Volin
Di dove cominciare, amici? Si è tanto vissuto, tanto pensato, tanto provato durante questi anni tempestosi e sovrannaturali…. E come vissuto, come pensato, come provato! Con tutto il proprio cuore e tutti i propri pensieri, con tutti i propri nervi e la propria essenza, con tutto l’essere e con tutto il sangue… Da dove cominciare, amici?
Certamente, voi attendete da me molto di nuovo, molte cose interessanti e importanti, molte cose straordinarie. Voi cercherete in queste righe qualcosa di nuovo e di straordinario. Ma non sarò io costretto ad ingannare la vostra attesa? Non dovrò io disilludervi?
Io sono come un viaggiatore scampato miracolosamente ad una terribile tempesta e rigettato — abbandonato e spezzato — su rive straniere e inospitali, senza posto per riposarvi la mia testa e coprire la mia nudità, strappato dal passato e dalle cose della lotta e dai libri, i miei amici, e dagli amici: i lottatori… Tutto ciò che mi era sacro è stato spazzato dall’uragano, disperso dai venti, portato via dal torrente. Io stesso devo raccogliermi pezzo a pezzo per mettermi insieme…
Potrò io ora — abbandonato all’estero e privo di tutto — potrò dirvi parole nuove, parole necessarie, parole aventi un senso, parole che possano guidare il vostro pensiero verso una nuova via? Potrò io trovare in seguito tali parole? Potrò io aiutarvi a calmare la vostra sete spirituale? Potrò io toccare i vostri cuori per commuovervi?
Oh, bei sogni miei passati, forze mie non esaurite, parola mia non spenta! L’anima mia trabocca… E io so che devo dirvi tutto ciò che io ho visto e volevo dire prima; tutto ciò che io ho visto e compreso ora, tutto ciò che vive in me — da molto e molto tempo… Ma saprò, potrò, avrò io il tempo di costruire il mio altare e riaccendere la mia fiamma sacra?… Saprò io, amici, giustificare la vostra attesa?
Cominciamo coll’osanna alla grande tempesta. Cominciamo coll’osanna alla Rivoluzione!
Sì, io voglio dirvi il canto della vittoria. Io voglio che fra noi riecheggino incessantemente gli inni di gioia, gioia come non vi fu mai…
Perché, o miei amici, una grande vittoria è stata guadagnata dall’Anarchia!
— Vittoria? — Anarchia? Ciò vi stupirà. Ma, a vero dire, «è finita con la Rivoluzione. La Rivoluzione è spenta. La Rivoluzione non ha raggiunto il suo scopo, non ha dato la terra promessa… A vero dire, gli anarchici non sono stati all’altezza della situazione… Gli anarchici non hanno potuto impadronirsi delle circostanze… Gli anarchici sono vinti…». A vero dire — «ancora una vittoria come questa — è dell’anarchismo…».
Sì, sì… Io sento, io so… Non affrettatevi…
Non ho forse scritto io stesso, agli inizi della Rivoluzione, che se essa era condotta dalla politica, dall’autorità e dall’organizzazione di nuovi governi, non ne uscirebbe nulla di nulla? e la Rivoluzione — perirebbe di nuovo? Sì; e per noi tutto ciò non era chiaro ancora prima?
Ma non ho io forse allora scritto che l’azione — ahimè! — sarebbe menata sicuramente e inevitabilmente per questa via? Non ho io previsto l’inevitabile (più o meno prolungata) «vittoria», non della Rivoluzione, ma della sinistra, dei social-democratici, «rivoluzionari marxisti o bolscevichi»? Non ho io detto che come risultato della lotta politica — lotta per il potere — essi prenderebbero sicuramente il sopravvento e sarebbero al potere?
Io l’ho previsto, scritto, detto, con precisione e chiarezza.
Dunque, l’«insuccesso» degli anarchici e la «vittoria» dei bolscevichi non era per me né impreveggenza né disillusione. Io ho previsto ciò e altro. E tutto ciò che io ho visto nella Rivoluzione russa ha semplicemente confermato — chiaramente e nettamente — le mie concezioni e previsioni. (A proposito c’è da tener presente che questa concezione a priori della situazione è stata probabilmente una delle ragioni che mi hanno preservato di smarrirmi nella tempesta e di restare tal quale ero, mentre che tanti altri non lo hanno potuto fare…).
Riflettete ora seriamente sulla mia confessione.
Prevedere la «vittoria» dei bolscevichi, significava prevedere tutto lo sviluppo logico della rivoluzione «bolscevica».
Ciò significava prevedere che i bolscevichi trascinerebbero le masse, dominerebbero la rivoluzione, s’impadronirebbero di tutta la macchina governativa, formerebbero un Governo, stabilirebbero una dittatura di partito e di individui, installerebbero una polizia palese o segreta, Okhrana, censura, introdurrebbero l’inquisizione e il terrore, distruggerebbero la personalità, ucciderebbero l’iniziativa, riempirebbero le prigioni, schiaccerebbero tutto e tutti — e, naturalmente, si sbarazzerebbero degli anarchici…
E, infatti, io ho previsto l’inevitabile di tutto ciò.
Già, durante la Rivoluzione, i compagni peccavano concentrando esclusivamente la loro attenzione su fattori negativi parziali, coll’attaccare furiosamente e criticandoli, senza chiarire il fondo della questione, senza indicazioni chiare sulla stretta dipendenza logica di tutti questi fattori coll’insieme del cammino degli avvenimenti — della direzione presa dalla Rivoluzione.
I bolscevichi amavano citare questi esempi di critica minuta, per gridare ipocritamente contro le «critiche vacue», gli «attacchi demagogici vuoti» degli anarchici. Non occorre dire che essi desideravano ancora meno una critica d’insieme costante e chiara. Tuttavia, più d’una volta l’occasione era loro favorevole per queste accuse ipocrite, e essi le utilizzavano largamente.
Da un altro lato, spesso — e ancora adesso — gli anarchici, più o meno bolscevichi, assicurano, così come questi ultimi, che effettivamente sono cattivi gli individui, e gli esecutori, e le azioni parziali; che ci sono dei «difetti di meccanismo»; che questi «difetti» devono essere «superati dal di dentro», ecc., ma che tutto il meccanismo, nella sua interezza e nella sua generalità, era unicamente possibile, regolare, indispensabile e che bisognava giustamente così fare la Rivoluzione. Ed essi accusavano gli altri anarchici «incorruttibili» di cattiva volontà criminale; di non comprendere la situazione; di limitarsi ad una critica demagogica, di non aiutare l’Autorità sovietista colla propria partecipazione organica e a «combattere all’interno».
Qui si nasconde — occorre dirlo — uno dei grandi punti oscuri sui quali io dovrò fermarmi più oltre più particolarmente.
Io ho spesso avvertito i compagni che il loro metodo di critica è profondamente erroneo e sterile: per condurre a grandi risultati, la nostra critica deve sempre dare alle cose una chiarezza generale; essa deve porre la questione in tutto il suo insieme, essa deve nettamente indicare e sottolineare l’aut aut: o tutta la via, nel suo insieme, è realmente vera, unicamente possibile, storicamente indispensabile e allora ogni fattore negativo deve essere «adottato» da noi come un male temporaneo, del quale ci si sbarazza poi a poco poco; — o tutta la via, nel suo insieme, non è vera, non conduce allo scopo, non è storicamente indispensabile e non è unicamente possibile, e allora questa stessa via e tutti i fattori che le son legati sono stupidi, inutili, sterili, veramente smarrenti, pericolosi e inapplicabili.
La nostra critica — dicevo io sempre — deve chiaramente dimostrare che tutta la via «bolscevica» è interamente falsa, inutile, pericolosa, stupida, e perciò ch’essa mena inevitabilmente all’errore, e noi dobbiamo proprio qui stabilire un’altra via di rivoluzione. Non è che con questo mezzo che si può dare al pensiero critico la realtà degli avvenimenti.
Dunque, io ho sempre — avanti e dopo — proposto di porre e risolvere, e io stesso ponevo e risolvevo la questione — di tutta la via nel suo insieme con tutte le conseguenze logicamente inevitabili.
Delle concezioni che mi hanno permesso di esaminare la via seguita sino a oggi dalla Rivoluzione russa e le conseguenze disgraziate di questa via, in seguito supponendo questa via concretamente inevitabile, perché io non la credevo né vera storicamente indispensabile, e per conseguenza né consideravo necessario di non «combattere dall’interno» i suoi difetti, ma, al contrario, lottare idealmente con tutta l’energia contro tutta questa via; di tutto ciò io dovrò parlare in alcuni articoli, come in altri lavori, in relazione con le numerose questioni fondamentali e capitali del nostro movimento.
In questo momento, un’altra questione ci preoccupa.
Prevedendo l’uscita inevitabile della via bolscevica e le sue conseguenze, che potevo io sperare per l’Anarchia? Quali risultati, quali successi, quali prime «vittorie» potevo attendere per essa?
Io non potevo contare — e non ho contato fortemente, stabilmente che su una sola cosa: che la sincerità interiore dell’Anarchismo, il suo potere ignorato, la sua profonda verità verranno confermate ora chiaramente e definitivamente — brilleranno, infine, di luce viva. Con ciò, io speravo che l’ultimo muro nascondente il sole crollerebbe, che l’insuccesso delle idee politico governative, l’insuccesso del «comunismo marxista» sgombrerebbe e aprirebbe infine la via per una larga seminagione delle nostre idee anarchiche e, per conseguenza, per l’azione fruttuosa delle masse nell’avvenire. Io non attendevo di più per cominciare. Io non contavo per il momento su una grande vittoria.
Voi vedrete, in seguito, perché io pensavo così. Voi vedrete pure perché tutto ciò non mi ha per nulla impedito di adempiere sino in fondo il mio dovere d’anarchico e di rivoluzionario. Voi comprenderete bene allora perché ho messo con cura tra parentesi e l’«insuccesso» degli anarchici e la «vittoria» dei bolscevichi. E quanta chiarezza avrà e quale grande significato per le nostre deduzioni; altrimenti, non avrei naturalmente sollevato queste questioni.
Ma, sin da ora, dopo ciò che è stato detto: non avevo ragione di affermare che l’Anarchismo ha riportato una grande vittoria nella Rivoluzione russa?
Nel nostro ambiente — in Russia — si parla molto ora della «crisi dell’Anarchismo» e degli errori degli anarchici. Sono abbastanza diffusi, laggiù, i tipi «antichi» o «anarchici pentiti» che recitano il loro «mea culpa»; che si lacerano le loro vesti e che si coprono la testa colla cenere. Essi vagabondeggiano dappertutto con dei visi rattristati e con domande tragiche per le quali attendono invano una risposta dall’alto.
Di fatto, essi non hanno mai compresa la verità profonda dell’Anarchismo, non hanno mai avuto sotto i piedi una solida base anarchica e hanno perduto attualmente il debole bagaglio che essi possedevano altre volte. E, colti dai venti capricciosi della rivoluzione, questi «va e vieni» dell’Anarchismo ora si gettano nelle strette attraenti della Grande Peccatrice bolscevica, ora non arrivando sino alla stretta, rinculano, spaventati e delusi, e restano a mezzo la via; poi di nuovo accorrono verso l’Anarchia e di nuovo posano le loro domande incomprensibili.
Ora, io dirò apertamente: personalmente, io non vedo alcuna «crisi dell’Anarchismo». Si può parlare della crisi del «marxismo rivoluzionario», di cui il tentativo definitivo crolla attualmente con un furioso crack internazionale. I bolscevichi possono dire di essi stessi: «ancora una di tali vittorie e del bolscevismo non ne resterà nulla».
L’opera anarchica, per l’una o l’altra ragione, non si è ancora realizzata in questa rivoluzione e non ha dunque potuto condurre le idee né ad una incarnazione concreta di esse né alla sua crisi.
Oh! certamente, l’Anarchismo ha molto da apprendere nella rivoluzione russa. L’Anarchismo ha danni che esigono una riparazione, dei quadrati che attendono d’essere riempiti, dei vuoti che esigono delle sostituzioni. Nell’Anarchismo, c’è di che pensare, rivedere e rivalutare. (Sarebbe strano se ciò non fosse!). È inteso che la rivoluzione ha dato una forte spinta a questa opera di rivalutazione. Ma da ciò alla «crisi» ci corre di molto. Soli, i «pentiti», gli «ex» anarchici smarriti, impazzati possono posare questa questione di «crisi».
Dunque, io non vedo « crisi dell’Anarchismo». Ma indubbiamente esiste una «crisi d’anarchici» in Russia. Quest’ultimo fatto è affatto naturale. L’Anarchismo non vi perde troppo. Ancora una volta, sin dall’inizio della rivoluzione, mi è accaduto di supporre che — in relazione con gli eventi a venire — molti anarchici si turberebbero e lascerebbero. Ciò è realmente avvenuto. Ma, e allora e ora, io non trovavo e non trovo in ciò nulla di grave…
Certamente, gli anarchici sono stati, in molte circostanze, deboli, instabili, non preparati. Certamente, esistevano presso essi debolezze, errori e difetti. Ma ciò avveniva ugualmente e in maggior quantità presso i bolscevichi; insomma, non poteva essere diversamente; e, dopo tutto, non è una preparazione e una forza speciale che hanno condotto i bolscevichi alla «vittoria». Certamente, non vi si trovavano molti forti e energici. (In generale, vi sono pochi forti e energici sulla terra). Certamente, le circostanze hanno rappresentato una certa parte, e dovremo ancora parlarne… Ma, le cause della sterilità della rivoluzione consistono in ciò? L’Anarchismo si è demolito con ciò? La sua capacità di vivere è dimostrata?
E se gli anarchici si fossero dimostrati più forti, più energici, meglio preparati? Se essi non avessero commesso errori? Gli avvenimenti sarebbero terminati altrimenti? La rivoluzione avrebbe seguita altra via?
Certamente, no: le ragioni per le quali la rivoluzione ha seguito una via determinata — ragioni multiple e complesse — sono molto più profonde che la «non preparazione» degli anarchici e la «preparazione» dei bolscevichi. Ci rimane da approfondirle seriamente. Ho sottomano in questo momento una di queste ragioni — e non delle minori.
Le masse umane contemporanee (e salvo rare eccezioni di individui isolati) vivono ancora come dei fanciulli: esse non sanno, non possono guidarsi con giudizi, principi e idee astratte; esse non pervengono all’idea di vivere, di agire in una maniera o nell’altra, in virtù di queste o quelle prove o deduzioni ragionevoli; esse non studiano le concezioni teoriche, le scienze, i libri, i pensieri. E dove, quando e come possono le masse umane contemporanee aver il tempo necessario per educarsi, abituarsi, per imparare a vedere e agire secondo le concezioni del pensiero teorico e educativo? È già sufficiente se — sotto l’influsso del pregresso economico, tecnico e, in generale, sociale — è passato il tempo in cui le masse erano guidate dalla fede religiosa, fede cieca e ingenua. Ed è ancora lontano da noi il tempo in cui il libro diventerà il sovrano generale della vita, quando la massa si guiderà per mezzo della scienza pura, dell’idea pura, della previsione cosciente teorica. Oh, molto tempo prima di questa evoluzione dovrà realizzarsi la rivoluzione sociale che aprirà risolutamente le porte a questo nobile avvenire umano!
Attualmente, le masse hanno bisogno di lezioni vissute con le loro ricerche e con le loro lotte. La vita turbolenta, la pratica delle cose, l’esempio palpabile, l’esperienza diretta le educano. Sbattere colla fronte nel muro è una ammaccatura sulla fronte: ecco ciò che è convincente e istruttivo per le folle contemporanee… Non si può certamente cambiare rapidamente questo stato di cose.
Io osserverò, di passata, che in relazione alle capacità creatrici e organizzatrici delle masse, questa situazione non ha ragione — e che sarebbe un errore grossolano — risultato d’irriflessione — di ricavarne delle conclusioni pessimiste in rapporto all’anarchismo. Tratterò un’altra volta la questione della massa e la loro funzione nella rivoluzione.
Le idee anarchiche sono state spiegate, sviluppate, diffuse durante 40 anni — è vero, con difficoltà e non abbastanza largamente.
Gli anarchici hanno provato durante 40 anni, con una sorprendente chiarezza, che non uscirebbe nulla dall’esperienza d’una rivoluzione di partito politico-governativo e dal «Comunismo» di Stato conseguente. Ma, ahimè, senza esperienze vive, senza lezioni vissute e provate, le grandi masse non potevano conoscere la verità. Bisognava che, con l’aiuto di circostanze favorevoli — costrizione mostruosa, pressione violenta e ipocrisia — i bolscevichi facessero la loro esperienza storica, perché le masse, battendo colla fronte nel muro, cominciassero seriamente a capire tutta la debolezza, e la sterilità, tutto l’orrore d’una tale rivoluzione.
Sì, questa esperienza doveva assolutamente essere fatta in un paese o in un altro. Occorreva passare attraverso questa inevitabilità, attraverso questa esperienza. Questa lezione doveva essere fatta. E la Russia si trovava nelle migliori condizioni per questo.
Attualmente, questa esperienza è vissuta. Essa è dietro di noi, o amici. L’ultimo ostacolo è caduto. L’ultimo muro è crollato. L’ultima bestialità è messa a nudo. L’ ultima menzogna è denudata.
Come ci si doveva attendere, il treno governativo del «Comunismo» che ci sbarrava l’orizzonte, è uscito dalle rotaie e la via diretta verso lo scopo si è aperta ai nostri occhi. È vero che questa via è ancora ostruita dai rottami, dalle sudicerie, da gente storpiata, da cadaveri. Ma ora non ci sarà così difficile di sgombrare.
Ecco perché, o amici, io parlo della grande «Vittoria» dell’Anarchismo.
Certamente, non è che appena la prima vittoria, vittoria piuttosto morale che reale, piuttosto indiretta che diretta. Ma, tuttavia, è una vittoria. La vittoria seguente, reale, dell’Anarchismo non sarà più necessaria di dimostrarla. Essa parlerà per se stessa. Essa ci aprirà l’entrata nella terra promessa…
Dunque, avanti, avanti amici — bravemente, coraggiosamente, sicuramente. Al lavoro — ancora più arditamente, più amichevolmente, più gaiamente! Per il grande necessario e serio lavoro.
Sì, noi non siamo ancora arrivati alla terra promessa. Noi — gli umani — non ci siamo ancora mostrati degni di essa. Noi — anarchici — dovremo far molto ancora per raggiungerla. Ma noi abbiamo saltato oltre l’ultimo più grande ostacolo. Noi ci siamo avvicinati a codesta terra. Le sue linee ci sono nettamente visibili. E i nostri petti possono respirare più agevolmente. E i nostri cuori possono battere più liberamente.
E ecco perché io termino gridando:
Osanna alla Rivoluzione russa!
Osanna all’esperienza compiuta!
Osanna all’ultima bestialità umana, poiché essa c’era destinata!
Svizzera, 1922