Nel 1713 il Trattato di Utrecht pone fine alla vicenda storica della Confederazione degli Escartons. Formalmente nata nel 1343 con la Grande Charte des Libertès Briançonnaises, essa è in realtà il culmine di un’organizzazione secolare di comunità federate tra loro, eredi di una millenaria resistenza che oppone i montanari delle Alpi ai poteri che si sono susseguiti nei tentativi di “pacificare” e “normalizzare” un territorio ribelle, sempre in lotta a difesa della propria autonomia.
Un cammino incompiuto, come dimostra la resistenza che in Valsusa continua; una resistenza che oggi, confrontandosi con i propri precedenti passi, non può che acquistare ulteriore consapevolezza e forza per le battaglie presenti e per quelle a venire.
Sommario:
I. In Val di Susa, sulle tracce di un’insubordinazione millenaria
1. «Questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo…»
2. Celebrare una barriera?
3. Un’atavica consuetudine alla libertà
4. “Anarchia feudale”?
5. Le correnti pauperistiche e il conflitto tra autonomia e servitù
6. La Federazione degli Escartoun
II. «Lous Escartoun». Autogoverno, eterodossia, indipendenza montanara
1. Premessa: tre secoli di occupazione
2. Prologo nei Pirenei
3. Dai monti dell’Atlante all’Occitania
4. Catari, Valdesi… ma soprattutto diversi: realtà montanara e identità religiosa
5. I princìpi della Grande Charte
6. Quando finisce la libertà
7. Quando finisce lo Stato: origini dell’indipendentismo e prospettive per il XXI secolo
III. La République des Escartons in Alta Val Chisone. Culmine di una millenaria civiltà alpina
1. La prima confederazione
2. Le comunità
3. Gli Escartons
4. Guerre di religione e coscienza di popolo
5. Le infiltrazioni cattoliche e la fine degli Escartons
Dall’introduzione:
«…È un grido ripetuto da mille sentinelle,
un ordine ritrasmesso da mille portavoci,
un faro acceso su mille fortezze,
un suono di cacciatori perduti in grandi boschi!
Perché, veramente, o Signore,
è la migliore testimonianza che noi si possa dare della nostra dignità
questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo,
per morire ai piedi della tua eternità».
(Charles Baudelaire, “I Fari”)
«Questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo…»
È uno “sguardo di ricognizione” quello che abbiamo rivolto, nelle pagine che seguono, alla storia delle nostre valli. Ma non uno sguardo asettico e imparziale, come si spaccia spesso di essere quello della presunta neutralità scientifica.
È uno sguardo che muove da una prospettiva limpida ed esplicita, che ha le sue chiavi interpretative – come dichiarato fin dal titolo – nei concetti di autonomia, eresia e resistenza.
Se su tali aspetti si è dunque concentrato il nostro sguardo, ciò non equivale affatto – riteniamo – a una ricostruzione “distorta” o “arbitraria” della storia.
Perché le libertà dei montanari (l’autonomia materiale) e la loro assunzione e difesa sia sul piano simbolico-culturale (l’eresia, il dissenso), che su quello pratico (la resistenza, la rivolta), costituiscono l’ossatura della storia delle terre alte e delle loro genti indomite, qualcosa che nemmeno secoli di storia scritta dai vincitori hanno potuto cancellare.
Non entreremo, volutamente, nel merito del dibattito storiografico su quanto di “mitico” ci sia nelle ricostruzioni che son state fatte dell’esperienza degli Escartoun. Che una qualche “mitizzazione” ci sia stata è evidente fin dal nome con cui spesso viene ricordata la loro organizzazione comunitaria: “Repubblica”. Tale definizione è naturalmente una sovrapposizione terminologica successiva: gli Escartoun non si definirono mai così, né mai l’avrebbero potuto fare. Noi, però, non siamo archeologi e neppure storici specialisti in grado di rivelare chissà quali scoperte o novità storiografiche. Non è neppure nostro interesse farlo.
Quello che ci interessa, come obiettivo di questa pubblicazione, è contribuire a sollecitare una riflessione sulle questioni che la vicenda storica degli Escartoun chiama in causa: la questione dell’autonomia montanara, in particolare, e dell’autogoverno comunitario delle bioregioni, più in generale.
Tale prospettiva esula, crediamo, dai dettagli di ciò che l’esperienza “escartonese” riuscì effettivamente a realizzare, così come dal fatto che essa possa definirsi un percorso “autogestionario”, come affermano alcuni storici, o semplicemente un accordo sul pagamento delle imposte concesso dal sovrano, come al contrario sostengono altri.
Non che sia privo di interesse, chiaramente, questo dibattito, soprattutto per noi che in queste terre continuiamo a vivere e a cercare di strappare spazi di libertà e autonomia. Ma se anche, paradossalmente, la Federazione degli Escartoun fosse nient’altro che un mito (cosa che comunque non crediamo), non rappresenterebbe comunque, in quanto tale, qualcosa da approfondire e su cui riflettere? Perché mai sarebbe nato il mito di una “repubblica alpina” in grado di autogovernarsi, di vivere in armonia con il proprio territorio e le sue risorse, di allontanare ingiustizie e ineguaglianze? Di quali aspirazioni, di quali “forze sociali”, sarebbe espressione tale utopia?
Senza voler fare analogie improponibili, un parallelo però balza alla mente con vicende a noi coeve: la “Repubblica della Maddalena”, o quella “di Venaus”, nell’ambito della lotta contro il Tav in Valsusa. Quale legittimità storiografica o etimologica hanno tali definizioni? Nessuna, evidentemente. Ma non sta proprio, forse, in tale paradossalità, nella loro natura di “mito collettivo”, il loro senso e il loro interesse? E non sono forse, in un certo senso, tanto più interessanti quanto più lontane dalla realtà (proprio in quanto segnali dell’aspirazione a trasformarla)?
Una riflessione, dunque, quella che qui proponiamo, che non si esaurisce affatto su un piano meramente “culturale”, ma che avanza una proposta decisamente “pratica”. Togliere terreno allo Stato e ai potentati economici che stanno – ormai innegabilmente – portando alla rovina i territori, le comunità, le nostre vite. Questa è la consegna. Perché quando il capitalismo arriva ad attaccare e compromettere le stesse basi della sopravvivenza, da queste bisogna ripartire, e queste si trovano sui territori in cui viviamo e che dobbiamo riconquistare. Non per creare impossibili isole felici in un mondo marcio, ma per costituire roccaforti di resistenza e di alternativa, per liberare le retrovie indispensabili all’attacco. Territori che sfuggano al soffocante controllo degli Stati, coni d’ombra nelle loro carte, in cui praticare autonomia e sperimentare libertà.
È in tale prospettiva che la vicenda degli Escartoun può essere, crediamo, un buono stimolo di ricerca; non tanto per arrivare a capire come è andata, quanto per riconoscersi, oggi, in cammino su un sentiero incompiuto, lo stesso che gli abitanti delle terre “brianzonesi” hanno senz’altro battuto prima di noi. Quello della loro resistenza millenaria; quell’ostinato sentiero che travalica le frontiere, che federa le libertà. Questo singhiozzo ardente che passa di secolo in secolo…
Confrontarci con le sue tracce, o con quel che ne rimane, può quindi aiutarci ad affrontare il nostro viaggio, oggi, con maggiore consapevolezza e forza.
pag 128, 6€
Edizioni Tabor
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