Lettera di Marco Camenish apparsa sul mensile anarchico Azione Diretta poco dopo la sua evasione.

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Loro vogliono essere i nostri padroni, noi non vogliamo essere né servi né padroni. Per questo ci hanno rinchiuso, per questo siamo evasi. Per questo che abbiamo rischiato libertà, morte, isolamento totale. Per questo abbiamo ucciso un mercenario. Ma l’assassinio è lo Stato, addestratore di servi volontari, cittadini-soldati, poliziotti e altri portatori di divisa. Di cui alcuni sono dei robot senza alcun istinto di conservazione, che, nelle prigioni dei loro padroni torturano e infieriscono contro la più fondamentale dignità umana.

Su comando, uccidono a tradimento, effettuano pestaggi massacratori e avvelenamenti negli appartamenti e sulle strade. Non accontentandosi di assassinare, lo Stato fa anche lo sciacallo, sfruttando cadaveri per mantenere, approfondire e ristabilire l’interiorizzazione dell’oppressione, e l’oppressione stessa. Con successo, considerando il fatto della corona donata da parte di detenuti al loro aguzzino morto, considerando le critiche da parte del movimento relative all’azione di auto liberazione e alla data del suo avvenimento (poiché svoltasi poco dopo una conferenza stampa sulle condizioni carcerarie, da parte dell’opposizione al carcere, tenutasi il 12 dicembre 1981 a Zurigo). Il contenuto politico-spettacolare di qualunque azione lo decide sempre lo Stato, secondo i suoi bisogni. Di questi ce ne freghiamo altamente. Un’azione collettiva come quella del 17 dicembre 1981 nel (fuori…ah, ah, ah) carcere di Regensdorf, può venir sfruttata in modo spettacolare, solo perché tra gli evasi c’è gente altamente mistificata dallo Stato, individui decisi e radicali contro le basi del potere e della schiavitù, cioè soldi, uniformi, leggi ed economia. L’azione è stata un pretesto e uno spunto eccezionale per lo Stato per continuare la propaganda per un suo bisogno centrale: cioè giustificare, allargare, perfezionare il sistema carcerario, base di repressione e sterminio di qualunque espressione di vita che si oppone al cancro dilagante dello Stato militare e poliziesco dei padroni. Il porcile politico del vertice e i suoi instancabili portavoce strillarono e grugnirono i loro intero repertorio di cinismi sotto forma di lutto e indignazione ipocrita, le loro menzogne tattiche attorno alle circostanze dell’azione collettiva e attorno al mercenario dello Stato repressivo stecchito e a quello ferito.
Loro sono ben coscienti che se un guardiano e strumento di sfruttamento dei loro prigionieri, malgrado preciso richiamo a star fermo, si getta su di una 38 puntatagli da mezzo metro, per impedire il recupero di una scala purtroppo assolutamente necessaria, la responsabilità delle conseguenze è loro. Politica e potere. La nostra azione è politica, poiché effettuata da oppressi in una società oppressiva. Ma è effettivamente un atto nella lotta contro politica, potere, Stato, carcere, oppressione. Chi in caso di auto liberazione, critica la data del suo svolgersi e non capisce o condanna uno dei tanti paritari e ugualmente necessari livelli di lotta di liberazione, non ha compreso la natura di Stato, Potere, Politica, Prigione, Oppressione, non ha capito come siano logicamente intersecati fra di loro, o si muove da politico all’interno di questo tessuto. E non da militante contro l’oppressione, anche se capace di ragionamento politico, al di fuori di questa logica. Liberazione è azione diretta. L’iniziativa propria può vivere e allargarsi solamente se radicale. Contro la natura e quindi auto distruttrice è trattare e persino agire con padroni, Stato, opinioni pubbliche, masse e classi schiave.
Libertà per Pierluigi (ripreso poco dopo, per lui le nostre lacrime) libertà per tutti! Radiamo al suolo le prigioni”
(17 Dicembre 1981, Rocambolesca evasione dal carcere di Regensdorf, nella regione di Zurigo. Nonostante Marco sia disarmato viene ritenuto responsabile dell’uccisione di una guardia. Inizia la lunga latitanza con il marchio di pericolo pubblico.
3 Dicembre 1989. A Brusio, in Val Poschiavo (GR), Marco, in discreta visita alla tomba del padre, morto due mesi prima, è costretto ad una precipitosa fuga in Italia. In mattinata è stato ucciso a colpi di pistola Kurt Moser, guardia di confine svizzera, e la Val Poschiavo è un formicolaio di poliziotto. Luogo poco salubre per un latitante. I locali gendarmi distribuiscono agli abitanti della zona foto segnaletiche di Marco e intimidiscono la madre e il fratello)

–estratto da: “Una Vita Ribelle, Marco Camenish”
Edizioni a cura della Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali.
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