Pier Leone Porcu
La giustizia è il belante agnello agitato come “capro espiatorio” sulla piazza alle torme di impotenti risentiti, nelle giornate di quaresima sociale. La giustizia è sempre quella orrenda maschera crocifissa che sta appesa alle pareti delle aule di tribunale. La sua è sempre e solo una vendetta presa sulla vita che ha voluto escluderla da sé. E’ una triste carnevalata che obbliga l’uomo che la insegue a farsi carceriere di una folla di sogni impossibili e di speranze inesaudite. E, nella finzione del giudice o dell’imputato, sottrae l’uomo alla febbre del vivere reale, per farne un essere ancorato a quel vitreo regno dell’immobile, del già fatto, del già divenuto, che è quel che è e più non muta. La giustizia è una bestemmia, un attaccar discorsi con lo sputo. La sua compattezza è limite generatore di un orizzonte: il codice penale come misura su cui si regge ogni ordine sociale. E due sono le forze che essa impiega per soffocare l’individuo: La legge e la morale.
Due prepotenze, per sottrarsi alle quali, all’individuo, gli si offrono due sole vie: la prima è quella della fuga, uno scampo, un ricovero nella pazzia,la seconda è quella dell’attacco aperto e violento della rivolta individuale contro l’ordine sociale istituito. Il giudice e il legislatore – se fossero uomini giusti e non carogne quali sono – dovrebbero a nostro avviso non imporre la propria giustizia a coloro che non accettano la pena. La legge, questa prostituta della morale dominante, è stata sempre oggetto di attacco da parte dei rivoltosi e dei refrattari ad ogni gendarmeria sociale. I giudici – da Mosè in poi – sono i guardiani della convenzione e dell’ordine sociale dominante e puniscono i ribelli con tutte le armi a disposizione della legge. L’anarchico è un uomo così giusto che arriva a non riconoscere più la giustizia; il giudice, uomo non giusto dinanzi al criterio naturale che ogni uomo attribuisce al suo senso del giusto, ma giusto dinanzi alla legge, determina, regola,soffoca, la vita degli uomini entro i limiti di una sola legge. Il giudice non ristabilisce il giusto su ciò che è stato violato, né mai risarcisce nessuno, ma pratica una forma codificata di quella che è ammessa come giustizia, vale a dire ciò che è permesso dalla legge. La giustizia è parcellare ed unilaterale, perché il suo senso del vero e del giusto è appesantito da una formula:la legge. Tutti coloro che sostengono la democrazia hanno come centro di orientamento la ragione sociale, e giudicano colui che non si ritrova allineato a tali ragioni come un corpo estraneo alla collettività (vedi banditi, i criminali, i pazzi e i rivoltosi di ogni specie). Tutto questo nasce dal fatto che essi, essendo degli integrati nel sistema di dominio, giornalmente si sottomettono a tutti i criteri sociali in uso, contenti di poter lapidare chi rifiuta di accettare quelle catene,non fucinate da loro, ma che pure brontolando internamente, anche loro trascinano. L’essere tutti caricati di pesi rassicura e li fa sentire uguali. L’uguaglianza nell’identità è data dalla loro rassegnazione alle leggi scritte e quelle non scritte: La morale. E la giustizia? La giustizia è un filo rotto tra le maschere e gli uomini. Questi non possono dar nulla a quelle, ed esse si rivelano per ciò che sono: Inutili pretesti scovati da disperati, che nella loro squallida e tormentosa esistenza hanno bisogno di oblio! Ridano allora, tra le lacrime, coloro che portano un cuore di cartone!
E voi?
Via quegli abiti, basta con quella carnevalata che obbliga tutti, coscientemente volontariamente, freddamente, alla finzione di rappresentare – con la coscienza di rappresentarla – questa opera di gendarmeria sociale. E giù nella vita, nella vita piena e vera, che è quella che non soffoca né crocifigge l’individuo insorto contro la legge e la morale.
Pier Leone Porcu