In effetti, parrebbe di sì. Nel capoluogo ligure una corte di giustizia ha da poco condannato due anarchici ad una decina d’anni di prigione per aver azzoppato nel maggio del 2012 l’amministratore di un’industria nucleare.
Sempre a Genova, qualche anno fa, una corte di giustizia ha condannato alcuni ribelli (anarchici oppure no, non ha importanza) ad una decina d’anni di prigione per aver partecipato nel luglio 2001 agli scontri contro il G8. Con i secondi la “dea bendata munita di spada” si è accanita un po’ di più, ma a differenza dei primi non usufruivano degli sconti di pena previsti per il rito abbreviato. Comunque sia, a conti fatti, non c’è una vistosa differenza.
Lo Stato non fa differenze quando si tratta di suoi nemici dichiarati. Che in mezzo a tanti altri manifestanti spacchino vetrate di banche e lancino sassi contro le forze dell’ordine, o che da soli facciano fuoco contro manager dell’atomo, fa lo stesso. Sono comunque colpevoli di rivolta, di non sottomissione. Soprattutto, sono ritenuti colpevoli di averlo fatto consapevolmente, di non essersi ritrovati per caso – mascherati e con qualche strumento in mano – sotto quella casa di un nemico, o in quei vicoli blindati.
Incredibile? Chissà se la repressione riuscirà laddove anni di mancati dibattiti interni al movimento hanno fallito. Nell’insinuare qualche dubbio in coloro che pensano di poter stilare una classifica di merito per gli atti di rivolta, di poter decretare una discriminazione fra rivolta collettiva e rivolta individuale, a partire unicamente dalla quantità del prezzo da pagare. Che costoro riflettano sulle due sentenze di Genova. Poi, se vorranno insistere nel sostenere che ci vuole assai più coraggio ad agire in pochi che in tanti, che cambino almeno argomentazione.
Speriamo solo di non dover aspettare la repressione per fare piazza pulita anche di un altro nefasto luogo comune, analogo al primo: ovvero che nella rivolta questo merito esiste, questa discriminazione è sensata, ma debba andare di pari passo con la quantità dei suoi protagonisti. Come se la guerra alla società non dovesse permettere la libera espressione di ogni attitudine e predisposizione individuale, come se al suo interno ciascuno non potesse scegliere la posizione a sé più congeniale.
Passeggiate nella notte o marce sotto la luce del sole, scatti solitari o discese in gruppo… è solo questione di gusto, predisposizione, attitudine. Per altro, immutabile o alternabile a seconda di mille influssi e circostanze. La sola cosa che ai nostri occhi fa la differenza è la prospettiva: è il punto di vista a rendere la sensazione del volume, della profondità, della distanza, del rilievo di ciò che percepiamo.
Null’altro.
[6/12/13]
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