Non c’è tempo da perdere
L’unica cosa di cui tutti erano certi sul processo del “compressore” è che avrebbe fatto scuola.
Ne erano sicuri i dottori della legge, che avrebbero avuto altre sentenze di Cassazione da citare nei loro ragionamenti per confortare le proprie tesi.
Ne erano sicuri gli avvocati, che mai avevano fronteggiato un’accusa così creativamente formulata.
I giornalisti poi (e la cosa è molto indicativa) furono i primi ad usare la parola terrorismo in un ambito così popolare com’è il movimento No Tav.
Con così tante novità si capisce bene come a Torino, più che ad un processo, si stia assistendo ad un esperimento repressivo di grande portata.
Che le istanze portate avanti dai movimenti vengano derubricate dal Potere vigente a questioni di ordine pubblico, non è di per sé una grande novità… Da Spartaco in poi non c’è sovversivo che non sia stato trattato come criminale.
Ma lo slittamento concettuale verso un’idea di terrorismo omnicomprensivo che questa inchiesta vuole mettere a segno credo
meriti attenzione.
Oggi, nei nuovi assetti dell’economia globale dei flussi, lo Stato ha perso ogni residuo di quell’aggettivo “sociale” che spesso, in decadi precedenti, aveva utilizzato come contraltare della repressione. Il suo ruolo si sta riducendo a quello di gendarme di una società sempre più frammentata e sempre meno gestibile. Ma un Potere che sa governare solo tramite lo strumento giacobino della paura va in panico per ogni piccola virgola fuori posto che potrebbe potenzialmente minacciare il suo ordine, è per questo che ha una fame incessante di strumenti repressivi sempre più accuminati.
Nella società della comunicazione, la fucina di questi attrezzi si trova nel discorso della Paura veicolato dai media.
Lentamente, ma con costanza, manifestazioni, istanze, idee, azioni e qualunque altro atto che porti alla luce un’alternativa all’esistente si colora di un’inquietante patina criminal-offensiva che mette a repentaglio l’incolumità.
E così, pian pianino si lasciano cadere affermazioni sempre più infamanti e spaventose fino ad arrivare al terrorismo; parola che dopo l’11 settembre ha fatto registrare molte vendite ai giornali pronti ad utilizzarla ad ogni pié sospinto. Si sa infatti che nulla vende di più delle emozioni e del sensazionalismo, il terrorismo riesce a far confluire entrambe in un unico termine.
Soltanto fino a pochi anni fa “terrorismo” era un termine che si associava unicamente a stragi indiscriminate contro la popolazione civile (la più famosa delle quali, guarda caso, fu orchestrata ad uso e consumo di chi voleva una svolta reazionaria…). Ma con sempre maggiore frequenza vediamo come il termine sia utilizzato con disinvoltura dai cosiddetti organi di informazione, e parallelamente, sempre più spesso,gli eroici apparati Anti-Terrorismo sono chiamati ad
allargare il loro campo d’azione fino ad includere recentemente anche gli sgomberi di case occupate.
Come si è detto, in tempi incerti e di crisi ogni minimo accenno di insubordinazione deve essere redarguito pesantemente e qualunque ipotesi alternativa di organizzazione della vita, rispetto a quella vigente, diventa immediatamente scandalosa. E, come si è visto, di fronte a tutto ciò la risposta del Potere è isterica, scomposta e vendicativa.
Un simile comportamento da parte di un’istituzione è il segno più evidente di quanto poco essa abbia da offrire ai suoi sudditi, se non l’incessante riproduzione di se stessa.
Chi ha a cuore l’emancipazione umana e crede in comunità tenute insieme dalla solidarietà mutua e dagli affetti personali, ha poco a che spartire con chi crede in una società d’individui accostati e tenuti insieme dalla paura del prossimo e da vincoli economici di convenienza.
Terrorismo e Vittimismo (il suo doppio speculare) sono concetti utili per chi vuole governare, con i pochi strumenti rimastigli a disposizione, la mucillagine sociale in cui si è trasformata la società grazie all’azione incontrastata di un capitalismo di rapina e saccheggio.
Il paradigma economico liberista ha creato l’attuale (triste) organizzazione sociale, che per perpetuarsi necessita di una violenza quotidiana verso gli esclusi dai benefici della sua economia, e di un costante senso di incertezza (che esso stesso ha contribuito a creare) che renda le persone più disponibili all’obbedienza.
Questo è ciò che offre l’esistente.
Chi crede che l’economia sia un mezzo per sopperire alle necessità materiali e non uno strumento di arricchimento per esproprio, chi crede che l’affettività travalichi i rigidi schemi della famiglia, chi crede che l’orologio non sia che uno strumento per sezionare il cadavere di giornate sempre uguali, in definitiva chi crede nell’alternativa scandalosa dell’emancipazione umana, deve sentire l’urgenza di organizzarsi per dare vita ai sogni che lo alimentano, e per creare un’alternativa reale che resista al crollo delle macerie di una realtà miserabile.
Cominciamo oggi.
Amor y Rabia
Fra
Cremona, 30/11/2014