere, questo fantasma, di scoprirne la sua verità (di dimostrare «l’esistenza di Dio») – è un compito che gli uomini si sono posti per millenni”. (6) Quello che le filosofie idealistiche hanno successivamente prodotto rientra pur sempre all’interno di tale spettrale prospettiva, ipostasi ulteriori di ciò che non viene più feuerbachianamente identificato come proiezione dell’”umano”: “Il regno del cielo, il regno dello spirito e dei fantasmi ha trovato il suo giusto ordine nella filosofia speculativa. Qui venne presentato come regno dei pensieri, dei concetti, delle idee: il cielo è popolato di pensieri e idee e questo «regno dello spirito» è, dunque, l’autentica verità (…) Ma chi dissolverà lo spirito nel suo nulla? Colui che, mediante lo spirito, concepirà la natura nella sua nullità, finitudine e caducità, solo lui potrà infine ridurre anche lo spirito alla stessa nullità: io lo posso fare, lo può fare, lo può fare ognuno di voi che regni e crei come io illimitato, lo può fare, in una parola, – l’egoista”. (7)
Prima di spalancare la porta all’unico, S. analizza minuziosamente, da una prospettiva duplice sul terreno teoretico e con spietata lucidità anche per motivi biografici, il meccanismo della riproduzione dei saperi, o si potrebbe dire della perpetuazione dei fantasmi. Questo è all’origine della trasmissione della venerazione verso il misterioso spettro, verso il sacro (8). Tale azione è quella dell’imparare. Nell’orizzonte del pensiero stirneriano, è proprio questo il luogo nel quale prende forma la questione della comunicazione filosofica: il problema della comunicazione filosofica .
Dimensione teoretica :
i)L’attacco che Stirner conduce alla costruzione teoretica dell’ idealismo è stata ormai in gran parte tracciata: più propriamente occorre notare che si tratta di un attacco versus l’hegelismo che è d’altra parte frutto della stessa impostazione teorica del pensiero dialettico hegeliano stesso: ma Stirner muove un attacco critico che vuole conseguire dei risultati ben più radicali di quelli di una “revisione” del sistema o di una “ricollocazione” corretta del rapporto soggetto-Spirito (o, con la terminologia stirneriana, “io-dio”) che caratterizza altri interpreti della sinistra hegeliana. Infatti Stirner conduce una battaglia decisa contro l’interpretazione di Feuerbach del problema religioso come chiave di volta per un rovesciamento dialettico del rapporto uomo-Spirito: non si tratterebbe affatto di sostituire la prospettiva umana a quella trascendente o rovesciare nel suo contrario la dialettica umano/divino come soggetto/oggetto: “Egli sostiene infatti che noi abbiamo misconosciuto la nostra essenza e perciò l’abbiamo cercata in qualcosa che è al di là; ora però se poniamo che dio sia la nostra essenza umana dovremo quindi riconoscerlo proprio in questo suo senso e perciò trasferirlo dall’al di là nell’al di qua. Questo dio, che è spirito, viene definito da Feuerbach la «nostra essenza». Ma possiamo accettareche la «nostra essenza» sia contrapposta a noi stessi, e che veniamo scissi in un io essenziale e in un io non essenziale? Non rischiamo in questo modo di ripiombare nella tragica situazione di vederci esiliati da noi stessi?”(9) Si potrebbe notare che l’attacco di Stirner a Feuerbach riprende alcuni elementi che ricorrono nel primo Marx delle “Tesi su Feuerbach” che, oltre al debito contratto nei confronti del pensiero di Moses Hess, ancorchè non riconosciuto, pare muoversi sulla lunghezza d’onda affine a quella del pensatore individualista, in nome di un ritorno all’autenticità ontologica che sembra unire più che dividere i due autori. Ciò nonostante, ha anche ragione Löwith quando afferma: “Stirner e Marx filosofano l’uno contro l’altro nello stesso deserto della libertà: l’uomo estraniato da sé di Marx deve trasformare con una rivoluzione la totalità del mondo sussistente, per poter rimanere presso- di- sé nell’essere- altrimenti; l’io di Stirner, divenuto libero e vuoto, non sa per contro far altro se non ritornare nel suo nulla, per consumare il mondo così qual è, nei limiti in cui questo è da lui utilizzabile”(10) In altre parole, sembrano stagliarsi due prospettive di rifondazione ontologica che si sfiorano ma rimangono distanti, accomunate però da una sostanziale sete di recupero di una dimensione di autenticità in grado di restituire una effettiva adesione al reale. “L’apporto di Stirner a questa impostazione storica di Marx è data dal fatto che anch’egli critica la dimensione universale e astratta dell’io considerata come momento fondante del puro conoscere. In fondo, è sempre la stessa esigenza di concretezza che avvicina il filosofare di questi due pensatori” (11) Il nucleo centrale di questo comune attacco all’idealismo sarebbe costituito dalla critica all’ideologia, che accomuna i due autori, identificabile non tanto nella celebre formula della “falsa coscienza” né tantomeno nella definizione più generale e avalutativa di “concezione generale del mondo “(Weltanschauung), bensì collocabile nella definizione storicamente più definita di “ideologia della filosofia tedesca speculativa”, in altri termini la grande casa comune dell’idealismo tedesco del primo quarantennio dell’Ottocento. Superamento rimane la parola d’ordine comune alla giovane generazione dei pensatori posthegeliani, e “(…) proprio in questa dinamica di superamento è possibile scorgere non solo in Stirner ma anche in Marx ed Engels un modo esistenziale di portare avanti il discorso filosofico. In fondo, questi pensatori si incontrano nel contestare all’intelletto conoscente, e quindi al mondo delle idee, il primato fondante della verità. (…) Stirner…fa notare che il singolo si sente nella sua autentica concretezza di unico proprio quando riesce a mettere in crisi ogni modello sociale. Ogni espressione sociale, infatti, essendo fondata su un’autorità, fa violenza al singolo. Anzi, sfugge al potere del singolo come unico cade quindi nell’orizzonte astratto della non-verità. Questa dinamica esistenziale di concretezza a livello di coscienza sfugge a Marx (…)” (12) Si tratterebbe perciò proprio di un lato esistenziale della tematica stirneriana dell’io, “una realtà esistenziale dell’io che definisce come essere- sé- stesso”(13) In tal modo emerge chiaramente come debba venire ricollocato il discorso di Stirner anche per ciò che riguarda l’altro lato del suo attacco all’idealismo dei fantasmi: ciò riguarda propriamente il rapporto distruttivo con i fondamenti della metafisica occidentale ; si è parlato in questa direzione di Stirner come di un precursore di Nietzsche, e nonostante non vi siano prove di una diretta conoscenza da parte del giovane filologo a Basilea dell’opera del pensatore posthegeliano, non pare possibile escludere una conoscenza effettiva del nucleo denso teorico dell’opera decostruzionistica stirneriana. Certamente, è stato notato, è Sooren Kierkegaard a chiamare in causa direttamente Stirner trovandovi numerosi punti di contatto: questi richiami sono stati particolarmente evidenziati nel Novecento ad opera di pensatori che in misura diversa possono ricondursi alla matrice della Existenz- Philosophie, quali Karl Löwith e Martin Buber.
Buber sottolinea in specifico il legame tra domanda esistenziale sulla libertà e riflessione “egotica” stirneriana, sottolineando al contempo il nesso operante tra l’individualismo “sofferto” del nostro autore, che prenderebbe – attraverso il momento dell’io – le distanze da un inautentico rapporto di responsabilità col mondo e quindi denuncerebbe col suo egoismo assoluto la falsità del “realismo”, e il tema del singolo di Kierkegaard che approderebbe a risultati assai prossimi. (14) Analogamente Löwith sottolinea i punti di contatto tra questi due autori proprio sul terreno della riscoperta forte dell’individualità, ma al contempo ne mostra gli argomenti oppositivi: “Kierkegaard s’incontra con Stirner nell’essere agli antipodi di Marx: al pari di lui, egli riduce tutto quanto il mondo sociale alla propria «individualità». Al tempo stesso però egli si trova anche in estrema antitesi con Stirner; infatti, anziché fondare l’individuo sul nulla creatore, lo pone «dinanzi a Dio» come creatore del mondo. (…)Il suo concetto fondamentale dell’individuo è un antidoto alla «umanità» socialdemocratica e all «cristianità» colta e liberale.Il principio di associazione non è infatti positivo, ma negativo, dal momento che esso indebolisce l’uomo singolo attraverso l’ammassamento.”(15)
http://ienaridensnexus.blogspot.com/2011/03/max-stirner-lunico-e-la-comunicazione.html
Max Stirner: l’Unico e la comunicazione filosofica di Felis – Seconda parte
Tralasciando l’interpretazione di Camus, l’altro nome che viene fatto è appunto quello di Nietzsche, che andrà a combattere 30 anni dopo Stirner la stessa battaglia, apparentemente, contro i draghi del “Tu devi” e della “santità” con una energia analoga. Nonostante la stessa tensione distruttiva e la stessa volontà di “farsi dinamite”, al di là del comune attacco al “socratismo dialettico” che pone il rapporto soggetto-oggetto, gli itinerari dei due autori divergono profondamente quanto a conseguenze teoretiche: poiché il radicalismo della critica stirneriana alla dimensione santa dell’essere conduce un attacco fin dentro il cuore stesso del nucleo fondativo la dimensione “fantasmatica” della metafisica occidentale, e cioè ciò che si è condensato attorno all’idea di “dio” , la conseguenza è che per Stirner anche le filosofie che annunciano la “morte di dio” si pongono entro lo stesso schema, rimangono abbacinate dagli spettri. “Di qui la logica conseguenza che la tematica dell’ateismo o, che è lo stesso, la tematica della morte di dio (…) ci porta di fronte al nucleo filosofico di Stirner che rappresenta lo stesso nucleo filosofico della filosofia dell’esistenza. A tale riguardo si deve dire che Stirner avrebbe chiamato pure Nietzsche un prete e che la sua morte di Dio sarebbe stata ben lontana dall’essere tale, dato che Nietzsche non aveva visto il nesso intrinseco tra la morte di Dio e la morte dell’uomo”. (16) Avendo allora così ratificato la sostanziale solitudine analitica entro che caratterizza lo sguardo stirneriana sulla filosofia, non si può però non notare come la lotta condotta contro lo spirito valga allo stesso tempo come un confronto senza esclusione di colpi con l’intelletto (Verstand), kantianamente scisso dalla ragione (Vernunft), intelletto che viene ad identificarsi con “le astuzie” attraverso le quali lo spirito apprende a prendere le distanze dalle cose. Non si tratta pertanto della ricerca della verità, quell’attività che caratterizza l’azione dell’intelletto, bensì uno scopo prettamente pratico, vivere in modo più sicuro. (17) La ragione rimane allora lo strumento attraverso cui perseguire lo smascheramento dalle illusioni metafisiche, dalle suggestioni spettrali dell’idealismo: la dichiarazione forte di Stirner a questo punto è che i “fantasmi” escludono , nella prospettiva idealistica, l’adeguamento della ragione alla realtà . La realtà autentica – “eigene” – è quella dell’unico – Einzige . Lo scritto minore stirneriano “Arte e religione”, apparso nel 1842 , contribuisce a mettere a fuoco il rapporto conflittuale tra intelletto e ragione: Appartenendo la religione all’ambito dell’intelletto, confinata entro la sfera limitante dell’oggetto/immagine di idea/spirito, si situa all’opposto della ragione, che invece trova nella filosofia il suo spazio d’azione: “La filosofia non è mai creatrice di una religione, poiché non crea mai una forma che possa servire all’intelletto come oggetto, essa non genera forma alcuna e le sue idee senza immagini non si possono venerare nel culto religioso” (18) . Identificando pertanto la dimensione della religione/intelletto con quella della inautenticità/divisione/straniamento (Entzweiung – Entfremdung), il nesso oppositivo tra filosofia e religione pone anche qualche segnale per ciò che riguarda sia la possibilità del superamento dell’astrazione e dello straniamento, che per ciò che caratterizza il “valore” liberatorio del discorso e della comunicazione filosofica. Filosofia e religione emblematizzano allora i due momenti della possibilità del linguaggio, quello che conduce al limite il soggetto di fronte al margine estremo dell’oggetto che si può conoscere e pertanto “guarda in faccia l’abisso”, o meglio ha il coraggio di affermare “Ho posto la mia causa su nulla” (19), e invece la “chiacchiera” che si rifugia dietro le cortine scure di un mondo spettrale, frutto di convincimenti ed illusioni falsanti. Ma la domanda che legittimamente deve porsi riguarda la natura del protagonista dell’azione comunicativa di tale atto della ragione; in altri termini, è legittimo parlare ancora di “soggetto” secondo la codificazione metafisica? Chi può porre la terribile domanda attorno alla natura dell’oggetto stesso, attraverso un atto di rischiaramento tragico? La risposta stirneriana è nota: “Dio e l’umanità hanno posto la loro causa su nulla, su nulla come su sé. Io pure voglio riporre la mia causa su me stesso, poiché io, al pari di dio, sono il nulla di tutto l’altro e per me sono il mio tutto, sono l’io come l’unico.(…) Io non sono il nulla nel senso del «vuoto», ma sono il nulla creatore, quel nulla dal quale io stesso come creatore, creo tutto”. (20) ii)Allora si tratta di andare oltre non solo l’oggetto metafisico, bensì anche al di là del soggetto (ed il soggettivismo) cartesiano – kantiano, in nome di una singolarità inaudita e , nella sua completa determinazione, eccentrica e assoluta, che si viene a definire come “l’unico”; la scatola dell’”io” appare eccessivamente circoscritta al terreno della domanda gnoseologica e/o idealistico/estetica (l’Io penso- l’Io puro), Stirner ripensa radicalmente il concetto contenitore, e la risposta è quello dell’Ego compiuto e indistinto dell’Unicità. “Stirner vuole superare in fondo l’essere come estraneazione. Per questo motivo l’intelletto deve essere messo in questione dalla ragione che ha appunto il compito di mostrare il limite dell’oggetto conosciuto, portando il soggetto di fronte al non oggetto o al nulla”.(21) Siamo pertanto su un terreno teoretico, e all’interno di una istanza comunicativa, che intendecertamente oltrepassare l’oggetto metafisico, ma si spinge certamente anche al di là del volontarismo metafisicizzante per esempio di Schopenhauer, distinguendosi pertanto dal “silenzio” della filosofia, diventata tutt’al più “terapia” o processo di liberazione intramondana, comunque assente sul terreno precipuo della trasmissibilità e della comunicabilità del discorso filosofico. Stranamente Stirner confida nella possibilità del discorso, negli spazi di significato (abissale, nichilista) che comunque il linguaggio spalanca. Allora: il problema si sposta su questo elemento della riflessione attorno al tema della comunicazione filosofica dell’unico stirneriano. La comunicazione può avvenire solo se l’unico di cui parliamo compie un passo da una dimensione di ego-ismo (intendo con tale definizione una lettura ideologica dell’”Io- Unico” di Stirner, così come è stato per esempio interpretato in tanta tradizione anarchico- individualista o nichilista di colorazione diversa, si pensi ad esempio al pessimo D.Eckart, lontano ispiratore di Hitler, ammiratore della presunta ideologia della forza di Stirner ) verso l’Ego, una egoità dai tratti affini a quello che la tradizione fenomenologico – esistenzialista ha denominato come “Ichheit” . Tale figura sembra richiamare su più lati quello che altrove è stato definito “esistentività”, ovvero il lato oggettivato dell’esistere singolare in una dimensione di temporalità condizionata, il “qui ed ora” dell’Ego. La prospettiva fenomenologica ha contribuito a chiarire i confini concettuali del discorso stirneriano, per quasi un secolo banalizzato da lettori frettolosi come esempio di bizzarria intellettuale: “L’epochè e lo sguardo puro che mira al polo egologico fungente, e quindi alla totalità concreta della vita e delle sue formazioni intermedie e finali, non rivelano eo ipso nulla di umano, né l’anima, né la vita psichica, né gli uomini reali psicofisici – tutto ciò rientra nel ‘fenomeno’, nel mondo in quanto polo costituito. (…) Sono io che attuo l’epochè, anche quando con me ci sono gli altri, altri uomini che operano con me l’epochè in una comunità attuale; perciò con la mia epochè tutti gli altri uomini, e la vita dei loro atti, rientrano nel fenomeno del mondo che, nella mia epochè, è esclusivamente mio. L’epochè crea una singolare solitudine filosofica, che è l’esigenza metodica fondamentale di una filosofia realmente radicale” (22). Questo che la fenomenologia ha denominato “Ur-Ich”, l’io originario, si configura come esistentività perché ha un lato opaco, denso, che è contiguo al “Lebenswelt”, all’husserliano “mondo della vita” , e con la lettura jaspersiana si sarebbe tentati di individuare propriamente la natura di quella che Stirner afferma come possibilità comunicativa dell’unico: “L’esistenza, che è l’unico, cerca l’Uno e, non trovandolo né in sé né nel regno delle esistenze comunicanti, naufraga. L’esistenza è l’unico irripetibile, l’uno esistentivo, ma non l’Uno assoluto. Il termine della ricerca dell’Uno, costitutiva dell’esistenza, è fuori dell’esistenza singola, che deve quindi uscire da sé. Dei singoli sussiste una molteplicità: nella totalità di essi potrà l’esistenza soddisfare la ricerca dell’Uno? Si instaura qui la comunicazione”. (23 ) E ancora, si può affermare che:” poiché c’è la molteplicità dell’esistenza, l’esistenza cerca comunicazione con altra esistenza”. (24) Il problema del rapporto tra l’unico e la molteplicità, che si presenta a questo punto, non è facilmente eludibile; infatti, se è vero che sul terreno propriamente ontico non può mai essere seriamente posto in dubbio il perfetto e autoconclusivo isolamento dell’unico dal “mondo delle cose”, sul piano della comunicazione le cose si complicano, e Stirner ne è perfettamente consapevole, e la sua soluzione è radicalmente coerente con il proprio impianto di pensiero: “Se si tratta di comprenderci e di comunicare io non posso che ricorrere a mezzi umani, che sono a mia disposizione perché io sono uomo. E se ho veramente dei pensieri solo perché sono uomo, allora io, in quanto io, sono senza pensiero. Chi non sa liberarsi da un pensiero, è, in questo, solo uomo, è uno schiavo del linguaggio, di questa istituzione umana, di questo patrimonio di pensieri umani. Il linguaggio o «la parola» è il nostro tiranno, perché ci rivolge contro un intero esercito di idee fisse. Osservati proprio mentre rifletti, e troverai che puoi avanzare solo perché in ogni momento sei senza pensieri e senza parole. Non solo nel sonno, ma anche, e soprattutto, nella più profonda riflessione tu sei senza pensieri e senza parole. E solo grazie a questa assenza di pensieri, (…), a questa libertà dal pensiero tu sei proprietario di te stesso. Partendo da essa riesci ad usare il linguaggio come tua proprietà.” (25)
Per Stirner, effettivamente il piano della molteplicità viene surrogato solamente all’interno della proprietà dell’unico, in una dimensione di esclusività egotica che non è però priva di riverberi plurali, ancorchè riferiti a sé medesimo:
”Per il mio pensiero l’inizio non è dato da un pensiero, ma dall’io, e perciò l’io è anche la sua meta finale, così come tutto il suo svilupparsi non è altro che lo sviluppo del mio autogodimento. (…) Per pensare o per parlare io ho bisogno delle verità e delle parole, così come per mangiare ho bisogno del cibo; senza di esse non posso pensare o parlare. Le verità sono le idee degli uomini, espresse in parole e perciò esistenti come le altre cose, anche esistono e creature umane, e anche se vengono considerate rivelazioni divine, rimane tuttavia loro il carattere di estraneità rispetto a me, pur essendo mie creature mi sono già estraneità rispetto a me, pur essendo mie creature mi sono già estranee subito dopo l’atto di creazione” (26) La pluralità delle parole non è pertanto contrapposta alla “Weltlichkeit”, in qualche misura ne è complemento, eppure straordinariamente la singolarità assoluta stirneriana prevede, come in una sorta di epochè fenomenologica, una “Entfremdung”, uno straniamento connaturato all’atto del pensiero; di più, anche nella prospettiva di Jaspers della “ricerca dell’Uno” come principio che muove l’esistentività, si comèpie un movimento analogo a quello stirneriano, infatti:” La ricerca dell’Uno, essenziale all’esistenza, naufraga , tanto nella totalità del molteplice, quanto nell’unicità dell’irripetibile, quanto ancora nella comunicazione. Io, come esistenza comunicante , sono il naufragio della ricerca dell’Uno.”(27) Un ulteriore segnale di quanto l’unico venga posto da Stirner in una posizione nient’affatto pacificata con la pluralità, delle verità e del linguaggio nella comunicazione, sta nel confronto con Feuerbach, dove “Stirner ha tentato di chiarire come il suo perfetto «egoista» non sia un «individuo» con un contenuto determinato, e neppure un principio assoluto, e come rappresenti piuttosto quanto al contenuto un’assoluta espressione verbale, e rettamente inteso sia la fine di tutte le espressioni verbali. Tale egoista indica formalmente la possibilità dell’appropriazione, la più particolare possibile, di sé stesso e del mondo.” (28)
Se quindi manteniamo la visione dell’unico come specifico, singolo, singolare, prossimo nella sua ineffabile esclusività a nulla, perché nulla è altro dall’unico, questo non implica necessariamente una “sottovalutazione” della pluralità nel momento della comunicazione, al contrario; l’unico, come principio della comunicabilità, movimento pieno di se stesso come “fine di tutte le espressioni verbali”, ancora una volta implica la pluralità, ma senza venirne implicato. Questa è la comunicazione autentica, l’unica possibile. Si pone nel perfetto momento del distacco dalle parole. Assomiglia al silenzio. b) La dimensione pedagogica: abbiamo visto come il tema della comunicazione svolga un ruolo centrale nella teoretica critica stirneriana. Va da sé che nella originale prospettiva del nostro teorico, l’educazione (e la trasmissione del sapere) è autoritaria per definizione, in quanto “addestramento” alla credenza nei “fantasmi”. E’ importante comunque rimarcare che la problematica pedagogica si pone in Stirner come un nodo da sciogliere non tanto perché legato accademicamente alla discussione che si veniva svolgendo sul terreno del contrasto interno alla sinistra hegeliana, e pertanto obbligatorio elemento di confronto/scontro con glia altri esponenti della scuola della sinistra, bensì perché per Stirner il momento educativo rappresenta l’atto d’inizio di una pratica di spossessamento e di programmatica “perdita di sé” che conduce l’io verso la soggezione completa all’ideale, verso il mondo umbratile degli spettri della realtà. Liberazione non è però in Stirner, al contrario degli altri teorici classici nemici dell’alienazione, la chiave di volta centrale in virtù della quale coronare il processo inverso e dialetticamente compierlo, ovvero negare la negazione e ritornare/andare al soggetto reale – e nonostante le grandi differenze in questo quadro si possono ritrovare da Feuerbach a Marx, a Strauss e Bauer. Stirner invece pone la contraddizione chiave nella parola “proprietà”, proprio quel termine pietra dello scandalo di tanta parte del dibattito teorico politico che condurrà buona parte dei giovani hegeliani, da Moses Hess al giovane Marx , a staccarsi dalla riva democratico liberale della sinistra hegeliana per approdare ai lidi del socialismo, fino ad allora peculiarità pressoché esclusiva dei teorici oltralpini, da Saint Simon a Proudhon.
Riappropriazione è la parola d’ordine anche sul terreno pedagogico di Stirner, che conduce un attacco serrato alle regole non solo dell’educazione liberal – borghese, ma anche all’impianto di derivazione russoviana della pedagogia illuminista. Centrale in questa direzione lo scritto “Il falso principio della nostra educazione o l’umanesimo e realismo” del 1842 . (29) “In Stirner si può parlare di anti- pedagogia solo se si tiene presente la pedagogia tradizionale. In realtà Stirner è cosciente di delineare una nuova pedagogia che non si fondi sul momento alienante dello spirito ma sull’orizzonte esistenziale – ontologico dell’io come ego”. (30) Tutto si gioca nel contrasto tra educazione umanista e realista; partendo da un saggio pedagogico di T. Hensius, che cercava nel suo scritto di escogitare un accordo tra scuola e vita, calare cioè la pratica educativa in un più stretto contatto con la vita vissuta, Stirner parte all’attacco di entrambi i corni problematici, i due modelli educativi, che il buon Hensius aveva indicato come poli dialettici cui occorreva una mediazione, ovvero il modello educativo umanista e quello realista : “Stirner fa presente che con il termine umanesimo si pensa all’impostazione pedagogica propria della Riforma, mentre con il termine realismo si pensa all’impostazione culturale pedagogica tipica della Rivoluzione francese. A differenza della prima, che è piuttosto astratta, la seconda è più concreta, in quanto viene messa e fuoco nel contesto diretto con le cose”. (31) Ma entrambe rappresentano due false risposte: la cultura umanistica, sbilanciata com’è verso il rifiuto del senso concreto delle cose, contribuisce in modo particolare a irrigidire il senso d’autorità instillata nei discenti. Il ceto dei dotti secondo Stirner si avvicina propriamente a quello dei preti (Priesterstand), gerarchicamente superiore e distante da quello dei laici, massa servile. Ma pur mostrando maggiore affinità con l’educazione relaista, Stirner non limita le proprie critiche anche a tale modello: “E ciò perché anche questa non ha saputo mettere in luce il piano del non conoscere che è a fondamento del piano del conoscere, di qualsiasi tipo esso sia. Per tale ragione questi due modi di considerare la pedagogia si ritrovano alla fine sullo stesso piano inautentico dell’intelletto e non su quello autentico della ragione. L’educazione autentica si basa solo sull’ «autodeterminazione»”. (32)
Al di là della conoscenza, del “Wissen”, solo attraverso la superfetazione della volontà diviene possibile ritrovare l’autenticità del singolo: “ Il sapere come conoscere deve morire per risuscitare come volontà e per crearsi giorno per giorno di nuovo come persona libera” (33). Il momento creativo è al contempo il momento razionale e della volontà, e per individuare questo nuovo modello Stirner conia il termine “personalismo”(34). Tralasciando l’importante annotazione stirneriana del “giorno per giorno”, annotazione che indica un’attenzione nient’affatto secondaria per il problema della temporalità nel momento esistenziale della scelta, rimane forte l’impressione di una pedagogia libertaria in quanto incentrata sul momento creativo dell’autodecisione, un autodeterminarsi del soggetto la cui profondità d’azione supera i limiti angusti del “conoscere” per misurarsi con il “Lebenswelt”, il mondo della vita. Per Stirner il progetto dell’io che si costruisce è quello “personalista” (naturalmente altra cosa anche rispetto alle suggestioni gentiliane e di Rogers ) che è azione creativa del singolo, che solo attraverso il momento della volontà dona al conoscere un lato autenticamente esistenziale, “personale”. Parlando specificamente di «autodeterminazione», “Selbststättigung”, la pedagogia egoistica di Stirner si configura come una scelta di liberazione dell’io attraverso il movimento dell’auto- appropriazione: “Questa parte dal soggetto e ritorna al soggetto come un approfondimento della dimensione esistenziale – ontologica del soggetto, dell’io (…). A proposito Stirner parla pure di «autocoscienza». Così, il piano della pedagogia esistenziale o dell’egoismo pedagogico si ritrova con quello della verità esistenziale come proprietà”. (35). Sia umanismo che realismo appaiono gerarchizzanti, rispondono a principi spirituali d’autorità, si richiamano alle leggi dello Spirito o dell’Uomo. La comunicazione è altrove, il personalismo è il tracciato.
Allora, in conclusione, sintetizziamo le ultime domande: I) Si può comunicare? II) La filosofia ha ancora senso in questa prospettiva egoistica? III) E se ha senso, come avviene una comunicazione autentica? (possibile confronto con Jaspers: problema dell’autentico/inautentico)
I) La comunicazione è possibile solo se avviene in modo proprio: ovvero tra un Unico che si esprime liberamente ed un altro Unico che altrettanto liberamente agisce: ma questo è già concepire una forma di “alterità”, mentre l’unico esclude “fuori di sé” qualunque altra forma di realtà ; se comunicare è un mit-eilen, è il “mit”, il “con”, ad essere propriamente impossibile nella prospettiva stirneriana;
II) Solo in questo orizzonte lo stesso discorso stirneriano trova una propria collocazione, in quanto Stirner effettivamente non ammaestra né educa.
III) Se invece si intende la comunicazione come apertura (si può parlare in questo senso di una prospettiva fenomenologica, oltre che esistenziale: penso a Merleau-Ponty, e all’attenzione verso quell’oltre-il-soggetto che è l’io-corpo, per esempio), allora è ciò che diviene possibile come accadimento (Ereignis) che l’unico crea liberamente: solo in una dimensione “fluente”, in un discorso aperto, ha senso parlare; radicalizzando con Stirner, si sarebbe tentati di dire che solo nella sospensione delle parole può trovare spazio una comunicazione autentica, dove i segni hanno perduto il loro carattere impositivo e dove il discorso aperto può propriamente fluire. Dicevamo poco sopra: ricorda il silenzio mistico della tradizione apofatica, riallacciandosi idealmente al sottile filo sotteso tra Meister Eckhart e Martin Heidegger. Strana sorte per l’ateo della filosofia dell’Ottocento.
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Max Stirner: l’Unico e la comunicazione filosofica di Felis – Note
(1) G. Penzo, Invito al pensiero di Max Stirner, Milano, 1996, pp.21-22
(2) K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Torino, 1949, p.504; (Se ci si può permettere una piccola digressione di carattere filosofico linguistico, non si capisce proprio come mai i traduttori italiani della filosofia tedesca si ostinino a porre la maiuscola sull’ ”unico” stirneriano, mentre un analogo procedimento non si conosce per il “singolo” di Kierkegaard: eppure nella lingua tedesca ogni sostantivo viene scritto con la maiuscola: che sia un retaggio di vezzi idealistici in ritardo, che premiavano i “soggetti della storia del pensiero che si fa” con la maiuscola?)
(3) L’attacco è contenuto nel celebre “Sankt Max”, pubblicato poi nella raccolta “L’ideologia tedesca”, Roma, 195(?), cap. V,. L’attacco suona così: ” In un maestro di scuola o in uno scrittore localizzati a Berlino…, la cui attività si limiti da un lato ad un duro lavoro e dall’altro al gusto di pensare, il cui mondo va da Moabit sino a Köpenick, e dietro alla porta di Amburgo è chiuso da una staccionata, i cui rapporti con questo mondo sono ridotti al minimo a causa della sua posizione miserabile, in un tale individuo, dico, è indubbiamente inevitabile, nel caso egli possieda dei bisogni spirituali, che il pensiero divenga tanto astratto, quanto lo sono la sua vita ed egli stesso”. Löwith riporta integralmente l’intero passo, op. cit., p.177
(4) Sempre a proposito di maiuscole e simili, nel testo presente utilizzo il titolo così come è noto nella versione italiana (la migliore in circolazione è senz’altro quella di Mursia, ottimamente tradotta da C. Berto e curata criticamente da G. Penzo, del 1990), anche se credo sia in evidente contrasto con la stretta logica interna del discorso stirneriano: se si accetta la posizione dell’unicità (der Einzige), del singolare per eccellenza che sta al centro della riflessione del nostro, tale “unico” è ben lungi dal ritagliarsi una qualche “gerarchia” che lo deve distinguere come “posizione” da altri soggetti, in condizione di superiorità (rispetto alla quale, come è ovvio, non si può non pensare una qualche subalternità): ma il pensiero dell’unico è antigerarchico per definizione, perché semplicemente non “esiste” nulla al di fuori dell’unico stesso, perfettamente ed isolatamente identico a sé, autocompiuto e lucidamente solo. Allora, perché tale maiuscolo? Il sospetto, e tale rimane, è che si debba alla tradizione gentiliano- attualistica e mussoliniano- mitomaniaca l’adozione di tale formula, (rimasta in uso perché la tradizione, lo sappiamo con Popper, è formidabile…) che sottolineerebbe il ruolo di “supersoggetto” dell’unico stirneriano (nella versione gentiliana), e quella più rozzamente darwinistica mussoliniana (non dimentichiamo gli elogi a Stirner dell’ex massimalista ne “Il popolo d’Italia”, in “Gerarchia”, ora pubblicati in B.M., Opera omnia (sic!), vol. XIV, Firenze 1954, p. 1949, e anche vol. IV, p. 285), che lo vede come una proiezione titanica dell’individualismo più grossolano.
(5) L’Unico e la sua proprietà, Milano,1990, p.62
(6) Ibidem, p.74
(7) Ibidem, pp.100 – 101
(8) S. riproduce una etimologia che in anticipo di un secolo fa la felicità di Heidegger e finanche di Girard: “Il fanatismo è tipico delle persone colte; infatti quanto più uno è colto tanto più si interessa allo spirito, e tale interesse, se è vivo, deve essere fanatismo, poiché si tratta di un interesse fanatico per il sacro (fanum).” Op. cit., p.79.
(9) Op. cit., pp.67-68
(10) Lö.p.177
(11) Penzo, Invito al pensiero di Stirner, p.41
(12) ) Penzo, cit. , 42-43.
(13) Penzo, cit., p.43.
(14) Si tratta del saggio La domanda al singolo (Die Frage an den Einzelnen) del ’36, ora nei “Werke, vol. I: Schriften zur Philosophie ”, München 1962, originariamente testo di una lezione del ’33, concepito quindi in piena temperie totalitaria:” A parere di Buber , l’individualismo di Stirner non è “leggero” ma “sofferto”. Stirner non si chiude in un vuoto orizzonte dell’io creativo, mettendo tra parentesi ogni rapporto con il mondo, ma intende superare solo ciò che è estraneo allo sviluppo intimo dell’io. Secondo Buber, questa è la ragione per cui Stirner critica quella dimensione di responsabilità che non è intimamente creduta e vissuta come può essere la responsabilità di fronte alla legge. In fondo, il momento positivo di un filosofare apparentemente distruttivo come quello di Stirner consiste nel superare tutto ciò che è convenzionale e quindi falso.” Penzo, op. cit., p.129
(15) Löwith, p.401
(16)Penzo, introduzione, in M.Stirner, l’Unico e la sua proprietà, cit. p. 17
(17) Andrebbe sottolineato opportunamente che il concetto di ragione di Stirner differisce sensibilmente da quello fatto proprio dalla tradizione post-illuminista , qualora accettiamo l’interpretazione “esistenziale” della svolta operata dal nostro: lungi dall’identificarsi con l’orizzonte kantiano del superamento gnoseologico e con la vocazione pratica della facoltà stessa, la ragione stirneriana pare avere maggiori punti di contatto con la dimensione decostruttiva di ascendenza illuminista humiana e forse alla maniera dei Philosophés, ma in una accezione non prioritariamente gnoseologica né tantomeno morale; più decisamente è il piano ontologico ad essere chiamato in causa dal “rasoio” stirneriano, così come è sul terreno della verità che avviene lo scontro decisivo tra ciò che è autentico e ciò che invece appare inautentico, tra quello che la ragione mostra e ciò che l’intelletto afferma. Allora i punti di contatto piuttosto interessanti paiono essere quelli con la ripresa novecentesca del tema della verità in ambito esistenzialista che in particolar modo Karl Jaspers ha avuto occasione di sviluppare adeguatamente:” La ragione è il nesso e l’inquietudine. Come inquietudine è il trascendimento, come nesso è ricerca dell’unità. In ogni caso è volontà di chiarezza. Essa è sempre unita all’esistenza: ne è il movimento interiore”. Così scrive Luigi Pareyson in Karl Jaspers, p.188, Casale Monferrato, 1983, ma così è direttamente citato Jaspers:” La sua unità è unità d’estrema tensione…Questa sua unità, che data la sua tensione, è concepita sempre nella rottura, la rende apertura all’unico e genuino uno, sempre lontano”, ibidem, p. 189.
(18) Citato in Penzo, Invito al pensiero di Stirner, cit., p. 113, da Kunst und Religion, 1842, ora in Scritti minori e Risposte alle critiche mosse alla sua opera «l’Unico e la sua proprietà», a cura di G. Penzo, Bologna, 1983
(19) Ich hab’ mein’ Sach’ auf Nichts gestellt, è la ripresa che apre e chiude il capolavoro di Stirner ed è tratta dal verso iniziale del testo poetico di J.W. von Goethe Vanitas, Vanitatum Vanitas. Su nulla, non “sul nulla”, come Stirner ebbe modo di controbattere alle critiche ed alla forzatura di Feuerbach, ora in Scritti minori, cit., p. 138.
(20) M.S. L’Unico e la sua proprietà, cit., pp.42-43
(21)Penzo, Invito al pensiero …, op. cit., p. 113
(22) E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, 1968, p. 210.
(23) L. Pareyson, Karl Jaspers, cit., p. 142.
(24) K. Jaspers, Philosophie, vol. II, Berlino 1932, p.438
(25) M.S., L’Unico e la sua proprietà, cit., pp. 332-333
(26) M.S., op. cit., pp.333-334
(27) L. Pareyson, op. cit., p.143
(28) K. Löwith, op. cit., p. 561
(29) Il titolo originale è Das unwahre Prinzip unserer Erziehung oder der Humanismus und Realismus, in Max Stirner’s Kleinere Schriften usw, Berlin, 1914; l’edizione italiana, già citata, è uscita nel 1983, a cura di G. Penzo, per i tipi della Pàtron di Bologna, ma è ormai irreperibile.
(30) G. Penzo, Invito al pensiero…, op. cit., pp. 108-109
(31) Op. cit., pp. 109- 110
(32) Op. cit., pp. 110-111
(33) Op. cit., p.111
(34) E’ interessante notare ancora una volta i punti di coincidenza tra il percorso stirneriano e quello di Jaspers anche sul terreno terminologico: l’esistenzialismo personalistico di Jaspers si volge anch’esso verso il concreto: “L’assunto personalistico non può non avere di mira il concreto; ma si nega quando, per evitare l’astratto oggettivato, si volge al necessario. Riducendo il concreto al necessario si elude l’esigenza personalistico, che il concreto stesso intendeva soddisfare”. Il personalismo di Stirner si volge invece alla volontà onnicomprensiva, introiettando la libertà ancora una volta come appropriazione. La citazione è in L. Pareyson, op. cit., p. 117.
(35) Penzo, Invito…, op. cit., p.112
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