Giovedì 28 agosto 2014 Giorgos Karagiannidis, Alexandros
Mitrousias e Stella Antoniou hanno letto le proprie dichiarazioni politiche davanti al tribunale speciale per il processo del caso di “Nea Smirni” (cioè l’operazione antiterrorista e gli arresti del 4 dicembre 2010). Inoltre, Giorgos Karagiannidis ha letto anche la dichiarazione inviata da Kostas Sakkas, in clandestinità, al suo avvocato Dimitris Katsaris.
DICHIARAZIONE POLITICA DEL COMPAGNO GIORGOS KARAGIANNIDIS AL TERZO PROCESSO CONTRO LE CCF
All’inizio vorrei ancora una volta dichiarare che in nessun momento, dal mio arresto fino ad adesso, mi sono sentito un imputato. E dato che non mi sento come un imputato non posso sentirmi in colpa.
Non riconosco il sistema di valori riassunto nel codice giuridico in base al quale questa corte emette le sentenze. E dal momento che ci riferiamo ad un differente – e antietico – codice di valori, credo che questo tribunale, e nessun altro tribunale, è competente a giudicarmi.
In nessun modo riconosco la sua competenza a giudicare la resistenza e il tentativo di sovvertire lo status-quo, così come le persone che sono ispirate e personalmente impegnate a farlo. A giudicare un fenomeno necessario come il respiro. Quello che riconosco ad ogni tribunale è la sua violenta abilità di mandare le persone in carcere.
Per essere, cioè, il braccio punitivo dello Stato. L’organo giudiziario, barricato dietro una raccolta di leggi e disposizioni, è l’anello intermedio della catena oppressiva. Esso media tra le indagini di polizia e la carcerazione correzionale, assicurandosi durante l’intera procedura la stima dello specialista “ex cattedra”, necessaria per affermare sé stresso come uno dei principali coordinatori delle relazioni sociali. E’ chiaro che, essendo la giustizia un pilastro fondamentale dello Stato civile, essa è direttamente connessa alla difesa dei suoi interessi, con i quali si identifica completamente.
I suoi operatori compongono una élite sociale (come a loro piace definirsi) e sono collegati non solo ad un livello politico o sociale, ma spesso anche su quello personale, con i soggetti che svolgono le operazioni legislative ed esecutive dello Stato. Il ruolo oppressivo della giustizia è stato storicamente dimostrato e non ha senso menzionare delle cose che sono già state scritte e dette migliaia di volte.
Tuttavia, parlando nello specifico di oggi, di questo momento storico attuale, della realtà greca in data condizione di crisi, possiamo notare che la giustizia detiene un ruolo primario nella generale ristrutturazione socio-politica. La giustizia è attualmente la punta di lancia nel tentativo del regime di evitare i propri scricchiolii interni e di consolidarsi.
Perciò vediamo che la democrazia inizia a volgersi aggressivamente contro sé stessa, sacrificando molti di coloro che sono stati i suoi funzionari principali, sia a livello politico sia economico, negli ultimi decenni. I crimini della classe governativa, abbelliti con il termine scandali, non si sono moltiplicati negli ultimi tre anni, ma neanche la capacità e la risolutezza dei giudici è aumentata. Semplicemente la feccia dei politici, uomini d’affari, giornalisti e dei pezzi grossi hanno compreso che non tutti possono essere salvati quando la nave affonda.
Pertanto, in base alla correlazione di potere alcuni degli ex potenti, anche ai massimi vertici, come Tsohatzopoulos (ex ministro) e Papageorgopoulos (ex sindaco di Salonicco), Lavrendiadis (uomo d’affari che sottrasse milioni), Psomiadis ecc., sono stati degradati e offerti come vittime alla stampa e all’arena giudiziaria per mostrare l’estensione e la profondità delle “pulizie” del sistema. Contemporaneamente, la democrazia si è rivoltata attraverso la giustizia contro i propri figli bastardi, il ciarpame fascista, che per un momento hanno creduto di appoggiarsi sui propri piedi, cercando di essere autonomi e rivendicando uno spazio vitale – un’espressione che loro amano – da un sistema politico/economico che li aveva allevati e nutriti per così tanti anni.
Né le parti civili né quelle giudiziarie e i loro superiori politici, né i giornalisti si sono improvvisamente “svegliati” e “scoperto” il pericolo fascista. Tutti loro, assieme agli elettori “arrabbiati e gli indignati” dei fascisti, hanno compreso, un po’ tardi per dire la verità, che i cuccioli crescono e possono anche mordere il proprietario se il guinzaglio non è abbastanza stretto. Per circa 25 anni, da quando la stampa sbraita sui “criminali stranieri” o “l’onore nazionale” durante gli eventi sportivi, pavimentando la strada per i pogrom statali e para-statali, con il sostegno dell’intera feccia autoritaria, non c’era nessun pericolo fascista.
Questo pericolo divenne esistente quando la propaganda fascista iniziò ad essere influenzata dal meccanismo tradizionale del corpo sociale. Nonostante questo, il regime comprese che la sua vera minaccia non proviene da alcuni suoi amministratori stanati né dai suoi cani da guardia fascisti. Esso sa che il pericolo della sovversione proviene dalle persone che comprendono i vicoli ciechi creati dallo Stato e istituiti dal capitalismo, che resistono all’alienazione forzata, che rifiutano di accettare il compiacimento e la rassegnazione, che analizzano, costruiscono le relazioni, collettivizzano e insistono sulla questione del prospetto anarchico rivoluzionario. Io faccio parte di queste persone.
Dopo 3 processi nei tribunali speciali della democrazia ho acquistato una chiara immagine del ruolo di questi tribunali. Sterilizzare e devitalizzare la proposta politico-sociale dell’anarchia. Interpretare i motivi, le idee e gli atti che mirano al cambiamento rivoluzionario sociale attraverso il prisma del codice penale. All’interno di questo concetto ogni tale processo è uno schema, non nel significato giuridico del termine, ma in quello politico.
Ogni tentativo di scollegare gli atti individuali dalle ragioni per cui sono stati compiuti mira alla loro criminalizzazione, cioè alla loro gestione da parte della repressione penale, rimuovendoli dal contesto a cui appartengono. La democrazia civile, dal momento quando istituisce, tra le altre cose, la libertà d’espressione come suo valore fondamentale, crea la contraddizione di separare il pensiero dall’azione. Calpestare questo valore porta all’affermazione irrazionale che non sono le idee ad essere perseguitate ma gli atti, come se fosse possibile che ci siano pensieri senza l’azione o viceversa.
Come se fosse mai stato possibile che qualcuno possedesse un’idea e non abbia tentato con determinazione di trasformarla nell’azione. Avendo questo come base abbiamo messo fine una volta per tutte a questa confusione di parole sulla libertà della democrazia civile. La libertà può esistere solo laddove i desideri, i pensieri e gli atti sono inseparabili, di conseguenza in nessun sistema autoritario. E ogni tale tribunale è un momento in una guerra che sta infuriando, a volte inasprendo, altre diminuendo.
Si tratta di un tentativo del regime di affrontare i suoi avversari politici. Perciò ho compreso che è un organo per applicare le politiche e nient’altro. Per quanto vi possa spaventare, considerate questo un processo politico, tanto quanto noi. Ma a voi manca l’onestà, sia come persone che come forza, per ammetterlo. Questo processo, come altri simili, presenta come l’accusa principale la violazione degli articoli 187A o come viene di solito chiamata, la “legge-terrore”.
Questa legge si applica se gli atti contemplati si riferiscono a “determinati reati commessi in modo o in misura o in circostanze che potrebbero danneggiare seriamente un paese o un’organizzazione internazionale allo scopo di intimidire gravemente la popolazione o costringere un’autorità pubblica o un’organizzazione internazionale a compiere qualsiasi atto o di astenersi da questo o gravemente danneggiare o distruggere le politiche costituzionali fondamentali, le strutture economiche di un paese o di un’organizzazione internazionale”.
Quindi, lo stesso si prende la briga di dare un tono politico a questa legge specifica. In quale altro modo si potrebbe interpretare la pressione esercitata da qualcuno su un paese, un’autorità pubblica o un’organizzazione internazionale, cioè organi principali di pressione, se non in modo di pressione politica? Che tipo di atto è la distruzione delle strutture fondamentali di un paese se non un atto politico? In effetti, sono soprattutto atti politici, dato che trasformano l’esistenza in termini materiali, così come le relazioni sviluppate tra le persone.
Come anarchico io desidero e promuovo la distruzione non solo delle strutture fondamentali, ma di tutte, e non solo di un paese ma ovunque, per essere sostituite dalle libere unioni di persone che insieme decidono e gestiscono il proprio sviluppo materiale, spirituale ed etico.
Non nascondetevi dentro il vostro cavallo di Troia, le leggi come la 187A consolidano la democrazia civile come l’espressione politica di maggior successo del capitalismo, e per contrastare i suoi nemici sono previste diverse procedure e condizioni. Lotterie speciali dei giudici, trasferimenti speciali, aule speciali dentro il carcere, leggi speciali, e le prossime condizioni speciali di detenzione sono la continuazione della catene repressiva.
La legge 187 è in questo momento il passepartout della repressione penale. Il suo voto ha slegato le mani dei giudici e dei pubblici ministeri, perché è totalmente vago e notevolmente ampliato il concetto di membro di un’organizzazione, e contemporaneamente aumenta le sentenze per gli atti individuali. In questo modo riesce ad incrementare il numero di persone poste in detenzione giuridica e prolungare il tempo della loro detenzione.
Ovviamente, questa procedura non è indipendente dagli sviluppi sociali generali, ma su questo ritornerò più tardi. In questo momento vorrei dire qualcosa in più sul ruolo e l’assetto posizione-intenzione di questo tribunale specifico. All’inizio della procedura alcune obiezioni sono state mosse dalla difesa riguardo la natura politica del processo e l’attribuzione del carattere politico agli atti sotto processo – reati/crimini per voi.
Tali obiezioni sono importanti per me, non per lo scambio delle argomentazioni giuridiche tra i giudici e gli avvocati, ma per le contraddizioni che ne emergono. La proposta del PM, adottata alla fine dalla corte, era che gli atti non possono essere qualificati come politici in quanto si scontrano con un’interpretazione oggettiva della legge. Questo ci fa notare che, indipendentemente dalla loro volontà soggettiva, gli artefici non potevano oggettivamente causare la distruzione delle strutture di un paese ecc.
Un’interpretazione che entra in diretto contrasto con la definizione della legge 187A, cioè che gli atti di per sé sono capaci di danneggiare le strutture di un paese, e in base alla quale gli stessi giudici ci condanneranno. Un altro esempio è la questione creata – completamente insostenibile su un livello legale, ma completamente spiegabile su quello politico – con il prolungamento della detenzione di K.Sakkas e Gerasimos Tsakalos da 30 a 36 mesi.
Anche se si trattava di una mossa puramente giuridica, l’atteggiamento tipo Ponzio Pilato dei giudici che evitano di prendere posizione, ha dimostrato il loro parere strumentale nell’applicare il codice giuridico. La presidente ha in realtà sigillato questa posizione con l’affermazione cinica “cosa vorreste che giudici facessero in situazioni simili?” Ci sono voluti 38 giorni di sciopero della fame del compagno K.Sakkas per compiere l’evidente.
Dopo il suo rilascio condizionale il ritmo del processo rallentò automaticamente, dimostrando che l’accelerazione precedente della procedura mirava solamente ad evitare il rilascio a causa del limite dei 30 mesi. Il tribunale ci ha offerto molti esempi della sua falsa politica di intenti, ma correrei il rischio di divagare se li menzionassi tutti. Penso che da tutto quanto sopra detto emerge la conclusione che il tribunale è un organo per applicare la politica. Il secondo organo della democrazia per applicare la politica che è apparso in questo processo è l’unità antiterroristica. Un’unità considerata l’élite della polizia e che investiga atti specifici – attacchi armati, rapine ecc. – commessi da individui con percezioni politiche specifiche. Secondo la cornice del pensiero poliziesco-giudiziario questi atti sono inclusi nella legge 187A. Sono cioè dei reati commessi con l’intento di danneggiare la politica fondamentale, costituzionale, le strutture economiche ecc. ecc. (Lo sbirro antiterrorismo, Christos Maleas, nella sua testimonianza ha detto che la sua unità ha gestito una “divisione anarchica”) Poiché l’unità antiterroristica investiga le persone e gli atti con specifiche posizioni politiche e bersagli, non può che svolgere il ruolo di un organo per l’applicazione della politica. Il nome ufficiale dell’unità antiterroristica è Direttorato per i Crimini Speciali di Violenza, DSCV. Cosa significa questo “Speciale” nel suo nome e cosa dimostra, se non la particolarità dei “reati” sotto inchiesta in relazione al resto? Ma diamo uno sguardo più da vicino a questa unità specifica. Vedremo che i suoi funzionari sono implicati in varie violazioni del codice penale. Ogni tanto gli sbirri antiterrorismo sono stati accusati di protezione dei locali notturni, di ricatto agli imprenditori con intercettazioni telefoniche, altri sono stati accusati in casi di antiquariato e di oro. Il più grande esempio è lo sbirro Bourdoukoutas, il testimone principale in un altro caso CCF, arrestato dopo una rapina ad un’agenzia di scommesse.
Anche se non è affatto una rarità che gli sbirri di qualunque unità siano implicati nelle loro attività favorite, è però ancora meno raro che siano coinvolti ad un livello politico con un candidato o i membri attuali del parlamento, membri dei ministeri e giornalisti, come Haradalias, il principale testimone d’accusa in questo come anche negli altri processi battezzati caso CCF.
Quindi, esiste un’intensa dialisi tra il DSCV e altri funzionari di autorità, anche ad un alto livello istituzionale. E questo perché il DSCV è necessario al funzionamento dello Stato civile, per proteggerlo dal nemico interno, come anche per consolidare i poli autoritari all’interno del meccanismo statale, contro altri poli sistemici. Il caso sotto processo è la continuazione di una serie di processi battezzati con il nome “caso CCF”.
Le autorità giudiziarie e della polizia uniscono i casi irrilevanti e presentano gli anarchici implicati come operanti sotto un piano comune. Simultaneamente con l’unificazione c’è stata anche la temporanea partizione dei casi.
Lo Stato greco non è un pioniere in tali piani oppressivi. Nel 1995 il PM italiano Marini ha unificato una serie di casi con bersagli capitalisti e statali, attribuendoli ad una presunta organizzazione chiamata O.R.A.I. In quell’epoca 60 anarchici sono stati accusati e imprigionati a causa del loro “coinvolgimento” in un’organizzazione inesistente.
Le autorità greche non solo seguono, ma anche sviluppano l’esperienza repressiva internazionale. Gli investigatori speciali Baldas, Mokkas e Nikolopoulos e i PM Dimitriou, Makropoulos e Drakos hanno dimostrato di essere più intelligenti e più furbi dei loro colleghi. Il pionierismo delle autorità greche sta nel fatto che hanno utilizzato un’organizzazione già esistente. Il nome CCF è stato usato come un ombrello per adattarsi sotto vari casi indipendenti degli anarchici accusati di attacchi, rapine e possesso di armi ed esplosivi. Nello stesso tempo con l’unificazione c’è stata anche la temporanea partizione dei casi.
Lo scopo di queste alchimie poliziesco-giudiziarie è principalmente l’attuazione di condanne più pesanti per gli accusati, e ad un livello sottocutaneo la diffusione di confusione e paura negli ambienti rivoluzionari. A questo punto è importante vedere come hanno costruito l’accusa per coinvolgere me e i miei compagni Mitrousias, Sakkas e Antoniou con le CCF.
Dopo il nostro arresto le autorità ci hanno coinvolto nella partecipazione ad una “sconosciuta (!!) organizzazione terroristica”, che non ha commesso nessun attacco specifico. Le autorità avevano pensato che con le prove che avrebbero scoperto dopo i nostri arresti, sarebbero emerse abbastanza accuse per mandarci in galera per molti anni. Tre mesi dopo il nostro arresto, e nonostante niente di nuovo fu scoperto, i rappresentanti dell’unità antiterroristica, le coppie Baldas-Mokkas e Dimitriou-Makropoulos, ci fecero sapere che siamo stati accusati – me e Alexandros per la seconda volta – di far parte delle CCF. Quasi nello stesso tempo ci hanno implicato anche nel caso dei pacchi bomba.
Un anno dopo, e ancora una volta senza nulla di nuovo, ci hanno coinvolto in 160 precedenti attacchi incendiari ed esplosivi, nonostante erano già stati rivendicati dalle CCF. Tutte queste detenzioni possiedono una chiara natura strumentale, la nostra partecipazione nelle CCF serve a realizzare la nostra lunga prigionia, e il caso dei 160 attacchi per evitare il rilascio di Kostas, perché erano finiti i 18 mesi del periodo detentivo. Dato che il ritornello costante dei cyborg giudiziari, quando processano i rivoluzionari, è “esaminiamo gli atti colposi non le idee”, diamo uno sguardo ai fatti, utilizzando come traccia le testimonianze dell’allora capo della divisione dell’unità antiterroristica, Eleytherios Hardalias, e del suo sottoposto Panagiotis Bagatelas.
Entrambi hanno sottolineato le nostre misure di contro-sorveglianza e la crescente vigilanza operativa che abbiamo mostrato nei nostri spostamenti. Per quanto questo potrebbe essere vero, dato che io e Alexandros eravamo ricercati, in nessun modo eravamo un gruppo strutturato. Il solo momento del nostro arresto basta per far cadere questa affermazione. Kostas e Alexandros sono stati arrestati davanti al deposito a Nea Smirni, e contemporaneamente io sono stato arrestato dal barbiere a Pireo.
Gli altri tre compagni sono stati arrestati durante le loro attività quotidiane, Michail e Adoniou nelle loro case, e Christos Politis in un negozio. Durante tutta la nostra sorveglianza (20 giorni secondo il DSCV) non hanno scoperto nessun contatto tra noi e i membri delle CCF, nonostante il fatto che alcuni giorni prima due dei suoi membri furono arrestati, e i loro contatti e le comunicazioni con gli altri membri erano aumentati. Durante questo periodo non è stata scoperta nessuna attività illegale.
La sorveglianza svolta dall’unità antiterroristica riferisce solo degli incontri tra di noi – Kostas, Alexandros e me – come anche con degli altri individui irrilevanti. Per quanto riguarda me, in realtà i testimoni parlano di una mia visita ad Agrinio, del mio ritorno ad Atene tre giorni dopo, dell’acquisto di una tanica, e questo è tutto.
Non solo non c’è alcuna prova, ma neanche un indizio che eravamo in alcun modo coinvolti con i membri o gli atti delle CCF. Non vi è alcuna prova, nemmeno un indizio che eravamo membri di una “sconosciuta organizzazione terroristica” che ha commesso degli “atti sconosciuti”. L’intero caso è stato costruito dal persistere dell’unità antiterroristica di presentarci come un gruppo strutturato. Chiunque ricorda il clima mediatico nei giorni del nostro arresto, sicuramente non può scordarsi che siamo stati nominati come membri dell’allora conosciute organizzazioni.
Un anno dopo, il ministro dell’ordine pubblico, Pappoutsis, ha dichiarato di essere stato raggirato dall’unità antiterroristica e di aver dato luce verde per i nostri arresti, a causa del prossimo anniversario del 6 dicembre. L’unico successo dell’unità antiterroristica nell’operazione del 4 dicembre 2010 è stato l’arresto degli anarchici ricercati, Alexandros e me, come anche dei miei amici e compagni Kostas e Stella, che ognuno a modo suo è rimasto solidale con noi durante la nostra clandestinità.
Nonostante il fatto che l’unità antiterroristica sapeva fin dall’inizio che le uniche persone legate ai ritrovamenti erano Kostas, Alexandros e io, né gli sbirri né le loro marionette Baltas-Mokkas e Dimitriou-Makropoulos esitarono di colpire altri anarchici, addirittura persone che non conoscevamo, come nel caso di Christos Politis.
L’apice di tutta questa metodologia è implicazione dei 3 membri delle CCF nel ruolo dei dirigenti anche nel nostro caso. Oltre al fatto che non può essere dato nessun ordine, tutti noi arrestati il 4/12/10 abbiamo dichiarato di essere anarchici. Questo significa che le nostre relazioni non sono mediate dalla gerarchica, noi di fatto respingiamo ogni modo autoritario di agire. Non accettiamo nessuno come guida, così come non accettiamo nessuno come rappresentante. Questa accusa è apparsa in tutti i processi simili.
Coloro che hanno elaborato ed esaminato queste accuse – funzionari antiterrorismo, investigatori speciali e PM, tribunali speciali – proiettano il modello dominante dell’organizzazione e lo inseriscono nelle strutture anarchiche, in un ulteriore tentativo di cancellare l’identità politica degli accusati, a parte i legali danni delle sentenze.
Perché le relazioni che costruiamo oggi riflettono le relazioni di domani, noi come anarchici insistiamo ad operare in modo orizzontale e antigerarchico. Punto. L’unità antiterroristica e i loro subalterni giuridici, per avere delle storie più credibili hanno arrestato delle persone, le hanno maltrattate, fotografate, imprigionate e accusate.
E qua giace l’inconfondibile differenza etica tra noi e voi. Quando i meccanismi statali prendono di mira un rivoluzionario, loro simultaneamente mirano anche agli suoi amici e al suo ambiente personale. Al contrario, quando un funzionario del meccanismo di Stato viene preso di mira dai rivoluzionari solo lui si trova nel mirino.
Nel caso del nostro arresto, il 4/12/10, le autorità di polizia e giudiziarie hanno tentato per la prima volta di imporre vari trucchi per superare la mancanza di sostanziose prove incriminanti. Ho nominato prima le accuse di partecipazione in una “sconosciuta organizzazione terroristica”.
Questa accusa è stata utilizzata dall’unità antiterroristica e dagli investigatori speciali per 3 mesi, e alla fine l’hanno sostituita con la “partecipazione nelle CCF”, pensando che in questo modo avrebbero realizzato le ambite sentenza pesanti, dato che la “sconosciuta organizzazione terroristica” non è andata bene come speravano.
La stessa accusa è stata ripetuta un mese dopo i nostri arresti, con l’arresto a Salonicco dei 4 anarchici ricercati. Il caso ha raggiunto il processo con questa accusa, mostrando la via che l’oppressione ha scelto per superare la mancanza di prove. La vaghezza intenzionale della legge 187 e 187A è la garanzia che lo status quo legale dell’esclusione si estenderà e diverrà sempre più permanente se gli accusati non possiedono le barriere politiche e se non ci sono spazi politici che percepiscono questo bisogno.
Per il nostro caso sono state letteralmente create delle persone e inserite nei vari luoghi e tempi. Un uomo sconosciuto, “biondo, non rasato, di circa 30 anni”, secondo le testimonianze di Hardalias-Bagatelas, era colui che mi ha offerto la contro-sorveglianza mentre uscivo dall’autobus alla stazione di Agrinio. In una strana coincidenza, la stessa persona sembra incontrarsi con Christos Politis e Kostas Sakkas, in luoghi e tempi differenti.
Questa persona, sconosciuta fino ad allora – nuovamente secondo le testimonianze degli sbirri – quindi collega 3 persone differenti (Ch.Politis, K.Sakkas e me), che non hanno nessun altro contatto. Questa persona è stata riconosciuta quasi dopo 2 anni e in base ad una telefonata anonima, e di nuovo secondo Hardalias, come Tasos Theofilou. E’ stato accusato di rapina e omicidio a Paros, è stato presentato come un assassino e subito tutti i trattamenti riservati a coloro che sono presi di mira dal complesso poliziesco-giudiziario. Per la cronaca, vorrei dire che ho incontrato Theofilou in carcere e che non lo avevo mai visto prima d’allora. Cosa vuole l’unità antiterroristica dirci con questo? Che segue qualcuno per alcuni giorni, vede con chi si incontra, ad un certo punto arrestano gli altri senza qualcuno per collegarli, e allora dopo due anni quando lo arrestano (il primo) per un altro caso lo accusano anche per il caso originario.
La sequenza degli eventi rivela la logica con la quale le autorità giudiziarie e della polizia “risolvono” i casi quando mancano le prove. Non scordiamoci, di nuovo secondo Hardalias, che Kostas si incontrò sull’isola di Nafpaktos con un “uomo sconosciuto, di circa 30 anni”, a ad Agrinio con “una donna alta circa 1,55cm, che portava uno zaino”. Come nel caso di Theofilou, stiamo parlando di descrizioni che assomigliano a migliaia di persone, e quando l’occasione (della polizia) lo richiede qualcuno che si adatta alla descrizione può essere accusato nuovamente per questo caso.
A questo punto è importante sottolineare le bugie dette da Hardalias-Bagatelas nelle loro testimonianze sulla mia sorveglianza. Secondo le loro testimonianze, quindi, mi videro per la prima volta il 30/11/10 alla stazione ad Agrinio, quando uscivo dall’autobus con un individuo – che dopo due anni fu riconosciuto come Theofilou – che mi copriva con la contro-sorveglianza. Permettetemi quindi di accettare l’affermazione che con me in realtà c’era qualcuno alla stazione degli autobus di Agrinio. Prima domanda: dato che gli sbirri là presenti non mi videro comunicare (verbalmente, con telefono o a gesti) in che modo hanno compreso che eravamo insieme? Perché uno sbirro che vede due individui sconosciuti, uno che hanno visto prima incontrarsi con un altro “sospetto”, l’altro che non hanno mai visto, invece di seguire il primo si mette a seguire il secondo?
La risposta di Bagatelas a queste due domande è stata “criteri di polizia”. Seconda domanda: Hardalias dice che mentre io stavo prendendo il mio bagaglio dall’autobus, l’uomo sconosciuto mi stava accanto e osservava l’area. Bagatelas – che fu il testimone oculare secondo la sua testimonianza – dice che l’uomo sconosciuto si spostò di circa 10-15m, una non tanto piccola distanza per la sorveglianza operativa in una piccola, rurale stazione degli autobus.
Se i due sbirri sono in disaccordo su qualcosa di così semplice è semplicemente perché là non c’era nessuno con me.
Terza domanda: come può una persona offrire la copertura ad un’altra se viaggiano con lo stesso mezzo di trasporto? Cosa in più possono vedere? Assolutamente nulla. Quarta domanda: la stazione degli autobus ad Agrinio è piena di telecamere.
Anche se le immagini di telecamere sono state portate da altri luoghi – es. banca del Pireo, il negozio Praktiker – l’unità antiterroristica non ha dimostrato lo stesso zelo per le immagini dalla stazione degli autobus che gli avrebbero anche aiutato ad identificare l’individuo sconosciuto. Perché?
Queste domande-riflessioni sono retoriche e soggette ad una sola risposta. Gli sbirri stanno mentendo quando dicono che c’era un’altra persona con me alla stazione degli autobus. Mentono anche quando dicono che Christos Politis, che in un certo momento passò tre vie sotto la via Praxitelous, offriva la contro-sorveglianza ad Alexandros.
Da quanto detto sopra è chiaro che l’unità antiterroristica crea le impressioni che vengono dopo convalidate dagli investigatori per allargare i cerchi repressivi. Un’altra domanda che sorge è legata al controllo della mia carta d’identità. Hardalias-Bagatelas dicono che fino a quando non mi hanno portato nella questura di Atene io non ho gli detto il mio nome e non gli ho dato le mie impronte digitali. Allora come è possibile che Papathanasakis-Hardalias mi chiamavano per nome fin dall’inizio?
Come è possibile che 4 ore dopo il mio arresto hanno perquisito la casa dei miei genitori? Conoscevano già il mio nome, sapevano chi avevano arrestato e lo hanno dimostrato in questo modo: il 1/12/10, mentre camminavo lungo la strada semi-centrale di Agrinio ho notato una macchina in mezzo alla strada. Quando mi avvicinai il passeggerò uscì chiedendomi di aiutarlo a spingere, mentre il conducente rimaneva in macchina.
Naturalmente, ho accettato e così ho lasciato le mie impronte sulla macchina, cosa che portò alla mia identificazione. E dico questo per informare gli altri compagni che si possono trovare in una situazione simile. La creazione delle false impressioni per promuovere il piano repressivo non riguardava solo la presenza delle persone in luoghi e tempi e i contatti inesistenti con altre persone, ma è andata anche un passo oltre. La repressione della polizia sposa il sapere scientifico per creare la repressione scientifica. L’utilizzo del DNA come prova è la pietra miliare della repressione scientifica nell’epoca in cui stiamo vivendo.
L’indagine della polizia la presenta come un metodo assoluto per individuare i reati penali e solitamente l’autorità giudiziaria è disposta ad accettare la loro proposta. Utilizzando un metodo chiaramente scientifico, l’indagine della polizia si copre con il mantello dell’oggettività e afferma l’infallibilità dei suoi risultati. In una fase precedente della procedura è stato analizzato da un testimone-specialista che il DNA non può in nessun caso scientificamente accettato rappresentare una supposizione di contatto di qualcuno con degli oggetti, o provare la sua presenza negli spazi.
Come ognuno può facilmente dedurre, il materiale biologico di una persona può essere trasferito su e da ognuno che è venuto in contatto con essa. Inoltre, gli sbirri-testimoni del DSCV che hanno testimoniato – tra di loro anche Bagatelas – hanno menzionato l’approssimazione con cui è stata condotta l’indagine sui nostri oggetti e nelle nostre case, qualcosa che è stato coperto con le allusioni alla scientifica riguardo il “giustamente insultati”.
Tutto questo ovviamente è noto agli sbirri del DSCV e alla scientifica, così come agli investigatori speciali. Accettare il DNA come prova semplicemente legittima in un modo “oggettivo-indiscutibile”, la creazione dei cerchi tangenti di conoscenze con lo scopo di istituire uno scenario poliziesco-giudiziario. Specificamente nel nostro caso, il DNA è stato usato per creare una falsa immagine.
Il ritrovamento di un non identificato, fino ad adesso, tipo di DNA, chiamato X15, trovato – secondo la polizia – sia in casa nostra che in casa di un anarchico accusato per il caso di Lotta Rivoluzionaria, è stato utilizzato come conferma per la teoria della polizia sulla “trasmissione fluida-compressa”, una teoria che propone che gli accusati di partecipazione in organizzazioni rivoluzionarie armate mantengono per forza tra di loro relazioni personali.
L’esistenza di decine di tipi di DNA sconosciuti, collegati ai casi battezzati CCF, attendono la loro identificazione, di conseguenza con gli individui che ho menzionato sopra, sconosciuti agli investigatori. In un altro arresto di una di queste persone, per un altro motivo, l’accusa di partecipazione nelle CCF sarà aggiunta in base ai ritrovamenti del DNA. In realtà, con l’ampliamento dell’uso di questo metodo si amplia allo stesso modo il controllo sociale.
L’estrazione violenta del DNA dagli anarchici arrestati per i vari casi, l’estrazione sotto ricatto da decine degli abitanti di Halkidiki, lo scippo degli oggetti personali per prelevare il materiale biologico dalle case degli anarchici durante le perquisizioni degli ultimi due mesi, senza nominare centinaia di altri casi penali, dimostrano l’intento del dominio di creare un bio-database, dando la priorità agli anarchici come parte sociale più radicale e quindi più pericolosa. La rivelazione dei metodi del nemico è importante quando diventa un’esperienza acquisita del movimento rivoluzionario. Solo nei casi battezzati CCF ci sono stati a decine di persone pedinate, arrestate, alcune sono state fotografate e imprigionate, solo per essere alla fine prosciolte da tutte le accuse. Un approccio ingenuo presenterebbe gli sbirri antiterrorismo, gli investigatori speciali e i PM come degli sciocchi, tipo Clouseau o degli incapaci.
Io credo che questi presunti errori siano parte di un piano per allargare la repressione. Quando esiste un tentativo di attribuire una tono criminale alle relazioni interpersonali, di persone che semplicemente appartengono allo stesso spazio politico rivoluzionario, non esistono errori, al contrario il piano repressivo si evolve e perfeziona. Contrariamente a questo l’internalizzazione della paura e l’introversione spianano la strada a tali iniziative repressive. Al contrario, l’azione aggressiva anarchica può solamente affrontare il nemico su tutti i campi, politico, ideologico, organizzativo, militare. E qua la mia citazione dei fatti dell’accusa si conclude, e continuo con la mia dichiarazione politica.
Come nel settembre 2009 quando è stata emesso il mio mandato d’arresto, ho scelto la clandestinità.
Questo è un dilemma che può incontrare chiunque si inserisca al lato della rivoluzione, e ognuno risponde in modo diverso, addirittura una stessa persona potrebbe dare risposte differenti in situazioni differenti della propria vita. La mia decisione è stata una combinazione della mia percezione anarchica politica, perché non avevo intenzione di sottopormi spontaneamente al giudizio dei lacchè giudiziari, e dell’amore per la libertà. In verità, pensandoci a freddo, deduco che questa mia tensione istintiva per la dolce sensazione di libertà è ancora più intensa della mia decisione politica di non arrendermi.
I ritrovamenti che mi incriminano (armi, documenti falsi, case) sono collegati anche a questa scelta, e alla mia posizione ostile, in generale, verso lo Stato e il capitale. La clandestinità è una scelta presa da migliaia di rivoluzionari nella storia, e per quanto mi concerne la continuo a sostenere sia al livello politico che su quello emotivo, per ogni individuo che ha deciso di mantenere o riacquistare la propria libertà. Inoltre, quando esiste un motivo politico si tratta di un’altra scelta di lotta, di una scelta militante, e i rivoluzionari devono difenderla come tale.
La scelta della clandestinità ha un costo elevato per ogni persona, poiché si viene violentemente separati dai propri cari, le relazioni si sospendono e i contatti diventano molto selettivi.
Per un soggetto politico questa scelta porta un peso in più, dato che si viene rimossi da una più ampia zimosi sociale/politica e l’interazione con molti compagni viene particolarmente limitata.
In questa condizione il conflitto con il meccanismo statale assume un carattere puramente militante, un campo in cui lo Stato ha il sopravvento. Tutto questo, ovviamente, è controbilanciato dalla libertà dei movimenti che acquisti quando ti sposti invisibile tra i meccanismi repressivi. La soddisfazione di muoversi senza la carta d’identità, senza nulla che ti collega alle esistenti relazioni sociali mediate, è qualcosa di indescrivibile. Posso senza riserve dire che il tempo trascorso nella clandestinità era composto da giorni più liberi della mia vita.
La legge 187 descrive un’organizzazione criminale come un “gruppo strutturato di 3 o più persone, con ruoli distinti e azione costante finalizzata a commettere alcuni reati, e membri sono coloro che volontariamente assoggettano la propria libera volontà agli scopi dell’organizzazione”. Molto semplicemente, quindi, le organizzazioni criminali sono:
– I gruppi bancari, le società di brokeraggio, i conglomerati d’investimento, le multinazionali industriali e altri, e i loro membri sono coloro che in qualsiasi modo contribuiscono al buon funzionamento di queste istituzioni. Sono accusati di: commettere, istigare e favoreggiare molteplici e continui omicidi di migliaia di persone, rapine, frodi, ricatti, di ipotecare e distruggere il futuro delle prossime generazioni, e di desertificare intere aree geografiche.
– Ogni sorta di politici e i loro adulatori consiglieri di corte che gestiscono i profitti della precedente organizzazione criminale. Sono accusati di: commettere, istigare e favoreggiare molteplici e continui omicidi di migliaia di persone, rapine, frodi, ricatti, di ipotecare e distruggere il futuro delle prossime generazioni, e di desertificare intere aree geografiche.
– Gli assassini in uniforme delle forze armate e di sicurezza, che proteggono le due precedenti organizzazioni criminali esercitando la loro forza sul resto della popolazione, e sono responsabili di reprimere ogni tentativo di resistenza. Sono accusati di: commettere, istigare e favoreggiare molteplici e continui omicidi di migliaia di persone, torture e stupri nelle stazioni di polizia, nei campi di concentramento per gli immigrati, sulle frontiere di terra e di mare, per le strade, di rapine, ricatti, spaccio di droga e traffico di persone.
– L’organo giudiziario che si assume il compito di punire ognuno contrario agli ordini delle prime tre organizzazioni criminali, e ogni giudice, pubblico ministero e il resto del personale che li appoggia. Sono accusati di: migliaia di rapimenti di persone che seppelliscono nelle galere, istigando e favoreggiando molteplici e continui omicidi di migliaia di persone che si svolgono nelle carceri, nelle rapine e nei ricatti.
– L’organo di correzione e ogni direttore del carcere, secondini e il resto del personale che in qualunque modo contribuisce al buon funzionamento della più inumana istituzione della democrazia civile. Sono accusati di: decine di omicidi all’anno, torture, ricatti e spaccio di droga.
– Il complesso dei media, dai proprietari dei canali TV fino all’ultimo giornalista che copre tutte le sopra citate organizzazioni criminali, diventando complice nei crimini di sopra.
Tutte le organizzazioni criminali sopra citate possiedono una struttura gerarchica e sono continuamente in azione.
Agendo in modo coordinato e operando congiuntamente di fatto, in un modo, con estensioni e nelle condizioni che seriamente danneggiano il paese e la sua popolazione. Pertanto, esiste una seria motivazione per rafforzare la legge N.187A. Queste sono le vere organizzazioni terroristiche e queste sono le accuse contro di loro. E’ da qui che proviene il terrore e non da coloro che scelgono di attaccarli in tutti i modi.
Loro sono ogni giorno processati dai rivoluzionari in ogni angolo della Terra. Saranno completamente condannati quando la precedente apatia sociale si snatura nella coscienza infuriata e nelle capacità organizzative. Però, non preoccupatevi onorevoli giudici e altri membri del resto della organizzazione terrorista. Non sarete processati con il vostro marcio codice giuridico, ma con il codice dettato dalla dignità insorta contro i dominatori.
Da anni ormai è diventato evidente che anche sul territorio greco il capitale sta ristrutturando lo Stato verso una forma più concentrata, che possa garantire la continuazione della sua redditività, sia al livello interno che su quello internazionale. Per questo motivo lo Stato si sta fortificando politicamente, tecnologicamente, giuridicamente, militarmente e ideologicamente. Il sistema sta cercando di superare le proprie contraddizioni e organizzarsi ad un livello organizzativo più aggiornato.
Quelli di noi che si riconoscono come rivoluzionari devono rivelare e intensificare le sue contraddizioni, organizzarsi e attaccarlo su tutti i livelli. Dove il regime parla di crisi, noi possiamo ancora una volta porre la questione della rivoluzione. Il superamento della crisi può essere risolto solo in un modo assoluto.
Con la distruzione di tutte le autorità, dello Stato e del capitale nelle nostre vite. Con l’anarchia.
Durante la mia dichiarazione politica ho evitato di parlare in termini di innocenza o colpevolezza.
Sono un anarchico e non mi interessano queste procedure.
Credo che tali processi non sono d’interesse per le loro conseguenze giuridiche, ma per le loro più ampie estensioni sociali e politiche.
Nei testi pubblici, come anche in quest’aula, ho dichiarato di non essere un membro delle CCF. Tuttavia, sono consciamente colpevole di essere un anarchico, fiero di esserlo, e lo difenderò, se questa colpa riguarda la mia appartenenza al movimento anarchico e la mia posizione aggressiva verso il dominio.
Per questo io credo che questo tribunale non è competente per processare me o ogni azione rivoluzionaria. Proprio come la oppressione, la rassegnazione, la paranoia autoritaria e la mediazione non hanno posto nelle aule dei tribunali, non c’è quindi posto neanche per la resistenza, per la dignità e per la solidarietà.
Queste sono le relazioni sociali, sono giudicate e giudicano ogni momento.
Concludendo la mia dichiarazione politica vorrei chiarire che non accetterò nessuna domanda da parte dei giudici. Non voglio aprire un dialogo con i rappresentanti dell’autorità giudiziaria, proprio come ho evitato durante tutta questa procedura di rispondere completamente ai commenti del presidente e del PM.
Ho conservato le mie ultime parole per il mio amico e compagno Kostas Sakkas, con il quale ho condiviso la clandestinità, la galera e una parte di questo processo.
Il mio amico e compagno che ha combattuto, nonostante le difficoltà, contro il totalitarismo poliziesco-giudiziario, e la sua lotta ha ispirato un movimento multiforme di solidarietà.
Il mio amico e compagno che insiste nel esigere la propria libertà ottenuta con tale difficoltà.
Noi continuiamo… “Fino alla fine, fino alla vittoria…”
Traduzione: RadioAzione [Croazia]
fonte
Political statements of those accused of participation in the CCF, in the 3th trial On Thursday, August 28th 2014
Translated by Act for freedom now!
Political statements of those persecuted of participation in the CCF.
On Thursday, August 28th 2014, Giorgos Karagiannidis, Alexandros
Mitrousias and Stella Antoniou read out their political statements
before the special court concerning the “Nea Smirni” case (a.k.a.
Anti-terrorist operation and arrests on December 4th 2010).
Furthermore, Giorgos Karagiannidis read out a statement sent by Kostas
Sakkas, who is underground, to his advocate Dimitris Katsaris.
POLITICAL STATEMENT OF COMRADE GIORGOS KARAGIANNIDIS AT THE TERROR-TRIAL OF KORIDALLOS PRISONS.
To begin I would like to state once more that at no moment, from my arrest up to now, have I felt a defendant. And since I do not feel like a defendant I cannot feel apologetic either.
I do not recognize this system of values condensed in the legal code based upon which this court makes judgement. Since we are referring to a different – and antithetic – code of values I believe that this court and no court has the jurisdiction to judge me.
I in no way recognize its jurisdiction to judge resistance and the attempt to subvert the status-quo, as well as the people who are inspired and personally committed to doing so. To judge a phenomenon as necessary as breathing. What I do recognize, as in every court, is the violently enforced ability it has to send people to prison.
To be, that is, the punishing arm of the State. The judicial body, barricaded behind a compilation of laws and provisions is the intermediate link in the oppressive chain. It mediates between police investigation and correctional incarceration, securing during the whole procedure the esteem of the ‘ex cathedra’ specialist which is necessary in order for it to establish itself as one of the main coordinators of social relations. It is self-evident that since justice is a foundational pillar of the civil State it is directly connected and completely identified with the defence of its interests.
Their operators also consist of a social elite (as they like to call themselves) and are connected not only on a political or social level, but often on a personal level also with individuals who perform the legislative and executive operations of the State. The oppressive role of justice has been historically demonstrated and there is no point in mentioning things that have been written and said a thousand times.
However, speaking specifically of today, this current historical moment, the Greek reality in the given crisis condition, we can observe that justice has a primary role in the general socio-political restructuring. Justice is currently the spearhead in the attempt of the regime to avert its internal creaks and stabilize itself.
Thus we see democracy initially turning aggressively in on itself, sacrificing many of those who had been its main executives at a political and economic level over the past decades. The crimes of the ruling class, beautified with the term scandals, did not multiply over the last three years, nor did the ability and decisiveness of the judiciaries suddenly increase. Simply, the raff of politicians, businessmen, journalists and bouncers realized that when the boat sinks, not everyone can be rescued.
Therefore, depending on the correlation of power, some of the ex-powerful, even at the top level, such as Tsohatzopoulos (ex-minister) and Papageorgopoulos (the ex-mayor of Thessaloniki), Lavrendiadis (businessman who embezzled millions), Psomiadis etc. are demoted and offered as victims to the media and judicial arena in order to show the extension and depth of “cleansing” of the system. At the same time, through justice democracy turns against its bastard child, the fascist garbage, which temporarily believed that they were standing on their own two feet and tried to be autonomous, claiming some vital space – an expression they like – from the political/economic system that had raised and harboured them for so many years.
Neither the civil parties, nor the judicial ones and their political superiors, nor the journalists suddenly “awoke” and “discovered” the fascist danger. All of them, together with the “enraged and indignant” voters of the fascists realized, a bit late to tell the truth, that the puppy grows and can also bite its owner if the leash is not tightened. For about 25 years that the media has been raging about “foreign criminals” or “national honour” because of sporting events, paving the way for State and para-State pogroms, as far as the whole authoritarian raff was concerned, there was no fascist danger.
This danger became existent when the fascist propaganda began to be influenced by traditional mechanisms in the social body. Despite all this, the regime realizes that the real threat to it is not some of its flushed-out administrators, nor its fascist yard dogs. It knows that the danger of subversion comes from people who realize the dead-ends created by the State and capitalist instituting, who resist the enforced alienation, who refuse to accept complacency and resignation, who analyse, build relations, collectivize and insist on posing the issue of the anarchist revolutionary prospect. I place myself among these people.
After 3 trials in the special courtrooms of democracy I have acquired a clear image of the role of these courts. To sterilize and devitalize the political-social proposal of anarchy. To interpret motives, ideas and acts that aim at revolutionary social change through the prism of the penal code. Within this concept every similar trial is a scheme, not in the legal meaning of the term but the political one.
Every attempt to disconnect individual acts from the reason for which they were carried out aims at their criminalization, that is to say their managing by penal oppression, removing them from the context within which they belong. Civil democracy, from the moment it placed, among other things, freedom of expression as its fundamental value, created the contradiction of separating thought and action. Stepping on this value leads to the irrational claim that it does not persecute ideas but acts, as if it were possible for there to be thought without action or vice versa.
As if it were ever possible for someone to be possessed by an idea and not try as hard as they could to turn it into action. Having this as a base we put an end to this welter of words concerning the freedom of civil democracy once and for all. Freedom can only exist where desires, thoughts and acts are inseparable, consequently in no authoritarian system. Every such court is a moment in a war that is raging, sometimes with upsurges, other times with remissions.
It is an attempt of the regime to deal with its political opponents. Therefore, I realize that it is an organ to apply policies and only that. As much as it might scare you, you consider this a political trial as much as we do. But you lack the honesty as people and as a force, to admit it. This trial, as well as other similar ones, has as its main charge the violation of articles 187A or the “terror-law” as it is usually called.
This law is applied if the acts it foresees are “the commission of certain offences in a manner or to an extent or in circumstances which may seriously damage a country or an international organization with a view to seriously intimidating a population or compelling an illegal public authority or an international organization to perform any act or to refrain from this or seriously damage or destroy the fundamental constitutional policies, economic structures of a country or an international organization”.
So the regime itself took care to give a political tone to this specific law. How else could one interpret the pressure applied by someone on a country, a public authority or an international organization, predominantly organs used to apply pressure, if not political pressure? What kind of act is the destruction of fundamental structures of a country if not a political act? It is actually the predominantly political acts, since they change the material terms of existence, as well as the relations developed between people.
As an anarchist I desire and promote the destruction not only of the fundamental but of all structures not only of one country but everywhere and their replacement with free unions of people who will jointly decide and manage their material, spiritual and ethical development.
Don’t hide inside your trojan horse, laws such as 187A fortify civil democracy as the most successful political expression of capitalism and different conditions of procedural tackling are foreseen for its enemies. The special lotteries of judges, special transfers, special courtrooms inside prison, the special legislative frame and soon the special conditions of imprisonment is the continuation in the oppressive chain.
Law 187 is right now the master-key of penal oppression. Its voting in untied the hands of judiciaries and prosecutors, since because it is absolutely unclear it greatly widened the concept of a member of an organization, simultaneously increasing the sentences for individual acts. So it succeeds in widening the number of people who are placed in judicial captivity and the prolonging of the time of their captivity.
Of course this procedure is not independent of general social developments, but I will return to that later. Right now I would like to refer a bit more to the role and attitude of this specific court. In the beginning of the procedure some objections were placed by various defendants concerning the political nature of the trial and the attribution of the political character to the acts on trial – offences/crimes for you -.
Such objections are important to me, not for the exchange of legal arguments between the judges and the advocates, but because of the contradictions that surface. The proposal of the prosecutor, which was adopted by the court in the end, was that the acts cannot be characterized as political since they crash into an objective interpretation of the law. It points out that is, that independently of their subjective will, the perpetrators could not have objectively brought about the destruction of the structures of a country etc, etc.
An interpretation that comes into direct contrast with the definition of law 187A, that the acts themselves were capable of damaging the structures of a country and based on which the same judges will convict us. Another example is the issue created with the – completely unsupported on a legal, but completely explainable on a political level – continuation of the detainment of K.Sakkas and Gerasimos Tsakalos from 30 to 36 months.
Although it was a purely legal coup, the Pontius Pilate-like attitude of the judges who avoided taking a position, showed the instrumental opinion they have when they apply their penal code. The chairwoman actually sealed this position with the cynical statement “what would you like the judges to do in such situations?” It took the 38 days of hunger strike for comrade K.Sakkas to accomplish the evident.
After his conditional release, the pace of the trial automatically slowed down, proving that the previous acceleration of the procedure aimed solely at the avoiding of releases because of the 30 month detainment limit. The court has offered us many examples of its false policy of intention, but there is a danger that I might ramble on if I were to mention all of them. I think that from all the above mentioned emerges the conclusion that the court is an organ for applying policy. Democracy’s second organ for applying policy that has appeared in this trial is the anti-terrorist force. A force that is considered the elite of the police and which investigates specific acts – armed attacks, robberies etc – committed by individuals with specific political perceptions. According to the police-judiciary frame of thought these acts are included in law 187A. They are that is, offences committed with the intent to harm fundamental policy, constitutional, economic structures etc etc. (In his testimony the antiterrorist cop Christos Maleas mentioned that his force operated an “anarchist division”). Since the antiterrorist force investigates people and acts with specific political stances and targeting,
it cannot but have the role of an organ for applying policy. The official title of the anti-terrorist force is – Directorate of Special Crimes of Violence DSCV – Where does that “Special” in the title go to and what does it show, if not the particularity of the “offences” under investigation in relation to the rest? Let’s take a closer look at this specific force. We will see that its officers are implicated in various violations of the penal code. Every now and then the anti-terrorist cops have been accused of protection of night clubs, blackmailing business owners with tapped phone calls, others have been accused in cases of antiquarianism and gold digging. The most grand example is cop Bourdoukoutas, a main witness in another C.C.F. case, who was arrested after a robbery at a betting shop.
Although it is not at all rare for cops from any force to be implicated in their favourite activities, it is even less rare for them to be involved at a political level with candidate or current members of parliament, members of ministries and journalists, just like Hardalias, a main prosecution witness in this as well other trials baptised C.C.F. case.
Therefore there is an intense dialysis between the DSCV and other carriers of authority even at an institutionally higher level. And this is because the DSCV is necessary for the functioning of the civil State, for its protection from the domestic enemy, as well as the stabilization of authority poles in the interior of the State mechanism, against other systemic poles. The case being tried is a continuation of a series of trials which were baptised “C.C.F. case”.
The police-judiciary authorities unified cases irrelevant to each other and presented the implicated anarchists as operating under a common plan. Simultaneously with the unification there was also the temporal partition of the cases.
The Greek State is not a pioneer in such oppressive plans. In 1995 Italian prosecutor Marini unified a series of cases in State and capitalist targets and attributed them to an alleged organization called O.R.A.I. Back then about 60 anarchists were accused and imprisoned because of their “implication” in a non-existent organization.
The Greek authorities are not only following, but are developing the international oppression experience. Special investigators Baldas, Mokkas and Nikolopoulos and prosecutors Dimitriou, Makropoulos and Drakos proved to be smarter and more shrewd than their colleague Marini. The pioneering of the Greek authorities is in that they used an organization that already exists. The name C.C.F. has been used as an umbrella in order to fit under it the various independent cases of anarchists accused of attacks, robberies and possession of weapons and explosives. Simultaneously with the unification there was also the temporal partitioning of the cases.
The aim of these police-judicial alchemies is mainly the enforcement of larger sentences on the accused and on a subcutaneous level the spreading of confusion and fear in revolutionary circles. At this point it is important to see how they set up the indictment to involve me and my comrades Mitrousias, Sakkas and Antoniou with the C.C.F.
After our arrest the authorities implicated us in the integration and participation in an “unknown (!!) terrorist organization”, which had not carried out any specific attack. The authorities thought back then that with the evidence they would discover after our arrest, enough charges would surface in order to send us to prison for many years. 3 months after our arrest and while nothing new had come up, the representatives of the anti-terrorist force, quadruplet Baldas-Mokkas and Dimitriou-Makropoulos announced to us that we were accused – the second time for me and Aexandros – of integration in the C.C.F. Almost simultaneously they implicated us in the case of the parcel bombs as well.
A year later, and again without anything new having come up, they implicated us in 160 previous incendiary and explosive attacks, the responsibility for which had already been claimed by the C.C.F. All of these detainments had a clear instrumental character, our integration into the C.C.F. is to accomplish our lengthy imprisonment, and the case of the 160 attacks was to prevent the release of Kostas because the 18 month detainment period had ended. Because the permanent refrain of the judicial cyborgs when trying revolutionaries is that “we examine culpable acts and not ideas” let’s take a look at the facts, using as a lead the testimony of the then head of division of the anti-terrorist force Eleytherios Hardalias and his subordinate Panagiotis Bagatelas.
Both stressed how the counter-surveillance measures we took were and the operational alertness we showed in our movements had increased. As much as that might be true, since I and Alexandros were wanted, we were in no way a structured group. The moment of our arrest alone is enough to make this claim fall. Kostas and Alexandros were arrested outside the store-room in Nea Smirni and simultaneously I was being arrested in a barbershop in Pireus.
The other three comrades were detained during their every day activities, Michail and Adoniou at their homes and Christos Politis at a shop. All during our surveillance (20 days according to the D.S.C.V.) they did not discover any contact between us and members of the C.C.F. despite the fact that a few days earlier two of its members were arrested and their contacts and communications would have been increased between its members. During this period no unlawful activity was discovered.
The surveillance carried out by the anti-terrorist force only refers to meetings between us -Kostas, Alexandros and me – as well as other irrelevant individuals. Concerning me, actually, the testimonies speak of a visit of mine to Agrinio, my return to Athens three days later, the purchase of a shovel and that is all.
Not only is there no proof, but not even an indication, that we are implicated in any way with members or acts of the C.C.F. There is no proof, not even an indication that we were members of an “unknown terrorist organization” that has carried out “unknown acts”. This whole case was set up by the persistence of the anti-terrorist force to present us as a structured group. Whoever remembers the media climate during the days of our arrest, surely cannot forget that we were named as members of the then known organizations.
A year later the then minister of public order Pappoutsis stated that he had been deceived by the anti-terrorist force and gave the green light for our arrests, because of the upcoming landmark December 6th anniversary. The only success the anti-terrorist had concerning the operation on 4/12/10 was that it arrested two wanted anarchists, Alexandros and me, as well as my friends and comrades Kostas and Stella who each one in their own way stood in solidarity to us during our time underground.
Despite that the fact that the anti-terrorist force knew from the start that the only people related to the findings were Kostas, Alexandros and me, neither the cops nor their puppets Baltas-Mokkas and Dimitriou-Makropoulos hesitated to target other anarchists, even people whom we did not know, like in the case of Christos Politis.
The apex of all this methodology was the implication of 3 members of the C.C.F. as managing executives in our case as well. As well as the fact that with no contact orders cannot be given, all of us who were arrested on 4/12/10 stated that we are anarchists. This means that hierarchy does not mediate our relations, we factually dismiss every authoritarian way of operation. We do not accept anyone as a leader, just like we do not accept anyone as a representative. This charge has appeared in all similar trials.
Those who draw up and examine these indictments – antiterrorist officers, special investigators and prosecutors, special courts – project the dominant model of organization and operation into anarchist structures, in a further attempt to remove the political identity of the accused, apart from the legally impaired measurement of sentences.
Because the relations we build now also reflect the relations of tomorrow, we insist as anarchists to operate in a horizontal and anti-hierarchical way. Full stop. In order for the anti-terrorist force and their judicial subalterns to make their stories more realistic, people were arrested, abused, photographed, imprisoned and accused.
This is where the unmistakeable ethical difference lies between us and you. When the State mechanisms target a revolutionary, they simultaneously target their wider friendly and personal environment. On the contrary, when an executive of the State mechanism is targeted by revolutionaries the targeting is concentrated specifically on them.
In the case of the arrests on 4/12/10 the police-judicial authorities attempted for the first time to enforce various tricks in order to overcome the lack of substantial incriminating evidence. I referred earlier to the charges of participation in an “unknown terrorist organization”.
This charge was used by the anti-terrorist force and the special investigators for 3 months and finally they replaced it with “participation in the C.C.F”, thinking that in this way they would accomplish the coveted lengthy sentences, since the “unknown terrorist organization” did not go down so well as an inspiration.
The same charge was repeated a month after our arrests, with the arrests of 4 wanted anarchists in Thessaloniki. That case reached the trial with this charge, showing the path oppression has decided to take in order to overcome the non-existence of proof. The deliberate vagueness of Law 187 and 187A is the guarantee that the legal status quo of exclusion will widen and become more and more permanent if there are no political barriers from the accused and the political spaces which perceive this need.
In our case, people were literally created and placed at various places and times. An unknown man “blond, unshaven, about 30 years old” according to the testimonies of Hardalias-Bagatelas, was the one who offered me counter-surveillance while I was getting off a bus at Agrinio bus station. In a weird coincidence the same person appears to meet with Christos Politis and Kostas Sakkas at different places and times.
This person, unknown till then, – again, according to the testimonies of the cops – therefore, connects 3 different people (Ch.Politis, K.Sakkas and me) who have no other contact. This person was recognized after almost 2 years and following an anonymous phone call, and again according to Hardalias, as Tasos Theofilou. He was accused of robbery and homicide in Paros, was presented as a murderer and suffered all the treatment reserved for those targeted by the police-judicial complex. For the record I want to mention that I met Theofilou in prison and had never seen him before then. What is the anti-terrorist force trying to tell us here? That it follows someone for a few days, sees their meetings with others, at some point they arrest the others without someone to connect them, and then after two years when they arrest him [the first] for another case they accuse him for the original case as well.
This sequence of events reveals the rationale with which the police-judicial authorities “solve” cases when evidence is absent. Let us not forget that, again according to Hardalias, Kostas met up in Nafpaktos island with an “unknown unshaven man around 30 years old” and in Agrinio with “a woman about 1.55cm tall who was carrying a rucksack”. As with Theofilou, we are speaking of descriptions that resemble thousands of people and when the (police) occasion demands it someone who fits the description can be accused again for this case.
At this point it is important to point out the lies Hardalias-Bagatelas said in their testimonies concerning my surveillance. According to their testimonies, therefore, they saw me for the first time on 30/11/10 at Agrinio bus station coming off a bus with an individual – who two years later was recognized as Theofilou – who was covering me with counter-surveillance. So let me accept the claim that there was in fact someone with me at Agrinio bus station. First question:Since the cops who were there did not see me communicate (verbally, over the phone or with signals) how do they figure that we were together? Why would a cop who sees two unknown individuals, one they have seen before meeting up with another “suspect”, one they have never seen, and instead of following the first follow the second?
The answer of Bagatelas to these two questions was the “police criterion”. Second question:Hardalias mentions that while I was collecting my luggage from the bus the unknown man was standing right next to me and observed the area. Bagatelas -who was an eye-witness according to his testimony – says that the unknown man moved away about 10-15m, a not so small distance for operational surveillance in a small, rural bus station.
If two cops disagree on something so simple it is simply because there was no one there with me.
Third question:How can someone offer cover to another person when they are travelling in the same means of transport? What more can they see and warn about? Absolutely nothing. Fourth question:The bus station in Agrinio is full of CCTV cameras.
Although images from such cameras were brought from other places, – ie. Pireus bank, the Praktiker shop – the anti-terrorist force did not show the same zeal for images from the bus station that would also help them to identify an unknown individual. Why is that?
The above questions-reflections are rhetorical and are susceptible to only one answer. That the cops are lying when they say that there was another person with me at the bus station. They also lie when saying that Christos Politis who happened at some point to pass through 3 roads down from Praxitelous street was offering counter-surveillance to Alexandros.
It is clear from the above that the anti-terrorist force creates impressions that are later validated by the investigators in order to widen the repressive circles. Another question that arises has to do with the checking of my identity card. Hardalias-Bagatelas mention that up until the moment they took me to Athens police headquarters I did not answer their questions about my name and did not give my fingerprints. Then how is it that Papathanasakis-Hardalias called me by my name from the start?
How is it that 4 hours after my arrest they was a raid on my parents house? My name was already known to them, they knew who they had arrested and they had proven it in this way: On 1/12/10 while I was walking in a semi-central street of the city of Agrinio I noticed a car in the middle of the street. When I got closer the passenger came out and asked me to help push it while the driver remained in the car.
Of course I accepted and thus I left my finger prints on the car which led to my identification. This is to notify other comrades who might deal with a similar situation. The creation of false impressions in order to promote the repressive plan did not only concern the presence of people in places and times and non-existent contacts with others, but went a step beyond. Police oppression marries scientific knowledge in order to create scientific repression. The use of DNA as proof is the touchstone of scientific repression in the era we are living in.
The police investigation presents it as the absolute method of identifying penal offences and usually the judicial authority is willing to accept the police proposal. Using a clearly scientific method, the police investigation dresses it with the cloak of objectivity and claims the infallibility of its findings. In a previous stage of the procedure it was analysed by a witness-specialist that DNA cannot in any scientifically accepted way be a presumption of contact of someone with objects or prove their presence at spaces.
As anyone can easily conclude, the biological material of someone can be transferred to and from anyone who has come into contact with them. Also, cops-witnesses of the DSCV who testified – among them also Bagatelas – mentioned the sketchiness with which the first investigations were carried out on our objects and houses, something that was covered with the references of the criminal laboratories concerning the “justifiably insulted”.
All of this are of course known to the cops of the DSCV and the bio-crime laboratories, as well as the special investigators. The acceptance of DNA as proof simply legitimises in an “objective-indisputable” way, the creation of the tangent circles of acquaintances aiming at the establishing of the police-judicial scenarios. Specifically in our case, DNA was used in order to create a false image.
The finding of an unidentified up to now, DNA type named X15, which was found -according to the police – in our space as well as at the house of an anarchist accused in the Revolutionary Struggle case, is used as a confirmation of the police theory of “fluid-pressure transmission”, the theory that proposes that those who are accused of participation in armed revolutionary organizations necessarily have personal relations as well.
The existence of dozens of unknown types of DNA which have been connected with the cases baptised C.C.F. await their identification accordingly with the individuals I mentioned above unknown to the investigators. In another arrest of one of these people for another reason the charge of participation in the C.C.F. will also be added based on the DNA findings. In reality the widening of the use of this method, equally widens social control.
The violent extraction of DNA from the anarchists arrested for various cases, the blackmailing extraction from dozens of villagers in Halkidiki, the snatching of personal objects in order to take biological material from the houses of anarchists in the raids of the last two months, without mentioning hundreds of other penal cases, show the intention of dominance to create bio-databases, giving priority to the anarchists as the most radical and therefore dangerous to it, social part. The revealing of the methods of the enemy is important when it becomes a vested experience of the revolutionary movement. In the cases baptised C.C.F. alone there are dozens of people who were followed, arrested, some were photographed and imprisoned only to be acquitted, in the end, of all charges. A naïve approach would present the anti-terrorist cops, special investigators and prosecutors as goofy, Clouseau-like or useless.
I believe that these alleged mistakes are part of the plan to widen repression. When there is an attempt to attribute a criminal tint to peoples’ relations who simply belong to the same political revolutionary space that is no mistake, on the contrary the oppressive plan evolves and improves. Contrary to this the internalization of fear and the introversion pave the way for such oppressive moves. On the contrary, aggressive anarchist action can only deal with the enemy in all fields, political, ideological, organizational, military. This is where my mentioning of the facts in the indictments ends and I continue my political statement. As of September ’09 when the warrant was put out for my arrest, I chose to go underground.
This is a dilemma that anyone who integrates themself on the side of revolution could come up against, and everyone answers differently, even if the same person might answer differently in different situations of their life. My decision was a combination of my anarchist political perception, since I did not intend to willingly leave myself to the judgement of the judicial lackeys, and a love for freedom. Actually, when I think about it more coldly, I conclude that this instinctive tension of mine for the sweet feel of freedom, is still more intense than my political decision to not surrender.
The findings implicating me (weapons, false documents, houses) are also related to this choice of mine and my general hostile stance towards the State and capital. Clandestinity is a choice that has been taken by thousands of revolutionaries in history and as for me I continue to support it at a political, as well as emotional level, for any individual who has decided to maintain or re-gain their freedom. Moreover, when there is a political motive, it is another choice of struggle, a militant choice, and revolutionaries must defend it as such.
The choice of clandestinity has a great cost for every person, since they are violently separated from their loved ones, they cease their relations, and their contacts are very selective.
For a political subject this choice carries an extra weight, since they are removed from the wider social/political zymosis to a great degree, and the interaction with many comrades is especially limited.
In this condition the conflict with the State mechanisms adopts an exclusively militant character, a field where the State has the upper hand. All this of course is balanced out with the freedom of movement you acquire when you move around invisible among the repressive mechanisms. The satisfaction of moving around without identity cards, without anything connecting you with the existing mediated social relations, is something indescribable. I can unreservedly say that the time I was underground were the freest days of my life.
Law 187 names as criminal organizations “structured groups of 3 or more individuals, with distinctive roles and constant action aiming at committing some offences, and members are those who willingly subjugate their free will for the aims of the organization”. Very simply, therefore, criminal organizations are: -The bank groups, broker companies, investment conglomerates, industrial multinationals, and others, and their members are those who in any way contribute to the smooth operations of these institutions.
They are accused of: Committing, aiding and abetting the multiple and continuous murders of thousands, robberies, fraud, blackmail, mortgaging and destruction of the future of the next generations and desertification of entire geographical areas. -All sorts of politicians and their councillors-court flatterers, who take on the managing of the profits of the preceding criminal organization.
They are accused of: Committing, aiding and abetting the multiple and continuous murders of thousands, of robberies, frauds, blackmails, mortgaging and destruction of the future of the next generations. -The uniformed murderers of the armed forces and security forces, who secure the two previous criminal organizations with their enforcement strength on the rest of the people and are responsible in oppressing every attempt of resistance.
They are accused of: Committing, aiding and abetting the multiple and continuous murder of thousands, torture and rape in police stations, immigrant concentration camps, on land and sea borders, the streets, of robberies, blackmail, drug dealing and people-trafficking. -The judicial body that takes on the task of punishing whoever goes against the orders of the three first criminal organizations and every judge, prosecutor and the rest of the personnel that staff them. They are accused of: Thousands of kidnappings of people whom they bury in prisons, aiding and abetting the multiple and continuous murder of thousands that take place in prisons, robberies and blackmail.
-The correctional body and every prison director, screw and the rest of the staff who in any way contribute to the smooth operation of the most inhumane institution of civil democracy. They are accused of: Dozens of homicides every year, tortures, blackmails and drug dealing.
-The Media complex from owners of TV channels up to the last journalist who provides coverage to all the above criminal organizations, being complicit with the above crimes. All the above criminal organizations have a hierarchical structure and continuous action.
Acting in coordination and jointly operated in fact, in a way, extension and under conditions that seriously harmed the country and its population. Therefore, there is a serious reason to enforce law N.187A. These are the real terrorist organizations and these are the charges attributed to them. That is where the terror derives from and not from those who choose to attack them in any way.
They are tried every day by revolutionaries in all corners of the earth. They will be completely condemned, when the prior social apathy is denatured into enraged conscience and organizational skills. Do not worry however, honourable judges and other members of the rest of the terrorist organization. You will not be tried with your own rotten legal code, but with the code dictated by the insurgent dignity towards the dominators.
For years now it’s become evident in the Greek territory as well that capital is restructuring the State towards a more concentrated form, that can guarantee the continuation of its profitability, at a domestic, as well at an international level. This is why the State is fortifying itself politically, technologically, legally, militarily and ideologically. The system is trying to overcome its contradictions and get organized on a more organizationally upgraded level.
Those of us who recognize ourselves as revolutionaries need to reveal and intensify its contradictions, organize and attack it on all levels. Where the regime speaks of crisis, we can once again place the matter of revolution. The overcoming of the crisis can be answered only in an absolute way.
The destruction of all authority, the State and capital in our lives. Anarchy.
During my political statement I avoided speaking in terms of innocence or guilt.
I am an anarchist and I do not care for this procedure.
I believe that such trials are not of interest because of their legal consequences, but because of its wider social and political extensions.
In public texts, as well as in this courtroom, I have stated that I am not a member of the C.C.F. However I am consciously guilty of being an anarchist, proud of my guilt, and I will defend it, if this guilt concerns my belonging to the anarchist movement and my aggressive stance towards dominance.
This is why I believe this court has no jurisdiction to try me, or any revolutionary action. Just as oppression, resignation, authoritarian paranoia and mediation have no place in courtrooms, thus there is no place for resistance, dignity and solidarity.
These are social relations, they are judged and judge every moment.
Concluding my political statement I would like to clarify that I will accept no questions from the judges. I do not wish to open a dialogue with representatives of the judicial authority, just like I avoided during this whole procedure to thoroughly answer to the comments of the chairman and prosecutor.
I save my last words for my friend and comrade Kostas Sakkas, with whom we shared clandestinity, prison and a part of this trial.
My friend and comrade who fought all odds against police-judicial totalitarianism and his struggle inspired a multi-form movement of solidarity.
My friend and comrade who insists on demanding his freedom he gained with such difficulty.
We continue…“Until the end, until victory…”
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