No, no hablan solos en absoluto. Son como los datos (datos de hecho, precisamente), de por sí, son inertes. Para que tengan fuerza, hay que relacionarlos con otros hechos, hay que ligarlos a una teoría. Porque el hecho puro y duro es también lo que sucede ante los ojos, pero cuando se informa el hecho, se transforma y asume los rasgos que le (im)pone quien lo expresa.
¿Quieren un pequeño ejemplo? Una manifestación en protesta, se destroza la cristalera de un banco. ¿Cómo describir este hecho, es igual a los ojos de todxs, con qué palabras? Habrá algunx que diga que se atacó el banco, por ejemplo. Y habrá otrx que diga que el banco fue sancionado. El hecho al que se refieren es el mismo, pero las expresiones usadas, no. Y no se trata en absoluto de una pedantería, de una inocua preferencia de una palabra sobre otra, porque el uso de esas expresiones no es casual.
Pensemos en el término atacar. Su significado es ambivalente, porque puede querer decir muchas cosas. Pero aquí es obvio que el sentido es el de “asaltar con fuerza”, de “combatir”. Un banco se ataca porque se considera enemigo. Y es enemigo porque es símbolo y ramificación concreta de ese capitalismo que, durante siglos, pone el beneficio por encima de cualquier otra cosa, explotando a los seres humanos, desencadenando guerras, envenenando el planeta. Y a los enemigos no se les tolera, perdona, mejora ni aconseja. Ni mucho menos, se les castiga, porque no hay un derecho común que hacer respetar, hay formas de vivir contrapuestas que se afirman y, por lo tanto, se defienden. A los enemigos se les combate y punto. Es fácil entender el motivo por el que lxs que atacan son solo lxs que se posicionan en hostilidad absoluta contra los bancos, el dinero y el capitalismo.
Pensemos ahora en el término sancionar. También aquí, su significado es ambivalente, ya que puede querer decir o “aprobar, dicho por una autoridad o por un órgano competente” o “castigar con sanciones”. En el caso de las cristaleras de un banco hechas pedazos se refiere claramente a la segunda acepción. Pero, entonces, ¿qué es una sanción? Es la “forma con la que una norma, especialmente, jurídica, impone respeto estableciendo consecuencias negativas contra quien la transgreda”. Eso significa que el uso del término sancionar denota un imaginario específicamente institucional, porque solo una autoridad puede sancionar la transgresión de una norma. No sorprende, pues, que lxs que lo utilizan son lxs huérfanxs del contra poder, lxs únicxs interesadxs en difundir la idea de que a los bancos se les castiga en nombre de una autoridad a la que obedecer, de otra norma que respetar, de otra institución que instaurar. Sin embargo, también es obvio que quien no quiere construir ningún “poder constituyente”, alternativo y rival del actual, no tiene razones para usar tal expresión.
Dado que el lenguaje crea mundos, no es ni inofensivo ni neutro. Aun así, aquí comienzan los problemas. Crear un lenguaje que sea totalmente diferente, que pueda evocar un mundo inexistente hoy como el carente de autoridad alguna, no es fácil. No es fácil de inventar, pero es aún más difícil de entender. Escribía el poeta: “No canto ni a este mundo ni a otros astros/ Canto todas las posibilidades de mí mismo fuera de este mundo y de los astros / Canto la alegría de vagar y el placer de morir errante”. Bellas palabras, pero no son hechos. La poesía, a veces, calienta el corazón, pero no llena la barriga ni da un techo sobre la cabeza. El lenguaje de la libertad no es comprensible, no es percebible por lxs que están acostumbradxs a la gramática de la obediencia. Razón por la cual, lxs que intentan hacerse comprender por todxs no tienen escapatoria: están limitadxs a atenerse a lo ya conocido, a rechazar lo extra-ordinario.
Si la teoría es, literalmente, “observar”, ¿a qué apuntan las miradas que afirman que el MUOS está obstaculizado porque no respeta las normas europeas? ¿Que el TAV está parado porque realmente no acelera la circulación de las mercancías? ¿Que las grandes obras están bloqueadas porque son un despilfarro de dinero público? Se pasa de la crítica radical al reproche ciudadanista sin darse cuenta de que esta propaganda práctica narra este mundo con todos sus satélites, narra todos los posibles que hay dentro de este mundo y los satélites, narra la tristeza de lo existente y el de deber de vivirlos.
(testo originale in italiano)
I fatti non parlano da soli
No, non parlano affatto da soli. Sono come i dati (dati di fatto, appunto), di per sé sono inerti. Per prendere forza devono essere messi in relazione con altri fatti, devono essere tenuti insieme da una teoria. Perché il fatto nudo e crudo sarà pure quello che avviene sotto l’occhio, ma quando viene riportato il fatto si trasforma e assume le sembianze che gli vengono (im)poste da chi lo esprime.
Volete un piccolo esempio? Una manifestazione di protesta, la vetrata di una banca che viene infranta. Come descrivere questo fatto, uguale per gli occhi di tutti, con quali parole? Ci sarà qualcuno che dirà che la banca è stata attaccata, ad esempio. E ci sarà qualcuno che dirà che la banca è stata sanzionata. Il fatto a cui si riferiscono è il medesimo, ma l’espressione usata no. E non si tratta affatto di una pedanteria, di una innocua preferenza per una parola rispetto ad un’altra, perché l’uso di quelle espressioni non è casuale.
Pensiamo al termine attaccare. Il suo significato è ambivalente, perché può voler dire molte cose. Ma qui è ovvio che il senso è quello di «assalire in forze», di «combattere». Una banca viene attaccata perché è considerata nemica. Ed è nemica perché è simbolo e ramificazione concreta di quel capitalismo che da secoli pone il profitto sopra ogni altra cosa, sfruttando esseri umani, scatenando guerre, avvelenando il pianeta. Ed i nemici non vanno tollerati, perdonati, migliorati, consigliati. Non vanno nemmeno puniti perché non c’è un diritto comune da far rispettare, ci sono modi di vivere contrapposti che vanno affermati e quindi difesi. I nemici si combattono, punto e basta. È facile capire il motivo per cui ad attaccare può essere solo chi si pone in ostilità assoluta nei confronti delle banche, del denaro, del capitalismo.
Pensiamo ora al termine sanzionare. Anche qui il suo significato è ambivalente, giacché può voler dire sia «approvare, detto di un’autorità o di un organo competente» che «punire con sanzioni». Nel caso delle vetrate di una banca in frantumi, è chiaramente la seconda accezione a cui ci si riferisce. Ma allora cosa è una sanzione? È il «mezzo con cui una norma, spec. giuridica, impone il proprio rispetto stabilendo delle conseguenze negative a carico di chi la trasgredisce». Ciò significa che l’uso del termine sanzionare denota un immaginario spiccatamente istituzionale, perché solo una autorità può sanzionare la trasgressione di una norma. Non stupisce quindi che a farne uso siano gli orfani del contro-potere, i soli ad essere interessati a diffondere l’idea che le banche vadano punite in nome di un’altra autorità a cui obbedire, di un’altra norma da rispettare, di un’altra istituzione da instaurare. Viceversa, è anche ovvio che chi non vuole costruire nessun «potere costituente», alternativo e rivale di quello attuale, non ha motivo di usare una simile espressione.
Perché il linguaggio crea mondi, non è mai inoffensivo e neutro. Qui però cominciano i problemi. Creare un linguaggio che sia tutt’altro, in grado di evocare un mondo oggi inesistente come quello senza alcuna autorità, non è facile. Non lo è da inventare, ma lo è ancor meno da capire. Scriveva un poeta: «Non canto questo mondo e gli altri pianeti nemmeno/ Canto tutti i possibili che ho in me fuori da questo mondo e dai pianeti/Canto la gioia del vagabondaggio e il piacere di morirne». Belle parole, ma non sono fatti. La poesia talvolta scalda il cuore, ma non riempie la pancia né dà un tetto sopra la testa. Il linguaggio della libertà non è comprensibile, non è percepibile da chi è abituato alla grammatica dell’obbedienza. Motivo per cui chi ambisce a farsi comprendere da tutti non ha scampo: è costretto ad attenersi al già noto, a rifiutare lo stra-ordinario.
Se la teoria è letteralmente un «guardare», su cosa si stanno puntando gli occhi quando si afferma che il Muos va ostacolato perché non rispetta le norme europee? Che il Tav va fermato perché non accelera veramente la circolazione delle merci? Che le grandi opere vanno bloccate perché sono uno spreco di denaro pubblico? Si passa dalla critica radicale al rimprovero cittadinista senza rendersi conto che questa pragmatica propaganda canta questo mondo con tutti i suoi satelliti, canta tutti i possibili che sono dentro a questo mondo ed ai satelliti, canta la tristezza dell’esistente e il dovere di viverci.
[15/11/13]
http://finimondo.org/node/1273