Aviv Etrebilal
Farfalle, libero amore e ideologia
Lettera sull’incoerenza
Questo non è l’ennesimo testo sul “libero amore”, gli “affetti” e la “decostruzione”: ha la pretesa di essere qualcosa di più. Scritto fra fine luglio ed inizio agosto, è servito, fino ad ottobre 2013, a gettare le basi per numerose discussioni, più o meno collettive ed in maniera informale. Discussioni molto interessanti che l’hanno portato a sfumarsi e completarsi e che sono riuscite a sollevare diversi interrogativi sui rapporti ideologici che spesso reggono i modi di pensare e di relazionarsi del milieu [1] antiautoritario francese. Allora, se questo non è l’ennesimo testo sugli “affetti”, è che si tratta innanzitutto di un testo sull’ideologia e sui “milieux “, l’incoerenza ed il gauchisme [2] (ed il suo rapporto d’inversione). Il modo in cui esso è riuscito a fare eco a situazioni diverse e svariate, che non necessariamente vertevano sulle relazioni affettive, ma su sacco di altre questioni, come i rapporti di potere, il conformismo di un milieu anticonformista, le contro-norme che normalizzano, i ruoli sociali ed i rapporti di consumo degli individui, delle lotte e degli strumenti di lotta etc. ne fanno un testo il cui fine principale è quello di aprire un dibattito che lo oltrepasserà.
Se abbiamo voluto pubblicarlo oggi, dopo questi pochi mesi di gestazione e di discussioni appassionanti, è appunto per aprire questo dibattito, coerentemente con il contenuto del testo, al di là dei limiti della discussione informale e della riflessione personale. Speriamo che così la sua avventura continuerà.
Ottobre 2013
Ravage Editions
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È rassicurante vedere che a volte, ogni qualche generazione dell’acquitrino antiautoritario, i dogmi dai quali troppo spesso partiamo, che ci divorano e ci fanno girare in tondo in una scatola chiusa, vengono messi in questione. Che, quando certi principi ideologici finiscono per causare dei danni collaterali umani, siamo capaci di metterli in discussione, abbandonarli o riformularli. Un testo che alcuni compagni hanno pubblicato di recente è probabilmente riuscito a dare origine a discussioni appassionanti ed importanti [3]. La forza di quel testo era il fatto di fare un po’ ritorno all’individualità, là dove l’abbiamo tutti più o meno sostituita con dei dogmi e con l’ideologia, sostituendo anche gli individui con delle persone-tipo. E se questo genere di discussioni, sul “libero amore”, la coppia, la pluralità, la gelosia, la non-esclusività, etc. esistono effettivamente fra di noi, probabilmente soprattutto in situazioni in cui la gente vive insieme e a volte ha perso il senso dell’intimità (squat, comunità, etc.), mancava veramente questa volontà di farne una discussione davvero pubblica, per mezzo di un testo che non sia destinato solo a passare sottobanco all’interno di una o due bande di amici/he.
“Libero amore” è un’espressione, utilizzata fin dal XIX secolo, che all’origine serviva per definire il rifiuto anarchico del matrimonio, in una prospettiva di emancipazione individuale della donna e dell’uomo. I suoi sostenitori rifiutavano il matrimonio, considerato come una forma di schiavitù, innanzitutto per la donna, ma anche come un’ingerenza dello Stato e della Chiesa all’interno della loro intimità, e gli opponevano l’”unione libera”. Si trattava allora di affermare che due individui potevano scegliersi da sé, amarsi in maniera profana senza chiedere il permesso al sindaco o al curato ed alzare il dito medio di fronte a tutti quelli che avrebbero voluto intromettersi nella loro relazione. A contatto con gli ambienti libertari educazionisti e comunitari della fine della belle époque, sotto la forma del cosiddetto “cameratismo amoroso”, esso ha preso un altro senso, anche se in modo occasionale; ma ci ritorneremo.
È negli anni ’60, a contatto con il movimento hippy, che il termine ha veramente e completamente cambiato di significato. Significava allora il fatto di avere delle relazioni multiple e paritarie, in diverse forme, ma anche di aprire l’intimità sessuale da due a molte persone nello stesso tempo, in particolare nella forma del triangolo sessuale e del sesso di gruppo. Molto spesso, gli amorliberisti dell’epoca aggiungevano a tutto ciò una dose di misticismo (tantrismo, magia sessuale etc.).
Il “libero amore” com’è praticato al giorno d’oggi nei milieux antiautoritari francese, americano o tedesco [4] è ben più vicino alla visione hippy che a alla lotta antistatale ed anticlericale degli anarchici individualisti evocati poc’anzi, propugnatori dell’”unione libera”.
Ma “libero amore” è un’espressione che già in sé stessa non è corretta, perché usata in questo mondo nel quale tutti noi viviamo e nel quale non siamo in nessun modo liberi. Non c’è da stupirsi, d’altra parte, che questa espressione abbia tanto prosperato negli ambienti educazionisti e comunitari del movimento libertario della fine della belle époque. Basta rileggere la retorica fastidiosa dell’”en dehors” [“al di fuori”, dal mondo, da questa società, NdT] di un Emile Armand o di un André Lorulot per rendersene conto [5]. Quei libertari che vivevano per lo più in comunità poco aperte, in cui i bambini erano “protetti” dal mondo esterno (un po’ come fanno gli Amish), che cedevano a tutte le più ridicole mode dell’epoca (dieta a base d’olio, divieto della teina e della caffeina, consumo esclusivo di frutti con guscio, igienismo estremo, scientismo e progressismo assoluti, etc.) avevano la sensazione di vivere al di fuori [“en dehors”, NdT] dal mondo, di vivere liberi. Di fronte alla quantità ed alla qualità del lavoro rivoluzionario da effettuare per cambiare il mondo, hanno saputo trovare la più comoda delle piroette ideologiche: vivere la libertà subito, nel “fra di noi” e nella comunità. Non erano i primi [6] e nemmeno gli ultimi [7].
Ma noi parliamo spesso di una libertà totale ed indivisibile, perché a cosa servirebbe la libertà di circolazione, per esempio, se non si può circolare in nessun altro posto che in strade piene di botteghe, telecamere e sbirri? Lo stesso vale in amore: come essere liberi in amore quando non siamo liberi in nient’altro?
L’errore tipico, e storico, del gauchisme, che consiste nell’accontentarsi di capovolgere i valori del nemico – prendere il denaro ai ricchi per darlo ai poveri invece che abolire completamente le classi, riprendere a propria volta le retoriche di discriminazione e trasformarle in orgoglio (operaismo, orgogli etnici, sessuali e territoriali di ogni genere…), fare politica meglio dei politici ufficiali, invertire il patriarcato invece di distruggerlo, etc. – questo errore beninteso non risparmia nemmeno il campo delle relazioni amorose ed affettive. Si fa allora il contrario di quello che facevano le generazioni precedenti, tutti quei genitori che hanno sacrificato i propri desideri e le proprie vite per la coppia o la famiglia. Si ha così avuto, e a lungo, l’impressione di inventare qualcosa di nuovo, mentre non si faceva altro che proporre dei nuovi modelli di relazione copiati in negativo su quelli vecchi, ed ai quali ci siamo conformati come si fa con ogni norma.
La norma in vigore oggi nel milieu per quanto riguarda i modi di relazione amorosa ed affettiva è l’esortazione alla pluralità, l’imperativo morale della non-esclusività, la “costruzione di un’affettività abbondante” [8] e la moltiplicazione dei partner. Visto che la norma è capovolta, lo sono anche i refrattari alla norma. La relazione a due che basterebbe a sé stessa è quindi la nuova devianza da reprimere.
Eppure ci sembra importante riaffermare oggi che due persone possono sentirsi bene insieme senza per questo provare il bisogno di moltiplicare le avventure e ciononostante senza imporre la fedeltà come un rapporto morale oppure reprimere la sessualità “extraconiugale” a causa di valori stupidi e castratori. Ma ci sarà sempre un/a gran furbacchione/a che si crede più “liberato/a” degli altri pronto/a a far cadere il proprio giudizio sulle teste altrui: “Sono in coppia, che vergogna!”.
In fondo, perché dare la propria opinione, come il curato della parrocchia oppure il vescovo, su cose che non ci appartengono e non mettono in pericolo il nostro progetto rivoluzionario? Su cose la cui posta in gioco non ci concerne? Che qualcuno sia partigiano dell’unicità o del pluralismo amoroso non è problema di qualcun altro. Una sola cosa è importante: che ciascuno possa cercare il proprio pieno sviluppo individuale a modo suo, senza essere accecato da una qualunque ideologia, che essa venga dalla società patriarcale del matrimonio e dell’esclusivismo morale o dalla società di coloro i quali credono di possedere le ricette della libertà, sentendosi capaci di dire chi è libero e chi non lo è, in un mondo di gabbie e di catene. Perché, a partire da ciò, rifiutare di vedere che alla complessità degli individui é intrecciata la complessità delle situazioni? Che se una regola potesse guadagnarsi tutti gli animi, essa sarebbe per forza di cose inoperante e parteciperebbe alla negazione degli individui. Essendo una regola, essa limiterebbe di nuovo la libertà.
Quanti opuscoli per spiegarci come scopare, come amare, quale rapporto avere con il proprio corpo [9]. Quante norme troppo strette per i nostri desideri e le nostre percezioni. Quanti di noi, una volta passata, a sedici o vent’anni, l’eccitazione della falsa novità, non sono riusciti a ritrovarsi in questi nuovi modelli di pseudo-libertà? Quanti anche hanno sofferto dicendosi di non essere fatti per la libertà perché amavano una sola persona ed erano amati da una sola persona? Quanti si sono autoflagellati perché provavano gelosia? Si sono sentiti usati dall’altro, con la scusa della sua libertà? Si sono sentiti a disagio sotto lo sguardo inquisitore di quelli che si sentono liberi in questo mondo di dominio? Hanno dimenticato, nella chiusura settaria e ideologica di piccole bande, che ci sono pure alcuni miliardi di persone intorno a noi?
Come capita con tutte le derive ideologiche, prima ancora di aver studiato la realtà la adattiamo a ciò che l’ideologia vorrebbe vedervi. Non cerchiamo di fare quello che vorremmo, ma cerchiamo di volere ciò che dovremmo volere, piuttosto che partire dai nostri desideri reali ed individuali — e sulle distribuzioni del milieu ci sono abbastanza opuscoli, libri e testi per spiegarci quello che dovremmo volere. Allora, in questa corsa alla decostruzione ed alla pseudo-libertà, bisogna essere il più aperto di tutti, bisogna provare tutto, perché è necessario. O più precisamente perché ciò è necessario per sentirsi decostruito, migliore degli altri, armato di una nuova forma di progressismo. Si vede soltanto la trave che si ha nell’occhio, per riprendere al contrario la metafora biblica, e non si vede più il campo infinito delle possibilità che si offrono ai nostri occhi attraverso la distruzione. Come se decostruzione di sé stessi e distruzione di questo mondo non potessero andare bene insieme.
È il buon vecchio Kropotkin che diceva che “strutture fondate su secoli di storia non possono essere distrutte con qualche chilo di dinamite” [10] ed aveva ragione. Nel senso che la distruzione fisica non basta e che essa si somma necessariamente ad una decostruzione profonda dei rapporti sociali, con la quale è coerente. Ma mai ha voluto dire che qualche chilo di dinamite non potesse, pure lui, far emergere delle splendide potenzialità.
Non sono poi alcuni illuminati della decostruzione, sul modello di Zarathustra (che si ritira per dieci anni su una montagna e poi un bel giorno sente il bisogno di condividere la sua saggezza con il popolino), a portare la potenzialità di fare la rivoluzione, no. La rivoluzione (ed in misura minore l’insurrezione) è un fatto sociale, cioè, che lo si voglia o no, bisogna che un giorno o l’altro un largo strato della popolazione si sollevi. È a fianco di queste famose “persone normali” (come a volte si sente dire) che potremo fare la rivoluzione, non soltanto fra di noi, pochi sfigati antiautoritari super-decostruiti, che non potranno parteciparvi che alla loro scala ultra-ridotta. La rivoluzione non potrà essere che l’opera di quelle persone “normali”, con le loro qualità ed anche i loro numerosi difetti, che spesso si trovano ad anni luce da tali questioni (e da parecchie altre…).
Ma torniamo alle nostre farfalle. Armand sosteneva che “in amore, come in tutti gli altri campi, è l’abbondanza che annienta gelosia ed invidia. Ecco perché la formula dell’amore in libertà, tutti a tutte, tutte a tutti, è destinata a diventare quella di ogni milieu anarchico selezionato, riunito per affinità”. Ma come ci si può permettere, ieri come oggi, di affermare con tanta boria e tanta soddisfazione, qual è LA forma (“la formula”!) di relazione amorosa e sessuale che deve essere adottata DAGLI anarchici (o da qualunque altro gruppo sociale)? Il termine “libero amore” contiene già in sé questa forma di esclusione, poiché esso implica che la sua formula da sola può portare la libertà, mentre noi dubitiamo seriamente che si possa trovare la libertà attraverso l’amore, che esso venga chiamato “libero” oppure no. In fondo, si tratta davvero della libertà che cerchiamo attraverso l’amore?
Non dobbiamo illuderci, nell’era del postmoderno il concetto di libertà serve spesso, purtroppo, da pretesto per la negazione degli individui e per la negazione di ogni vera volontà di trasformare il mondo. “Non me ne frega un cazzo e me ne sbatto di te!” sembra essere la nuova libertà; in altre parole la libertà totale ed indivisibile, individuale ma condizionata dalla libertà altrui (che è al centro delle prospettive anarchiche da quando esse sono oggetto di dibattito e di discussione fra gli anarchici) si vede sostituita da questa specie di liberalismo già onnipresente. Ciò si somma ad un processo di normalizzazione che esprime la propria violenza attraverso la marginalizzazione degli individui visceralmente refrattari a tali norme, spiegandogli che se per loro non funziona così, il problema sono loro. Ma in tutto ciò non c’è nulla di straordinario. Dopo tutto, questo piccolo milieu è il prodotto di questo mondo e lo riproduce in maniera speculare.
Ma tale liberalismo ha mille facce e supera di gran lunga la questione delle relazioni affettive. A forza di riflettere per mezzo di ideologie e attraverso parole-chiave da usare ed altre da bandire, si finisce per non essere più capaci di nient’altro che di guardarsi l’ombelico con autosoddisfazione, in una piccola bolla comoda in cui a miliardi di altri esseri umani è vietato penetrare — e ciò nonostante i discorsi ultrasociali di facciata.
Allora ci dicono che la libertà è il nomadismo, è volteggiare qua e là come una farfalla, ma in questo modo come ci si può inscrivere in un reale intervento rivoluzionario con una continuità su un quartiere, un paese, una regione; con una pubblicazione, un posto, una lotta? Quelli che si sentono liberi a volteggiare come farfalle da una lotta all’altra si rendono conto che possono permetterselo solo perché altri rendono possibile la continuità di tali strumenti? Che alla prova dei fatti un tale romantico volteggiare è soltanto un’altra forma di comodo consumo?
E quando si parla di intervento rivoluzionario come di un lavoro di lungo respiro, che ha bisogno degli sforzi adeguati e del “sacrificio” [11] di una parte del proprio tempo, a volte della propria libertà e spesso delle proprie piccole comodità, in quanti si indispettiscono: “sforzi, lavoro, bleah, sporco capitalista!”. Allora bravi, cari compagni, voi siete liberi, voi non siete capitalisti, voi siete super-decostruiti, ma per fare che? Le cronache si ricorderanno di voi dicendo che vi siete ben divertiti, ma gli altri rivoluzionari non serberanno di voi che il ricordo del fatto che non avete fatto altro che consumarli; ed è là, ad un livello profondo, che si trova il capitalismo: nel consumo degli sforzi dell’altro, ma anche nel consumo dei corpi.
Ma che le malelingue non sputino il loro veleno attraverso la mia bocca: non si tratta di opporre la prassi rivoluzionaria al godimento. Tengo a precisare che la gioia non si trova necessariamente nelle forme che lo spettacolo gli dà di solito; non si tratta però di raccomandare qui un qualche ascetismo o rigorismo, perché a cosa servirebbe l’aver tanto criticato il militantismo se poi se ne riproducono i difetti? Ma secondo me al giorno d’oggi il progetto rivoluzionario come prodotto di una certa diversità di esperienze non si trova nelle categorie e nei ruoli sociali falsamente opposti del militantismo e dei milieux desideranti/decostruiti. Che quelli che ne dubitano sappiano che si provano piacere e soddisfazione a costruire sentieri per la sovversione e che il monopolio dell’estasi e della gioia non appartiene alle farfalle. Perché, per quanto sia bella, la farfalla è un insetto che vive solo per qualche giorno e la cui capacità di elaborare dei progetti, di immaginare il futuro, è quindi fortemente limitata. Una farfalla è graziosa ed è romantico compararvisi, certo, ma bisogna scegliere fra diventare un rivoluzionario oppure crogiolarsi nella miopia ed i godimenti istantanei dell’incoerenza e del gauchisme liberale/libertario.
Con il termine gauchisme non intendiamo per forza un milieu specifico, ma alcune tendenze che si ritrovano un po’ dappertutto nel milieu, fra gli anarchici, i comunisti, gli squatter e perfino fra i più ferventi partigiani di una rottura completa con la sinistra. Come abbiamo detto, una delle caratteristiche più importanti del gauchisme è il capovolgimento e l’inversione dei valori dominanti, che, quando si somma ad una certa forma di libertarismo, diventa liberalismo.
Il maggio ’68, a volte suo malgrado, ha probabilmente contribuito a dare origine a queste nuove forme di gauchisme che si dedica a contemplare il proprio ombelico. In una società borghese dai valori soffocanti e ben radicati, in molti si sono sforzati di fare soltanto il contrario di quello che la società si aspettava da loro, cosa che ha fatto sì che ne riproducessero specularmente i difetti. La droga era un tabù assoluto nella società, allora perché non farne un totem e sentirsi liberi fra due pere, con la testa nel canale di scolo? La coppia è la prima cellula d’alienazione nella società? Allora siamo liberi, facciamo orge, scopiamo tanto quanto possibile, collezioniamo le conquiste di un giorno e sentiamoci liberi mentre tanti altri restano a terra KO per aver amato persone che non hanno fatto altro che consumarli.
Basta aprire un opuscolo sul “libero amore”, sulle relazioni cosiddette “libere”, la non-esclusività, i “comfort affettivi” ed i famosi “affetti” per rendersi conto che la sola cosa a venirvi proposta è la negazione completa dell’individuo ed il suo consumo, con l’unico fine egoistico di un godimento istantaneo, la maggior parte delle volte in un rapporto economico di accumulazione, di profitto e di cannibalismo sociale. Allora, ecco che secondo uno di questi testi sembra che la libertà sia l’avere la possibilità di farsene cinquanta e di “avere la scelta”. Reificazione a tutti i livelli! Questa sera sarà Jean, è alto e mi farei volentieri uno alto; mi tengo Joséphine per domani perché mi piacciono le donne mature e dopodomani ho la mia storia feticista con Mohammed. Godere senza tempi morti! Ma questo rapporto è quello dell’accumulazione del capitale, di un “capitale affettivo” questa volta, in cui le merci sono degli umani, considerati come beni sociali, beni affettivi accumulati su un conto in banca sentimentale. Allora sì, siamo liberi di sfruttare e di essere sfruttati liberamente, ma allora la parola “libertà” non ha più alcun senso: la social-democrazia ha vinto, l’economia ha vinto, l’epoca ha vinto, esse hanno perfino penetrato la nostra intimità affettiva ed i nostri rapporti interindividuali, fino a rendere caduca ogni forma di libera associazione degli individui.
Quando questo mondo ci fa credere che la nostra libertà si trova, in un supermercato, nella possibilità di scegliere fra diversi marchi di spazzolini da denti, mette in atto esattamente lo stesso stratagemma. Il “libero amore” o poli-amore “decostruito”, così come viene presentato nel milieu, non è meglio, la maggior parte delle volte, di questa “libertà di consumare”. Alla fin fine è molto simile a quello degli ambienti libertini borghesi o della gioventù aristocratica e alto borghese, dei “sex-friends” ed altri “fuck-buddies” che si pagano gli operatori di borsa ed altri fighetti della City. Ciò salvo che in una differenza, il fatto cioè che il libertinaggio borghese dà a chi lo pratica la sensazione probabilmente eccitante di rompere od aggirare delle norme e dei divieti, procurando il brivido della sovversione dei valori morali e dell’anticonformismo, anche se in maniera molto limitata e superficiale. Il libertinaggio del milieu, lui, è ben diverso, nel senso che si tratta di una norma relativamente maggioritaria, che serve a procurare la fiacca sensazione di essere conformi agli standard ideologici del milieu stesso. Ciò a dispetto dei desideri individuali di ciascuno, che sono in perpetuo movimento e mai stabiliti una volta per tutte, come capita in un milieu o qualunque collettività che fissi delle regole, necessariamente riduttrici, che si applicano a tutti i casi possibili e a tutti gli individui, inevitabilmente più complessi poiché unici.
Jean, Joséphine e Mohammed condividono davvero la stessa visione della relazione che io intrattengo con loro, per l’unica ragione pretestuosa che ne avremmo discusso “chiaramente”? Partiamo tutti dalla stessa situazione, prima di impegnarci in una relazione di questo tipo? L’ideologia, associata alla riduzione del linguaggio di un mondo di dominio, basta davvero a mettere le cose in chiaro?
Alla fine ci sono ben poche differenze, se mettiamo da parte le differenze di atteggiamenti, fra il “liberamorista” consumatore e l’Emiro poligamo che sotto lo stesso tetto sceglierà ogni notte quale donna avrà voglia di scopare e/o di amare mentre le altre gli preparano da mangiare. Nel milieu c’è una sola differenza significativa, visto che femminismo e gauchisme intrecciati sono passati di là: a volte le donne beneficiano di una più grande tolleranza nella pratica dell’harem. Un po’ quello che vale per gli uomini nel resto della società.
I partigiani più ideologici del “libero amore” commettono alla fine i medesimi errori di tutti coloro i quali sono accecati dall’ideologia, qualunque essa sia. Sostituiscono gli individui reali con delle persone-tipo rimpiazzabili, negando la loro complessità e la loro unicità. Quando due persone incominciano una relazione ultra-definita, cioè con le famose discussioni “chiare” dell’inizio, su cosa ciascuno si aspetti da quella relazione e sulle sue modalità, bisognerebbe innanzitutto potersi porre il problema dell’equilibrio fra queste due persone. Se una delle due possiede già molte relazioni amorose e l’altra no. Se una delle due è socialmente considerata “brutta”, “bella” o “carismatica” e l’altra no. Se una delle due si aspetta dall’altra solo dell’affetto mentre l’altra si aspetta l’amore. Se una delle due è felice mentre l’altra è infelice ed insicura o se una delle due padroneggia la lingua con più disinvoltura dell’altra. Possiamo negare tutto ciò?
In quanti, non particolarmente desiderosi di avere una relazione non esclusiva, l’hanno accettata per adeguarsi ai desideri dell’altro. Ma questo accettare, questo “sì” è veramente un “sì” libero? Perché se Jean è innamorato di Jeanne ed in posizione di debolezza e Jeanne lo mette a parte del suo desiderio di una relazione non-esclusiva e paritaria, Jean accetterà. E Jeanne avrà l’impressione che tutto è semplice e facile, senza chiedersi se Jean non avrebbe accettato di buon grado anche il contrario.
Allora questo sì del debole è così diverso dal “sì” che diciamo al padrone per lavorare? Sosteniamo qui che si tratta dello stesso “sì” e che parlare di libertà in questo tipo di casi è perpetuare quello che Nietzsche chiamava « quel sublime inganno […] che sta nell’interpretare la debolezza stessa come libertà » [12].
Quelle di emancipazione sessuale sono idee belle e generose, ma ognuno di noi, facendole passare nel crogiolo della propria individualità e del riconoscimento dell’unicità dell’altro, dà loro delle modalità diverse. Come abbiamo già detto, sosteniamo che non esiste alcuna norma che possa regolare le relazioni umane, ciò per la stessa ragione per la quale ci opponiamo alla Legge, cioè il fatto che essa non potrà mai tenere conto la complessità degli individui che le sono sottoposti [13]. D’altra parte è per questo motivo che le contrapponiamo l’etica, necessariamente individuale e, speriamo, viscerale, quando essa non è stata imparata in modo ideologico, e mal digerita, su qualche opuscolo. Allo stesso modo sosteniamo che il solo modo di relazionarsi un pochino emancipatore è quello che pone al centro della sua attenzione il benessere degli uni e degli altri, libero dalle trappole e dagli imperativi dell’ideologia e capace di superare un intimismo che guarda solo al proprio ombelico. Perché la sola regola valida in amore non potrebbe essere quella di fare attenzione all’altro, trattarlo in modo corretto, come individuo, piuttosto che applicare ciecamente delle regole che dovrebbero renderci liberi attraverso il solo godimento personale, ma senza alcuna sensibilità verso l’alterità? Facendo, tra l’altro, l’errore analitico di limitare la critica dell’economia alla semplice economia formale, piuttosto che scovarla nei rapporti sociali che regolano le nostre relazioni alienate.
Allora, per spezzare l’obbligo sociale e normativo della coppia si sceglie un poliamore ideologico e si fabbrica una nuova norma, comoda finché dura, prima che si facciano avanti nuovi drammi umani. Non è un caso se il ’68, al di là delle incredibili esperienze di occupazioni e distruzioni di fabbriche e di università, di scontri e di barricate e più in generale della magnifica esperienza di aver toccato con la punta di un dito la possibilità di una vera sovversione dell’esistente, non è un caso se al di là di questa icona si nascondono molti drammi umani, suicidi, overdosi, tradimenti ed una tristezza infinita. Non è un caso se dietro ogni esperienza di emancipazione di massa (o che in ogni caso sia stata vissuta così dai suoi protagonisti) si nascondono altrettanti drammi umani, dal maggio ’68 a Woodstock, dalla “liberazione sessuale” ai maoisti ed ai movimenti studenteschi radicali negli Stati Uniti degli anni ’60 e ’70. Niente di strano, poi, nel fatto che tanti siano riusciti a cadere in piedi, formando la classe dirigente del mondo d’oggi, mentre tanti altri che hanno applicato le idee alla lettera si trovano a marcire in galera, dimenticati da più di quarant’anni, pagando il fatto di non essere stati incoerenti come gli altri, di non aver cercato solo il godimento dell’istante presente.
Quelli che erano lì solo per divertirsi, volteggiare qua e là come farfalle e liberarsi l’ombelico ne hanno ben tratto profitto. Quelli che ci hanno creduto e che ancora ci credono ne hanno fatto le spese. Perché il profitto degli uni è lo sfruttamento degli altri, che sia con le armi del capitale e del lavoro oppure con quelle dell’ideologia e dell’irreggimentazione da caserma, sia essa di partito oppure autonoma.
Allora, che le farfalle volteggino pure, raccogliendo polline, ma che i fiori si ribellino.
agosto 2013, Aviv Etrebilal.
[1] Milieu: letteralmente “mezzo, metà”, significa anche “ambiente” nel senso di gruppo sociale (minoritario e spesso marginalizzato) di appartenenza. Usato per definire, in senso più largo e meno “esigente”, il “movimento” rivoluzionario e/o alternativo francese (ma anche, per esempio, la “mala”). Non esistendo un termine esattamente equivalente in italiano, si è scelto di lasciare quello originale, salvo quando, di volta in volta, è stato possibile renderlo con un’espressione adatta al contesto; NdT.
[2] Gauchisme: lett. “appartenente/proprio all’estrema sinistra”; insieme di comportamenti, valori e riferimenti culturali tipici delle persone appartenenti o vicine all’estrema sinistra. Più avanti (pp. 3 e 6) l’autore elucida il senso che dà al termine; NdT
[3] « Amour libre » vraiment ? Et après ? Pubblicato su Le Cri Du Dodo, 20 giugno 2013. http://www.non-fides.fr/?Le-couple-et-la-cohabitation-sont
[4] Non a caso paesi in cui i milieux antiautoritari sono permeati di French Theory.
[5] Molto diversa, per esempio, dalla visione di uno Zo d’Axa o della cosiddetta “banda Bonnot”.
[6] Si pensi alle esperienze fourieriste, utopiste, i falansteri etc.
[7] Dai kibbutz, alle comunità neorurali del dopo-68, fino alla pseudo-comune di Tarnac, etc.
[8] Cfr. “Contre l’amour”, Iosk Editions, agosto 2003, disponibile su infokiosques.net.
[9] Opuscoli che in qualche modo ricordano quelli diffusi dalle Chiese riformate negli Stati Uniti degli anni ’50.
[10] In un articolo del giornale Le revolté risalente al 1887. Precisiamo tuttavia che sette anni prima, sempre sullo stesso giornale, incitava “alla rivolta permanente attraverso la parola, lo scritto, il pugnale, il fucile, la dinamite”.
[11] Usiamo volontariamente, qui, dei termini roboanti, giusto per solleticare gli animi e provocare qualche facile polemica! Ma va da sé che non intendiamo diffondere il sacrificio come valore.
[12] F. Nietzsche, “Genealogia della morale”, 1887. Tr. it. di F. Masini, in Opere di F. Nietzsche, Adelphi, 1978, pag. 245; NdT.
[13] Questo certamente al di là del fatto che essa sarà sempre nelle mani del potere e di chi lo mantiene.
Aviv Etrebilal
Papillons, amour libre et idéologie
Lettre sur l’inconséquence
Avant-propos
Ce texte n’est pas un énième texte sur l’« amour libre », les « affects » et la « déconstruction », il a prétention à être plus que cela. Ecrit fin juillet/début août, il a jusqu’à octobre 2013, servi à poser les bases de nombreuses discussions plus ou moins collectives, dans l’informel. Des discussions très riches qui l’ont poussé à se nuancer et se compléter, et qui ont réussi à soulever de nombreux questionnements sur les rapports idéologiques qui régissent souvent les modes de pensée et de relation du milieu antiautoritaire français. Alors si ce texte n’est pas un énième texte sur les « affects », c’est qu’il s’agit d’abord d’un texte sur l’idéologie, et sur les « milieux », l’inconséquence et le gauchisme (et son rapport d’inversion). La façon dont il a réussi à faire écho à des situations diverses et variées, qui n’impliquaient pas nécessairement les relations affectives, mais un tas d’autres questions, comme les rapports de pouvoir, le conformisme d’un milieu anticonformiste, les contre-normes qui normalisent, les rôles sociaux et les rapports de consommation des individus, des luttes et des outils de lutte etc. en font un texte dont le but principal est d’ouvrir un débat qui le dépassera. Si nous avons tenu à le publier aujourd’hui, après ces quelques mois de gestation et de discussions passionnantes, c’est justement pour ouvrir ce débat, en cohérence avec le contenu du texte, au-delà des limites de l’informel et de l’entre-soi. Et nous espérons qu’il continuera son aventure ainsi.
Octobre 2013
Ravage Editions.
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Il est rassurant de voir, pour certaines générations du marécage anti-autoritaire, que les dogmes desquels nous partons trop souvent, qui nous bouffent et nous font tourner en rond dans un vase clos sont parfois remis en question. Que lorsque certains principes idéologiques finissent par causer des dommages collatéraux humains, nous sommes capables de les remettre en question, de les abandonner ou de les reformuler. Un texte sorti récemment par des compagnons a probablement réussi à provoquer des discussions passionnantes et importantes [1]. La force de ce texte était de revenir un petit peu à l’individualité là où nous l’avions tous plus ou moins remplacée par des dogmes et de l’idéologie, et les individus par des personnes-type. Et si ces discussions-là, sur l’amour libre, le couple, la pluralité, la jalousie, la non-exclusivité etc. existent bel et bien entre nous, probablement plus dans les milieux où les gens vivent ensemble et ont parfois perdu le sens de l’intimité (squats, communautés, etc.) qu’ailleurs, il manquait vraiment cette volonté d’en faire une discussion réellement publique à travers un texte qui ne ferait pas que passer sous le manteau d’une ou deux bandes de copain/ines.
« Amour libre » est une expression utilisée depuis le XIXe siècle, qui servait à la base à décrire le rejet anarchiste du mariage dans une perspective d’émancipation individuelle de la femme et de l’homme. Ses partisans rejetaient le mariage comme une forme d’esclavage de la femme d’abord, mais aussi comme une ingérence de l’Etat et de l’Eglise dans leur intimité, lui opposant « l’union libre ». Il s’agissait alors d’affirmer que deux individus pouvaient se choisir eux-mêmes, s’aimer de façon profane sans demander la permission au maire et au curé et lever le majeur face à tous ceux qui souhaiteraient s’ingérer dans leur relation. Au contact des milieux libertaires éducationnistes et communautaires de la fin de la belle époque, sous la forme de la dite « camaraderie amoureuse », celui-ci a pris un autre sens, quoique de façon anecdotique, mais nous y reviendrons.
C’est réellement dans les années soixante, au contact du mouvement hippie, que le terme a totalement changé de sens. Il signifiait alors le fait d’avoir des relations multiples et paritaires sous diverses formes, mais aussi d’ouvrir l’intimité sexuelle de deux à plusieurs personnes à la fois, notamment sous la forme du triolisme et de la partouse. La plupart du temps, les amour-libristes de l’époque ajoutaient une dose de mysticisme à tout cela (tantrisme, magie sexuelle etc.).
L’« Amour libre » tel qu’il est pratiqué aujourd’hui dans les milieux anti-autoritaires français, américains ou allemands [2], est bien plus proche de la vision hippie que de la lutte anti-étatique et anticléricale des anarchistes individualistes pour « l’union libre » évoquée plus tôt.
Mais « Amour libre » est un terme qui déjà, en lui-même, est biaisé, car employé dans ce monde dans lequel nous vivons tous et dans lequel nous ne sommes libres d’aucune manière. Il n’est pas étonnant d’ailleurs que ce terme ait tant prospéré dans les milieux éducationnistes et communautaires du mouvement libertaire de la fin de la belle époque. Il suffit de relire cette rhétorique agaçante de l’« en-dehors » d’un Emile Armand ou d’un André Lorulot pour s’en rendre compte [3]. Ces libertaires qui vivaient généralement en communautés peu ouvertes, et où les enfants étaient « protégés » du monde extérieur (un peu comme chez les amish), qui succombaient à toutes les modes ridicules de l’époque (régime à l’huile, interdiction de la théine et de la caféine, consommation exclusive de fruits à coques, hygiénisme maladif, scientisme et progressisme absolus etc.), avaient le sentiment de vivre en-dehors du monde, de vivre libres. Face à la quantité et à la qualité du travail révolutionnaire à effectuer pour changer le monde, ils ont su trouver la plus confortable des pirouettes idéologiques : vivre la liberté maintenant, dans l’entre-soi, et la communauté. Ce n’étaient pas les premiers [4], pas non plus les derniers [5].
Mais nous parlons souvent d’une liberté totale et indivisible, car à quoi bon la liberté de circulation, par exemple, s’il n’y a nulle part ailleurs où circuler que dans des rues remplies de boutiques, de caméras et de flics ? Il en va de même pour l’amour, comment être libres en amour lorsque nous ne sommes libres nulle part ?
L’erreur typique et historique du gauchisme, qui consiste à se contenter de renverser les valeurs de l’ennemi – prendre l’argent aux riches pour le donner aux pauvres plutôt que d’abolir complètement les classes, reprendre à son compte les rhétoriques de discrimination et les transformer en fierté (ouvriérisme, fiertés ethniques, sexuelles et territoriales en tout genre…), faire de la politique mieux que les politiciens officiels, inverser le patriarcat plutôt que de le détruire etc. – cette erreur n’épargne bien sûr pas le champs des relations amoureuses et affectives. Il s’agit alors de faire le contraire des générations précédentes, de tous ces parents qui ont sacrifié leurs désirs et leurs vies pour leur couple ou pour leur famille. Alors on a longtemps eu l’impression d’inventer de nouvelles choses en ne faisant que proposer de nouveaux modèles de relations, calqués en négatif sur les anciens, et auxquels nous nous sommes conformés, comme avec chaque norme.
La norme en place aujourd’hui dans le mode de relation amoureuse et affective du milieu, est l’exhortation à la pluralité, l’impératif moral de non-exclusivité, la « construction d’une affection abondante » [6] et la multiplication des partenaires. La norme étant inversée, les réfractaires à la norme le sont également. La relation à deux qui se suffirait à elle-même est donc la nouvelle déviance à réprimer.
Pourtant, il nous semble important aujourd’hui de réaffirmer que deux personnes peuvent se sentir bien ensemble sans pour autant ressentir le besoin de multiplier les aventures et sans pour autant poser la fidélité comme un rapport moral ou réprimer la sexualité « extra-conjugale » en raison de valeurs stupides et castratrices. Mais il y aura toujours un/e gros/se malin/e, se croyant plus « libéré/e » que les autres pour faire tomber son jugement sur la gueule des autres : « ils sont en couple, la honte ! »
Au fond, pourquoi porter son avis, comme le curé de la paroisse ou l’évêque, sur des choses qui ne nous appartiennent pas et ne mettent pas en péril notre projet révolutionnaire ? Sur des choses dont les enjeux ne nous concernent pas ? Que l’un soit partisan de l’unicité ou du pluralisme amoureux n’est pas le problème de l’autre. Une seule chose est importante, que chacun puisse chercher son épanouissement à sa manière, sans s’aveugler par une quelconque idéologie, qu’elle vienne de la société patriarcale du mariage et de l’exclusivisme moral ou de la société de ceux qui croient posséder les recettes de la liberté, se sentant capables de dire qui est libre et qui ne l’est pas dans un monde de cages et de chaînes. Pourquoi, à partir de là, refuser de voir qu’à la complexité des individus se mêle la complexité des situations ? Que si une règle pouvait rallier tous les esprits, elle serait forcément inopérante et participerait à la négation des individus. Puisqu’elle serait une règle, elle entraverait à nouveau la liberté.
Combien de brochures pour nous expliquer comment baiser, comment aimer, quel rapport avoir à son corps [7]. Combien de normes trop étroites pour nos désirs et nos perceptions ? Combien d’entre nous qui, passée l’excitation de la fausse nouveauté à seize ou vingt ans, n’ont pas réussi à se retrouver dans ces nouveaux modèles de pseudo-liberté ? Combien aussi à avoir souffert de s’être dit qu’ils n’étaient pas faits pour la liberté parce qu’ils n’aimaient qu’une personne et qu’ils n’étaient aimés que d’une personne ? Combien à s’être flagellés de ressentir de la jalousie ? A s’être sentis consommés par l’autre sous prétexte de sa liberté ? A s’être sentis mal à l’aise sous le regard inquisiteur de ceux qui se croient libres dans ce monde de domination ? A oublier, dans l’enfermement sectaire et idéologique des petites bandes, qu’il y a encore quelques milliards de personnes autour de nous.
Comme dans toute dérivation idéologique, avant même d’avoir étudié la réalité, on l’adapte à ce que l’idéologie voudrait bien y voir. On ne cherche pas à faire ce qu’on voudrait, mais on cherche à vouloir ce qu’on devrait vouloir, et il y a bien assez de brochures, bouquins et textes sur les tables de presse du milieu pour nous expliquer ce que l’on devrait vouloir, plutôt que de partir de nos désirs réels et individuels. Alors dans cette course à la déconstruction et à la pseudo-liberté, il s’agit d’être le plus ouvert de tous, de tout essayer, parce qu’il le faut. Ou plus précisément, parce qu’il le faut pour se sentir déconstruit, meilleur que les autres, armés d’une nouvelle forme de progressisme. Alors on ne voit plus que la poutre qu’on a dans l’œil, pour reprendre la métaphore biblique à l’envers, et on ne voit plus le champ infini de possibilités qui s’offre à nos yeux dans la destruction. Comme si déconstruction de soi et destruction de ce monde ne pouvaient pas faire bon ménage.
C’est ce bon vieux Kropotkine qui disait que « des structures fondées sur quelques siècles d’histoire ne peuvent êtres détruites par quelques kilos de dynamite » [8], et il avait raison. Dans ce sens que la destruction physique ne se suffit pas à elle-même, et qu’elle s’additionne forcement en cohérence avec une déconstruction profonde des rapports sociaux. Mais jamais n’a-t-il voulu exprimer que quelques kilos de dynamite ne pouvaient pas, eux aussi, faire émerger de splendides potentialités.
De plus, ce ne sont pas quelques illuminés de la déconstruction qui, sur le modèle de Zarathoustra (se retirant dix ans dans la montagne, et sentant un jour le besoin de partager sa sagesse avec le petit-peuple), portent la potentialité de faire la révolution, non. La révolution (et dans une moindre mesure l’insurrection) est un fait social, c’est-à-dire que, qu’on le veuille ou non, il faudra à un moment ou un autre qu’une large strate de la population se soulève. C’est à côté de ces fameux « vrais gens » (comme on l’entend parfois) que nous pourrons faire la révolution, et pas seulement les quelques clampins anti-autoritaires super-déconstruits qui ne pourront y participer qu’à leur échelle ultra-réduite. Elle ne pourra qu’être l’œuvre de ces personnes « normales », avec leurs qualités et aussi leurs nombreux défauts, et qui sont souvent à des années-lumière de cette question (et de bien d’autres…).
Mais revenons à nos papillons. Armand affirmait que « en amour comme dans tous les autres domaines, c’est l’abondance qui annihile la jalousie et l’envie. Voilà pourquoi la formule de l’amour en liberté, tous à toutes, toutes à tous, est appelée à devenir celle de tout milieu anarchiste sélectionné, réuni par affinités. » Mais comment peut-on, hier comme aujourd’hui, se permettre d’affirmer avec tant de morgue et de satisfaction, quelle est LA forme (« formule » !) de relation amoureuse et sexuelle qui doit être adoptée par LES anarchistes (ou n’importe quel autre milieu social). Le terme « amour libre » contient déjà en lui-même cette forme d’exclusion, puisqu’il implique que sa seule forme est capable d’apporter la liberté, alors que nous doutons sérieusement de la quelconque possibilité de trouver la liberté à travers l’amour, qu’il soit dit « libre » ou non. Car est-ce bien la liberté que nous recherchons à travers l’amour ?
Il ne faut pas se leurrer, à l’ère du post-moderne, le concept de liberté sert malheureusement bien trop souvent de prétexte à la négation des individus, et à la négation de toute volonté véritable de transformation du monde. « J’en ai rien à foutre et je t’emmerde » semble être la nouvelle liberté, en d’autres termes, la liberté totale et indivisible, individuelle mais conditionnée par la liberté de l’autre (qui est au centre des perspectives anarchistes depuis que celles-ci font l’objet de débats et de discussions entre anarchistes) s’est vue remplacée par cette sorte de libéralisme déjà omniprésent. S’additionnant à un processus de normalisation qui exprime sa violence à travers la marginalisation des individus viscéralement réfractaires à ces normes, en leur expliquant que si cela ne fonctionne pas pour eux, c’est qu’ils sont le problème. Mais il n’y a rien d’étonnant à cela. Après tout, ce petit milieu est le produit de ce monde, et il le reproduit en retour.
Mais ce libéralisme a mille facettes, et dépasse largement la question des relations affectives. A force de réfléchir avec des idéologies et des mots-clés à employer et d’autres à bannir, on a fini par n’être plus capables de rien d’autre que de se regarder le nombril avec auto-satisfaction dans une petite bulle confortable où les quelques milliards d’autres humains ont interdiction de pénétrer, et ce malgré les discours ultra-sociaux de façade.
Alors on nous dit que la liberté c’est le nomadisme, c’est de papillonner, mais comment alors s’inscrire dans une réelle démarche révolutionnaire de continuité sur un quartier, un village, une région, avec une publication, un lieu, une lutte ? Ceux qui se sentent libres à papillonner d’une lutte à une autre se rendent-ils bien compte qu’ils ne peuvent se le permettre que parce que certains maintiennent la continuité de ces outils ? Que ce papillonnage romantique n’est en fait qu’une autre forme de consommation confortable ?
Et lorsque l’on parle de la démarche révolutionnaire comme d’un travail de longue haleine, qui nécessite des efforts conséquents et une part de « sacrifice » [9] de son temps, parfois de sa liberté et souvent de son petit confort, combien sont-ils à s’offusquer, « efforts, travail, beurk, sale capitaliste ! ». alors bravo chers camarades et compagnons, vous êtes libres, vous n’êtes pas capitalistes, vous êtes super déconstruits, mais à quoi bon ? La mémoire retiendra de vous que vous vous êtes bien amusés, mais les autres révolutionnaires ne retiendront de vous que vous n’avez fait que les consommer, et c’est là, profondément, que se trouve le capitalisme : dans la consommation des efforts de l’autre, mais aussi dans la consommation des corps.
Mais que les mauvaises langues ne crachent pas leur venin à travers ma bouche, il ne s’agit pas d’opposer la praxis révolutionnaire à la jouissance. Je tiens surtout à préciser que la joie n’est pas nécessairement dans les formes que le spectacle lui donne généralement, mais il ne s’agit pas ici de prôner un quelconque ascétisme ou rigorisme, car à quoi bon avoir tant critiqué le militantisme si c’était pour en reproduire les travers tôt ou tard. Reste qu’aujourd’hui, comme produit d’une certaine diversité d’expériences, le projet révolutionnaire selon moi se trouve ailleurs que dans les catégories et rôles sociaux faussement opposés du militantisme et des milieux désirants/déconstruits. Que ceux qui en doutent sachent que l’on prend plaisir et satisfaction à construire des sentiers de subversions, et que le monopole de l’extase et de la joie n’appartient pas aux papillons. Car aussi beau soit-il, le papillon est un insecte qui ne vit que quelques jours, et dont la capacité à élaborer des projets, à envisager le futur est donc fortement limitée. C’est mignon un papillon, et c’est si romantique de s’y comparer, certes, mais entre devenir révolutionnaire et se vautrer dans la myopie et les jouissances instantanées de l’inconséquence et du gauchisme libéral/libertaire, il faut choisir.
Nous n’entendons pas nécessairement par gauchisme un milieu spécifique, mais des tendances qui se retrouvent un peu partout dans le milieu, que ce soit chez les anarchistes, communistes, squatters et même chez les plus fervents partisans d’une rupture totale avec la gauche. Comme nous l’avons dit, une des caractéristiques les plus importantes du gauchisme est le renversement et l’inversion des valeurs dominantes, qui lorsqu’il s’additionne à une forme de libertarisme devient libéralisme.
Mai 68 a probablement contribué a donner naissance à ces nouvelles formes du gauchisme nombriliste, parfois malgré lui. Dans une société bourgeoise aux valeurs morales étouffantes et bien ancrées, beaucoup ne se sont efforcés que de faire le contraire de ce que la société attendait d’eux, ce qui en fait ne leur a permis que d’en reproduire les travers en miroir. La drogue étant un tabou absolu dans la société, alors pourquoi ne pas en faire un totem et se sentir libres entre deux overdoses, la tête dans le caniveau ? Le couple, première cellule d’aliénation dans cette société ? Alors soyons libres, partousons, baisons tant que nous le pourrons, collectionnons les conquêtes d’un jour et sentons nous libres pendant que tant d’autres restent sur le carreau d’avoir aimé des gens qui n’ont fait que les consommer.
Il suffit d’ouvrir une brochure sur l’« amour libre », sur les relations dites « libérées », la non-exclusivité, les « conforts affectifs » et les fameux « affects » pour se rendre compte que la seule chose qui y est proposée est la négation totale de l’individu et sa consommation dans le seul but égotiste d’une jouissance instantanée, la plupart du temps dans un rapport économique d’accumulation, de profit et de cannibalisme social. Alors dans une, il paraît que la liberté c’est d’avoir la possibilité de tirer cinquante coups et d’« avoir le choix ». Réification à tous les étages ! Ce soir ce sera Jean, il est grand et je me taperais bien un grand, je me garde Joséphine pour demain car j’aime bien les femmes mûres et le surlendemain mon trip fétichiste avec Mohammed. Jouir sans entrave !
Mais ce rapport est celui de l’accumulation du capital, d’un « capital affectif » cette fois, où les marchandises sont des humains, considérés comme des commodités sociales, des biens affectifs accumulés sur un compte en banque sentimental. Alors oui, nous sommes libres d’exploiter et d’être exploités librement, mais alors le mot « liberté » n’a plus aucun sens : la social-démocratie a gagné, l’économie a gagné, l’époque a gagné, elles ont même pénétré notre intimité affective et nos rapports inter-individuels jusqu’à rendre caduque toute forme de libre-association des individus.
Lorsque ce monde nous fait croire que notre liberté se trouve, dans un supermarché, dans la possibilité de choisir entre plusieurs marques de brosses à chiotte, il opère exactement le même stratagème. L’« amour libre » ou polyamour « déconstruit » tel qu’il est présent dans le milieu ne vaut la plupart du temps pas mieux que cette « liberté de consommer », il est finalement très comparable à celui des milieux libertins bourgeois ou de la jeunesse dorée, de ses « sex-friends » et autres « fuck-buddies », que s’arrachent traders et branchouilles de la City. A une différence près cependant, c’est que le libertinage bourgeois donne à ses pratiquants la sensation probablement excitante de briser ou contourner des normes et des interdits, procurant le frisson de la subversion des valeurs morales et de l’anti-conformisme, même si de façon très limitée et superficielle. Le libertinage du milieu est lui bien différent en ce sens qu’il est une norme relativement majoritaire, qui sert à procurer la sensation molle d’être conforme aux standards idéologiques du milieu, en dépit des désirs individuels de chacun, qui sont bien sûr en mouvement perpétuel et jamais figés comme avec un milieu ou n’importe quelle collectivité fixant des règles forcement réductrices s’appliquant à tous les cas de figure et à tous les individus, forcément plus complexes car uniques.
Jean, Joséphine et Mohammed partagent-ils vraiment la même vision de la relation que j’entretiens avec eux, sous le seul prétexte que nous en aurions discuté « clairement » ? Partons-nous tous d’une même situation avant de nous engager dans une relation de ce type ?
L’idéologie, associée à la réduction du langage dans un monde de domination, suffit-elle vraiment à mettre les choses au clair ?
Au fond, il y a peu de différences, si on ignore un instant les différences de postures, entre l’amour-libriste consommateur et l’Émir polygame qui sous le même toit choisira chaque nuit laquelle il aura envie de baiser et/ou d’aimer pendant que les autres lui préparent à manger. Une seule différence significative peut-être dans le milieu, féminisme et gauchisme entremêlés étant passés par là, les femmes bénéficient parfois d’une plus large tolérance dans la pratique du harem. Un peu comme les hommes dans le reste de la société.
Les partisans les plus idéologiques de l’amour libre font au final les mêmes erreurs que tous ceux qui sont aveuglés par l’idéologie, quelle qu’elle soit. Remplaçant les individus réels par des personnes-type interchangeables, niant leur complexité et leur unicité. Lorsque deux personnes débutent une relation ultra-définie, c’est-à-dire avec les fameuses discussions « claires » du début sur ce que chacun attend de cette relation et de ses modalités, il faudrait d’abord pouvoir se poser la question de l’équilibre entre ces deux personnes. Si l’une des deux personnes possède déjà plusieurs relations amoureuses et pas l’autre. Si l’une des deux personnes est socialement considérée comme « moche », « belle » ou « charismatique » et pas l’autre. Si l’une des deux personnes n’attend de l’autre que de l’affection tandis que l’autre en attend de l’amour. Si l’une des deux personnes est heureuse tandis que l’autre est malheureuse et insécure, ou si l’une des deux maîtrise le langage avec plus d’aisance que l’autre. Peut-on nier ces choses-là ?
Combien, pas particulièrement désireux d’avoir une relation non-exclusive avec l’autre, ont accepté une relation de ce type pour s’aligner sur les envies de l’autre. Mais cette acceptation, ce « oui » est-il réellement un « oui » libre ? Car si Jean est amoureux de Jeanne et en position de faiblesse, et que Jeanne lui explique sa volonté d’une relation non-exclusive et paritaire, Jean acceptera. Et Jeanne aura l’impression que tout est simple et facile, sans se demander si Jean n’aurait pas tout aussi bien accepté le contraire.
Alors ce oui du faible est-il si différent du « oui » que nous donnons au patron pour travailler ?
Nous affirmons qu’il est le même, et que parler de liberté dans ces cas-là, c’est perpétuer ce que Nietzsche appelait « ce mensonge sublime qui interprète la faiblesse comme liberté » [10].
Les idées d’émancipation sexuelle sont des idées belles et généreuses, mais chacun de nous, en les faisant passer dans le creuset de sa propre individualité et de la reconnaissance de l’unicité de l’autre, lui donne des modalités différentes. Comme nous l’avons dit plus tôt, nous affirmons qu’il n’y a pas de règle qui puisse régir les relations humaines, pour les mêmes raisons que nous nous opposons à la Loi, car elle ne pourra jamais prendre en compte la complexité des individus qu’elle met sous sa coupe [11]. C’est d’ailleurs pour cette raison que nous lui opposons l’éthique, forcement individuelle, et nous l’espérons, viscérale, lorsque non apprise et mal digérée dans une brochure de façon idéologique. Nous affirmons également que le seul mode de relation un tant soit peu émancipateur, est celui qui porte au centre de son attention le bien-être des uns et des autres, libéré des pièges et des impératifs de l’idéologie, et dans le dépassement du nombrilisme. Pourquoi la seule règle valable en amour ne serait-elle pas de faire attention à l’autre, de le traiter correctement, en tant qu’individu, plutôt que d’appliquer bêtement des règles sensées nous rendre libres à travers la seule jouissance personnelle, mais sans aucune sensibilité dans l’altérité ? Et en faisant l’erreur analytique, au passage, de cantonner la critique de l’économie à la simple économie formelle, plutôt que de la débusquer dans les rapports sociaux qui régissent nos relations aliénées.
Alors pour briser l’obligation sociale et normative du couple on choisit le polyamour idéologique et on fabrique une nouvelle norme confortable le temps que ça dure avant que de nouveaux drames humains ne pointent le bout de leur nez. Et ce n’est pas un hasard si 68, au-delà des expériences incroyables d’occupations et de destructions d’usines et d’universités, des affrontements et des barricades et plus généralement de la magnifique expérience d’avoir touché du bout du doigt la possibilité d’une subversion réelle de l’existant, ce n’est pas un hasard si au-delà de cette image d’Épinal se cachent de nombreux drames humains, suicides, overdoses, trahisons et tristesse infinie. Ce n’est pas un hasard si derrière chaque expérience massive d’émancipation (ou en tout cas vécue comme telle par ses protagonistes) se cachent ces drames humains tout aussi massifs, de Mai 68 à Woodstock, de la « libération sexuelle » aux maos et aux mouvements étudiants radicaux dans les États-Unis des années 60/70. Rien d’étonnant non plus à ce que tant aient su rebondir sur leurs pattes, formant aujourd’hui les classes dirigeantes de ce monde, pendant que tant d’autres qui ont pris les idées au mot se retrouvent à croupir en taule dans l’oubli depuis plus de quarante ans, payant le fait de n’avoir pas été inconséquents comme les autres, de n’avoir pas cherché que la jouissance de l’instant présent.
Ceux qui n’étaient là que pour s’amuser, papillonner et se libérer le nombril ont bien profité. Ceux qui y ont cru et qui y croient toujours en ont fait les frais. Car le profit des uns c’est l’exploitation des autres, avec les armes du capital et du travail comme avec celles de l’idéologie et de l’encamaradement de caserne, qu’elle soit autonome ou de parti.
Alors que les papillons butinent, mais que les fleurs se révoltent.
Août 2013,
Aviv Etrebilal.
[1] « Amour libre » vraiment ? Et après ? Publié sur Le Cri Du Dodo, 20 juin 2013. http://www.non-fides.fr/?Le-couple-et-la-cohabitation-sont
[2] Autant de pays, et ce n’est pas un hasard, où les milieux anti-autoritaires ont été pénétrés de French Theory.
[3] Bien différente par exemple de la vision d’un Zo d’Axa ou de la dite « bande à Bonnot ».
[4] Voir les expériences fouriéristes, utopistes, les phalanstères etc.
[5] Des Kibbutzims, communautés néo-rurales de l’après 68 jusqu’à la pseudo-commune de Tarnac etc.
[6] Cf. Contre l’amour, Iosk Editions, août 2003, disponible sur infokiosques.net.
[7] Des brochurettes qui ne sont pas sans rappeler celles diffusées par l’Eglise réformée des années cinquante aux Etats-Unis.
[8] Dans un article du journal Le Révolté daté de 1887. Mais précisons toutefois qu’il appelait aussi, sept ans plus tôt et toujours dans le même journal, à « la révolte permanente par la parole, par l’écrit, par le poignard, le fusil, la dynamite ».
[9] Nous utilisons ici quelques gros mots à dessein, par souci de lever quelques boucliers trop faciles à chatouiller. Mais bien entendu que le sacrifice n’est pas une valeur que nous souhaiterions universaliser.
[10] Friedrich Nietzsche, Généalogie de la morale, 1887.
[11] Au-delà du fait, bien sûr, qu’elle appartiendra toujours au pouvoir et à son maintien.
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