da macerie
Questa lettera è di Andrea, che, trasferito da Ravenna a Torino in occasione del riesame, è rimasto qualche giorno alle Vallette, prima di tornare nel carcere romagnolo per poi essere trasferito ad Asti.
20/6/2014
Le Vallette
E di cosa volete che si parli in galera, due a due o tre a tre ben allineati, misurando a passi svelti la distanza tra un muro e l’altro del cortile? Di tribunali ed avvocati, di carceri ed indulti che non arrivano mai. E di poco d’altro: il resto è riservato alla penombra delle celle, quasi a voler rappresentare nella scelta ripetitiva del discorso la frattura dolorosa tra dentro e fuori. Fuori la vita ha toni e sfumature, orizzonti e mille cose da fare e da dire e da pensare; dentro la vita è carcere, solo carcere.
Infatti, giusto ieri mattina, nel cortile, pure io stavo parlando di galera come tutti, e mi trovavo a sostenere che, se proprio si deve finire dentro, meglio mille volte la prigione dove ci trovavamo in quel momento a passeggiare insieme che il carcere immenso della mia città. Galera per galera, spiegavo, qui almeno dal carrello si riesce a mangiare quasi benino e pure chi non ha i soldi per fare la spesa e cucinare in cella può tirare avanti senza rovinarsi troppo lo stomaco e l’umore: dalle mie parti invece, da quel che ricordavo e da ciò che mi era stato raccontato più di recente, col carrello ti servon merda, variamente condita e presentata, ma più o meno invariabilmente merda.
Ed è bastato nominarlo ieri in cortile, il carcere della mia città, per renderlo vero: sveglia presto questa mattina, «trasferimento!», ed eccomi qui alle Vallette.
Non so dire se sono qui solo «per giustizia» – una udienza in Tribunale e poi via al punto di partenza – o se alla fine mi abbiano «assegnato» vicino a casa come avevo chiesto, per cui non so neanche se la cella dove mi han ficcato tre ore fa sarà la “mia cella” per un po’ o solo un antro di passaggio. Nell’incertezza non mi spendo troppo in quelle piccole opere di ingegneria carceraria che si tramandano di detenuto in detenuto per rendere meglio abitabili le celle delle prigioni. Solo l’essenziale: uno stendino per le mutande fatto con mezzo sacco della spazzatura e due coltelli di plastica e poi una tenda per dividere la latrina dalla cella vera e propria, visto che non c’è una porta. Quindi mi metto a sistemare alla meglio vestiti, biancheria e carte. Dal disordine del sacco nero che mi fa da valigia spunta un avviso di chiusura indagini notificatomi da poco, per un episodio dello scorso dicembre. Mi siedo sullo sgabello e rileggo: si racconta di uno striscione appeso a una finestra, di un discorso al megafono e delle dichiarazioni di Mauro Maurino intorno ad una riunione di vertice della cooperativa che lui presiede interrotta per il trambusto fatto da me, da un altro compagno, e da numerosi altri rimasti ignoti. C’era stata qualche giorno prima la protesta di un gruppo di detenuti delle Vallette incazzati per la scadente qualità del cibo che la cooperativa “Ecosol” faceva servir loro sul carrello, e un bel gruppone di solidali aveva fatto propria la questione andando ad occupare la sede della cooperativa. Ma la “Ecosol” è una costola del consorzio Kairòs, il consorzio Kairòs è coinvolto fino ai denti nella storia infame dei centro per senza-documenti in Italia, e Mauro Maurino è il trait d’union tra il mondo delle cooperative torinesi e l’affare-Cie. Abituato a vedersi contestato, evidentemente Maurino si era precipitato in Questura per denunce e riconoscimenti non appena i manifestanti avevan levato le tende. Niente di grave, comunque: impilo la notifica con le altre carte e mi dedico a piegar le mutande.
La cella dove sono è una cella e ha le sbarre, ma la finestra è enorme e luminosa, e questo pomeriggio la collina sembrava là a portata di mano, con Superga ben piantata in cima. Sorrido con le mutande in mano, e sono di buon umore quando arriva il lavorante col carrello e mi passa la mia cena: un gran mucchio di carote grattugiate e, in mezzo, due polpette. Sono grosse e già fredde, e dal lato di una sporge di almeno tre centimetri un bastoncino sottile e bruciacchiato. Io qui dentro di tempo da perdere ne ho, per cui mi impegno e lo estraggo dalla sua sede, piano piano perché non si spezzi. Lo guardo da vicino: è un grosso gambo di prezzemolo, un po’ legnoso, lasciato intero con ancora due foglioline sulla punta. Lo guardo ancora e penso con un po’ di nostalgia alla cena di ieri sera, lontana da Torino: laggiù, le polpette sono addirittura buone e ti viene da fermare il carrello che si allontana per averne una seconda porzione. Mentre tento l’assaggio, poi, non riesco a togliermi dalla mente la notifica, la Ecosol e Maurino, e i ragionamenti di quest’ultimo sui Cie che non sono “giusti” ma che è giusto gestire lo stesso e sugli anarchici che con le loro lotte fan peggiorare le condizioni di vita all’interno. Penso alla giustizia e guardo le polpette, e mentre mastico quel boccone gommoso e insapore provo schifo, ma non so se per le polpette o per le parole di Maurino. Parole indigeribili anche per chi in un Cie non c’è mai stato, e pure per chi non è costretto a mangiarsi queste polpette della Ecosol dal carrello. O almeno penso io, che poi ognuno ha il senso di giustizia che si è voluto costruire, agghindato con eccezioni e distinguo buoni abbastanza da salvargli il sonno. Son sicuro però che alla fine dei conti, chiunque al mio posto avrebbe fatto una identica cosa, persino Maurino: quelle polpette le avrebbe buttate nel cesso come ho fatto io.
Andrea
Per scrivere a lui e agli altri arrestati del 3 giugno ancora in carcere:
Andrea Ventrella e Michele Garau C.C. Strada Quarto Inferiore, 266 – 14030, località Quarto d’Asti (Asti)
Paolo Milan e Toshiyuki Hosokawa C.C. Località Les Iles, 14 – 11020 Brissogne (Aosta)
Fabio Milan C.C. Via del Rollone, 19 – 13100 Vercelli
Niccolò Blasi C.C. San Michele strada Casale, 50/A – 15121 Alessandria
Zenobi Chiara e Alberto Claudio C.C. Via Maria Adelaide Aglietta, 35 – 10151, Torino