“Sognare ad occhi aperti”. Scritto di Carlos Lopez, el Chivo. -Con la testa alta (pronto) per quello che venga! Carlos López “Chivo”

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“Sognare ad occhi aperti”. Scritto di Carlos Lopez, el Chivo.

Oggi mentre aspettavo lo scorrere della lista da parte del mio carceriere ho cominciato a gustarmi una barra di cioccolato amaro.

Durante il tempo in cui la marionetta-custode compiva la sua routine ho chiuso gli occhi e ho cominciato a sognare ad occhi aperti; sono potuto uscire per un momento da questa realtà e mi sono immaginato libero e leggero, forte e deciso, con il petto gonfio di amore e desiderio di un mondo nuovo organizzato in un’altra maniera, funzionale per tuttx senza importare il genere nè l’aria geografica dove ci è toccato nascere e dove una barriera di cemento o filo spinato non interferisce nella fratellanza umana e non limita il libero transito di tuttx gli individui da una parte all’altra. Un mondo di persone autonome e libere da sè stesse, orizzontali, relazionate in una forma non competitiva ma invece secondo principi basici e fondamentali come il mutuo appoggio e la solidarietà.

Immagina un posto dove un sorriso valga di più di una fottuta opportunità di “progredire” (l’avanzamento di pochi in cambio del retrocesso di molti), dove tuttx gli individui si riconoscano capaci di prendere il controllo della propria vita e cosi avere la capacità di organizzarsi con i propri uguali per formare relazioni sociali senza strutture di potere.

Un posto in cui le persone scoppierebbero a ridere a crepapelle solo all’idea che esista la coercizione e la manipolazione da parte di alcune autorità imposte da un pugno di esseri con “certa” aria di superiorità di classe.

Immagina un mondo nel quale potrei camminare mano nella mano con la mia piccola figlia senza il timore di essere rubato da un poliziotto nè violentato per i risultati di qualche programma di “pace sociale” dettata da qualche politicante di partito.

Ho aperto gli occhi -ancora masticando cioccolato- ascoltando la voce del custode che mi nominava dalla sua lista e così sono tornato alla realtà, allo schifoso apparato di esclusione e isolamento chiamato carcere.

E cosi ho cominciato a riflettere sulla possibilità di fare di questa bella utopia una realtà e ho potuto notare che non basta desiderarlo/pensarlo e scriverlo, al contrario è necessaria l’azione, qui ed ora, cominciando da me stesso e non aspettando il “momento” adeguato…cominciando la distruzione…

Con molto affetto verso i compagni della Croce Nera Anarchica Messico per i suoi 10 anni di lotta.

Viva la Anarchia!

Cari amici, amiche, compagnx, scrivo con l’animo di salutarvi mandando un caloroso abbraccio a ognunx mi possa leggere e allo stesso tempo per condividere con voi alcune cose, cercando di “non far contentx” nessunx e forse con la voglia di generare un dibattito.

Vorrei dirvi che sto bene, però potrei esserlo vivendo nel carcere/società in cui ci troviamo tuttx? Mi sembra più adeguato dire che sto “normale”. Ebbene inizio questo comunicato, però perché scrivere un comunicato pubblico? Considero che è importante conoscere la situazione dei/delle nostre prigionierx (o dei/delle prigionierx come li si vogliano chiamare), come si sentono, come vivono l’incarceramento, anche perché altrimenti succede che mediaticamente si tergiversa l’informazione, si confondano le cose o incluso si diffondano menzogne -missione quasi esclusiva dei mezzi di comunicazione commerciali- e anche che alcuna gente diffonde informazioni in internet senza avere la sicurezza di quello che scrive.

I/le libertarie ci avvaliamo dei nostri mezzi, quelli alternativi, quelli che seguono da vicino la situazione dei e delle compagne recluse e informano pubblicamente; però allo stesso modo è importante che sia lo/la stessx prigionierx a manifestare il proprio sentire/situazione.

 

In questo senso vanno i miei comunicati, non per pretendere essere il “prigioniero di moda” o perché sono orgoglioso di essere stato privato della libertà. Orgoglioso di essere anarchico si, di essere prigioniero no. Infatti odio le carceri e sono convinto che la loro esistenza non ha a che vedere con la “reinserzione dell’individuo nella società”, piuttosto si tratta di un qualcosa di oscuro e perverso, di una tappa di castigo per chi non si adegua al sistema di dominazione del vecchio e nuovo ordine mondiale e in questo modo si cerca “il pentimento” di persone docili che contribuiscano senza ribattere né lottare.

Ho riflettuto molto sull’incarceramento e vedo che non è per nulla facile viverlo, anzi è molto frustrante in quanto l’essere umano è libero e socievole per natura, e al privarlo della sua libertà sicuramente gli si provocherà gravi problemi, per esempio psicologici, in quanto la sua condotta subisce una modificazione/alterazione che gli renderà impossibile essere la stessa persona di prima dell’entrata all’istituzione; questo sembra essere l’obbiettivo del sistema penitenziario. Non esiste nessuna formula magica o manuale sul come sopravvivere in prigione, è solo in base alla propria esperienza che si nota la cruda realtà del sequestro. Dalla mia breve esperienza ho notato i contrasti della personalità o depersonalizzazione di alcuni internati; c’è chi ottiene una certa dose di “potere”, sia per gli anni in cui ha vissuto in carcere o per essere “borregas”(“pecorelle”) dei custodi o dei funzionari; c’è chi decide essere sottomesso accettando qualsiasi tipo di umiliazione e piegarsi per passarsela più tranquillamente; c’è chi si appoggia alla fede o alla droga (non ci vedo tanta differenza) per evadere la realtà; c’ è chi decide giocarsela come “misionero” realizzando qualsiasi incarico (come fare vendetta) datogli da altri prigionieri per tirar su qualche soldo; ci sono quelli che lavorano per le istituzioni e ne “beneficiano”; e, chiaramente, c’è chi cerca di vivere con dignità, non cadendo nelle dinamiche del sistema, vendendo quadri, disegni, cibo, stirando abiti, pulendo scarpe, etc. però senza dimenticare chi sono e senza sottomettersi a nessuno. Non sono d’accordo con chi dice di abituarsi al carcere perché questo implica accettarlo completamente con tutta la sua pesante struttura, convertendosi in un altro prigioniero, uno dei tanti.

È per questo che dico che la condotta dell’individuo prigioniero subisce una modificazione, non si utilizza tale condotta dentro la prigione solo come una strategia perché renderla più vivibile ma diventa uno stile di vita che sicuramente si ripeterà in strada e/o al ritorno nella prossima prigione. Se c’è una cosa di cui sono convinto è che l’internato/ex internato sempre si porterà dietro l’odio e il risentimento acquisito in questa “accademia di delinquenti”.

Come prigioniero anarchico mi riconosco nella mia realtà, al momento sono nelle grinfie di questo sistema mostruoso però questo non mi farà smettere di lottare e attaccarlo dal di dentro, con quello che è nelle mie possibilità, attacchi semplici e necessari, come la denuncia e la non-docile sottomissione, sapendo che non sono esente dal dover condividere questo regime di vita con altri incarcerati, sforzandomi di minimizzare il più possibile gli effetti del sistema sulla mia persona. Sono ancora convinto dell’idea di mettersi in azione -già da subito- per cercare questo mondo nuovo dove donne e uomini siamo liberx e non esistano istituzioni di esclusione come il carcere. Comprendo che questo momento non arriverà da solo, è necessario cominciarlo a costruire in ogni momento della nostra vita. Questo desiderio è condiviso da moltx libertarie e gente senza aggettivi, gente solidaria ed entusiasta… Quando sarà il momento del passo successivo?

Parlerò un po di solidarietà ai/alle prigionierx, un tema che considero importante -soprattutto fra libertarie- è sapere che nelle carceri ci sono prigionierx che resistono e compas che in giro per il mondo appoggiano e si solidarizzano ed è qualcosa importante che bisogna riconoscere. L’appoggio non è cosa facile, in quanto le carceri sempre “costano” molti soldi e sforzo per i e le solidarie, anche considerando che tuttx portiamo avanti una vita piena di questioni da risolvere, tale appoggio si fa più complicato.

Però i e le solidarie sono sempre presenti con la loro solidarietà!

Intendo per solidarietà l’appoggio che si dà alla persona colpita senza chiedere nulla in cambio, senza condizioni per mezzo, che nasce dalla volontà dell’individuo/gruppo che appoggia in base alle sue possibilità, non sentendosi mai forzatx/obbligatx a farlo (in quel caso già non si tratterebbe di solidarietà), al contrario un impegno che lx stessx solidarix decide apportare.

Come già ho scritto, tuttx i e le solidarie hanno una vita personale, però penso che quando unx prende un impegno e dà la sua parola, il minimo che possa fare è compierla. Sappiamo che ci sono occasioni in cui non è possibile per diverse circostanze della vita quotidiana, però quando le circostanze diventano la scusa la cosa cambia.

Adesso, rompendo la struttura del discorso “gradevole”, penso che la solidarietà non si esige e tanto meno si mendica.

È spiacevole aspettarsi qualcosa da qualcunx (che certamente si prende impegni molto sicurx di sé stessx) e che poi ti lasci appeso, sapendo che unx, letteralmente, è impossibilitatx a ottenere la tal cosa. Mi viene in mente al riguardo una frase: che se non possiamo con gli impegni “zittx facciamo più bella figura”.

Però a parte questo, fortunatamente nel mio caso, che è anche il caso delle compagne d’affinità Amelie e Fallon, siamo statx accompagnatx da compagnx che ci hanno dato solidarietà incondizionata ed inoltre, come scrissi una volta a una buona amica “stiamo quellx che siamo e siamo quellx che stiamo, nessunx avanza (è di troppo), nessunx manca”.

Riassumendo, considero la solidarietà qualcosa di molto importante, però sono ugualmente convinto che è la forza dell’individuo quella che in prima istanza aiuterà a superare l’incarceramento. Un complemento-forza dell’arrestatx con l’azione solidaria.

Al momento non ho molte notizie su di me, vabbè si per quanto riguarda il processo giuridico. Ci hanno aperto (a me, Amelie e Fallon) un’altra indagine a livello federale accusandoci di “causare incendio a un edificio dove si trovavano persone e (come aggravante) in gruppo” o qualcosa del genere. Questo con referenza alla SCT (Secretaria de Comunicacion y Transporte), per lo stesso caso per cui prima ci accusavano di Sabotaggio, Terrorismo e Delinquenza Organizzata. Nel momento in cui ho ricevuto la notifica di questa nuova accusa a livello federale mi sono un poco depresso, però in realtà non è stata una sorpresa, infatti sappiamo come agisce lo Stato e tutti i suoi intenti di mantenerci rinchiusx. Ricordo tutte le idiozie che ci volevano accollare durante la detenzione, le perquisizioni alle case di alcunx compagnx, fino ad arrivare al punto di mandare presunti compagni per cercare di tirarci fuori informazioni…che informazioni?

Sento un misto di impotenza-risa-rabbia-dolore e non so che altro, però qua stiamo, con la testa alta (pronto) per quello che venga.

– Non mi sto rendendo molto conto di quello che succede fuori, raramente posso leggere un giornale o vedere le notizie, così che al momento la fottuta carcere è tutto il mio mondo e per questo la mia lotta parziale è contro di essa.

– Ho ricevuto una lettera del compa Mario González, che mi ha fatto piacere e a cui ho risposto subito! Forza compagno!

– Credo che sto diventando dipendente del cioccolato amaro, sempre chiedo a mia madre che me lo porti il giorno della visita.

– Mi piace molto leggere e lo faccio ogni volta mi sia possibile e se c’ho qualche libro a disposizione me lo divoro (se lasciano passare libri e cioccolato)

In alcune occasioni parlo con qualche buon amico che mi sono fatto qui dentro, per i quali l’idea di anarchia e rivoluzione è (o era) sconosciuta, inesistente o erronea.

Come rivoluzionari abbiamo un ampio spettro di intervento e i metodi da utilizzare restano a discrezione dell’individuo/gruppo che decide di passare all’azione. Forse per alcune persone -incluso anarchiche- non risulta adeguato utilizzare certi metodi, in quanto non in linea con quello che ditta la “santa anarchia” però, a parte questo, la scelta dipende dalla ricerca dell’efficienza per colpire i simboli/strutture dello Stato e del Capitale, andando più in là della teoria.

Le condizioni dell’insurrezione sono latenti e per questo scommettiamo sul conflitto in forma effettiva e permanente senza aspettare che le condizioni siano abbastanza dolorose per cominciare ad agire o senza aspettare date -come dice il compagno Tripa- stipulate nel calendario rivoluzionario per attuare.

È importante comprendere nella sua totalità la nostra posizione come nemici del potere, non solo seguendo altrx compagnx come i pesci la corrente, ma anche apportando analisi, proposte e critiche coi nostrx affini per conoscere i problemi sociali che ci danneggiano, e quindi attaccare, non solo il “nemico-idea” ma anche il “nemico-fisico”

Questo nemico si rinnova in ogni momento e da qui l’importanza di una lotta che non sia immobile/statica ma invece in continua ristrutturazione.

Ci interessa attaccare il nemico dello scorso anno o quello odierno?

Il nemico non teme il metodo ma teme la nostra convinzione e determinazione.

-Faccio gli auguri alla Croce Nera Anarchica Messico per i suoi 10 anni di appoggio ai ed alle prigioniere…! Un abbraccio forte compagnx! Né un passo indietro!

Un forte abbraccio ai compas e le compas cilenx…

Mauricio Morales sempre presente!

Carlos “Chivo”

Maggio 2014

http://reporter.indivia.net/con-la-testa-alta-pronto-per-quello-che-venga-carlos-lopez-chivo/#more-34632

 


Messico: Lettera di Carlos Lopez “Chivo” sulla sua situazione carceraria

Pubblicato il 24 Maggio dalla Croce Nera Anarchica Messico

Un saluto compagnxi!

Vi scrivo questa lettera perché sento un forte bisogno di comunicare con i/le compagni/e fuori. Sono convinto dell’importanza di essere informati su ogni fatto di lotta contro ciò che comunemente chiamiamo “il nemico”, cioè lo stato capitale, attraverso le loro istituzioni meschine e i loro metodi di controllo fascisti.

Anche la lotta anticarceraria è importante e da questo nasce la mia esigenza di condividere la mia situazione come prigioniero anarchico, chiarendo a priori che in nessun momento ho cercato di fare la vittima per il fatto di dover vivere questa situazione, perché come ho già detto (o scritto): Non credo e non accetto la presunta innocenza o colpevolezza dei reati con cui mi si accusa e mi rivendico anarchico con progettualità insurrezionale e rivoluzionaria sequestrato dallo Stato (e non “vittima” di sequestro, come ho letto in un comunicato) e il fatto di raccontare la mia situazione carceraria è allo scopo di denunciare pubblicamente solo una piccola parte del modus operandi di questa istituzione schifosa. “Se non si vede, non esiste” e per questo che con le mie limitate possibilità, faccio in modo che si sappia attraverso questo tipo di denuncia che forma parte della mia lotta anticarceraria.

Circa un mese fa (verso metà marzo), quando ero ancora agli inizi del mio ingresso in carcere, si è verificata la prima provocazione. Verso le 7 di sera ero con un compagno di cella, quando improvvisamente si avvicina un tipo losco – che chiaramente non conoscevo- e inizia a cercare pretesti per discutere, con aggressioni verbali e spintoni; parte delle dinamiche del carcere è quella di difendersi quando è in gioco la tua “reputazione” (dinamica che per me non vale niente) ma sarà stato per la gravità delle parole o per lo stress dell’incarceramento, sono caduto in questa dinamica. 
Dopo esserci scambiati alcuni colpi, come per magia appaiono delle guardie (è strano e non avviene di frequente che la polizia entri nei corridoi delle celle) che ci dividono. Di solito le guardie tendono a calmare gli animi con schiaffi e colpi con il pugno chiuso per sottomettere chi sta litigando, e così hanno fatto con me e con il personaggio con cui stavo facendo a botte, (è di un enorme impotenza non potersi difendere contro i fottuti poliziotti di merda, perché si rischia che ti aprano un altro processo per aver aggredito la loro fottuta autorità) e ho pensato che la cosa sarebbe finita lì; ma mi sbagliavo. Dopo averci umiliato davanti tutti i prigionieri presenti, ci hanno fatto scendere le scale a spintoni e improvvisamente non ho più visto il mio aggressore iniziale e fino ad oggi non ho sentito niente su di lui; arrivati a destinazione mi cominciano a picchiare di nuovo; dopo aver sopportato fino a quel momento, gli ho cominciato a rispondere con insulti verbali, con l’idea fissa di passare all’insulto fisico, ma non ho potuto dovuto alle loro botte, sempre più forti. Non ricordo bene per che corridoio, ma mi hanno portato in una stanza buia, e prima di lasciarmi lì, mi hanno spogliato completamente, lanciato un secchio d’acqua fredda, dato le ultime botte (come se volessero che non li dimenticassi mai) e mi hanno sbattuto nella cella. Era notte, faceva freddo, mi avevano tolto tutti i vestiti, il pavimento era bagnato, con molte ferite al corpo, la cella senza un solo raggio di luce. Potete immaginare che notte ho passato? Ho sentito paura, rabbia e impotenza. Credo che tali trattamenti possano essere considerati come tortura fisica e psicologica.

Non ho mai avuto paura del buio, fino a quella notte, in cui ho passato circa 10 ore rigirandomi (senza poter vedere) in tutte le direzioni, in attesa che accadesse qualcosa, fino all’alba quando sono venuti a tirarmi fuori. Ovviamente era un altro turno di custodi.

Mi hanno riportato nella mia cella -non senza minacciarmi di restare zitto sull’accaduto- e arrivato in cella ho preferito non parlare con nessuno, non per la minaccia ma perché ero ancora costernato. Casualmente questo stesso giorno sono passato alla fase successiva di questo centro di sterminio, chiamato Reclusorio Oriente; la notte sono stato portato al C.O.C. (Centro di Osservazione e Classificazione) dove, da quando siamo entrati i quasi 150 detenuti, siamo stati accolti con il solito “terrore psicologico”. Proprio lì nel C.O.C. mi aspettava un’altra sorpresina. Più tardi siamo stati chiamati a svolgere la famosa “fajina”, si tratta della pulizia dell’edificio, o meglio la presunta pulizia, perché si tratta in realtà di un pretesto per un’estorsione. Una volta uniformati ci dicono: “Chi vuole pagare 2500 pesos (circa 150 euro) per non fare la fajina? Perché faremo in modo che non possiate sopportarlo e finiate per pagare lo stesso”, così che alcuni accettarono. Ma altri di noi abbiamo deciso di fare il lavoraccio. Ricordo che mi dicevano: “meglio che paghi guerito (modo in cui si chiamano quelli di pelle chiara), sicuro che soldi ne hai, non fare il cazzone, ci ripenserai”. Quel primo giorno ho fatto lafajina, che consiste nel fare “esercizio” in una maniera quasi disumanizzata, con l’intenzione che il tuo corpo si spacchi e finisci per pagare e chiaramente avevamo sempre dei gorilla dietro che esigevano maggiore velocità e se non vai a ritmo, ti picchiano. Tutto questo due volte al giorno, per circa tre ore di tortura.

Il giorno dopo mi dicono “facci vedere come ce la fai da solo” e dopo mezz’ora, in cui mi hanno fatto fare una specie di “carritos“, che consiste nel piegarti e lavare il pavimento con uno straccio bagnato, il tutto a gran velocità, sono caduto ed è stato in quel momento che mi hanno dato un calcio fra la schiena e i fianchi.

Di mio già avevo problemi alla schiena ed in quel momento non sono riuscito ad alzarmi. Il dolore era incredibile e ricordo che mi sono girato a guardare l’aggressore (un altro incarcerato bastardo che lavora con quelli della fajina) con la voglia di reagire però, ancora una volta, si trovavano da quelle parti quelli che avevano organizzato la rissa di due giorni prima e che mi aveva costretto alla cella oscura, e adesso per di più con la spalla contusa, non ho potuto dire niente. Mi sono alzato come ho potuto e sono andato dall’incaricato della fajina che mi dice: “Come vedi già non puoi proseguire e allora paga”. È stato così che ho dovuto accettare l’estorsione.

Ho dovuto chiamare una persona che mi depositasse 2000 pesos. Quando ho potuto parlare a questa persona, non ho potuto fare a meno di piangere, a causa della grande impotenza e il dolore ma non ha mai dato loro il gusto di farlo davanti quei schifosifajineros.

Apro una breve parentesi per ricordare che non ho mai fatto la vittima. Offeso, questo si, perché hanno cercato di calpestare la mia dignità.

Per “coincidenza”, per due settimane è stato negato l’accesso alla visita a mia madre, che era l’unica visita che ricevevo, argomentando che c’era un problema con il suo documento. Arrivando al C.O.C. i bastardi ti fanno una “perquisizione” e ti rubano soldi e schede telefoniche.

Non avevo soldi però avevo una scheda telefonica che hanno rubato insieme alla mia agenda di contatti telefonici. Voglio dire che durante queste due settimane sono rimasto incomunicato, misteriosamente isolato. Ho potuto solo fare la telefonata per chiedere i soldi…

Non ho mai pensato di andare a lamentarsi con le “autorità” del carcere, non c’è bisogno di dire che sono parte della stessa banda di serpenti in totale complicità. E tanto meno rivolgermi ai “diritti umani” perché i loro diritti sono per convenienza e io non ci credo.

Toccando il tema delle estorsioni, voglio chiarire: Quando parlo di estorsione, parlo di una pressione che qualcuno ti fa per ottenere certi risultati in beneficio di qualcuno, anche se contro la tua volontà, perché per “x” motivi è fuori dal tuo controllo; quindi non intendo per “estorsione” quando qualcuno ti chiede dei soldi e tu, per paura di essere picchiato glieli dai.

Una persona a me molto cara mi ha detto una volta: “non dargli più soldi”, come se io avessi optato per la seconda definizione di estorsione. So che non era sua intenzione ma capisco che molte persone possono avere questa impressione.

Per quanto riguarda l’estorsione come argomento della lotta anticarceraria, vi dirò che qui ti fanno pagare tutto, veramente tutto e questo mi sembra ridicolo e allo stesso tempo mi preoccupa perché nessuno dice niente. E so che quello che dico qui non cambia nulla ma io non voglio cadere in questa omertà collettiva.

Fanno pagare per usare i bagni (quello che sta nella cella non è sufficiente per tutti i detenuti), per usare l’acqua del rubinetto, perché il servizio nelle celle va via molto spesso, per appuntarsi alla lista (ci puoi credere? Per metterti nella lista) per andare in tribunale, per ricevere il tuo avvocato, per ricevere la tua visita e, a parte, l’uso della sedia che si sta utilizzando, per scendere le scale il giorno della visita, per potere uscire dalla tua cella, ti fanno pagare i lucchetti, vale a dire che per uscire da dove sei o dal posto dove dormi, fanno pagare in ciascuno dei tre istituti (Ingreso, C.O.C yPoblación) materiali come scope, sapone, bidoni, ecc, ecc. Che business questo!
E attenti! Quando ti rifiuti di pagare, viene la mano pesante.

Non posso non menzionare gli insetti, certi pidocchi bianchi, cimici e scarafaggi che sono parte del carcere! Pizzicano duro.

Un altro aspetto che non mi piace, e non solo a me, è il sovraffollamento. In Ingreso yPoblación le celle sono molto piccole, perlomeno nella mia esperienza in Ingresovivevamo 23 prigionieri in una celletta di circa 3 x 2,5 metri e in Población vivevamo in 17. Ê molto scomodo ed anche pericoloso per il fisico per la posizione in cui si dorme, se riesci a dormire, soprattutto gli ultimi arrivati che dormono di fianco la tazza del bagno, anche seduti. Il sovraffollamento nelle carceri messicane è preoccupante e perlomeno qui nell’Oriente è molto dura.

Nonostante siamo molti non succede niente. Qui dentro i metodi di domesticazione sono abbastanza notevoli, come per la religione, è impressionante la quantità di persone che ti dicono: “Forse è per volontà di Dio che siamo qui, lui ha un proposito per noi e qui dobbiamo assecondare la sua volontà” e si mettono a cantare e piagnucolare sperando che li tiri fuori presto di qui. E quando scoprono che sono ateo e che mi sembra nà stronzata che si lascino accecare da questo dogma, subito si allontanano o mi cominciano a fare strane domande ma questo è un altro tema.

Un altro modo di mantenere i prigionieri passivi è con la droga e, rispetto questo tema, ho sempre pensato che ognuno è libero di scegliere come vivere la propria vita, utilizzando droga o meno però ho sostenuto molte volte che il suo consumo molto spesso è una barriera che frena l’individuo e la sua ansia rivoluzionaria e finisce per sviare i suoi obbiettivi verso un felice letargo artificiale; soprattutto con le cosiddette droghe pesanti. Questo fra le altre cose.

Il carcere denigra il prigioniero, lo umilia, lo calpesta e prova a farla finita con la sua dignità per farne un essere sfruttato, senza volontà, servile e obbediente, premiandolo con il posto di “borrega o chivato” (forme di chiamare i canterini, gli spioni per intenderci) a chi mostra fedeltà e lealtà al sistema e castigando e isolando chi non si piega alle loro stupide norme o risponda e disobbedisca alle loro pratiche di terrore.

Per questo mi rivendico prigioniero anarchico in lotta anticarceraria. Confrontarsi al potere dall’interno del carcere è un istinto per conservare la nostra identità come persone che sentiamo amore per la libertà, per la nostra dignità e per difendere quello che siamo, liberando i nostri impulsi più selvaggi se è necessario, e di fronte tanta umiliazione si fa necessario fino al punto più distruttivo del nostro essere. Mi considero una persona libera, anche se in prigione, e rimarrà così fin quando non riusciranno a distruggere la mia individualità, fin quando i loro metodi di controllo e repressione non riusciranno a trapassare il mio cuore nero, fin quando continui a riconoscere la solidarietà dei compagni e compagne da fuori verso i/le prigioniere che siamo imprigionatx in qualsiasi carcere, qualsiasi centro di sterminio, qualsiasi istituto di subordinazione.

Le tattiche di terrore e paura del carcere non possono, non potranno fermare questo uragano di passione creatrice, di passione distruttiva, di passione costruttiva, questa progettualità liberatrice; e nonostante confrontarsi con l’autorità porti con sé l’imminente conseguenza della repressione, qui nessuno claudica, nessunx fa un passo indietro contro il nemico.

Il sistema carcerario cerca di farci vedere la sua violenza come qualcosa di normale a cui dobbiamo abituarci, che capiamo che così si vive in carcere; personalmente non penso lasciarmi addomesticare, non temo le loro rappresaglie, non sono di quelli che si dichiarano nemici dello stato ma cercano condurre una vita “normale” e senza mettersi in problemi, questo non mi suona come convinzione. Non voglio essere come quelli che ricevono un colpo e porgono l’altra guancia, né come quelli che “aspettano che ci siano le condizioni per agire”, no! Invece credo che un aggressione vada ricambiata al doppio, occhio per occhio, alla loro violenza contrapporre la nostra violenza antagonista, agire senza aspettare che i tempi siano maturi che chissà sia troppo tardi, ad un falò rispondere con un incendio.

Non ho finito di scrivere tutto ma mi fermo…

Giù i muri delle galere!

Fuoco alle carceri!

Per l’anarchia!!

Carlos “chivo” reclusorio Oriente.