di H.J.Schuurman*
Nel linguaggio ci sono parole ed espressioni che dobbiamo eliminare, perché indicano dei concetti che costituiscono l’essenza disastrosa e corruttrice del sistema capitalista. Innanzitutto la parola “lavorare” e tutti i concetti correlati a questa – lavoratore o operaio – tempo di lavoro – salario – sciopero – disoccupato – nullafacente.
Il lavoro è il più grande affronto e la più grande umiliazione che l’umanità ha commesso contro se stessa.
Questo sistema sociale, il capitalismo, è basato sul lavoro; ha creato una classe di uomini che devono lavorare – e una classe di uomini che non lavorano. I lavoratori sono obbligati a lavorare, a costo di morire di fame. “Chi non lavora non mangia”, dicono i ricchi, che da parte loro pretendono che calcolare e accumulare i propri profitti significhi lavorare.
Ci sono disoccupati e nullafacenti. Se i primi sono senza lavoro e non possono farci niente, i secondi non lavorano e basta. I nullafacenti sono gli sfruttatori che vivono del lavoro dei lavoratori. I disoccupati sono lavoratori a cui non è permesso di lavorare, perché non se ne può ricavare profitto.
I proprietari del sistema di produzione hanno fissato i tempi di lavoro, hanno costruito dei luoghi di lavoro e ordinato a cosa e come i lavoratori devono lavorare. Questi ricevono appena ciò che serve per non morire di fame e sono a malapena in grado di dare da mangiare ai propri figli nei loro primi anni. Poi questi ragazzi vengono mandati a scuola il minimo indispensabile per potere andare a lavorare a loro volta. Anche i ricchi mandano i loro figli a scuola, perché sappiano a loro volta come dirigere i lavoratori.
Il lavoro è la grande maledizione. Il prodotto di uomini senza spirito e senza anima.
Per far lavorare gli altri a proprio profitto, bisogna avere una certa personalità, così come per lavorare: bisogna strisciare, trafficare, tradire, ingannare e falsificare.
Per il ricco nullafacente il lavoro (dei lavoratori) è il mezzo per vivere una vita facile. Per i lavoratori è un peso di miseria, una sventura imposta dalla nascita che impedisce loro di vivere decentemente.
Quando smetteremo di lavorare, allora la vita inizierà.
Il lavoro è nemico della vita. Un buon lavoratore è una bestia da soma con le mani incallite e con uno sguardo abbruttito e vuoto.
Quando l’uomo diventerà cosciente della vita non lavorerà più.
Io non pretendo che basti semplicemente lasciare il proprio padrone domani e vedere poi come riuscire a mangiare senza lavorare, convinti che la vita cominci. Essere costretti a vivere nella miseria è già una grossa sfortuna, ma ancor di più se il risultato è – come capita nella maggior parte dei casi -vivere alle spalle degli altri compagni che lavorano.
Se sei capace di guadagnarti da vivere rubando – come dicono i cittadini onesti -, senza farti sfruttare da un padrone, va bene; ma non credere così di avere risolto il problema.
Il lavoro è un male sociale. Questa società è nemica della vita ed è solo distruggendola, e distruggendo poi tutte le società del lavoro bestiale che seguiranno – vale a dire fare rivoluzione su rivoluzione – che il lavoro sparirà.
E’ solo allora che verrà la vita – la vita piena e ricca – nella quale ciascuno sarà portato per proprio istinto a creare. Allora naturalmente ogni uomo sarà creatore e produrrà unicamente quel che è bello e buono, cioè quel che è necessario.
Allora non ci saranno più uomini-lavoratori, ognuno sarà uomo; e per il bisogno vitale dell’uomo, per necessità interiore, ognuno creerà in modo inesauribile quel che, con dei rapporti sociali ragionevoli, serve ai bisogni vitali.
Allora non ci sarà altro che la vita – una vita grandiosa, pura e cosmica – e la passione creatrice sarà la più grande felicità della vita umana senza costrizioni, una vita dove non saremo più ricattati dalla fame o da un salario, dal tempo o dall’ambiente, e dove non saremo sarà più sfruttati da parassiti.
Creare è una gioia intensa, lavorare è una sofferenza intensa.
Con i rapporti sociali criminali di oggi, non è possibile creare.
Ogni lavoro è criminale.
Lavorare è collaborare al profitto e allo sfruttamento; è collaborare alla falsificazione, all’inganno, all’avvelenamento; è collaborare ai preparativi della guerra; è collaborare all’assassinio di tutta l’umanità.
Il lavoro distrugge la vita.
Avendo compreso ciò, la nostra vita assumerà un altro significato. Se lo sentiamo in noi stessi, tale slancio creatore si esprimerà con la distruzione di questo sistema vigliacco e criminale.
E se per forza di cose dobbiamo lavorare per non morire di fame, in ogni lavoro che facciamo dobbiamo contribuire al crollo del capitalismo.
Se non lavoriamo per il crollo del capitalismo, lavoriamo per il crollo dell’umanità!
ECCO PERCHÉ noi saboteremo COSCIENTEMENTE ogni impresa capitalista. Ogni padrone subirà delle perdite per causa nostra. Là dove noi, giovani rivoltosi, siamo obbligati a lavorare, lì le materie prime, le macchine e i prodotti verranno obbligatoriamente messi fuori uso.
A ogni istante i denti salteranno dall’ingranaggio e le spatole e gli scalpelli si romperanno, gli attrezzi più indispensabili scompariranno e ci daremo i nostri metodi e i nostri mezzi.
Non vogliamo crepare a causa del capitalismo: ecco perché il capitalismo deve crepare a causa nostra.
Noi vogliamo creare come uomini liberi, non lavorare come schiavi: per questo distruggeremo la schiavitù.
Il capitalismo esiste grazie al lavoro dei lavoratori, ecco perché non vogliamo essere dei lavoratori e perché saboteremo il lavoro.
* Titolo originale: Werken is misdaad, Utrecht, 1924.
[Herman J. Schuurman (1897-1991) è stato uno dei cofondatori del gruppo De Moker (il martello, o meglio: la mazzetta) che riuniva giovani proletari liberamente organizzati attorno al periodico “De Moker, giornale d’agitazione per giovani lavoratori”. Il Mokergroep scosse il movimento operaio e libertario olandese per circa quattro anni, dalla fine del 1923 all’estate 1928. Si può considerare Il lavoro è un crimine come il loro programma. Prendendo parte a tutte le lotte contro il capitale e il militarismo, combattevano anche contro i partiti e i sindacati, considerati come elemento di freno piuttosto che di stimolo rivoluzionario. La storia non li ha smentiti.]
La traduzione dall’originale olandese è di Els e Toni, Amsterdam 2007, Edizioni Atemporali, Bologna 2007.
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