La lotta…

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CON LA CROCE ROSSA LO STATO RINCHIUDE E DEPORTA GLI IMMIGRATI SALVANDO LE APPARENZE.

«La lotta paga», a volte, non è solo uno slogan. Si lotta perché è giusto, intanto, spesso perché si hanno le spalle al muro, o ancora perché si inseguono sogni belli e li si vuol rendere veri. Ma la lotta può pure migliorare immediatamente le condizioni di vita e spezzar le catene. È il caso di questi giorni in corso Brunelleschi dove, dopo gli incendi di domenica, non c’è più posto per tenere i prigionieri. E visto che pure negli altri Centri italiani son messi male e non c’è modo di effettuar trasferimenti, giorno dopo giorno, l’Ufficio immigrazione è costretto a liberar qualcuno: in sordina, perché non si sparga troppo la voce che per conquistarsi la libertà non serve aspettar le mene dei consigli comunali e dei sottopifferi ministeriali. I primi tre già lunedì, altri tre martedì, altrettanti ieri e uno oggi: sono una decina i prigionieri usciti dal Centro dal giorno della sommossa, e non è poco in proporzione viste le dimensioni cui si è ridotto il Cie negli ultimi mesi.

 

E intanto che preparate pentole, fischietti e miccette per far più baccano possibile questo sabato di fronte alla sede della Croce Rossa, ascoltatevi queste quattro chiacchiere intorno all’appalto per la gestione del Cie di Torino fatte con Davide Cadeddu – l’autore del volume “Cie e complicità delle organizzazioni umanitarie” – sulle frequenze di Radio Blackout:

macerie

 

Appunto, fuoco ai Cie

Belle notizie, questa sera, dal Cie di corso Brunelleschi. Poco prima delle dieci i prigionieri sono riusciti ad appiccare degli incendi in cinque camere dell’isolamento e in tutti gli stanzoni dell’area gialla, contemporaneamente. Non sappiamo ancora quali sono i danni esatti alle strutture, ma la polizia è stata obbligata a sgomberare l’isolamento e a tenere i reclusi dell’area gialla in cortile. Poco dopo l’inizio degli incendi, di fronte al Centro si è radunato un grosso presidio: una settantina di persone per venti minuti di slogan e battiture e i reclusi hanno pensato bene di portarsi avanti ancora un po’ con il lavoro, appiccando incendi anche nelle camere dell’area bianca. Anche in questo caso la polizia, che è fortemente sottonumero e che in questi giorni non riesce neanche a star dietro all’ordinaria amministrazione nella vita del Centro, si è limitata a lasciar la gente nel cortile senza provare, per ora, alcuna mossa repressiva. Adesso come adesso dentro il Cie di Torino rimane intonsa esclusivamente l’area verde: tutte le altre sono mezze chiuse o pesantemente danneggiate. Alla faccia di chi pensava che per liberarsi sempre di più dei Cie si dovesse aspettare Bubbico, la Kyenge o qualunque altro prestigiatore in giacca e cravatta di un Ministero o di un Consiglio comunale qualsiasi.

 

Ascolta un racconto della serata, registrato giusto alla fine del presidio:

 

Aggiornamento 10 marzo. I prigionieri delle due aree bruciate hanno passato la notte nel campetto da calcio, all’aperto, giacché poliziotti e crocerossini non sapevano dove sistemarli. Ora continuano ad essere tenuti all’aperto.

 

macerie @ Marzo 10, 2014

Scabbia, bocche cucite, ipocrisie

È bastato che il TG2 mettesse in onda un breve video girato a metà dicembre nel CSPA di Lampedusa per far tornare alla ribalta sui media nazionali la questione dei senza-documenti e delle loro condizioni di detenzione nei diversi Centri sparsi per il Paese. Come tutti sapranno, dieci giorni fa veniva trasmesso un breve video che riprende una procedura di disinfestazione anti-scabbia, con alcuni richiedenti asilo costretti a spogliarsi davanti agli operatori per essere innaffiati da una soluzione disinfettante. Crediamo che quest’ultimo scoop non sia nulla di sconvolgente, soprattutto per chi in tutti questi anni ha avuto il fegato di guardare le foto e i video usciti dai Centri per senza-documenti. Se nei CIE non venissero sistematicamente distrutte le telecamere dei cellulari dei reclusi, ne avremmo viste anche di peggio. E comunque nonostante la censura preventiva imposta dalla Polizia e dai gestori dei Centri, in tutti questi anni non sono mancati video e foto pieni di sangue, con corpi tagliati e pestaggi di polizia e militari, bocche cucite, senza dubbio ben più scioccanti dell’ultimo video arrivato da Lampedusa. Eppure questa volta è scoppiato il caso. Sarà che proprio in quei giorni cadeva l’inutile celebrazione della Giornata internazionale del Migrante, sarà che la situazione dei Centri per senza documenti non è delle migliori e sono passati pochi mesi dalle ultime grandi rivolte di Gradisca e Milano, sarà che la macchina delle espulsioni è in ristrutturazione e gli interessi in ballo sono tanti, sta di fatto che in pochi giorni si è letto e sentito di tutto. Siamo sicuri che questa nuova bolla si sgonfierà in breve tempo, e presto si parlerà d’altro, ma vale pur sempre la pena di fare qualche considerazione.

 

Tra le tante inchieste giornalistiche pubblicate in questi giorni, alcune tra le più interessanti sono senza dubbio quelle riguardanti il business dell’accoglienza e della reclusione dei senza documenti. Cooperative rosse e bianche, Croce Rossa, Misericordie, tutti in competizione per spartirsi la torta milionaria degli appalti per la gestione dei Centri sparsi nel Paese. Una competizione fatta di gare d’appalto al massimo ribasso, amicizie politiche influenti e un uso sapiente della pubblicità, diretta e indiretta, offerta dai mass media. Ed è proprio in questo che i giornalisti, più o meno consapevolmente, giocano il proprio ruolo.

 

Il caso Lampedusa è ancora caldo, sono passati solo tre giorni dallo scoop del TG2, e Susanna Camusso, segretaria della CGIL, fa visita al CARA di Bari, accompagnata dai pezzi grossi della cooperativa che gestisce il Centro. In prima fila c’è Angelo Chiorazzo, presidente della Auxilium, fervente cattolico, con amicizie altolocate e una platea piuttosto variegata di ammiratori: sindacalisti, politici di ogni colore, vescovi, funzionari ministeriali e rinomati poeti. L’Auxilium, lo ricordiamo, gestisce oltre al CARA di Bari anche due CIE, quelli di Roma e Caltanissetta.

 

L’occasione è ghiotta, da più parti si chiede di rivedere i meccanismi di assegnazione della gestione dei Centri, e Chiorazzo ne approfitta per per farsi un po’ di pubblicità conversando con i giornalisti. In un’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire si dice indignato per «l’oscena procedura» della disinfestazione. Nei Centri gestiti dall’Auxilium la scabbia non c’è, tutti vengono trattati con dignità, tutto fila liscio e reclusi, operatori e polizia vanno d’amore e d’accordo. Ha una bella faccia tosta Chiorazzo, perché sa bene che la realtà è un ben diversa. Sa benissimo ad esempio che nei giorni precedenti, precisamente il 10 e il 15 dicembre, ci sono state due rivolte nel CIE di Caltanissetta, gestito proprio dall’Auxilium. Insomma, sa benissimo che anche nei Centri gestiti dall’Auxilium la situazione è bollente, anche se le notizie di questo tipo vengono nascoste nella cronaca locale. Ma per sua fortuna il giornalista dell’Avvenire non sa di cosa si sta parlando e non fa domande scomode, e l’immagine dell’Auxilium per il momento rimane immacolata.

 

Quello che non sanno, Chiorazzo, la Camusso e il loro servizievole intervistatore, è che di lì a poco si sarebbe rovinato tutto. Non passano neanche 48 ore e anche il CIE di Roma diventa un caso nazionale. Per protesta alcuni reclusi decidono di cucirsi la bocca. In tanti si precipitano a far visita nel Centro, per capire cosa stia succedendo: politici, amministratori, giornalisti, garanti dei detenuti. A Ponte Galeria non ci saranno le oscene procedure della disinfestazione anti-scabbia, ma in poche ore la protesta si allarga: altri reclusi decidono di cucirsi la bocca, altri ancora iniziano uno sciopero della fame e delle terapie, e iniziano a raccontare quale siano le condizioni di vita nel Centro romano.

 

Da parte sua, inizia a strillare anche Angelino Alfano, “indignato” come tutti in questi giorni. Annuncia che il consorzio Sisifo, ente gestore del CSPA di Lampedusa, verrà buttato fuori a calci nel sedere dall’isola per far spazio alla Croce Rossa, vista la sua «indiscussa capacità e assoluto prestigio internazionale». Un segnale, dice, per inchiodare gli enti gestori alle proprie responsabilità e per far finta, senza dirlo, che al Ministero nulla si sapesse dei metodi un po’ spicci della profilassi isolana – come se poliziotti e militari di stanza al Centro durante le operazioni di disinfezione siano sempre stati… voltati da un’altra parte. La Lega delle Cooperative, intanto, difende come può il suo affiliato Sisifo e prova a ributtare maldestramente la palla delle responsabilità sul Governo – come se i suoi operatori fossero stati sempre voltati da un’altra parte quando invece ad entrare in azione erano militari e polizia.

 

Ma anche per Alfano e la sua sicumera intorno all’«indiscussa capacità e assoluto prestigio internazionale» della Croce Rossa c’è qualche intoppo. Ad aprire le danze ci pensa un giornalista di La Presse, che intervista alcuni avvocati dei migranti reclusi nei Centri di Milano e Torino, gestiti dalla Croce Rossa, insistendo in particolar modo sulla questione degli psicofarmaci somministrati per sedare i reclusi e prevenire le rivolte. A difendere l’operato della Croce Rossa di Torino ci pensano i presidenti regionali e provinciali, il noto Calvano e il più sconosciuto Giardino, che bollano come «follia» le affermazioni degli avvocati. Non contento, il giornalista intervista anche una suora che da anni è impegnata come volontaria nel Centro di Torino, Suor Lidia. E così si scopre che la suora «vorrebbe contribuire alla chiusura dei CIE», anche perché in tutti questi anni ha visto di tutto: reclusi inebetiti dagli psicofarmaci, tentativi di suicidio e anche cose peggiori, addirittura «episodi gravi come quelli del video del Tg2 su Lampedusa». Ma lei ha continuato imperterrita il suo lavoro, perché ha la coscienza a posto: «Ho già fatto le denunce, ho fatto il mio dovere. E non voglio dire altro». Peccato che il suo “dovere di denuncia” in questi anni l’abbia fatto in silenzio – coprendo in questo modo l’operato della Questura e della Croce Rossa – e che si sia decisa a parlare ad alta voce solo ora che il clima generale sull’argomento è in bilico tra il “tutti contro tutti” e il “si salvi chi può”. Del resto, suor Lidia è una di quelle religiose che gli oppressi li ama solo se ne stanno mansueti a farsi bastonare: guai ai “giovani dei centri sociali”, che a suo dire istigano i reclusi «alla violenza, poi nelle rivolte succede di tutto e così li fanno finire al carcere delle Vallette». Un po’ la stessa tesi, quest’ultima, del giornalista-in-divisa Massimo Numa, che a Torino ha sempre difeso a spada tratta crocerossini, militari e questurini, intravedendo dietro ogni protesta la mano diabolica dei “centri sociali”. Giusto ieri, per l’ennesima volta, ha dato la colpa delle “tensioni” che percorrono periodicamente corso Brunelleschi agli “anarco-insurrezionalisti” dando poi generosamente la parola al suo amico Mauro Maurino – che effettivamente è un esperto di Cie, visto che è l’uomo Connecting People a Torino. Maurino, da parte sua, spergiura sull’«impegno, la buona volontà, l’onestà e la professionalità» degli operatori e scarica il barile delle responsabilità sui Consolati stranieri – che non timbrano alla debita velocità le pratiche e quindi fan girare a vuoto la macchina delle espulsioni.

 

Sta il fatto la descrizione di corso Brunelleschi fatta da suor Lidia è pesante – fatta da una suora, poi, e non dai soliti anarco-insurrezionalisti – e la dirigenza della Croce Rossa torinese è costretta a correre ai ripari con una goffa intervista nella quale garantisce che l’ente si attiene rigorosamente a quanto concordato con la Prefettura e che autolesionismi, tentativi di suicidio e rivolte alla fine sono robe di ordinaria amministrazione. E in effetti, l’intervista non fa in tempo ad uscire in edicola che la polizia di stanza al Centro bastona le recluse nigeriane facendo scoppiare l’ennesima rivolta.

 

Ragioneremo con calma su cosa ne potrà essere nel prossimo futuro dei Centri italiani – scompaginati dalla tempesta delle rivolte dell’ultimo anno e quindi da questa tempesta politica e mediatica. Ora vorremmo attirare la vostra attenzione sulle “responsabilità”, quelle responsabilità che da dieci giorni a questa parte ogni singola rotella della macchina delle espulsioni rimbalza sull’altra. E la risposta è la più semplice: le rotelle, sono tutte responsabili. Chi più chi meno, d’accordo, ma tutte. Croce Rossa ed Auxilium, Connecting People e Legacoop. Con loro è responsabile il Governo, senza dubbio, e anche chi al governo non c’è più direttamente ma la macchina delle espulsioni con tutte le sue oscenità ha contribuito a metterla in moto: e mica solo Bossi e Fini, ma anche Giorgio Napolitano e Livia Turco, che i Centri li hanno inventati quindici anni fa, e il povero Paolo Ferrero che ne ha fatto raddoppiare qualcuno anziché chiuderli come aveva promesso. E poi sono responsabili quei sindacati che a ogni Centro demolito grazie alle lotte dei reclusi han saputo solo piangere per i posti di lavoro andati in fumo e difendere a spada tratta i carcerieri. E poi è responsabile anche chi ha visto e ha taciuto, e poi ancora chi ha sempre mentito. Tutti questi sono i responsabili. Tutti.

 

 

 

Se avete ancora un attimo di tempo, vi consigliamo di ascoltare questa chiacchierata con Davide Cadeddu, l’autore di “Cie e complicità delle organizzazioni umanitarie”. Un libro piccolino ma molto denso, che ha il pregio di chiarire bene – al di là delle menzogne, delle mascherature ideologiche e dei giochi di parole dei vari Calvano, Maurino e Chiorazzo – quale è il ruolo delle “organizzazioni umanitarie” nella macchina delle espulsioni in Italia.

macerie @ Dicembre 25, 201

 

CIE E COMPLICITÀ DELLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE

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Descrizione

 

 

In Italia, in tredici Centri di Identificazione ed Espulsione sono recluse oggi migliaia di persone – nel 2012, 7.012 uomini e 932 donne – che hanno la sola colpa di essere migranti. Miliardi di euro vengono spesi per trattenere queste persone e poi espellerle, verso i Paesi dai quali erano faticosamente e onerosamente partite. Molti di questi soldi pubblici finiscono nelle tasche delle organizzazioni “umanitarie” che hanno accettato di gestire i CIE, ben sapendo che i dispositivi fondamentali sui quali questi non-luoghi sono costruiti sono gli stessi che hanno caratterizzato i campi di internamento storici, compresi i lager nazisti. Le frequenti manifestazioni di disagio dei reclusi nei Centri non lasciano dubbio alcuno sulle condizioni di vita al loro interno. E, d’altra parte, chiudere in gabbia delle persone che si spostano nel mondo non sembra in ogni caso una risposta accettabile. Questo libro vuole aprire una riflessione seria e non ideologica sull’istituzione CIE e invita ciascuno di noi a confrontarsi con la propria personale responsabilità riguardo alla loro esistenza.

 

 

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Davide Cadeddu (1974), educatore, insegnante e formatore. Vive a Torino, dove, negli ultimi 16 anni, ha promosso e coordinato progetti socioeducativi e formativi nell’ambito del lavoro di strada, delle tossicodipendenze, dell’aggregazione giovanile, dell’accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo politico; ha lavorato nella formazione professionale con giovani e adulti. Attualmente lavora come educatore in una comunità per minori. Ha dato vita all’Associazione Onda Urbana e al progetto “Tana Libera Tutti”, nel quartiere torinese di Porta Palazzo.

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isbn 978-88-89883-80-8

 

Euro 15,00 (iva inclusa)

 

formato 14 x 21

p. 128