Galleria Vittorio Emanuele, una notte del novembre 1994, a Milano. Le ricchezze solidificate in buona pietra scura, riposano tranquille.
I segni visibili del potere (Berlusconi e’ di queste parti), nella semioscurita’, sembrano eterni. Poi il fuoco. Questa forza rigeneratrice che trasforma in pochi minuti la calma e l’attesa centenaria dei palazzi in un andirivieni ansimante e confuso di pompieri e poliziotti. Il cuore stesso di Milano, e’ stato disturbato. Il ristorante Savini e’ andato in fumo, insieme al bar Salotto.
I bempensanti attoniti si chiedono chi puo’ essere stato. Non sembra un’azione del racket delle estorsioni, e poi queste organizzazioni non agiscono cosi’. In fondo l’incendio e’ stato semplicissimo. Il giardino d’inverno, con poltroncine d’epoca e pannelli di Mondino, realizzati alla fine degli anni Ottanta e oggi valutati piu’ di cento milioni, erano a portata di mano di qualsiasi torcia, d’una semplice bottiglia incendiaria.
E questa puntualmente e’ stata gettata, questa torcia e’ stata puntualmente accesa.La galleria dei milanesi perbenisti e codini e’ stata ‘’violentata’’ col fuoco, come hanno commentato alcuni chiosatori di mestiere, preoccupati per la piega che vanno prendendo le cose di fronte al dilagare irrefrenabile dell’inesplicabile ‘’teppismo’’.
Noi, ovviamente, non sappiamo come si sono svolti i fatti, ne’ chi puo’ avere avuto l’idea di bruciare tanti tesori del genio commerciale milanese, per cui la citta’ della Madonnina, va famosa nel mondo. Abbiamo anche cercato di rammaricarci dell’accaduto, ma senza riuscirci. Il primo moto dell’animo e stato la gioia, per il fuoco rigeneratore, per l’allegra scossa data all’assonnata neghittosita’ dei rinunciatari che di notte albergano sotto le volte ostili della galleria, per il severo monito che il fatto privo di senso ha dato alle sensatissime e riflessive intelligenze dei commercianti e dei banchieri che infestano la zone.
Poi ci siamo ricordati di un nostro compagno, ormai quasi dimenticato nella memoria degli anarchici. Ci siamo ricordati di Bruno Filippi, saltato in aria con la sua bomba mentre saliva le scale del Club dei Nobili di Milano, che guarda caso si trivava sopra l’attuale ristorante Savini. Era il lontano 7 settembre 1919. Bruno aveva diciannove anni e voleva vendicare il massacro della guerra mondiale attaccando coloro che l’avevano voluto e che poi si erano arricchiti con le forniture militari. Che strani ricordi possono venire in mente aprendo il giornale in una brutta mattinata di novembre.
(pubblicato ed estratto da Cane Nero n. 5 – 25 novembre 1994)
Alfredo M. Bonanno