Spazio Anarchico Gaetano Bresci.
“Abbiamo occupato uno spazio vuoto”. Questa frase di per se è una giustificazione tale da essere chiaramente compresa anche da un bambino. Per distogliere da ragionamenti semplici spesso si frappongono argomenti falsi quanto etiche pretestuose, utili solo a riprodurre lo schema servi e padroni.
Ogni spazio abbandonato è uno sputo in faccia a tutti coloro che non hanno un tetto sulla testa, a coloro che non hanno spazi per esprimersi e comunicare e a chi è costretto nel circolo vizioso dei ghetti urbani.
Dietro ogni spazio vuoto c’è un progetto di speculazione, un fine di lucro, un interesse affaristico che preferisce rovine e desolazione piuttosto che perdere denaro e privilegio.
Non si mendicano le libertà con richieste, le libertà si prendono, altrimenti non sarebbero da considerarsi tali, ma banali concessioni. Troppo abituati a mendicare briciole dallo Stato di cui siamo solo dipendenti e inoffensivi sudditi, dobbiamo smetterla di essere alla stregua di bambini e cominciare a camminare con le nostre gambe per afferrare i nostri desideri.
Abbiamo l’esigenza di affinare la nostra critica sociale e di sperimentare percorsi alternativi al sistema dello Stato e del capitale, abbiamo il desiderio di intessere relazioni sociali libere dai paradigmi dominanti e dalla mercificazione dell’esistente per riprendere in mano le redini della nostra vita. Non ci rivolgiamo ad un tessuto cittadino ostile, che non vogliamo catechizzare o reclutare per continuare la cultura della delega, ma iniziare noi per primi ad avventurarci al di fuori della giungla politica convenzionale per percorrere sentieri di auto-organizzazione della nostra vita, auspicando una riproducibilità delle dinamiche autogestionarie . “Autogestione è la possibilità di stabilire secondo il principio della responsabilità individuale ed il metodo dell’unanimità (non certo quello – democratico – della maggioranza), le regole della propria esistenza. Autogestione per offrirsi la possibilità di riunificare sfere separate dell’esperienza umana: pensiero e azione, attività manuale e attività intellettuale, per riconquistare quella completezza che ci è stata sottratta dalla specializzazione delle attività imposta dalla cultura del potere”. La pratica dell’occupazione riacquista un senso solo nell’elaborazione collettiva di una strategia utile a non adagiarsi all’integrazione nella società, a ripiegare su un’identità formale o ad isolarsi in un ghetto.
Unire autogestione materiale con un continuo supporto verso l’attacco alla società attraverso gli strumenti dell’azione diretta (del sabotaggio, del boicottaggio, della controinformazione ecc.ecc.), lontani dai sempre più stretti e angusti ambiti della legalità troviamo sia un buon metodo per sovvertire l’alienazione imposta e per non fossilizzarsi nell’autogestione della miseria che si riproduce nei centri sociali dediti all’erogazione di servizi e d’intrattenimento culturale.
Auspichiamo quindi azione diretta per creare e ampliare la crisi del sistema di sfruttamento, e autogestione generalizzata per fronteggiarla e sostenerci durante la difficile congiuntura che il futuro ci prospetta.
Consideriamo l’occupazione quindi non come un obiettivo da raggiungere per stagnarci ma uno strumento utile a sperimentare e applicare le armi della critica alla società.
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