Roma, 11 marzo 1977
L’11 marzo tutta l’università di Roma era una fabbrica di bottiglie molotov. I compagni erano determinati a fare casino. C’erano le riunioni dei vari servizi d’ordine delle facoltà che descrivevano gli obiettivi. Il giorno prima a Bologna i carabinieri avevano ammazzato un compagno, Francesco Lo Russo, per cui la situazione era davvero pesante. Il concentramento era a Piazza Esedra. A un certo punto la gente che arrivava era talmente tanta che non ci entrava più. Migliaia di compagni erano arrivati da tutte le parti d’Italia con treni speciali, pullman e auto private. All’appuntamento alcuni erano arrivati con le loro bocce personali, però il grosso era già stato preparato e organizzato, e ricordo che l’indicazione era di preparare le molotov anche per quelli che arrivavano da fuori Roma. Alla fine, nonostante tutte quelle che sono state tirate, di bocce ne sono avanzate a quintali.
La polizia bloccava Via Nazionale, a intermittenza si alzavano i boati degli slogan contro il governo, la polizia e i carabinieri. Alle quattro del pomeriggio è iniziata la trattativa con la polizia per il percorso del corteo. Ovviamente la polizia aveva l’ordine tassativo di non farci passare nel centro della città. Alla fine il percorso viene concordato e il corteo parte imboccando Via Cavour. C’era una tensione indescrivibile, un clima cupo. La città era deserta, i negozi chiusi, il traffico era stato deviato. Ha cominciato a piovere, qualcuno dalle finestre dei palazzi ci lanciava giù dei sacchetti di plastica per ripararci. I servizi d’ordine delle facoltà erano in continuo collegamento tra loro, avevano delle moto, delle ricetrasmittenti, e noi eravamo guidati da loro, ci sentivamo in un qualche modo protetti, però nello stesso tempo anche espropriati di quella funzione militare che il 5 marzo avevamo potuto esprimere direttamente. A un certo punto il corteo si è fermato nel silenzio più assoluto per circa cinque minuti. Tutti erano tesissimi perché sapevano che sarebbe successo il casino. In quel momento un gruppone si stacca dal corteo e raggiunge Piazza del Gesù dove c’è la sede della DC presidiata dalla polizia. Sono partite le molotov e in risposta la polizia ha cominciato a sparare i lacrimogeni. Poi si sono sentiti dei colpi di pistola, delle urla, dei botti. Il fumo irrespirabile ha riempito l’aria e non si riusciva a vedere più niente, due poliziotti sono caduti feriti alle gambe. La polizia ha caricato con maggiore decisione e il corteo si è diviso in due tronconi. Botteghe oscure, la sede del PCI, era fuori dai nostri obiettivi, c’erano dei cordoni del servizio d’ordine del movimento che chiudevano l’accesso alla strada. Quelli del PCI avevano il loro, ma non c’è stata nessuna frizione, anche perché hanno capito che con l’aria che tirava non era proprio il caso. Dentro loro erano sicuramente pronti, però fuori stavano in pochi, di quelli con la faccia giusta, insomma i pistoleros. A piazza Argentina vengono alzate le barricate e da questo momento gli scontri e le sparatorie si susseguono in tutto il centro per ore e ore. Il troncone principale passa davanti al Ministero di Grazia e Giustizia. Partono altre molotov e scambi di colpi d’arma da fuoco con i poliziotti asserragliati all’interno.
Sul Lungotevere i due tronconi del corteo si sono ricongiunti e nel percorso verso Piazza del Popolo è successo di tutto. Non è rimasta praticamente una vetrina in piedi, sono stati attaccati due posti di polizia, l’ambasciata cilena al Vaticano, la redazione de “Il popolo”, la sede della Gulf, un numero imprecisato di banche, una concessionaria della Fiat. La polizia stava dall’altra parte del Tevere, si preoccupava soprattutto di presidiare il carcere di Regina Coeli. Era già buio e contro il carcere sono partiti dei colpi d’arma da fuoco. Proprio in quel punto c’è stato l’assalto a una armeria, sono state portate fuori le armi, fucili e pistole. Vedo l’immagine di un compagno che esce dall’armeria con un fucile, lo carica, attraversa la strada, appoggia la canna sul muretto e scarica tutti i colpi contro il carcere che stava dall’altra parte del Tevere, lì di fronte.
C’era pure uno con un fucile da sub preso nella stessa armeria che ha tirato una fiocina in direzione della polizia che stava al di là del fiume. A ogni ponte si facevano le barricate e si tiravano le molotov a grappoli. C’era chi sparava ma anche la polizia sparava, sparavano un po’ tutti. Ci sono stati tantissimi feriti quel giorno, da tutt’e due le parti.
Sul Lungotevere c’era chi tentava di fare dei cordoni sui lati della strada per cercare di impedire che certi gruppi sfasciassero tutte le macchine posteggiate. C’era stata poi una polemica molto dura su questi fatti. C’erano forse centomila persone e tra questi c’erano anche quelli che sfasciavano tutto.
A piazza del Popolo l’aria era irrespirabile, la polizia non c’era, era un fantasma che rimaneva a distanza sparando ininterrottamente lacrimogeni. Dietro i muretti c’erano le fiamme che si alzavano. Un grosso gruppo ha dato l’assalto alla sede del comando dei carabinieri, hanno tirato un sacco di bocce e poi hanno cominciato a sparare colpi di fucile e di pistola contro la porta e il muro. Più in là è stato dato fuoco a un bar che era il punto di ritrovo dei fascisti.
(da “L’orda d’oro. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale”)