L’Alleanza del Lavoro sospese lo sciopero il 3 agosto, ma le aggressioni aumentarono e solo in poche città fu organizzata la resistenza alle azioni delle camicie nere. Le spedizioni punitive ebbero così un totale successo con la distruzioni di circoli, cooperative, sindacati, giornali ed amministrazioni popolari.
A Parma, sola eccezione, gli sviluppi dello sciopero furono ben diversi: la città divenne teatro di una resistenza armata alle squadre fasciste che, dopo cinque giorni di combattimenti, risultò vittoriosa. I lavoratori avevano risposto compatti allo sciopero e, forti delle tradizioni locali del sindacalismo rivoluzionario, mostrarono ancora una volta grande capacità di mobilitazione e di combattività.
Parma era “rimasta quasi impermeabile al fascismo” (Italo Balbo, Diario, Milano 1932) ed inoltre, dal luglio 1921, operava contro le aggressioni delle squadre nere l’organizzazione armata degli Arditi del Popolo, costituita dal deputato socialista Guido Picelli, che reclutava giovani lavoratori soprattutto tra le fila del socialismo radicale e dell’anarchismo.
Nei giorni di agosto furono mobilitati dal Partito Fascista per la spedizione su Parma circa 10.000 uomini, giunti dai paesi del Parmense e dalle province limitrofe; a comandarle venne inviato Italo Balbo, già protagonista di analoghe spedizioni militari a Ravenna e a Forlì. La popolazione dei borghi dell’Oltretorrente e dei rioni Naviglio e Saffi rispose all’aggressione innalzando barricate, scavando trincee ed organizzandosi in una difesa estrema delle proprie case e sedi politiche.
Mentre a livello nazionale lo sciopero si esauriva e il fronte democratico veniva sconfitto, a Parma la resistenza si faceva sempre più tenace e, nei borghi dietro le barricate popolari, i poteri passarono al direttorio degli Arditi del Popolo e al suo comandante Picelli.
Gli scontri coinvolsero attivamente tutta la popolazione e venne superata ogni polemica politica tra le diverse tendenze: arditi del popolo, sindacalisti corridoniani, confederali, anarchici (Antonio Cieri comandò la resistenza del rione Naviglio), comunisti, popolari, repubblicani e socialisti combatterono, fianco a fianco, le squadre delle camicie nere.
Cinque furono i caduti dietro le barricate: il consigliere comunale del PPI Ulisse Corazza, il giovanissmo Gino Gazzola, Carluccio Mora, Giuseppe Mussini e Mario Tomba.
Dopo numerosi tentativi di superare le barricate e le devastazioni, nelle zone centrali della città, al circolo dei ferrovieri, negli uffici di numerosi professionisti democratici, nelle sedi del giornale “Il Piccolo”, dell’Unione del Lavoro e del Partito Popolare, iniziarono le trattative per la fine dei combattimenti tra il comando di Balbo, le autorità militari e la Prefettura. La notte tra il 5 e il 6 agosto le squadre fasciste smobilitarono e lasciarono velocemente la città senza essere riuscite a penetrare nelle zone controllate dagli antifascisti. Il 6 agosto il generale Lodomez, comandante militare della piazza, assunse i pieni poteri e proclamò lo stato di assedio.
Nella mattinata i soldati, festosamente accolti dalla popolazione, entrarono nei rioni dell’Oltretorrente e del Naviglio e, in poco tempo, la situazione tornò alla normalità.
Le ragioni sociali e politiche della vittoria antifascista di Parma sono numerose e si legano a vecchie e nuove esperienze del movimento locale dei lavoratori. Innanzitutto il tradizionale ribellismo urbano dei quartieri più miseri della città (in particolare dei borghi dell’Oltretorrente). Qui l’innalzamento delle barricate, tra le vie strette e torte, con il lancio di tegole dai tetti e di pietre per le strade, si era consolidato come forma di autodifesa contro le forze di polizia e l’esercito già alla fine del XIX secolo.
In secondo luogo la cultura parmense dell’interventismo di sinistra e l’esperienza combattentistica nella Prima guerra mondiale di molti lavoratori avevano rafforzato una forte volontà di cambiamento sociale e politico. Inoltre i congedati portarono dal fronte le conoscenze delle tecniche di guerra, la disciplina e la tattica militare.
L’intreccio tra l’insurrezionalismo urbano e l’esperienza combattentistica, oltre alla figura carismatica di Picelli e alla sua proposta politica per un fronte unitario antifascista, furono alla base degli avvenimenti parmigiani dell’agosto 1922.
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