Derive d’avanguardia

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Barthélémy Schwartz

 

Il surrealismo ha dato una propria configurazione iniziale all’avanguardia artistico-radicale, durante il periodo fra le due guerre: un gruppo radicale, che agisce essenzialmente nel campo della cultura e della vita quotidiana, presentandosi come laboratorio di esperienze radicali nell’ambito del sensibile, a partire dal quale vengono discussi i progetti utopici che, in parte, determineranno la futura società non capitalista.

In questa concezione, secondo cui l’avvenire della società è presumibilmente quello di rispecchiarsi nelle sperimentazioni dell’avanguardia artistico-radicale, la rivoluzione è considerata come un’alleanza di avanguardie: all’avanguardia artistica il campo della cultura e della vita quotidiana; all’avanguardia politica quello della riorganizzazione economica, politica e sociale della società futura. In questa divisione avanguardista dei compiti, l’uguaglianza dei diritti in realtà è già un imbroglio, l’avanguardia artistica è già dipendente dal partito dell’avanguardia politica. Nel 1938, nel manifesto Per un’arte rivoluzionaria indipendente redatto con Leon Trotsky, André Breton rivendica a nome dei surrealisti un regime anarchico per la cultura all’interno di un regime centralizzato di produzione: «Se per lo sviluppo delle forze produttive materiali la rivoluzione è tenuta a erigere un regime socialista di pianificazione centralizzata, per la creazione intellettuale essa deve sin dall’inizio stabilire e assicurare un regime anarchico di libertà individuale. Nessuna autorità, nessuna costrizione, neppure la minima traccia di comando! Le diverse associazioni di scienziati e di gruppi collettivi di artisti che lavoreranno per risolvere compiti che non saranno mai stati così grandiosi, possono sorgere e sviluppare un lavoro fecondo unicamente sulla base di una libera amicizia creatrice, senza la minima costrizione dall’esterno» (André Breton, Leon Trotsky, Per un’arte rivoluzionaria indipendente, in Arturo Schwarz, Breton e Trotsky. Storia di un’amicizia, Erre emme, 1997. Per ragioni tattiche, la firma di Trotsky venne sostituita con quella di Diego Rivera).

Ma pensare che la dittatura di un partito preserverà un territorio d’anarchia all’ambito della creazione è un’illusione avanguardista, e il surrealismo in ultima analisi non può rimettersi, su questo punto, che alla buona volontà del partito. Inoltre, questa distinzione tra regime anarchico per gli uni (la libertà senza freni e i compiti grandiosi per scienziati e artisti) e regime centralizzato per gli altri, porta già in nuce tutta una concezione della società futura, e della sua futura divisione del lavoro, che allora i surrealisti non hanno forse percepito come tale, ma che i progetti dell’avanguardia politica già promettevano.

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L’avanguardismo artistico-radicale, vissuto sotto una forma caricaturale e grottesca dai lettristi, è presente fin dai primi giorni dell’internazionale situazionista e dà un proprio tono alle attività del collettivo fino ai primi anni 60. Durante questo periodo, i situazionisti esplorano i limiti di una posizione avanguardista nella cultura (sistematizzata da Constant e dall’urbanismo unitario), in un’epoca in cui il capitalismo ha ritrovato una crescita economica ed è cambiato nella forma (capitalismo ad economia mista); ma esplorano anche il superamento di questa posizione avanguardista scoprendo le correnti non autoritarie della critica sociale, come Socialisme ou Barbarie (itinerario di Debord, Vaneigem, eccetera). È questo il periodo che viene qui affrontato.

 

L’urbanismo unitario come progetto avanguardista

«L’arte integrale, di cui si è tanto parlato, non potrebbe realizzarsi che al livello dell’urbanismo»

Guy Debord, Rapporto sulla costruzione delle situazioni, 1957 (Trad. italiana El Paso autoproduzioni, 1990)

 

I situazionisti partono da una critica dell’arte moderna, ma fatta da un punto di vista avanguardista: è a partire dalle conclusioni dell’arte moderna che essi elaborano il proprio progetto. Considerare, come fanno, l’arte moderna come l’esperienza storica del linguaggio poetico che si autodistrugge in quanto mezzo d’espressione e di comunicazione non è vero che dal punto di vista dell’arte moderna. Questa non ha affrontato la questione dell’espressione poetica che nei limiti della forma artistica, in quanto mezzo di espressione all’interno della società capitalista e della sua divisione del lavoro. L’arte moderna non ha in nessun modo esaurito tale questione, le soluzioni che ha potuto sperimentare sono valide solo nella — e per la — società che l’ha prodotta. Da questo punto di vista, la questione dell’espressione è sempre aperta. I momenti migliori dell’arte moderna non sono che surrogati dell’espressione poetica, tutt’al più indicano perdifetto ciò che essa avrebbe potuto essere, se non fosse stata parlata da uno ma da tutti, in rapporti sociali diversi da quelli determinati dallo sfruttamento capitalista. In questa prospettiva utopica, sono i surrealisti ad aver tentato, certo con tutti i limiti che comportavano, le esperienze più ricche. Pretendere che l’arte moderna abbia esaurito la questione dell’espressione e che occorra ormai passare ad altro è una scorciatoia da avanguardia.

Il progetto d’arte integrale situazionista, l’urbanismo unitario, è però elaborato a partire da questa critica avanguardista dell’arte moderna. Per i situazionisti, non si tratta più di produrre, a partire da espressioni poetiche individuali di cui l’arte moderna ha mostrato, secondo loro, il fallimento, degli spettacoli passivi — quadri, disegni, sculture… —; ma, al contrario, di costruire aree ambientali in cui gli individui che le attraverseranno possano essere dei «viveurs» (non più spettatori passivi): «Non esiste, per dei rivoluzionari, un possibile ritorno all’indietro. Il mondo dell’espressione, quale che ne sia il contenuto, è già superato» (Il senso di deperimento dell’arte, in “I.S.” n.3). Si tratta di riorganizzare lo spazio urbano, a cominciare dall’uso collettivo di tutti i mezzi artistici tradizionali fino a quel momento al servizio del singolo artista, nella prospettiva di un libero intervento delle persone sul proprio ambiente naturale modificato. Ma, nella concezione dell’urbanismo unitario, l’utopia del progetto annuncia già il vizio avanguardista che vi si nasconde, e che ne modificherà l’applicazione: «l’urbanismo unitario è realizzabile soltanto con i mezzi situazionisti» (Alberts, Armando, Constant, Oudejans, Primo proclama della sezione olandese dell’IS, ibid., sottolineatura mia).

Perché spetta all’avanguardia artistica radicale elaborare l’urbanismo unitario, nei suoi abbozzi preparatori ma anche nelle sue ulteriori applicazioni alla società futura. L’idea principale dell’urbanismo unitario è che il comportamento sociale sia legato all’ambiente e allo scenario circostanti, i quali devono essere modificati in senso passionale, in modo da intervenire direttamente sulla affettività degli individui: «La direzione realmente sperimentale dell’attività situazionista è la costituzione, a partire da desideri più o meno nettamente riconosciuti, di un campo di attività temporaneo favorevole per tali desideri. La sua costituzione può portarsi dietro solo la chiarificazione dei desideri primitivi e l’apparizione confusa di nuovi desideri la cui radice materiale sarà proprio la nuova realtà costituita dalle costruzioni situazioniste» (Problemi preliminari alla costruzione di una situazione, in “I.S.” n.1, sottolineatura mia). In questa riorganizzazione situazionista dell’ambiente, certamente progettata in una prospettiva utopica, si tratta, in definitiva, di «costruire» in maniera «deliberata» una situazione sociale. Questo aspetto volontarista della teoria dell’urbanismo unitario è già presente nel primo manifesto situazionista, Rapporto sulla costruzione delle situazioni… di Guy Debord: «Lo sviluppo spaziale deve tener conto delle realtà affettive che la città sperimentale va determinando»; […] «Dobbiamo costruire nuovi ambienti che siano insieme il prodotto e lo strumento di nuovi comportamenti»; […] «Dobbiamo mettere a punto un intervento ordinato sui fattori complessi di due grandi componenti in perpetua azione reciproca: lo scenario materiale della vita; i comportamenti che esso produce e che lo sconvolgono» (Guy Debord, Rapporto sulla costruzione delle situazioni, op. cit.). Il comportamento sociale non viene ancora visto come il prodotto di un rapporto sociale. Nel maggio ‘68, sarà il movimento sociale a creare la situazione, non l’avanguardia.

 

Come determinare i nuovi comportamenti affettivi che saranno indotti dall’urbanismo unitario?

«La nostra concezione di “situazione costruita” non si limita ad un uso unitario dei mezzi artistici che concorrono a formare un ambiente, per quanto grandi possano essere l’estensione spazio-temporale e la forza di questo ambiente. La situazione è nello stesso tempo un’unità di comportamento nel tempo. È fatta di gesti contenuti nello scenario di un momento. Questi gesti sono il frutto dello scenario e di loro stessi. Producono altre forme di scenario e altri gesti. Come si possono orientare queste forze?» (Problemi preliminari alla costruzione di una situazione, op. cit., sottolineatura mia). I situazionisti si interessano da vicino alle tecniche moderne di condizionamento sociale. Leggono Lo stupro delle folle da parte della propaganda politica di Serghj Ciacotin, «a proposito dei metodi di condizionamento utilizzati su collettività da rivoluzionari e fascisti» (La lotta per il controllo delle nuove tecniche di condizionamento, in “I.S.” n.1), e considerano le tecniche di persuasione collettiva come esempi dell’uso repressivo della costruzione d’ambienti. L’arte libera, in avvenire, è per loro un’arte «capace di dominare e impiegare tutte le nuove tecniche di condizionamento» (Constant, Sui nostri mezzi e sulle nostre prospettive, in “I.S.” n.2, sottolineatura mia). Il legame che intravedono tra un uso repressivo ed uno utopico di queste tecniche è concorrenziale: «bisogna capire che stiamo per assistere, per partecipare, ad una gara di velocità tra gli artisti liberi e la polizia per sperimentare e sviluppare l’impiego di nuove tecniche di condizionamento» (La lotta per il controllo delle nuove tecniche di condizionamento, in “I.S.” n.1). Se i situazionisti immaginano che le proprie sperimentazioni possano in caso di insuccesso contribuire ad un rinnovamento del condizionamento sociale capitalista, essi non vedono ancora che le proiezioni utopiche d’un urbanismo unitario, concepite da un punto di vista avanguardista, possono allo stesso modo preludere a nuove forme di condizionamento sociale adattate, questa volta, alla società futura non capitalista.

Questa preoccupazione di appropriarsi dei mezzi tecnici dell’epoca è costante nei situazionisti. Ma se si tratta di acquisire le tecniche moderne in corso, non si tratta ancora per loro di rimettere in discussione l’esistenza stessa di questi strumenti capitalisti. Anche qui, la critica presenta in nuce la propria concezione della società futura: «Parliamo di artisti liberi, ma non esiste libertà artistica possibile se prima non ci impadroniamo dei mezzi accumulati dal XX secolo, che per noi sono i veri mezzi della produzione artistica e che condannano coloro che ne sono privati a non essere degli artisti di questa epoca» (Ibid., sottolineatura mia). Senza scorgere che tali mezzi non sono altro che quelli prodotti dal capitalismo nel quadro della sua divisione del lavoro, per una finalità sociale da esso determinata. Questa concezione avanguardista dell’urbanismo unitario («campo di esperienza per lo spazio sociale delle città future» (L’urbanismo unitario alla fine degli anni ‘50, “I.S.” n.3), percepibile fin dalla costituzione dell’IS, è sistematizzata da Constant, con la specializzazione e l’autoritarismo impliciti che comporta. La teoria dell’urbanismo unitario prevede il libero intervento delle persone sul proprio ambiente come finalità, ma per i situazionisti — «esploratori specializzati del gioco e del tempo libero» (Constant, Il grande gioco futuro in “Potlatch” n.1) — è già stato deciso che l’urbanismo unitario sia «contro la fissazione delle persone in dati punti di una città»; o anche «si contrappone alla fissazione delle città nel tempo»(L’urbanismo unitario alla fine degli anni ‘50, in “I.S.” n.3, sottolineature mie). Nella società futura, l’avanguardia si riserva in modo unilaterale l’applicazione del proprio progetto: gli «ambienti saranno modificati regolarmente e deliberatamente, con l’aiuto di tutti i mezzi tecnici da gruppi di creatori specializzati, che saranno dunque situazionisti di professione» (Constant, Un’altra città per un’altra vita, in “I.S.” n.3, sottolineatura mia).

 

È il movimento sociale a far la situazione, non l’avanguardia

Il primo contatto dei situazionisti con Socialisme ou Barbarie avviene, dal punto di vista situazionista, sotto la forma classica dell’avanguardia artistico-radicale. Daniel Blanchard (membro di S ou B col nome di Canjuers) ricorda il suo primo incontro con Guy Debord: «In un ristorante della rue Mouffetard, il 20 luglio 1960, abbiamo messo l’ultima mano a ciò che avremmo voluto vedere come un protocollo d’accordo tra l’avanguardia della cultura e l’avanguardia della rivoluzione proletaria» (Daniel Blanchard (Canjuers), Debord, nel rumore della cateratta del tempo, in “Rivista storica dell’anarchismo”, 1999, sottolineatura mia). Ma, molto presto, gli apporti delle correnti non autoritarie della critica sociale, che hanno fatto scoprire loro i consigli operai apparsi in Ungheria nel 1956, vanno a rimettere in discussione, presso i situazionisti, la concezione avanguardista artistico-radicale. Come insiste giustamente Daniel Blanchard: «Non è a furia di leggere Hegel, il giovane Marx o Lukács che Debord è riuscito a sottrarsi alla maledizione che lo stalinismo e la burocratizzazione delle organizzazioni operaie facevano pesare sul movimento rivoluzionario. Sono gli operai ungheresi insorti e formatisi in Consiglio ad aver levato questa maledizione, almeno per coloro che erano pronti ad intenderli» (Ib). Mentre l’avanguardismo artistico-radicale è legato alle concezioni autoritarie della rivoluzione, ed è ricco soprattutto di futuri progetti di condizionamento sociale e di divisioni in classi, è a partire da una critica fatta da un punto di vista non autoritario che i situazionisti hanno abbandonato i propri sogni di costruttori specializzati d’ambiente. Ormai, per loro, non è più l’avanguardia che preparerà la situazione, ma il movimento sociale, cosa che il maggio 68 confermerà. Sul maggio 68, più tardi i situazionisti scriveranno giustamente: «Questo movimento era la riscoperta della storia, contemporaneamente collettiva e individuale, il senso dell’intervento possibile sulla storia e il senso dell’avvenimento irreversibile, con la sensazione che “niente sarebbe più stato come prima”; e superata la propria sopravvivenza la gente ripensava con divertimento all’esistenza strana che aveva condotto otto giorni prima» (L’inizio di un’epoca, in “I.S.” n.12).

 

[Diavolo in corpo, n. 3, novembre 2000]