Qualsiasi tentative di comprensione della vita cultural e sociale in Kurdistan deve fare i conti con una realta’ di Guerra profondamente diversa da come noialtri anarchici speriamo sia una situazione di rivolta estesa e capillare. Con il potere dei clan familiari, l’ideologia collettivista marxista del partito dei lavoratori kurdi (PKK) e l’onnipresenza della religion islamica, non c’e’ mai stato spazio per la liberta’, l’autonomia e l’azione dell’individuo nella societa’ kurda.
La resistenza al colonialism turco ed alla sua repression, che si manifesta dal controllo dell’apparato scolastico e lavorativo fino all’occupazione militare, e’ stata sempre organizzata nei termini di un intero popolo (di venti milioni di persone) che si contrappone alla forza di uno Stato. Nella semplicita’ che tale vision prevede sono state spesso inevitabili tendenze populiste quail il continuo riferimento alla identita’ kurda, , l’attendismo nell’azione a causa della complete fiducia nella pratica della guerriglia d’avanguardia ed il ruolo simbolico ed egemone della figura del “grande capo” Ocalan. Ma la sensazione che un viaggio in Kurdistan mi ha dato e’ stata quella di una situazione in continua evoluzione e soggetta a profondi cambiamenti. Dall’indipendentismo ad una concezione di organizzazione sociale meno centralizzata, passando dall’esistenza di forme d’azione autonome dale decisioni dei quadric del partito di guerriglia, fino alla uscita di scena del dibattito politico di Ocalan che, sia per la sua situazione di estremo isolamento carcerario sia per una sua volonta’ , ha smesso di farsi vivo da quasi un anno pronunciando la parole “ Apo e’ in ognuno di voi, dovete imparare a lottare senza la mia guida”. Mi e’ sembrato insomma che il Kurdistan soffi un vento nuovo, che apre delle possibilita’ notevoli. Il “risveglio” della primavera annunciate dalla rivolta che si e’ generalizzata a fine marzo in tutto il Paese auspice una nuova stagione di lotta per la liberta’ di questo popolo abbandonato a se stesso.
Non voglio soffermarmi sulle macro-operazioni di guerriglia del PKK, oppure sulla descrizione dell’organico regime fascista turco. Nonostante la pelese differenza tra il Kurdistan e qualsivoglia landa occidentale, voglio tentare di abbozzare la descrizione di un piccolo scenario di ribellione irto di contaddizioni che puo’ essere utile per comprendere fino a quando si puo’ estendere la rivolta in una citta’, facendola perdurare pur garantendo la sopravvivenza della condizione cittadina. Tra le situazioni che piu’ mi hanno colpito vi e’ sicuramente il clima di “ordinario sconvolgimento” che si respire nella citta’ di Yuksekova. Anche se la vera forza della resistenza kurda sono le montagne e i piccolo villaggi, questa citta’ tenta di organizzare una resistenza perenne che non puo’ che mutare l’ordinario asetto delle sue case e delle sue strade, piu’ che nella militarizzata Dijarbakyr e nella Van semidistrutta dal terremoto e lasciata a se stessa. Situata tra le montagne nell’angolo di confine tra l’Irak e l’Iran, questa citta’ vive d’inverno sotto occupazione militare (poiche’ i guerriglieri sono bloccati in montagna dalla neve, oppure ritirati nel nord dell’Irak), mentre periodicamente d’estate, quando i mezzi corazzati dell’esercito vengono scacciati mano a mano tramite operazioni di guerriglia o piu’ semplicemente dale Molotov e dai sassi dei ragazzi, l’amministrazione della citta’ passa sotto controllo di guerriglieri armati che pattugliano le strade. Dei suoi centomila abitanti sono spariti negli ultimo anni nelle galere turche almeno duemila persone, fra i ragazzini di quindici anni arrestati durante gli scontri con la polizia fino agli anziani piu’ legati all’amministrazione del partito kurdo per la pace e per la democrazia (BDP), il quale continua a raccogliere praticamente il 100% dei voti. E’ come se mancasse un’intera generazione. La maggior parte di chi ha fra venti anni e trent’anni, se non e’ in galera, e’ sulle montagne fra i guerriglieri. Chinque si mette troppo in mostra con la attivita’ politica e sociale, viene arrestato in nome dello stato di emergenza permanente che vige in Turchia da un paio d’anni, e che ha permesso di gettare in galera con l’accusa generic di terrorismo migliaia di kurdi. Chi viene arrestato a Yuksekova viene deportato in galere sparse in tutta la Turchia, e continuamente spostato per garantire l’isolamento dai familiari. D’altronde, il carcere di Yuksekova non esiste. La giustizia viene amministrata dal BDP che agisce a seconda del caso tramite pene pecuniary, punizioni fisiche e espulsioni dalla regione. Spesso, comunque, si resolve la situazione in maniera sommaria ma diretta, senza intermediary (ad esempio, un pestaggio del malcapitato da parte di chi ha subito il torto e dai passanti). Le rapine sono comunque rare, poiche’’ le uniche due banche regolano in maniera digitale perlopiu’ i soldi da spedire ai prigionieri, ed anche perche’ la classe kurda piu’ agiata sbandiera spesso e volentieri la morale musulmana del divieto di rubare. Per quanto riguarda alter attivita’ “illegali” per lo Stato turco, la citta’ viene palesemente di contabbando dall’Iran e dall’Irak. Agli angoli delle strade si vende benzina e taniche, mentre l’eroina viene venduta in grosse quantita’ e smerciata in Europa, per evitare la tossicodipendenza locale. D’altronde, le fabbriche sono rarissime, i lavori statali sono solo per chi ha scelto la strada del compromesso. La maggior parte della gente campa di pastorizia e di mercato. La gestione pubblica della cittadina viene garantita da uomini del BDP, che non si curano troppo di aggiustare i lampioni delle strade (vengono sistematicamente rotti dai giovani), di spalare la neve, o gettare l’immondizia un po’ piu’ distante dal confine della citta’.
La stragrande maggioranza dei cittadini e’ allacciata abusivamente alla corrente elettrica, e non paga una lira di tasse. Le case sono grigie, spesso un po’ rafforzate e diroccate, ma, a differenza delle alter citta’ kurde, i muri si colorano di qualche scritta.
Non sono le immagini dei prigionieri baschi ne’ i murals palestinesi, poiche’ lo Stato turco ha particolarmente cura nel remrimere qualsiasi esternazione simbolica o estetica di ribellione. L’orribile faccione di Ataturk unificatore della Turchia deve essere presente ovunque, altrimenti non puoi aprire la tua bottega. Le scuole turche, circondate dal filo spinato, sono le scuole per la formazione dei giovani turchi, fra inni nazionali e parate patriotiche. Sembra che i kurdi abbiano imparato a non fare attenzione a questa “repression culturale”: nessuno sembra curarsi della possibilita’ che tale indottrinamento possa nuocere alle giovani menti. Ma se la vita per chiunque manifesti troppo palesemente la propria urgenza di rivolta e’ soggetta ad ogni soppruso ed angheria immaginabili, anche la vita per i military asserragliati nelle caserme limitrofi e’ certamente dura. Nessuno vende loro pane e vettovaglie, che vengonom portate in elicottero da un altro centro distante venti chilometri. Una jeep che si azzarda a pattugliare la starda principale ogni note viene presa a sassate dallo stesso gruppetto di ragazzini, tutte le sere, dall’inizio dell’inverno. I ragazzi turchi chef anno la leva preferirebbero essere al caldo, invece di essere sepolti dalla neve, mentre le squadracce speciali military sogghignano beffarde e sadiche, ad ogni sintomo di reazione durante un check-point. Sono composted a kurdi orfani di cui lo Stato gentilmente si prende cura per farne machine da Guerra. Per il resto, Yuksekova e’ una citta’ maledettamente normale, con la sua lotta fra le bottegucce di quartiere e i centri commerciali, e la lotta soffusa tra ricchi e poveri che nessuna “unita’” in norme dell’obiettivo commune. Potra’ mai fermare.
Ma le continue manifestazioni per i martiri, contro i vari accadimenti repressive della regione e contro le operazioni military turche interrompono spesso e volentieri la monotonia delle giornate di mercato. Non mancano gli scontri in starda con la polizia, come nei giorni di Newroz, la festa popolare kurda della primavera. Quest’anno le donne che si erano agghindate per l’occasione si sono dovute presto ricredere: non si sarebbe ballato ne’ fatto festa, cosi’ si sono tirate su le sottane, afferrando grossi sassi e intonato canzone della guerriglia. Fin dalla mattina, infatti, i military hanno volute rendere concreto il divieto di qualsiasi assembramento in citta’. Le arterie principali sono state occupate da tank e gipponi, sono stati arrestati alcuni fra i rappresentanti piu’ autorevoli delle associazioni dei giovani e del BDP, ed e’ iniziato il lancio di lacrimogeni verso qualsiasi essere umano in circolazione. La gente, intanto, conoscendo i quartieri a menadito, si riuniva nelle starde piu’ vicine a casa per muoversi assieme, ergendo barricade, scappando ai primi lacrimogeni per poi subito dopo riprendere posizione. Nessuno ha la maschera antigas per paura di perquisizioni preventive, ci sussurrano che un ragazzo si e’ preso sette anni per un limone in tasca. Intanto nella parte piu’ in collina della citta’, dove le casupole creano un dedalo fatto fatto di continui saliscendi, schiere di ragazzi bardati, pronto, con i sassi in mano, si posizionano sui tetti di argilla delle case. Qualcuno fad a esca, gli altri attendono trepidanti il passaggio dei gipponi. L’arrivo di alcuni solidali italiani e’ motive di euphoria, stupor, si urla. E si battono le mani. Ma la voce tonante di qualche madre fa ricordare il fratello in galera, non stare li’ senza far nulla, riprendi il tuo sasso e vai Avanti. E’ ormai sera quando gli scontri terminano. Qualche gippone, impantanandosi o retrocedendo alla rinfusa, se l’e’ vista brutta. Un altro sbirro c’e’ rimasto secco da un colpo di Kalashnikov. Tutti si riuniscono in piazza per sparare in aria, ballare e urlare. Sopra tutti, svetta un anorme palo pieno di tellecamere. Dopo vari tentative, si resolve sparando all’indirizzo degli occhi elettronici e ponendo una bomba alla base del pilone, che lo fara’ cadere in un boato di risate e applause.
Il partito kurdo BDP e’ un calderone in cui ribollono le diverse anime della resistenza kurda. Semplicisticamente, si puo’ affermare che non e’ altro che la facciata legalitaria del PKK. I villaggi limitrofi, nonostante l’affiliazione al partito, hanno dei consigli autonomi. Anche in vari quartieri di Yoksekova vi sono assemble slegate dalla direzione della sede central. Parlando coi giovani e i vecchi, sembra che tali assemble tentino di far rinascere una nuova generazione di combattenti kurdi, in maniera tale da non far esporre troppo i giovani che dimostrano charisma e autorevolezza, e tentando di rendersi indipendenti dal potere dei piu’ esperti. Ma c’e’ ancora tanto da fare. I ragazzi piu’ giovani ripetono incensantemente “Viva Apo” “Viva il Kurdistan” come un disco rotto, per via del rispetto verso i piu’ grandi, e della volonta’ di difendere quell poco che hanno. Mi chiedo cosa provocherebbe, da queste parti, una presenza anarchica nello svescerare la repression familiar e religiosa, e nel contrapporre all’ideologia della massa l’etica dell’individuo. Di certo, comunque, una volta tanto apologie della violenza rivoluzionaria.
[estratto da INVECE, mensile anarchic n. 15, maggio 2012]